Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
QUINTA BIENNALE DEL PICCOLO FORMATO
La quinta edizione della “Biennale del piccolo formato” organizzata dell’Officina Solare Gallery di Termoli e dal Centro Culturale “Il Campo” di Campomarino si presta a una riflessione: sull’iperspazio delle opere di “ridotte dimensioni”, sulla contemporaneità artistica e sulle avanguardie creative, al tempo d’oggi. Essa si presta a questo genere di valutazione, non solo per l’attualità e la qualità delle opere esposte, ma anche per la piena rappresentatività degli artisti proposti e per il “processo di riduzione” della realtà immaginifica, attuato presentando, al pubblico, lavori di ridotte dimensioni.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
DINAMICHE DELL’”IPERSPAZIO AUTOPOIETICO” NELLE DIMENSIONI DEL “PICCOLO FORMATO”
La quinta edizione della “Biennale del piccolo formato” organizzata dell’Officina Solare Gallery di Termoli e dal Centro Culturale “Il Campo” di Campomarino si presta a una riflessione: sull’iperspazio delle opere di “ridotte dimensioni”, sulla contemporaneità artistica e sulle avanguardie creative, al tempo d’oggi. Essa si presta a questo genere di valutazione, non solo per l’attualità e la qualità delle opere esposte, ma anche per la piena rappresentatività degli artisti proposti e per il “processo di riduzione” della realtà immaginifica, attuato presentando, al pubblico, lavori di ridotte dimensioni.
In mostra sono opere di autori vari: ciascuno con un suo linguaggio, con una propria tecnica e con una specifica personalità artistica. Si passa dal figurativismo, all’informale, all’arte povera, abbracciando pure l’espressionismo astratto, il lirismo pittorico, l’astrattismo materico, la surrealtà magica e appariscente, la sensorialità visiva dei new media e il sinergismo, oggi, esistente tra la fotografia d’autore e i nuovi linguaggi creativi. I lavori proposti sono portatori di messaggi immaginari e immateriali, interfaccia tra il mondo chimerico, di sempre, che appartiene al pensiero dell’artista e quella realtà – tipica dell’arte contemporanea e delle avanguardie – divisa tra: una sempre più persistente applicazione della tecnologia, la riproducibilità tecnica, lo sbalordimento immaginifico, la metanarrazione linguistica e l’intertestualità creativa.
Quelle proposte sono delle opere d’arte molto stimolanti (sviluppate sulla “molteplicità espressiva” di un postmodernismo sempre più imperante, a livello di forme estetiche e di cultura di massa) che ben si prestano (sempreché si estendano le leggi universali della fisica, alle regole specifiche dell’estetica) a una riflessione: sui processi entropici (determinati dalla “semantica visiva”), sulle forze dissipative (indotte dal “messaggio immaginifico”) e sulle dinamiche autopoietiche (provocate da una “esperienza estetica” che, nell’epoca della svolta multimediale, si presenta in continuo movimento).
Per dimostrare questo teorema, occorre partire dall’assunto che nell’arte - come nella vita e nella storia - gli sviluppi si basano sulle “gestazioni”, profonde, ripetute, della realtà e, quindi, sulle lente “incubazioni” che subiscono le microenergie (intellettuali e materiali) che alimentano il mondo sensibile. Tali “gestazioni” del normale sviluppo della storia, si alimentano, in particolare, delle idee e dei fenomeni correnti, che a un dato momento, del tempo presente, subiscono una “impennata” profonda, violenta, capace di rinnovare verità, forma e sostanza, secondo la teoria espressa dal filosofo cileno Humberto Maturana.
Studi analoghi sono stati, pure, compiuti dal filosofo e pianista ungherese Ervin László (teorizzatore del punto di svolta della storia, da lui denominato come punto del caos) e poi, anche dallo zoologo e scrittore britannico Mark Ridley. I loro studi si pongono sull’onda lunga delle ricerche effettuate in origine (alla fine dell’Ottocento) dal naturalista britannico Charles Robert Darwin, i cui studi hanno impressionato, in maniera decisa e positiva, numerosi filosofi e studiosi di arte e letteratura, tra XVIII e XX secolo. E tra questi vi fu - tra i primi - il massimo esponente italiano della critica letteraria romantica Francesco De Sànctis, per il quale noi “concepiamo le cose, nel loro divenire, in relazione con le loro origini e con l’ambiente ove sono nate” e sempre per il quale “col progredire della civiltà, si moltiplicano gl’istrumenti dell’arte”.
Ne è un’interessante conferma, di queste due teorie del De Sànctis, la “Biennale del piccolo formato” - che si svolge nel Molise - dove la scelta delle opere, da parte dei curatori, è indirizzata verso lavori che esaltano la forma e la sostanza, all'interno di produzioni creative che (per le loro ristrette dimensioni) fungono da “accumulatori” di tensione estetica ed espansione stilistica. L’idea di fondo che ci piace perseguire - nell’illustrazione di questa mostra - è che tutto ciò che nell’arte si riconduce al senso del minuscolo e al valore dell’intimo, assume un aspetto amplificato di “meraviglia” e di “stupore” (nel senso dell’attribuzione del significato, dato al segno) e di “incanto” e di “stupefazione” (nel senso dello sviluppo espressivo dato alla figura, eseguita nel tempo e nello spazio). Tutto ciò si deve alle ridotte dimensioni di questi lavori, che non sono (ripetiamo: non sono) da interpretare come delle “opere preparatorie”, di altre ben più grandi, ma come “pezzi unici”, autonomi, esclusivi, destinati a essere fruiti per quel che sono, senza rimandi ad altre, possibili, “evenienze interpretative”.
Queste opere vivono – nella loro “assolutezza semantica” - in una sorta d’iperspazio estetico e di topos espressivo e significante, che rappresenta la bellezza tout court: la quale supera, a sua volta, il cronotopo della realtà (quello che s’identifica nella dimensione spaziotempo) concepito, quest’ultimo, tutt’intorno alle “estensioni geometriche” della lunghezza, della larghezza e della profondità, cui si aggiunge (dal punto di vista estetico) la concezione di tempo assoluto e di tempo relativo (intesi, in questo caso, come “palcoscenico intellettuale” della proposta artistica). Possiamo riassumere, brevemente, questa idea nel pensiero del filosofo e scrittore tedesco Ernst Friedrich Schumacher, per il quale: “l’uomo è piccolo, e, pertanto, piccolo è bello”.
Ed è in questo concetto di alto valore umanistico dell’”uomo misura di tutte le cose” (volendo adottare la visione del filosofo greco Protagora) che sta il senso di un’arte non sviluppata per grandi dimensioni e che – esprimendosi intorno al “senso del ridotto” - sollecita lo spettatore a riflettere su un altro, altrettanto importante, teorema estetico, quello espresso dallo scrittore, storico dell'arte e psicologo tedesco Rudolf Arnheim, secondo il quale "qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l'ordine ne è un’indispensabile condizione". E la parola “ordine” – com’è noto - è sinonimo di equilibrio, compostezza, armonia e precisione, che riscontriamo nelle opere d’arte che sono presenti in questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato”.
Questa stessa parola, ordine, fa il paio (dal punto di vista semantico e per quanto attiene le “espressioni creative” più in generale) con altri tre termini: stile, tecnica e formato, che sono, poi, le tre variabili dipendenti che contraddistinguono un’opera d’arte. Queste tre variabili dipendenti rispondono, a loro volta, alle leggi dell’estetica e alle modificazioni che subiscono, a mano a mano, le norme espressive, nel dipanarsi dei linguaggi creativi, all’interno della storia dell’arte. Quest’aspetto conferma che nell’evoluzione dei registri creativi e delle linee immaginifiche delle arti visive (pittura, disegno, fotografia, multipli d’autore ed espressioni multimediali e digitali) si passa, di continuo, da delle condizioni di stile già acclarate e formalizzate, a delle nuove espressioni di eleganza e di bellezza: che poi otterranno, in un secondo momento, una loro piena ufficializzazione nel campo della storia dell’arte.
E lo stesso accade in quei “percorsi evolutivi” che contraddistinguono la realtà etnoantropologica: nella quale si passa da una situazione di ordine prestabilito, a una dimensione di apparente confusione e disordine che prelude, a sua volta, a una condizione di trasformazione e cambiamento. Questo è ciò che accade, non solo nella società e nell’arte (sosteneva, al riguardo, lo storico dell’arte Ernst Hans Josef Gombrich che “l'arte nasce dall'arte e si sviluppa in alcune situazioni problematiche, alle quali l'inconscio dell'artista si adegua e contribuisce”) ma anche in natura, dove questo “fenomeno evolutivo” è spiegato con la teoria dell’entropia delle sorgenti, che governa lo sviluppo di un universo in continua trasformazione. Si passa, cioè, da stadi precedenti a condizioni conseguenti, di sempre maggiore stabilità, sfruttando lo “sconvolgimento” che si crea ogni qualvolta, si passa da una precedente condizione di equilibrio a uno stadio evolutivo superiore. Il passaggio intermedio - di tutto ciò - è una situazione di “scompiglio” transitorio che genera, di conseguenza, quelli che saranno gli assetti futuri e le nuove armonie della rinnovata condizione dell’essere.
Nel campo dell’arte, l’entropia - cui è sottoposto tutto il “sistema dell’effimero” - risponde a tre “gradi esperienziali”: l’estetica, la semantica e la pragmatica, che sono anche i tre codici valoriali che ritroviamo – tutti quanti - nelle opere degli artisti che espongono a questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato” (guidata, da anni, dall’artista Renato Marini, cui si è affiancato - per l’edizione di quest’anno - un altro artista, Nino Barone).
A margine di queste considerazioni ricordiamo, anche, che all’estero, si svolgono due iniziative similari a quella del Molise: una a Maracay, in Venezuela e un’altra a Chamalieres, in Francia, dov’è rivolta una specifica attenzione alla tecnica dell’incisione. A Couvin, nel Belgio, è stato allestito, invece, un Museo, dedicato al “piccolo formato”.
Mentre in Italia crescono, di anno in anno, le attenzioni e le manifestazioni dedicate alle “ridotte dimensioni” delle opere d’arte. Va senz’altro ricordata, a questo proposito, la manifestazione intitolata “13 x 17: 1000 artisti per un'indagine eccentrica sull'arte in Italia” che si è svolta a latere della 51^ Biennale di Venezia (del 2005) a cura del critico d’arte Philippe Daverio e del gallerista Jean Blanchaert (che è entrata, ora, a far parte delle Collezioni d'Arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna).
Di grande interesse risultano, anche, essere altre due iniziative dedicate, in questo caso, alla mail art. La prima si svolge a Morgano (in provincia di Treviso) in collaborazione con la Bienal Internacional Guarulhos do Pequeño (Brasile) e con l’Associazione Culturale Art Gallery Museum “NabilaFluxus” di Treviso. L’altra iniziativa - sempre indirizzata a proporre il linguaggio della mail art - si svolge a Montalbano Jonico (in provincia di Matera) dove a fare da modello di un Museo internazionale d’arte contemporanea, è stato costituito (sotto la guida dell’artista Giuseppe Filardi) uno Spazio Permanente, dedicato a “Melchiorre da Montalbano”: architetto e scultore, attivo nell’Italia meridionale dalla metà del Duecento.
Sempre dedicata al “piccolo formato”, è la proposta “partorita” - nella primavera del 2003 - dallo Spazio Zero di Gallarate (in provincia di Varese) dove l’Associazione Liberi Artisti ha realizzato un’interessante esposizione di opere 25x25. Ricordiamo che quest’associazione è stata fondata, nel 1977, dal pittore Silvio Zanella, al cui nome si riconduce la “Fondazione-Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea” che ha dato luogo al Museo del MAGA di Gallarate. Dopo la morte di Silvio Zanella (avvenuta nel 2003) l’Associazione Liberi Artisti è stata guidata dall’artista Marcello Morandini, cui si è affiancato, di recente, un altro operatore estetico, Ettore Ceriani.
Dal 1999 opera, invece, a Bologna l’Associazione culturale, no profit, “Piccolo Formato” che, negli anni, ha sviluppato numerosi progetti artistici e culturali, collaborando con artisti e fotografi impegnati in diversi ambiti creativi, avvalendosi del supporto di enti e istituzioni pubbliche. (Rino Cardone)
TESTIMONIANZA
La sindrome di Lilliput
Per una visione trasversale del “piccolo formato”
La grandezza dell’arte non dipende dalle dimensioni dell’opera. E’ una frase scontata, quasi banale nella sua evidenza, ma oggi sembra vacillare. Il caso più famoso è quello della Gioconda. Il visitatore “tipo” del Louvre subisce file chilometriche per vedere anche solo per un secondo l’opera di Leonardo e, abituato all’utilizzo “pop” dell’immagine presentata su ogni supporto e in ogni grandezza, rimane irrimediabilmente deluso dagli appena 77 x 35 centimetri. Non coglie la profondità della ricerca pittorica, lo studio della prospettiva, la teoria degli “affetti” e la dinamica dei moti dell’animo: avvezzo a pensare in termini quantitativi, e non qualitativi, considera una beffa, quasi un affronto, quel piccolo formato perché impedisce la fruizione consumistica. In mezzo a tanti turisti l’opera, protetta da uno spesso vetro e isolata nella parete, non si vede, è un francobollo, e per fotografarla occorre sgomitare. Una volta realizzato uno scatto che non rivedrà mai il compito del visitatore “tipo” è terminato, e potrà andare alla ricerca di altre banalità turistiche; ma questo è un altro discorso che riguarda la storia del gusto. Per rimanere con l’esempio di Leonardo, pensando al suo Uomo vitruviano, si può affermare come l’arte sia un microcosmo che ci rimanda al macrocosmo, e che questo concetto sia raffigurato in un disegno di appena trenta centimetri ci fa riflettere sull’importanza del messaggio e del pensiero. Oggi l’arte contemporanea gioca molto sull’eccesso dimensionale, sull’esagerazione delle misure, sull’ingrandimento a dismisura di un particolare, sulla banalizzazione dell’invisibile e del celato col risultato che il messaggio principale, e unico, è dato esclusivamente dalla forma dell’emittente. Il messaggio dell’opera è l’opera stessa, o meglio la sua dimensione. C’è anche un altro problema. Più grande e titanica è l’opera, minore è il nostro grado di attenzione, poiché l’eccesso della visione, in mancanza di un sostrato teorico e tecnico sul quale ragionare, viene a decadere in un attimo. L’esasperazione del visibile contemporaneo non richiama il sublime bensì l’immondo. Le opere di piccole dimensioni, invece, ci obbligano ad avere una maggiore cautela, ci costringono a focalizzare lo sguardo e l’attenzione, ma anche ad affinare l’immaginazione e ad ampliare la nostra capacità di fruizione. Per il pensiero classico e rinascimentale la categoria di piccolo, ovvero equilibrato nella misura e nelle dimensioni, veniva a legarsi con l’armonia, il rigore, l’eleganza stilistica e la forza morale, in quanto era una sfida intellettuale col quale il pittore doveva cimentarsi. E nel cimento l’artista che risolveva la sfida con pregnanza di sintesi era ritenuto un maestro. Anche perché sostanzialmente il valore del piccolo formato, della “piccolezza” e minuzia della pittura, è dato sopratutto dall’abilità dell’artista come ci ricorda il famoso aneddoto narrato da Plinio il Vecchio. Apelle volle conoscere personalmente Protogene recandosi presso la sua casa a Rodi. Giunto a destinazione vi trovò un’anziana che l'avvertì della momentanea assenza del pittore. Apelle si diresse allora al cavalletto e prese un pennello con il quale dipinse una linea colorata estremamente fine; quando Protogene ritornò esaminando la linea capì che soltanto Apelle avrebbe potuto fare un lavoro così perfetto; disegnò una linea ancora più fine sopra la prima e chiese alla sua serva di mostrarla all'ospite se fosse ritornato. Quando Apelle tornò e gli fu mostrata la risposta di Protogene, dipinse con un terzo colore una linea ancora più fine fra le prime due, non lasciando posto per un'altra. Nel vedere questo, Protogene ammise la sconfitta e uscì per incontrare Apelle. «L’arte non riproduce il visibile, crea il visibile» diceva Klee: l’arte è effettivamente un microcosmo che trova giustificazione esclusivamente in se stesso e non dipende dalla grandezza e dalla misura. Se l’uomo è misura di tutte le cose, anche l’arte è tale? E’ qual è la misura dell’arte? Può l’infinito condensarsi in una forma e una sintesi dischiudere un mondo? Claudio Magris scrivendo dell’incredibile raccolta di Leopoldo Kostoris, che nel corso della vita aveva accumulato una collezione di più di 300 opere di piccolissimo formato (massimo 15 x 18 centimetri) di tutti i più grandi pittori contemporanei, utilizzava l’espressione «universo tascabile». In effetti un’opera di limitate dimensioni è proprio un universo in espansione, nella nostra mente, è un illogico dimensionale e un paradosso. E’ un qualcosa di simile alla meraviglia di Gulliver che si risveglia prigioniero di una razza di uomini alti sei pollici, i lillipuziani, in un mondo che gli si stringe attorno obbligandolo ad acuire la vista e a sviluppare i sensi. L’arte è una specie di sindrome di Lilliput che richiede la più alta forma di concentrazione per cogliere le infinite varianti e variabili interne. Come Micromega, il filosofo di Sirio, che utilizzando un diamante come microscopio con molta fatica si accorse sulla Terra dell’esistenza degli uomini, creature tanto piccole ma in grado di comunicare e produrre pensieri profondi, così per comprendere lo spessore di queste opere bisogna affinare lo sguardo, purificarlo, renderlo limpido come la superficie di un diamante. Solo abbandonando usurate categorie spaziali e temporali si può comprendere quel «processo di riduzione della realtà immaginifica» che non significa vuota sintesi bensì eccesso creativo. Del resto la virtù si cela sempre nei dettagli minimi, come ci ricorda, da La galeria, il buon vecchio Giambattista Marino: «Il buon è sempre poco per destino, / sempre nel poco gran valor si serra. / E quali in sé maggior virtù consepe, / un stronzo di somaro o un gran di pepe?». (Tommaso Evangelista)
La quinta edizione della “Biennale del piccolo formato” organizzata dell’Officina Solare Gallery di Termoli e dal Centro Culturale “Il Campo” di Campomarino si presta a una riflessione: sull’iperspazio delle opere di “ridotte dimensioni”, sulla contemporaneità artistica e sulle avanguardie creative, al tempo d’oggi. Essa si presta a questo genere di valutazione, non solo per l’attualità e la qualità delle opere esposte, ma anche per la piena rappresentatività degli artisti proposti e per il “processo di riduzione” della realtà immaginifica, attuato presentando, al pubblico, lavori di ridotte dimensioni.
In mostra sono opere di autori vari: ciascuno con un suo linguaggio, con una propria tecnica e con una specifica personalità artistica. Si passa dal figurativismo, all’informale, all’arte povera, abbracciando pure l’espressionismo astratto, il lirismo pittorico, l’astrattismo materico, la surrealtà magica e appariscente, la sensorialità visiva dei new media e il sinergismo, oggi, esistente tra la fotografia d’autore e i nuovi linguaggi creativi. I lavori proposti sono portatori di messaggi immaginari e immateriali, interfaccia tra il mondo chimerico, di sempre, che appartiene al pensiero dell’artista e quella realtà – tipica dell’arte contemporanea e delle avanguardie – divisa tra: una sempre più persistente applicazione della tecnologia, la riproducibilità tecnica, lo sbalordimento immaginifico, la metanarrazione linguistica e l’intertestualità creativa.
Quelle proposte sono delle opere d’arte molto stimolanti (sviluppate sulla “molteplicità espressiva” di un postmodernismo sempre più imperante, a livello di forme estetiche e di cultura di massa) che ben si prestano (sempreché si estendano le leggi universali della fisica, alle regole specifiche dell’estetica) a una riflessione: sui processi entropici (determinati dalla “semantica visiva”), sulle forze dissipative (indotte dal “messaggio immaginifico”) e sulle dinamiche autopoietiche (provocate da una “esperienza estetica” che, nell’epoca della svolta multimediale, si presenta in continuo movimento).
Per dimostrare questo teorema, occorre partire dall’assunto che nell’arte - come nella vita e nella storia - gli sviluppi si basano sulle “gestazioni”, profonde, ripetute, della realtà e, quindi, sulle lente “incubazioni” che subiscono le microenergie (intellettuali e materiali) che alimentano il mondo sensibile. Tali “gestazioni” del normale sviluppo della storia, si alimentano, in particolare, delle idee e dei fenomeni correnti, che a un dato momento, del tempo presente, subiscono una “impennata” profonda, violenta, capace di rinnovare verità, forma e sostanza, secondo la teoria espressa dal filosofo cileno Humberto Maturana.
Studi analoghi sono stati, pure, compiuti dal filosofo e pianista ungherese Ervin László (teorizzatore del punto di svolta della storia, da lui denominato come punto del caos) e poi, anche dallo zoologo e scrittore britannico Mark Ridley. I loro studi si pongono sull’onda lunga delle ricerche effettuate in origine (alla fine dell’Ottocento) dal naturalista britannico Charles Robert Darwin, i cui studi hanno impressionato, in maniera decisa e positiva, numerosi filosofi e studiosi di arte e letteratura, tra XVIII e XX secolo. E tra questi vi fu - tra i primi - il massimo esponente italiano della critica letteraria romantica Francesco De Sànctis, per il quale noi “concepiamo le cose, nel loro divenire, in relazione con le loro origini e con l’ambiente ove sono nate” e sempre per il quale “col progredire della civiltà, si moltiplicano gl’istrumenti dell’arte”.
Ne è un’interessante conferma, di queste due teorie del De Sànctis, la “Biennale del piccolo formato” - che si svolge nel Molise - dove la scelta delle opere, da parte dei curatori, è indirizzata verso lavori che esaltano la forma e la sostanza, all'interno di produzioni creative che (per le loro ristrette dimensioni) fungono da “accumulatori” di tensione estetica ed espansione stilistica. L’idea di fondo che ci piace perseguire - nell’illustrazione di questa mostra - è che tutto ciò che nell’arte si riconduce al senso del minuscolo e al valore dell’intimo, assume un aspetto amplificato di “meraviglia” e di “stupore” (nel senso dell’attribuzione del significato, dato al segno) e di “incanto” e di “stupefazione” (nel senso dello sviluppo espressivo dato alla figura, eseguita nel tempo e nello spazio). Tutto ciò si deve alle ridotte dimensioni di questi lavori, che non sono (ripetiamo: non sono) da interpretare come delle “opere preparatorie”, di altre ben più grandi, ma come “pezzi unici”, autonomi, esclusivi, destinati a essere fruiti per quel che sono, senza rimandi ad altre, possibili, “evenienze interpretative”.
Queste opere vivono – nella loro “assolutezza semantica” - in una sorta d’iperspazio estetico e di topos espressivo e significante, che rappresenta la bellezza tout court: la quale supera, a sua volta, il cronotopo della realtà (quello che s’identifica nella dimensione spaziotempo) concepito, quest’ultimo, tutt’intorno alle “estensioni geometriche” della lunghezza, della larghezza e della profondità, cui si aggiunge (dal punto di vista estetico) la concezione di tempo assoluto e di tempo relativo (intesi, in questo caso, come “palcoscenico intellettuale” della proposta artistica). Possiamo riassumere, brevemente, questa idea nel pensiero del filosofo e scrittore tedesco Ernst Friedrich Schumacher, per il quale: “l’uomo è piccolo, e, pertanto, piccolo è bello”.
Ed è in questo concetto di alto valore umanistico dell’”uomo misura di tutte le cose” (volendo adottare la visione del filosofo greco Protagora) che sta il senso di un’arte non sviluppata per grandi dimensioni e che – esprimendosi intorno al “senso del ridotto” - sollecita lo spettatore a riflettere su un altro, altrettanto importante, teorema estetico, quello espresso dallo scrittore, storico dell'arte e psicologo tedesco Rudolf Arnheim, secondo il quale "qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l'ordine ne è un’indispensabile condizione". E la parola “ordine” – com’è noto - è sinonimo di equilibrio, compostezza, armonia e precisione, che riscontriamo nelle opere d’arte che sono presenti in questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato”.
Questa stessa parola, ordine, fa il paio (dal punto di vista semantico e per quanto attiene le “espressioni creative” più in generale) con altri tre termini: stile, tecnica e formato, che sono, poi, le tre variabili dipendenti che contraddistinguono un’opera d’arte. Queste tre variabili dipendenti rispondono, a loro volta, alle leggi dell’estetica e alle modificazioni che subiscono, a mano a mano, le norme espressive, nel dipanarsi dei linguaggi creativi, all’interno della storia dell’arte. Quest’aspetto conferma che nell’evoluzione dei registri creativi e delle linee immaginifiche delle arti visive (pittura, disegno, fotografia, multipli d’autore ed espressioni multimediali e digitali) si passa, di continuo, da delle condizioni di stile già acclarate e formalizzate, a delle nuove espressioni di eleganza e di bellezza: che poi otterranno, in un secondo momento, una loro piena ufficializzazione nel campo della storia dell’arte.
E lo stesso accade in quei “percorsi evolutivi” che contraddistinguono la realtà etnoantropologica: nella quale si passa da una situazione di ordine prestabilito, a una dimensione di apparente confusione e disordine che prelude, a sua volta, a una condizione di trasformazione e cambiamento. Questo è ciò che accade, non solo nella società e nell’arte (sosteneva, al riguardo, lo storico dell’arte Ernst Hans Josef Gombrich che “l'arte nasce dall'arte e si sviluppa in alcune situazioni problematiche, alle quali l'inconscio dell'artista si adegua e contribuisce”) ma anche in natura, dove questo “fenomeno evolutivo” è spiegato con la teoria dell’entropia delle sorgenti, che governa lo sviluppo di un universo in continua trasformazione. Si passa, cioè, da stadi precedenti a condizioni conseguenti, di sempre maggiore stabilità, sfruttando lo “sconvolgimento” che si crea ogni qualvolta, si passa da una precedente condizione di equilibrio a uno stadio evolutivo superiore. Il passaggio intermedio - di tutto ciò - è una situazione di “scompiglio” transitorio che genera, di conseguenza, quelli che saranno gli assetti futuri e le nuove armonie della rinnovata condizione dell’essere.
Nel campo dell’arte, l’entropia - cui è sottoposto tutto il “sistema dell’effimero” - risponde a tre “gradi esperienziali”: l’estetica, la semantica e la pragmatica, che sono anche i tre codici valoriali che ritroviamo – tutti quanti - nelle opere degli artisti che espongono a questa quinta edizione della Biennale, molisana, del “piccolo formato” (guidata, da anni, dall’artista Renato Marini, cui si è affiancato - per l’edizione di quest’anno - un altro artista, Nino Barone).
A margine di queste considerazioni ricordiamo, anche, che all’estero, si svolgono due iniziative similari a quella del Molise: una a Maracay, in Venezuela e un’altra a Chamalieres, in Francia, dov’è rivolta una specifica attenzione alla tecnica dell’incisione. A Couvin, nel Belgio, è stato allestito, invece, un Museo, dedicato al “piccolo formato”.
Mentre in Italia crescono, di anno in anno, le attenzioni e le manifestazioni dedicate alle “ridotte dimensioni” delle opere d’arte. Va senz’altro ricordata, a questo proposito, la manifestazione intitolata “13 x 17: 1000 artisti per un'indagine eccentrica sull'arte in Italia” che si è svolta a latere della 51^ Biennale di Venezia (del 2005) a cura del critico d’arte Philippe Daverio e del gallerista Jean Blanchaert (che è entrata, ora, a far parte delle Collezioni d'Arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Bologna).
Di grande interesse risultano, anche, essere altre due iniziative dedicate, in questo caso, alla mail art. La prima si svolge a Morgano (in provincia di Treviso) in collaborazione con la Bienal Internacional Guarulhos do Pequeño (Brasile) e con l’Associazione Culturale Art Gallery Museum “NabilaFluxus” di Treviso. L’altra iniziativa - sempre indirizzata a proporre il linguaggio della mail art - si svolge a Montalbano Jonico (in provincia di Matera) dove a fare da modello di un Museo internazionale d’arte contemporanea, è stato costituito (sotto la guida dell’artista Giuseppe Filardi) uno Spazio Permanente, dedicato a “Melchiorre da Montalbano”: architetto e scultore, attivo nell’Italia meridionale dalla metà del Duecento.
Sempre dedicata al “piccolo formato”, è la proposta “partorita” - nella primavera del 2003 - dallo Spazio Zero di Gallarate (in provincia di Varese) dove l’Associazione Liberi Artisti ha realizzato un’interessante esposizione di opere 25x25. Ricordiamo che quest’associazione è stata fondata, nel 1977, dal pittore Silvio Zanella, al cui nome si riconduce la “Fondazione-Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea” che ha dato luogo al Museo del MAGA di Gallarate. Dopo la morte di Silvio Zanella (avvenuta nel 2003) l’Associazione Liberi Artisti è stata guidata dall’artista Marcello Morandini, cui si è affiancato, di recente, un altro operatore estetico, Ettore Ceriani.
Dal 1999 opera, invece, a Bologna l’Associazione culturale, no profit, “Piccolo Formato” che, negli anni, ha sviluppato numerosi progetti artistici e culturali, collaborando con artisti e fotografi impegnati in diversi ambiti creativi, avvalendosi del supporto di enti e istituzioni pubbliche. (Rino Cardone)
TESTIMONIANZA
La sindrome di Lilliput
Per una visione trasversale del “piccolo formato”
La grandezza dell’arte non dipende dalle dimensioni dell’opera. E’ una frase scontata, quasi banale nella sua evidenza, ma oggi sembra vacillare. Il caso più famoso è quello della Gioconda. Il visitatore “tipo” del Louvre subisce file chilometriche per vedere anche solo per un secondo l’opera di Leonardo e, abituato all’utilizzo “pop” dell’immagine presentata su ogni supporto e in ogni grandezza, rimane irrimediabilmente deluso dagli appena 77 x 35 centimetri. Non coglie la profondità della ricerca pittorica, lo studio della prospettiva, la teoria degli “affetti” e la dinamica dei moti dell’animo: avvezzo a pensare in termini quantitativi, e non qualitativi, considera una beffa, quasi un affronto, quel piccolo formato perché impedisce la fruizione consumistica. In mezzo a tanti turisti l’opera, protetta da uno spesso vetro e isolata nella parete, non si vede, è un francobollo, e per fotografarla occorre sgomitare. Una volta realizzato uno scatto che non rivedrà mai il compito del visitatore “tipo” è terminato, e potrà andare alla ricerca di altre banalità turistiche; ma questo è un altro discorso che riguarda la storia del gusto. Per rimanere con l’esempio di Leonardo, pensando al suo Uomo vitruviano, si può affermare come l’arte sia un microcosmo che ci rimanda al macrocosmo, e che questo concetto sia raffigurato in un disegno di appena trenta centimetri ci fa riflettere sull’importanza del messaggio e del pensiero. Oggi l’arte contemporanea gioca molto sull’eccesso dimensionale, sull’esagerazione delle misure, sull’ingrandimento a dismisura di un particolare, sulla banalizzazione dell’invisibile e del celato col risultato che il messaggio principale, e unico, è dato esclusivamente dalla forma dell’emittente. Il messaggio dell’opera è l’opera stessa, o meglio la sua dimensione. C’è anche un altro problema. Più grande e titanica è l’opera, minore è il nostro grado di attenzione, poiché l’eccesso della visione, in mancanza di un sostrato teorico e tecnico sul quale ragionare, viene a decadere in un attimo. L’esasperazione del visibile contemporaneo non richiama il sublime bensì l’immondo. Le opere di piccole dimensioni, invece, ci obbligano ad avere una maggiore cautela, ci costringono a focalizzare lo sguardo e l’attenzione, ma anche ad affinare l’immaginazione e ad ampliare la nostra capacità di fruizione. Per il pensiero classico e rinascimentale la categoria di piccolo, ovvero equilibrato nella misura e nelle dimensioni, veniva a legarsi con l’armonia, il rigore, l’eleganza stilistica e la forza morale, in quanto era una sfida intellettuale col quale il pittore doveva cimentarsi. E nel cimento l’artista che risolveva la sfida con pregnanza di sintesi era ritenuto un maestro. Anche perché sostanzialmente il valore del piccolo formato, della “piccolezza” e minuzia della pittura, è dato sopratutto dall’abilità dell’artista come ci ricorda il famoso aneddoto narrato da Plinio il Vecchio. Apelle volle conoscere personalmente Protogene recandosi presso la sua casa a Rodi. Giunto a destinazione vi trovò un’anziana che l'avvertì della momentanea assenza del pittore. Apelle si diresse allora al cavalletto e prese un pennello con il quale dipinse una linea colorata estremamente fine; quando Protogene ritornò esaminando la linea capì che soltanto Apelle avrebbe potuto fare un lavoro così perfetto; disegnò una linea ancora più fine sopra la prima e chiese alla sua serva di mostrarla all'ospite se fosse ritornato. Quando Apelle tornò e gli fu mostrata la risposta di Protogene, dipinse con un terzo colore una linea ancora più fine fra le prime due, non lasciando posto per un'altra. Nel vedere questo, Protogene ammise la sconfitta e uscì per incontrare Apelle. «L’arte non riproduce il visibile, crea il visibile» diceva Klee: l’arte è effettivamente un microcosmo che trova giustificazione esclusivamente in se stesso e non dipende dalla grandezza e dalla misura. Se l’uomo è misura di tutte le cose, anche l’arte è tale? E’ qual è la misura dell’arte? Può l’infinito condensarsi in una forma e una sintesi dischiudere un mondo? Claudio Magris scrivendo dell’incredibile raccolta di Leopoldo Kostoris, che nel corso della vita aveva accumulato una collezione di più di 300 opere di piccolissimo formato (massimo 15 x 18 centimetri) di tutti i più grandi pittori contemporanei, utilizzava l’espressione «universo tascabile». In effetti un’opera di limitate dimensioni è proprio un universo in espansione, nella nostra mente, è un illogico dimensionale e un paradosso. E’ un qualcosa di simile alla meraviglia di Gulliver che si risveglia prigioniero di una razza di uomini alti sei pollici, i lillipuziani, in un mondo che gli si stringe attorno obbligandolo ad acuire la vista e a sviluppare i sensi. L’arte è una specie di sindrome di Lilliput che richiede la più alta forma di concentrazione per cogliere le infinite varianti e variabili interne. Come Micromega, il filosofo di Sirio, che utilizzando un diamante come microscopio con molta fatica si accorse sulla Terra dell’esistenza degli uomini, creature tanto piccole ma in grado di comunicare e produrre pensieri profondi, così per comprendere lo spessore di queste opere bisogna affinare lo sguardo, purificarlo, renderlo limpido come la superficie di un diamante. Solo abbandonando usurate categorie spaziali e temporali si può comprendere quel «processo di riduzione della realtà immaginifica» che non significa vuota sintesi bensì eccesso creativo. Del resto la virtù si cela sempre nei dettagli minimi, come ci ricorda, da La galeria, il buon vecchio Giambattista Marino: «Il buon è sempre poco per destino, / sempre nel poco gran valor si serra. / E quali in sé maggior virtù consepe, / un stronzo di somaro o un gran di pepe?». (Tommaso Evangelista)
13
luglio 2013
QUINTA BIENNALE DEL PICCOLO FORMATO
Dal 13 al 25 luglio 2013
arte contemporanea
Location
OFFICINA SOLARE GALLERY
Termoli, Via Guglielmo Marconi, 2, (Campobasso)
Termoli, Via Guglielmo Marconi, 2, (Campobasso)
Orario di apertura
tutti i giorni 22.00 / 23.30
Vernissage
13 Luglio 2013, ore 22.00
Autore
Curatore