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16
novembre 2009
fino al 21.XI.2009 Gino Morandis Roma, Galleria Traghetto
roma
Collage materici di grande impatto visivo, ma anche emotivo. Sagome e colori su tavola, che Morandis chiamava “immagini in legno”. Cromatismi marcati, a descrivere uno spazio interiore, un’atmosfera...
di Lori Adragna
“Cerco nella materia, nella sua apparizione originale, qualcosa di primitivo, di
originario, di incorrotto”, scrive nel 1960 Gino Morandis (Venezia, 1915-1994), forse il più lirico
esponente dello Spazialismo veneziano.
Morandis al movimento aderisce nel ‘53, dopo le prime
esperienze figurative con le influenze dei francesi – impressionisti, cubisti, fauves
– e al termine di
una ricerca svolta “in stato di tormentosa incertezza”. Si avvia a conclusione, in
quegli anni, il processo di smaterializzazione dell’oggetto artistico: la
realtà si dissolve, trasmuta; nel mondo tecnologico in nuce, perde di coerenza.
L’artista spaziale, come teorizza Lucio Fontana in uno dei sette manifesti
stilati dal 1947, non deve più imporre allo spettatore un tema figurativo, ma
piuttosto metterlo nella condizione di crearselo da sé: “Nell’umanità è in
formazione una nuova coscienza, tanto che non occorre più rappresentare un
uomo, una casa, o la natura, ma creare con la propria fantasia le sensazioni
spaziali”.
In quest’ottica di libertà estrema, capace di rinnovare i
fondamenti della creazione artistica, prende le mosse la produzione di
Morandis. Artista dotato di singolare sensibilità coloristica e di grande
passione per la materia, tenace sperimentatore di tecniche e impasti pittorici,
esprimerà un immaginario liquido e atmosferico. Esplosioni tonali, fluttuazioni
astratte, accensioni di macchie in cui il contesto naturalistico si traduce in
simmetrie invisibili e relazioni sottese, oltre la fenomenologia delle
apparenze.
Di grande impatto visivo ma anche emotivo, i collage
materici esposti in galleria: sagome e colori su tavola, che l’artista chiamava
“immagini in legno”.
Forme ritagliate in sottili fogli di faesite, colorate e assemblate in
stratificazioni variabili. Appartengono al ventennio che va dai ’60 agli ’80
quando l’artista, convinto sostenitore della negazione della pittura, in quanto
materia esclusiva del processo pittorico, opera una riduzione della forma
all’essenziale.
Sono cromatismi marcati a descrivere uno spazio interiore:
un’atmosfera, una luce oppure un’assenza di questa. L’urgenza è di tradurre
tutto, in sintesi, nello spazio esterno, convogliando nel tessuto connettivo
delle superfici bagliori di flussi mnemonici. Le linee che definiscono le forme
come visioni hanno la potenza di arcani segni segreti.
E il legno, che abbina la sua derivazione industriale e
postindustriale a quella di elemento naturale, simbolico, quasi sacrale (non
dimentichiamo che è il supporto scelto per le icone) può essere qui ”originario
e incorrotto”, in
modo da far apparire il tutto: “Come fosse nato il primo giorno della
creazione”.
originario, di incorrotto”, scrive nel 1960 Gino Morandis (Venezia, 1915-1994), forse il più lirico
esponente dello Spazialismo veneziano.
Morandis al movimento aderisce nel ‘53, dopo le prime
esperienze figurative con le influenze dei francesi – impressionisti, cubisti, fauves
– e al termine di
una ricerca svolta “in stato di tormentosa incertezza”. Si avvia a conclusione, in
quegli anni, il processo di smaterializzazione dell’oggetto artistico: la
realtà si dissolve, trasmuta; nel mondo tecnologico in nuce, perde di coerenza.
L’artista spaziale, come teorizza Lucio Fontana in uno dei sette manifesti
stilati dal 1947, non deve più imporre allo spettatore un tema figurativo, ma
piuttosto metterlo nella condizione di crearselo da sé: “Nell’umanità è in
formazione una nuova coscienza, tanto che non occorre più rappresentare un
uomo, una casa, o la natura, ma creare con la propria fantasia le sensazioni
spaziali”.
In quest’ottica di libertà estrema, capace di rinnovare i
fondamenti della creazione artistica, prende le mosse la produzione di
Morandis. Artista dotato di singolare sensibilità coloristica e di grande
passione per la materia, tenace sperimentatore di tecniche e impasti pittorici,
esprimerà un immaginario liquido e atmosferico. Esplosioni tonali, fluttuazioni
astratte, accensioni di macchie in cui il contesto naturalistico si traduce in
simmetrie invisibili e relazioni sottese, oltre la fenomenologia delle
apparenze.
Di grande impatto visivo ma anche emotivo, i collage
materici esposti in galleria: sagome e colori su tavola, che l’artista chiamava
“immagini in legno”.
Forme ritagliate in sottili fogli di faesite, colorate e assemblate in
stratificazioni variabili. Appartengono al ventennio che va dai ’60 agli ’80
quando l’artista, convinto sostenitore della negazione della pittura, in quanto
materia esclusiva del processo pittorico, opera una riduzione della forma
all’essenziale.
Sono cromatismi marcati a descrivere uno spazio interiore:
un’atmosfera, una luce oppure un’assenza di questa. L’urgenza è di tradurre
tutto, in sintesi, nello spazio esterno, convogliando nel tessuto connettivo
delle superfici bagliori di flussi mnemonici. Le linee che definiscono le forme
come visioni hanno la potenza di arcani segni segreti.
E il legno, che abbina la sua derivazione industriale e
postindustriale a quella di elemento naturale, simbolico, quasi sacrale (non
dimentichiamo che è il supporto scelto per le icone) può essere qui ”originario
e incorrotto”, in
modo da far apparire il tutto: “Come fosse nato il primo giorno della
creazione”.
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Morandis e la
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lori adragna
mostra visitata il 10 ottobre 2009
dal 2 ottobre al 21 novembre 2009
Gino Morandis (1915-1994) – Immagini a collage
Galleria Traghetto
Via Reggio Emilia, 25 (zona Porta Pia) – 00198 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 14.30-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel./fax +39 0644291074; roma@galleriatraghetto.it; www.galleriatraghetto.it
[exibart]