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Cecilia Luci – Gravità
Una mostra che inaugura la Sala S&L come nuovo spazio espositivo del museo, confermando un’attenzione speciale per le nuove generazioni e le evoluzioni contemporanee dei
linguaggi storici. La Luci lavora con il medium fotografico in maniera disciplinata e “orientale”, dando narrazione e intimità diaristica ai cicli progettuali, usando preziose carte fotografiche, elaborando i suoi set in modo pittorico e morandiano
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Palazzo Collicola Arti Visive presenta il lavoro di CECILIA LUCI, artista romana alla sua prima personale
in un’istituzione pubblica italiana. Una mostra che inaugura la Sala S&L come nuovo spazio espositivo del
museo, confermando un’attenzione speciale per le nuove generazioni e le evoluzioni contemporanee dei
linguaggi storici. La Luci lavora con il medium fotografico in maniera disciplinata e “orientale”, dando narrazione
e intimità diaristica ai cicli progettuali, usando preziose carte fotografiche, elaborando i suoi set in modo pittorico
e morandiano. Un’artista classicamente attuale, metodica nel processo elaborativo, complessa nei contenuti
simbolici, essenziale e profonda nei soggetti che sceglie e nei mondi che ci racconta.
Le ambientazioni delle immagini sono così: liquide come latte silenzioso, mercuriali come scie acquatiche,
evanescenti come nebbie compatte. Creano atmosfere dense che avvolgono lo sguardo, riportandolo a una
visione ancestrale, istintiva, dentro l’energia fluttuante dei sensi. Gli stadi della materia riempiono i cicli fotografici
della Luci, ne determinano temperatura e volumi, codici estetici e contenuti. Tutto scorre tra l’anima del liquido e
il corpo del solido, lungo linee gassose che diventano il limbo scenico del suo armamentario ad alta temperatura
sensoriale. Non si tratta di feticismo, qui gli oggetti incarnano una simbologia con molteplici derivazioni, frutto
di viaggi intellettuali, percorsi psicanalitici, esperienze letterarie, vissuto privato. L’artista sceglie elementi con
una forte carica prosaica: un pettine, un guanto da cucina, i bastoncini per lo Shanghai, dei semplici fili… cose
esili eppure resistenti, legate ad azioni primarie (curare il corpo, pulire, giocare, collegare…) ma ricche di curve
interiori, come se fossero aggregatori emotivi, piccoli diari intimi dove le frasi vengono cucite con pazienza,
metodo e concentrazione.
Scrive Gianluca Marziani: “Un pettine che scioglie nodi e ostacoli, scivolando e risalendo lungo l’asse verticale
dell’immagine… Una sfera che galleggia, si riproduce, aderisce o sfiora altre sfere bianche… I guanti in lattice
che diventano silhouette elastiche, sinuosamente femminili… I bastoncini di legno che somigliano ad una
zattera e animano il campo monocromo del fondale…I fili che si intrecciano, simili ad un sistema nervoso di
connessione… Cecilia Luci racconta la sfida privata della femminilità in un mondo chiassoso e confusionario.
Ricerca l’ordine nascosto delle cose, i sussurri senza grida, la bassa velocità e la lunga resistenza. Le opere
non implicano il facile effetto ma l’effettiva durata figurativa, per questo vivono dentro una fluidità amniotica che
conserva e lascia crescere. Il tempo e le mode rimangono distanti da queste geografie emozionali: lo spazio
occupato appartiene ai puri archetipi, gli unici che pulsano, respirano, chiamano, stimolano, evocano…”
Scrive Giovanni Intra Sidola: “Nelle opere di Cecilia Luci la comunicazione del contenuto avviene per mezzo di
un linguaggio formalmente raffinato ed attraente, che porta l’osservatore ad addentrarsi nel discorso, a leggere
l’esperienza dell’artista e a riconoscersi in essa. Ciò avviene anche perché l’artista sceglie come soggetti degli
oggetti propri della quotidianità, che appartengono inconsciamente alla personale memoria emotiva. Questi
oggetti, una volta decontestualizzati, assumono un significato preciso nella riflessione dell’artista sul suo
passato. In veste di “attori” chiamati ad interpretare un ruolo sul palcoscenico, essi dismettono i panni quotidiani
per diventare protagonisti di una storia. Un palcoscenico spesso liquido: gli oggetti immersi in un fluido portatore
emotivo, che muove e ridefinisce le situazioni, trovano il giusto posto che dà loro valore e senso. Cecilia Luci
ricostruisce, così, un mondo immaginifico fatto di elementi tratti dal passato. In Lessico Animico, ad esempio,
l’acqua è il medium attraverso il quale si manifesta l’essenza delle cose, l’intima verità unica e irripetibile di
ciascuna anima. In Milk il latte, meno incorporeo dell’acqua e più materno, è densa superficie in movimento che
a volte fluisce, a volte s’acquieta, nascondendo e manifestando a tratti ciò che permane. In Dal passato, invece,
l’assenza del medium emotivo riporta all’esigenza di placare le emozioni lasciando posto all’osservazione
vagliata dalla ragione. Il tutto veicolato da una ricerca della perfezione estetica che, lungi dall’essere un eccesso
formalista, è misura della profonda meditazione sull’essere che sottende a tutti i lavori dell’artista. In altri lavori
(per esempio, Costellazioni Familiari) l’ispirazione deriva dall’osservazione dei campi morfologici individuali
e familiari, collettivi e appartenenti alla società tutta, a partire dagli studi portati avanti dall’artista con Bert
Hellinger. Attraverso il campo morfologico emergono il vissuto inconscio e le dinamiche relazionali di ognuno di
noi rispetto alle varie circostanze.
Cecilia Luci: ”La ricerca nel mio lavoro tende al superamento del mio passato, facendo riaffiorare inconsci
ricordi. Il vissuto viene trasportato dai fluidi che a volte affondano, a volte fanno affiorare le cose ed i personaggi
attraverso dei flash, delle apparizioni, delle visioni scaturite nella mente. Trasmuto e ricostruisco un mondo
immaginifico fatto di elementi tratti dalla memoria. Cosi questo mio costante ritorno al passato e ad un ripristino,
mi fa rivisitare e ridisporre fatti, cose e persone, legate a luoghi interiori familiari, metabolizzate attraverso diversi
codici semantici.
in un’istituzione pubblica italiana. Una mostra che inaugura la Sala S&L come nuovo spazio espositivo del
museo, confermando un’attenzione speciale per le nuove generazioni e le evoluzioni contemporanee dei
linguaggi storici. La Luci lavora con il medium fotografico in maniera disciplinata e “orientale”, dando narrazione
e intimità diaristica ai cicli progettuali, usando preziose carte fotografiche, elaborando i suoi set in modo pittorico
e morandiano. Un’artista classicamente attuale, metodica nel processo elaborativo, complessa nei contenuti
simbolici, essenziale e profonda nei soggetti che sceglie e nei mondi che ci racconta.
Le ambientazioni delle immagini sono così: liquide come latte silenzioso, mercuriali come scie acquatiche,
evanescenti come nebbie compatte. Creano atmosfere dense che avvolgono lo sguardo, riportandolo a una
visione ancestrale, istintiva, dentro l’energia fluttuante dei sensi. Gli stadi della materia riempiono i cicli fotografici
della Luci, ne determinano temperatura e volumi, codici estetici e contenuti. Tutto scorre tra l’anima del liquido e
il corpo del solido, lungo linee gassose che diventano il limbo scenico del suo armamentario ad alta temperatura
sensoriale. Non si tratta di feticismo, qui gli oggetti incarnano una simbologia con molteplici derivazioni, frutto
di viaggi intellettuali, percorsi psicanalitici, esperienze letterarie, vissuto privato. L’artista sceglie elementi con
una forte carica prosaica: un pettine, un guanto da cucina, i bastoncini per lo Shanghai, dei semplici fili… cose
esili eppure resistenti, legate ad azioni primarie (curare il corpo, pulire, giocare, collegare…) ma ricche di curve
interiori, come se fossero aggregatori emotivi, piccoli diari intimi dove le frasi vengono cucite con pazienza,
metodo e concentrazione.
Scrive Gianluca Marziani: “Un pettine che scioglie nodi e ostacoli, scivolando e risalendo lungo l’asse verticale
dell’immagine… Una sfera che galleggia, si riproduce, aderisce o sfiora altre sfere bianche… I guanti in lattice
che diventano silhouette elastiche, sinuosamente femminili… I bastoncini di legno che somigliano ad una
zattera e animano il campo monocromo del fondale…I fili che si intrecciano, simili ad un sistema nervoso di
connessione… Cecilia Luci racconta la sfida privata della femminilità in un mondo chiassoso e confusionario.
Ricerca l’ordine nascosto delle cose, i sussurri senza grida, la bassa velocità e la lunga resistenza. Le opere
non implicano il facile effetto ma l’effettiva durata figurativa, per questo vivono dentro una fluidità amniotica che
conserva e lascia crescere. Il tempo e le mode rimangono distanti da queste geografie emozionali: lo spazio
occupato appartiene ai puri archetipi, gli unici che pulsano, respirano, chiamano, stimolano, evocano…”
Scrive Giovanni Intra Sidola: “Nelle opere di Cecilia Luci la comunicazione del contenuto avviene per mezzo di
un linguaggio formalmente raffinato ed attraente, che porta l’osservatore ad addentrarsi nel discorso, a leggere
l’esperienza dell’artista e a riconoscersi in essa. Ciò avviene anche perché l’artista sceglie come soggetti degli
oggetti propri della quotidianità, che appartengono inconsciamente alla personale memoria emotiva. Questi
oggetti, una volta decontestualizzati, assumono un significato preciso nella riflessione dell’artista sul suo
passato. In veste di “attori” chiamati ad interpretare un ruolo sul palcoscenico, essi dismettono i panni quotidiani
per diventare protagonisti di una storia. Un palcoscenico spesso liquido: gli oggetti immersi in un fluido portatore
emotivo, che muove e ridefinisce le situazioni, trovano il giusto posto che dà loro valore e senso. Cecilia Luci
ricostruisce, così, un mondo immaginifico fatto di elementi tratti dal passato. In Lessico Animico, ad esempio,
l’acqua è il medium attraverso il quale si manifesta l’essenza delle cose, l’intima verità unica e irripetibile di
ciascuna anima. In Milk il latte, meno incorporeo dell’acqua e più materno, è densa superficie in movimento che
a volte fluisce, a volte s’acquieta, nascondendo e manifestando a tratti ciò che permane. In Dal passato, invece,
l’assenza del medium emotivo riporta all’esigenza di placare le emozioni lasciando posto all’osservazione
vagliata dalla ragione. Il tutto veicolato da una ricerca della perfezione estetica che, lungi dall’essere un eccesso
formalista, è misura della profonda meditazione sull’essere che sottende a tutti i lavori dell’artista. In altri lavori
(per esempio, Costellazioni Familiari) l’ispirazione deriva dall’osservazione dei campi morfologici individuali
e familiari, collettivi e appartenenti alla società tutta, a partire dagli studi portati avanti dall’artista con Bert
Hellinger. Attraverso il campo morfologico emergono il vissuto inconscio e le dinamiche relazionali di ognuno di
noi rispetto alle varie circostanze.
Cecilia Luci: ”La ricerca nel mio lavoro tende al superamento del mio passato, facendo riaffiorare inconsci
ricordi. Il vissuto viene trasportato dai fluidi che a volte affondano, a volte fanno affiorare le cose ed i personaggi
attraverso dei flash, delle apparizioni, delle visioni scaturite nella mente. Trasmuto e ricostruisco un mondo
immaginifico fatto di elementi tratti dalla memoria. Cosi questo mio costante ritorno al passato e ad un ripristino,
mi fa rivisitare e ridisporre fatti, cose e persone, legate a luoghi interiori familiari, metabolizzate attraverso diversi
codici semantici.
15
dicembre 2012
Cecilia Luci – Gravità
Dal 15 dicembre 2012 al 27 gennaio 2013
arte contemporanea
Location
PALAZZO COLLICOLA ARTI VISIVE – MUSEO CARANDENTE
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Spoleto, Via Loreto Vittori, 11, (Perugia)
Vernissage
15 Dicembre 2012, h 12
Autore
Curatore