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04
dicembre 2009
fino al 23.XII.2009 Hany Armanious / Norbert Schwontkowski Napoli, Raucci/Santamaria
napoli
A diverse latitudini l’opera si pone al di fuori dei confini del sacro, dov’era custodita in odore di mistero. Senza però perdere la sua aur(eol)a. Come? Sfruttando la riproducibilità tecnica...
Stipato nel suo asettico completo verde, l’omino che
quotidianamente incontriamo alle uscite d’emergenza, sulle scale anti-incendio,
in fila ai bagni pubblici corre verso il nuovo, rendendo il se stesso di ieri
subito obsoleto, superato, vecchio. Ma la sua è una corsa vana, costretto com’è
a girare in tondo, a meditare su passi già compiuti.
Running Man è un’opera paradigmatica dell’egiziano Hany Armanious (Ismalia, 1962; vive a Sydney),
al suo debutto europeo, se audacemente pensata come autoritratto d’artista. Robivecchi
del contemporaneo, si muove vigile tra corridoi di cose dismesse. Ma il suo non
è un recupero in piena regola, bensì un furto fugace al tempo: le opere,
infatti, sono realizzate non con oggetti, ma mediante l’assemblage di calchi dei medesimi, ottenuti
con impasti di resina e scelti prima che la loro necessità d’esistenza si
consumi definitivamente.
Una certa finezza e competenza tecniche lascerebbero ipotizzare
qualche legame con l’iperrealismo ma, a ben vedere, questo rapporto non va
oltre un’affinità di metodo, perché se la falsificazione dell’iperrealismo è
finalizzata proprio a denudare le alterazioni e gli artifici del reale, nelle
opere di Armanious si assiste a un capovolgimento del processo di
riproducibilità: non è più la modernità a fagocitare l’arte nei suoi meccanismi
seriali, demistificandola, ma è la realtà che – attraverso un tentativo di
scomposizione prima e composizione poi – viene riqualificata mediante il gesto
d’artista.
È invece l’analisi delle possibili forme d’espressione
artistica lo strumento che Norbert Schwontkowski (Brema, 1949) utilizza per
condurre un personalissimo scandaglio dei rapporti fra arte e contemporaneità.
Lo mostra bene la serie dei monotipi, ottenuti facendo aderire una tela
dipinta, ancora fresca, su un foglio di carta; alla stregua della pittura
informale, la materia viene esibita e simula la realtà (che, guarda caso,
coincide con l’opera) nel suo divenire. Ma l’indagine del tedesco non ha nulla
di rigoroso, è condotta senza scrupolo filologico, piuttosto con fare
divertito, giocoso, ironico.
Il risultato è un’opera come Surrealistenstammtisch, dipinto in cui le atmosfere
opprimenti e sospese di tanta pittura metafisica si stemperano nei particolari
minuti che sembrano ricordare Bosch (suggerito, per associazioni d’idee, dalla scritta che
campeggia sul frigo bianco). Lo stesso dicasi per Aquilea o Nachtschwimmen, paesaggi che riscoprono la
quiete e il romanticismo di gesti semplici, quotidiani.
Una pittura scevra di istanze moralizzatrici, dunque,
risolta nei suoi legami col mondo d’oggi. Riproduzione = riproposizione: l’aura
benjaminiana sembra ripristinata per paradossi.
quotidianamente incontriamo alle uscite d’emergenza, sulle scale anti-incendio,
in fila ai bagni pubblici corre verso il nuovo, rendendo il se stesso di ieri
subito obsoleto, superato, vecchio. Ma la sua è una corsa vana, costretto com’è
a girare in tondo, a meditare su passi già compiuti.
Running Man è un’opera paradigmatica dell’egiziano Hany Armanious (Ismalia, 1962; vive a Sydney),
al suo debutto europeo, se audacemente pensata come autoritratto d’artista. Robivecchi
del contemporaneo, si muove vigile tra corridoi di cose dismesse. Ma il suo non
è un recupero in piena regola, bensì un furto fugace al tempo: le opere,
infatti, sono realizzate non con oggetti, ma mediante l’assemblage di calchi dei medesimi, ottenuti
con impasti di resina e scelti prima che la loro necessità d’esistenza si
consumi definitivamente.
Una certa finezza e competenza tecniche lascerebbero ipotizzare
qualche legame con l’iperrealismo ma, a ben vedere, questo rapporto non va
oltre un’affinità di metodo, perché se la falsificazione dell’iperrealismo è
finalizzata proprio a denudare le alterazioni e gli artifici del reale, nelle
opere di Armanious si assiste a un capovolgimento del processo di
riproducibilità: non è più la modernità a fagocitare l’arte nei suoi meccanismi
seriali, demistificandola, ma è la realtà che – attraverso un tentativo di
scomposizione prima e composizione poi – viene riqualificata mediante il gesto
d’artista.
È invece l’analisi delle possibili forme d’espressione
artistica lo strumento che Norbert Schwontkowski (Brema, 1949) utilizza per
condurre un personalissimo scandaglio dei rapporti fra arte e contemporaneità.
Lo mostra bene la serie dei monotipi, ottenuti facendo aderire una tela
dipinta, ancora fresca, su un foglio di carta; alla stregua della pittura
informale, la materia viene esibita e simula la realtà (che, guarda caso,
coincide con l’opera) nel suo divenire. Ma l’indagine del tedesco non ha nulla
di rigoroso, è condotta senza scrupolo filologico, piuttosto con fare
divertito, giocoso, ironico.
Il risultato è un’opera come Surrealistenstammtisch, dipinto in cui le atmosfere
opprimenti e sospese di tanta pittura metafisica si stemperano nei particolari
minuti che sembrano ricordare Bosch (suggerito, per associazioni d’idee, dalla scritta che
campeggia sul frigo bianco). Lo stesso dicasi per Aquilea o Nachtschwimmen, paesaggi che riscoprono la
quiete e il romanticismo di gesti semplici, quotidiani.
Una pittura scevra di istanze moralizzatrici, dunque,
risolta nei suoi legami col mondo d’oggi. Riproduzione = riproposizione: l’aura
benjaminiana sembra ripristinata per paradossi.
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Hany
Armanious / Norbert Schwontkowski
Galleria Raucci/Santamaria
Corso Amedeo di Savoia, 190 (zona San Carlo Arena) – 80136 Napoli
Orario: da martedì a venerdì ore 11-13.30 e 15-18.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0817443645; fax +39 0817442407; info@raucciesantamaria.com; www.raucciesantamaria.com
[exibart]