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26
novembre 2009
Ne ha fatta di strada questo visionario rappresentante
della Nuova scuola romana, che già dalla fine degli anni ‘70 muoveva i primi
passi in un austero geometrismo. Marco Tirelli (Roma, 1956) è così giunto gradualmente
e inesorabilmente all’“architettura” emozionale di interni ed esterni.
Ora non costruisce spazi, ma sogni. Ha abbandonato il puro
gioco di figure geometriche, nitido e pulito, dove la misura esatta della
perfezione e della forma la facevano da padrone, e si è votato a un piranesiano
gioco di porte e scale, che porte e scale non sono più.
In queste tre ultime tele prodotte per la mostra bolognese,
Tirelli si consacra a un mondo immaginario, emotivamente toccato. Fine
visionario, crea paesaggi soffusi, atmosfere sospese che fanno trattenere il
fiato all’osservatore; dipinge porte che danno l’impressione, osservandole, di
ritrovarsi in un mondo ovattato; si entra in un ambiente immerso in una nebbia
fitta e impalpabile attraverso un’apertura circondata da una luce abbagliante,
o al contrario, dalla semioscurità.
Il buio e la luce ottengono lo stesso effetto, cioè toccare
le corde di chi osserva. Probabilmente è l’effetto causato dall’osservare
qualcosa di armonico, come dichiara l’artista stesso: “L’ansia è appagata.
L’armonia quando la si tocca dà ‘una piccola morte’, perché ci sottrae al ciclo
del tempo”.
La tecnica utilizzata da Tirelli comprende nebulizzazioni
di microscopiche gocce di colori diversi, che sovrapposte le une sulle altre
attribuiscono un effetto “incipriato” alla tela, la quale inevitabilmente
acquista curiosi effetti luci/ombra. E ancora, come nei suoi primi anni, sembra
tutto calcolato, come il maquillage di una distinta signora dell’alta società:
fondotinta, cipria, fard opportunamente stesi sulla superficie da affinare.
Tirelli sembra studiare come un abile make-up artist le composizioni di colore e di
materia, tali da riprodurre quello stesso effetto in ogni sua opera.
In realtà “non c’è nessuna razionalità in quello che
faccio: lotto, cado e mi rialzo, sperimento e abbandono, mi appassiono, lascio
costruisco… e poi vertigini, incanti e memorie… Abbraccio sistemi, regole,
metodi, ordini e processi che servono solo a dimostrare con chiarezza
l’indecifrabilità del mondo. Tutto questo appassionatamente”. Si potrebbe pensare che la
passione a volte combaci con la razionalità.
della Nuova scuola romana, che già dalla fine degli anni ‘70 muoveva i primi
passi in un austero geometrismo. Marco Tirelli (Roma, 1956) è così giunto gradualmente
e inesorabilmente all’“architettura” emozionale di interni ed esterni.
Ora non costruisce spazi, ma sogni. Ha abbandonato il puro
gioco di figure geometriche, nitido e pulito, dove la misura esatta della
perfezione e della forma la facevano da padrone, e si è votato a un piranesiano
gioco di porte e scale, che porte e scale non sono più.
In queste tre ultime tele prodotte per la mostra bolognese,
Tirelli si consacra a un mondo immaginario, emotivamente toccato. Fine
visionario, crea paesaggi soffusi, atmosfere sospese che fanno trattenere il
fiato all’osservatore; dipinge porte che danno l’impressione, osservandole, di
ritrovarsi in un mondo ovattato; si entra in un ambiente immerso in una nebbia
fitta e impalpabile attraverso un’apertura circondata da una luce abbagliante,
o al contrario, dalla semioscurità.
Il buio e la luce ottengono lo stesso effetto, cioè toccare
le corde di chi osserva. Probabilmente è l’effetto causato dall’osservare
qualcosa di armonico, come dichiara l’artista stesso: “L’ansia è appagata.
L’armonia quando la si tocca dà ‘una piccola morte’, perché ci sottrae al ciclo
del tempo”.
La tecnica utilizzata da Tirelli comprende nebulizzazioni
di microscopiche gocce di colori diversi, che sovrapposte le une sulle altre
attribuiscono un effetto “incipriato” alla tela, la quale inevitabilmente
acquista curiosi effetti luci/ombra. E ancora, come nei suoi primi anni, sembra
tutto calcolato, come il maquillage di una distinta signora dell’alta società:
fondotinta, cipria, fard opportunamente stesi sulla superficie da affinare.
Tirelli sembra studiare come un abile make-up artist le composizioni di colore e di
materia, tali da riprodurre quello stesso effetto in ogni sua opera.
In realtà “non c’è nessuna razionalità in quello che
faccio: lotto, cado e mi rialzo, sperimento e abbandono, mi appassiono, lascio
costruisco… e poi vertigini, incanti e memorie… Abbraccio sistemi, regole,
metodi, ordini e processi che servono solo a dimostrare con chiarezza
l’indecifrabilità del mondo. Tutto questo appassionatamente”. Si potrebbe pensare che la
passione a volte combaci con la razionalità.
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mostra visitata il 24 ottobre 2009
dal 24 ottobre al 6 dicembre 2009
Marco Tirelli
Otto Gallery
Via D’Azeglio, 55 – 40123 Bologna
Orario: da martedì a sabato ore 10.30-13 e 16-20; domenica e lunedì su
appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0516449845; fax +39 0513393794; info@otto-gallery.it; www.otto-gallery.it
[exibart]
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