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18
gennaio 2010
fino al 30.I.2010 Charles Avery Torino, Sonia Rosso
torino
Più che un’enciclopedia, un compendio. Di dottrine rigorosamente laiche, predicate dagli abitanti di un’Isola-che-non-c’è. Da una visionaria epopea mentale, una mostra per sacri e profani del pensiero filosofico...
di Anita Pepe
Ma cosa avrà in testa Charles Avery (Oban, 1973; vive a Londra)? Non
è semplice capirlo, senza uno sguardo retrospettivo al suo lavoro. The
Islanders,
visionario ed “epifanico” progetto dell’artista scozzese (nella rappresentativa
nazionale alla Biennale di Venezia 2007) conosce infatti uno sviluppo
ramificato, potenzialmente illimitato, senza una trama definita né prospettive
certe, ma con la solida certezza, da parte dell’autore, che questo mondo
immaginario esista alla stregua di quello reale, con i suoi personaggi e i suoi intrecci.
La personale torinese va dunque intesa quale tappa di una
storia in fieri,
nuovo capitolo di una fantasmagorica saga dalla struttura borgesiana: The
creeds illustra i
diversi credo diffusi a Onomatopoeia, capitale dell’imprecisata Isola teatro di
questa poliedrica epopea creativa. Non si tratta però di religioni rivelate, ma
di metodi speculativi distinguibili in base a cappelli dai colori vivaci e dalle
fogge estrose.
Un’eccentricità
che contrasta decisamente con l’impronta classica delle “teste” su cui i
copricapo poggiano: non semplici manichini da atelier ma calchi di personaggi
reali, che nel bianco totale alla Marc Quinn disperdono la fisionomia
originaria per rasentare l’idealizzazione. Un campionario filosofico che,
simbolicamente, propone tiare variopinte alteramente portate (Atomist e Empiricist); una
calotta poligonale nera, “scudo” che i Metas indossano prima di pugnare in
tenzoni dialettiche; un punkeggiante cespo di acuminati ragionamenti (Solipsist); il triangolo blu Klein con cui ci si addentra
omologandosi nel cammino del sapere (Significantes).
Ancor
più esplicito l’omaggio al grande francese nelle volute di Klein, di impervia decodificazione,
diversamente dallo scontato riferimento al dualismo della “scatola” bicroma
calcata dallo stereotipato intellettuale, con occhiali e due sigarette in
bocca.
Il
cappello dunque come emanazione di quel che c’è sotto, rimando in chiave a un
disegno complessivo non sufficientemente approfondito e “volgarizzato”, che
pertanto incappa in una lettura di superficie quale oggetto tecnicamente notevole.
è semplice capirlo, senza uno sguardo retrospettivo al suo lavoro. The
Islanders,
visionario ed “epifanico” progetto dell’artista scozzese (nella rappresentativa
nazionale alla Biennale di Venezia 2007) conosce infatti uno sviluppo
ramificato, potenzialmente illimitato, senza una trama definita né prospettive
certe, ma con la solida certezza, da parte dell’autore, che questo mondo
immaginario esista alla stregua di quello reale, con i suoi personaggi e i suoi intrecci.
La personale torinese va dunque intesa quale tappa di una
storia in fieri,
nuovo capitolo di una fantasmagorica saga dalla struttura borgesiana: The
creeds illustra i
diversi credo diffusi a Onomatopoeia, capitale dell’imprecisata Isola teatro di
questa poliedrica epopea creativa. Non si tratta però di religioni rivelate, ma
di metodi speculativi distinguibili in base a cappelli dai colori vivaci e dalle
fogge estrose.
Un’eccentricità
che contrasta decisamente con l’impronta classica delle “teste” su cui i
copricapo poggiano: non semplici manichini da atelier ma calchi di personaggi
reali, che nel bianco totale alla Marc Quinn disperdono la fisionomia
originaria per rasentare l’idealizzazione. Un campionario filosofico che,
simbolicamente, propone tiare variopinte alteramente portate (Atomist e Empiricist); una
calotta poligonale nera, “scudo” che i Metas indossano prima di pugnare in
tenzoni dialettiche; un punkeggiante cespo di acuminati ragionamenti (Solipsist); il triangolo blu Klein con cui ci si addentra
omologandosi nel cammino del sapere (Significantes).
Ancor
più esplicito l’omaggio al grande francese nelle volute di Klein, di impervia decodificazione,
diversamente dallo scontato riferimento al dualismo della “scatola” bicroma
calcata dallo stereotipato intellettuale, con occhiali e due sigarette in
bocca.
Il
cappello dunque come emanazione di quel che c’è sotto, rimando in chiave a un
disegno complessivo non sufficientemente approfondito e “volgarizzato”, che
pertanto incappa in una lettura di superficie quale oggetto tecnicamente notevole.
Un’accessoria spettacolarità, che non mette certo in ombra la pregevolezza dei
disegni, dove l’esecuzione brillante rivela la felicissima mano
dell’illustratore.
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2009
anita
pepe
mostra visitata il 16 dicembre
2009
dal 7 novembre 2009 al 30 gennaio 2010
Charles
Avery – Onomatopoeia. Part 1: Creeds
Galleria Sonia Rosso
Via Giulia di Barolo 11/h (Borgo Vanchiglia) – 10124 Torino
Orario: da martedì a sabato ore 14-19 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0118172478; info@soniarosso.com;
www.soniarosso.com
[exibart]