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26
novembre 2009
fino al 10.I.2010 Lawrence Weiner Torino, Fondazione Merz
torino
Weiner philharmoniker. La struttura chiusa dell’igloo di Merz contro l’intervento aperto dell’americano. Statement “scultorei” che formano, più che una trama narrativa, un tappeto elastico di interpretazioni...
di Anita Pepe
Se
Lawrence Weiner
(New York, 1942; vive a New York e Amsterdam) ha scelto di far dialogare le sue
opere con il Doppio Igloo di Mario Merz, un motivo ci sarà. E non è certo la ricerca di
un’analogia col padrone di casa, quanto la sottolineatura di una
contrapposizione col medesimo.
Scultore
di parole, l’artista americano invita – o sarebbe meglio dire sfida? – a
indirizzare lo sguardo ora verso l’alto, ora verso il basso, dentro e fuori la
Fondazione “avvolta” dal suo intervento. Che non è site specific, ma adattato a
una location
che, nell’architettura e nella passata destinazione d’uso, parla di razionalità
e di energia. Proprio come gli statement impressi sulle cisterne, nel fregio “classico”
sulla facciata e nel vasto, luminoso interno delle ex officine Lancia. Energia
che, messa a tacere dalla dismissione industriale, “rinasce” sotto forma d’ispirazione
lirica (Fatto per scivolare sul fianco di una collina) o di antinomie che si mordono la
coda nel tertium datum finale (Chiuso & Aperto & Richiuso).
Niente
ad altezza d’occhio, niente ad altezza d’uomo.
Inutile
poi cercare, magari suggestionati dal genius loci, rispondenze matematiche e
rapporti di proporzione – ad esempio fra le lettere e le divisioni delle
vetrate -, perché gli elementi in gioco sono altri: le parole, e il senso di
queste, ma pure il carattere tipografico, il colore, i separatori. Tutto. Nel corpo
dei suoi lavori,
Weiner avvita il discorso in una spirale ideale (e non “organica”, come quella
di Merz), provocando un destabilizzante cortocircuito che trasforma le
deduzioni in congetture.
Concettuale
sì, ma non se con questo si intende abdicare alla forma: in lui, insomma, si
sintetizza l’eidos
greco, immagine e al contempo idea. Ma, più che l’ambiguità di una lingua
morta, lo statunitense persegue la libertà di un linguaggio vivo, lui che
un’aria da guru beat generation ce l’ha e che, non senza una punta d’ironia, ha deposto
l’aura narcisistica dell’autorialità. Riaffermando il principio dell’evidenza,
contro la capziosità di certe letture.
E
forse non è un caso che uno dei termini ricorrenti in uno dei quattro video in
mostra sia ‘object’: la parola come oggetto, dunque, reificazione della minima
unità di senso. Piegata a un approccio, per così dire, “materialista” e
costruttivo, in uno stile a caratteri cubitali ma non lapidario.
Non
tanto assertore di verità inconfutabili o visioni profetiche, quanto emanatore
di stimoli, “fonti rinnovabili” di pensiero.
Lawrence Weiner
(New York, 1942; vive a New York e Amsterdam) ha scelto di far dialogare le sue
opere con il Doppio Igloo di Mario Merz, un motivo ci sarà. E non è certo la ricerca di
un’analogia col padrone di casa, quanto la sottolineatura di una
contrapposizione col medesimo.
Scultore
di parole, l’artista americano invita – o sarebbe meglio dire sfida? – a
indirizzare lo sguardo ora verso l’alto, ora verso il basso, dentro e fuori la
Fondazione “avvolta” dal suo intervento. Che non è site specific, ma adattato a
una location
che, nell’architettura e nella passata destinazione d’uso, parla di razionalità
e di energia. Proprio come gli statement impressi sulle cisterne, nel fregio “classico”
sulla facciata e nel vasto, luminoso interno delle ex officine Lancia. Energia
che, messa a tacere dalla dismissione industriale, “rinasce” sotto forma d’ispirazione
lirica (Fatto per scivolare sul fianco di una collina) o di antinomie che si mordono la
coda nel tertium datum finale (Chiuso & Aperto & Richiuso).
Niente
ad altezza d’occhio, niente ad altezza d’uomo.
Inutile
poi cercare, magari suggestionati dal genius loci, rispondenze matematiche e
rapporti di proporzione – ad esempio fra le lettere e le divisioni delle
vetrate -, perché gli elementi in gioco sono altri: le parole, e il senso di
queste, ma pure il carattere tipografico, il colore, i separatori. Tutto. Nel corpo
dei suoi lavori,
Weiner avvita il discorso in una spirale ideale (e non “organica”, come quella
di Merz), provocando un destabilizzante cortocircuito che trasforma le
deduzioni in congetture.
Concettuale
sì, ma non se con questo si intende abdicare alla forma: in lui, insomma, si
sintetizza l’eidos
greco, immagine e al contempo idea. Ma, più che l’ambiguità di una lingua
morta, lo statunitense persegue la libertà di un linguaggio vivo, lui che
un’aria da guru beat generation ce l’ha e che, non senza una punta d’ironia, ha deposto
l’aura narcisistica dell’autorialità. Riaffermando il principio dell’evidenza,
contro la capziosità di certe letture.
E
forse non è un caso che uno dei termini ricorrenti in uno dei quattro video in
mostra sia ‘object’: la parola come oggetto, dunque, reificazione della minima
unità di senso. Piegata a un approccio, per così dire, “materialista” e
costruttivo, in uno stile a caratteri cubitali ma non lapidario.
Non
tanto assertore di verità inconfutabili o visioni profetiche, quanto emanatore
di stimoli, “fonti rinnovabili” di pensiero.
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visitata il 30 ottobre 2009
dal 29 ottobre 2009 al 10 gennaio 2010
Lawrence
Weiner – Abbastanza inclinato da rotolare
a cura di Beatrice Merz
Fondazione Merz
Via Limone, 24 (Borgo San Paolo) – 10141 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 11-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3,50; gratuito ogni prima domenica del mese
Info: tel. +39 01119719437; fax +39 01119719805; info@fondazionemerz.org; www.fondazionemerz.org
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