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Albano Vitturi
Albano Vitturi, figlio di Vittorio Vitturi, poeta vernacolare, nasce a Verona il 19 dicembre 1888. Primogenito di cinque fratelli avrà nel fratello Ettore, dedito anch’esso alla pittura, un compagno per alcune esposizioni in mostre anche nazionali.
Comunicato stampa
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L’esordio ufficiale di Albano Vitturi avviene nei primi anni Venti del Novecento, quando l’arte italiana, abbandonati i chiassosi exploit avanguardistici, pare raccogliersi in se stessa, rimeditare le proprie radici storiche, rileggere la propria tradizione e, semmai, guardare a quanto di artisticamente notevole si produce in Europa – in primis a Parigi - senza l’ansia del nuovo ad ogni costo.
Grazie a vaste letture di argomento storico artistico, ma anche mediante il confronto diretto con le opere, specie nell’ambito della Biennale di Venezia, già prima del suo rientro in patria dalla guerra di Albania (1919), Vitturi mette a punto una propria poetica, che fa centro su Cezanne e sui concetti di semplificazione plastica e di colore sottoposto all’impero della forma, pur in una immagine concepita entro i limiti della figurazione; con minore consapevolezza teorica e più per spontanea adesione, invece, l’artista sembra guardare ai colori accesi e saturi di certo espressionismo francese e alle eleganze lineari delle Secessioni nordiche, tanto feconde di suggestioni in ambito veronese.
E’ del 1920, dunque, la prima partecipazione del pittore ad una mostra di carattere nazionale, l’”Esposizione d’Arte di Vicenza”, in compagnia degli amici Angelo Zamboni, Orazio Pigato e Guido Farina, con i quali darà vita ad un fecondo e duraturo sodalizio artistico e ai quali verrà associato dalla critica fino agli anni Quaranta, sotto la nota etichetta del “Gruppo veronese”.
Mentre contemporaneamente si registra la presenza di Vitturi in tante mostre, soprattutto in ambito veronese, padovano e veneziano, vengono, poi, gli anni gloriosi delle Biennali in laguna. La prima partecipazione risale al 1924. il pittore veronese, successivamente, sarà a Venezia altre sei volte, figurando nelle edizioni del 1926, del 1930, del 1932, del 1934,del 1936 e del 1948.
Del 1931, invece, è la prima personale dedicata all’artista, allestita a Milano, nella neonata galleria “Il Milione” di Bardi e Ghiringhelli, dove Vitturi espone accanto a Zamboni, Pigato e Farina. A questa mostra farà seguito nel 1946 la personale ordinata a Verona, presso la galleria “L’Albero”, di cui, tuttavia, non rimane alcuna documentazione.
Sono anni di intenso lavoro, nei quali, con assidua concentrazione, il pittore veronese matura e conquista un personale linguaggio, fatto di forme elementari, crudamente sbozzate, di spazialità compresse sul piano, di colori elementari, ora freddi e acerbi, ora affocati e roventi. Sono anni, in cui, parimenti, l’artista a poco a poco costruisce un proprio repertorio di soggetti-ritratti, autoritratti, nature morte, interni borghesi, paesaggi e scene sacre - sui quali si prova ininterrottamente, quasi per ansia di continuo perfezionamento.
E trova speciale consonanza interiore con il genere del paesaggio, declinato sotto forma di scorcio cittadino rubato all’amata Verona, di veduta marina in cui si condensano i ricordi delle vacanze estive a Cervia, e, infine, di vedute campestri, collinari o montane, nelle quali si fanno immagine e pittura i frammenti di vita naturale interiorizzati da Vitturi nel corso di tanti soggiorni nella provincia Veronese.
Riconoscimenti al lavoro dell’artista veronese, tra gli anni Venti e la metà negli anni Trenta, provengono da storici dell’arte e critici del calibro di Diego Valeri, Ugo Ojetti, Nino Barbantini, Gino Fogolari, Giuseppe Marchiori, Cipriano E. Oppo, che guardano con curiosità alla sua attività e a quella degli amici veronesi. E la fama di Vitturi supera i confini italiani, come testimoniano, nel 1926, le note di approvazione consegnate alle pagine dei periodici “Revue moderne illustré des art e de la vie” e “ Revue du vrai e du beau” da Clemente Morro e Tancredi Viale.
Poi, già a partire dagli anni Quaranta, lentamente il silenzio cala sulla storia di Vitturi, che deve scontare la progressiva indifferenza della critica, fino a vedersi negata la partecipazione alla Biennale veneziana del 1950 e che, messo di fronte a tale disconoscimento, reagirà chiudendosi in se stesso, in un mesto e sofferto isolamento, di cui indirettamente parlano tante delle ultime opere dipinte dall’artista, in un certo modo più dimesse, disimpegnate, disadorne.
Dopo il 1950 si contano ancora poche presenze di Vitturi a manifestazioni di ambito esclusivamente veronese e, infine, come esito dell’interessamento di una figura sensibile e di raffinata intelligenza come Licisco Magagnato, la importante mostra antologica allestita presso la Galleria Civica di Palazzo Forti, a Verona, nel 1957.
E’ questo l’ultimo atto rilevante di una vicenda artistica troppo presto e senza troppi scrupoli dimenticata: se si eccettuano le due importanti antologiche da Francesca M. Varotto Pensabene del 1986, presso la Galleria Veronese “Prisma”, si deve attendere il 1991, infatti, perché una mostra dedicata a Vitturi, ospitata proprio nella sede di Palazzo Forti, diventi occasione di una accurata messa a fuoco dell’artista e del suo lavoro e di un quanto mai dovuto risarcimento della sua fortuna critica, ad opera di Giorgio Cortenova e Francesco Butturini.
In tempi più recenti, poi, nel contesto di altre esposizioni di carattere antologico, si è accolta la sfida di far conoscere il nome di Vitturi e di rendere meglio nota la sua produzione pittorica e grafica. E basti citare la mostra organizzata presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles (2002, catalogo contributi critici di S. Miori, F. Butturini, P. Azzolini, l: Tedeschi), quella transitata per l’Istituto Italiano di cultura di Lubiana e la Biblioteca statale di Trieste ( 2006, catalogo con contributi critici di G. Xausa, M. Menato, E. Pontiggia, D. Surian Ferrari, E. Pasetto) e quella accolta presso la biblioteca statale Isontina di Gorizia (2006, catalogo con contributi critici di M. Menato, V. Meneguzzo, E. Pasetto, D. Surian Ferrari). La presente mostra, dunque, rinnova tale propsito e, mentre offre allo sguardo del pubblico alcuni dei più preziosi paesaggi del pittore veronese, propizia l’incontro dello spettatore con l’artista che, sempre fedele a se stesso, non si allontanò mai da questo credo: “Avere radici profonde nella realtà, non per lasciarsene dominare e servirla, ma per non cadere nel cerebralismo e non perdere di vista l’umanità dell’opera”.
MARIANNA NEGRINI
*
Albano Vitturi, figlio di Vittorio Vitturi, poeta vernacolare, nasce a Verona il 19 dicembre 1888. Primogenito di cinque fratelli avrà nel fratello Ettore, dedito anch’esso alla pittura, un compagno per alcune esposizioni in mostre anche nazionali. Il ginnasio e gli studi liceali vengono compiuti presso il Liceo Ginnasio “Scipione Maffei” di Verona ove conseguirà il diploma di maturità classica nel 1908. Durante il ginnasio frequenta parallelamente la scuola domenicale di Arte Applicata all’Industria, nei corsi di disegno ornato e disegno industriale. Sono di questi anni (1903-1906) i primi disegni e piccole tempere documentate ove traspare un’impostazione tardo-ottocentesca espressione degli studi a lui contemporanei. In quegli anni realizza altresì lavori di densa materia cromatica che lo contraddistingueranno immediatamente e lo renderanno indipendente rispetto al clima culturale pittorico veronese.
Nonostante tale distacco, entrerà a far parte di un gruppo di amici, al quale rimarrà sempre legato, formato dai pittori Angelo Zamboni, Orazio Pigato e Guido Farina che verrà in seguito definito dalla critica e dalla stampa il “Gruppo Veronese”. Nel 1908 presso l’Università di Padova, si iscrive alla Facoltà di Legge.
Oltre alle sue raccolte di impressioni, idee critiche, riflessioni, disegni o semplici schizzi sui suoi inseparabili libriccini o foglietti di carta realizza i suoi primi oli. Tra il 1916 e 1918 si devono datare 56 cartoline postali, indirizzate ai famigliari, che riportano su un verso schizzi e disegni eseguiti con tecniche varie, spedite dal fronte albanese o dalle località in cui si trovava prima del rientro definitivo. Passato un breve periodo divisionista testimoniato da alcune tempere, Vitturi coltiva una simpatia di fondo per i futuristi, come si evince in una lettera al padre, poi pubblicata sul Corriere del Mattino del 9 maggio 1918. Il 22 settembre del 1919 Vitturi viene congedato e ritorna alla vita civile, dopo aver ritardato il rientro soggiornando in alcune città dell’Italia meridionale: Napoli sicuramente ma forse anche Taranto. L’amicizia con Zamboni, Pigato e Farina facilita il suo reinserimento nella cultura veronese ufficiale e con essi, nel settembre del 1920, partecipa all’ “Esposizione nazionale d’Arte di Vicenza” dove il “Gruppo Veronese” riscontra i favori della critica.
Nel settembre 1921 partecipa a Verona, con sei opere, alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona, insieme ad artisti quali G. Rossi, O. Pigato, A. Stringa, P. Semeghini, E. Notte. Nel 1922 Vitturi partecipa con alcune opere all’Esposizione Nazionale d’Arte di Padova e poi alla “Mostra d’Arte Italiana”, itinerante nell’America del Sud. Partecipa inoltre nel 1923 alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona.
Nel 1924 Vitturi partecipa alla XIV Biennale di Venezia con l’opera “Madre e figlia”. Partecipa nel 1925 alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona con 6 opere. Nel 1926 viene nominato socio attivo dell’Accademia Cignaroli.. Il 25 novembre a Parigi, la rivista “Revue de Vrai et du Baeu” a firma di Tancrede Viale, dedicherà una pagina a Vitturi (condivisa con Dante Broglio) con la riproduzione dei due quadri esposti nella Biennale.”.
Nel 1930, ritorna alla XVII Biennale di Venezia, dopo aver saltato l’edizione del 1928, con due opere. L’arte sacra è senza dubbio un tema molto ricorrente nella produzione di Vitturi, soprattutto dagli anni Trenta, anni questi di grande e felice creatività artistica. La “sacralità” del pittore veneto si discosta sensibilmente però da quella classica, lasciando percepire a chi osserva i suoi quadri un certo distacco dal credo religioso volendo piuttosto evidenziare la propria laicità.
Nel 1936, su invito, partecipa alla XX Biennale di Venezia con tre opere dal contenuto sacro: “San Sebastiano” (1935), “Il ricco Epulone” (1935) e “L’Arca di Noè” (1933-1936). Dal 5 giugno al 26 ottobre 1940 Vitturi viene richiamato alle armi con il grado di capitano e inviato presso il tribunale militare di guerra di Monza. Sono questi gli anni (tra il 1943 e il 1944) in cui vengono prodotte opere in cui si respira l’incubo dei bombardamenti e della guerra. L’ultima Biennale Nazionale d’Arte a cui presenzia Vitturi è quella del 1961 che segna il definitivo addio alle esposizioni delle sue opere. Gli amici più cari sono morti, ultimo Orazio Pigato nel 1966 e del suo mondo rimane poco o nulla.
L’11 agosto del 1968 Albano Vitturi si spegne all’ospedale di San Bonifacio, dopo breve malattia che lo aveva colpito a Colognola ai Colli dove, da sempre, trascorreva periodi di riposo nella quiete della campagna collinare.
Dal sito: http://www.galleryartcenter.it/?page_id=570
Grazie a vaste letture di argomento storico artistico, ma anche mediante il confronto diretto con le opere, specie nell’ambito della Biennale di Venezia, già prima del suo rientro in patria dalla guerra di Albania (1919), Vitturi mette a punto una propria poetica, che fa centro su Cezanne e sui concetti di semplificazione plastica e di colore sottoposto all’impero della forma, pur in una immagine concepita entro i limiti della figurazione; con minore consapevolezza teorica e più per spontanea adesione, invece, l’artista sembra guardare ai colori accesi e saturi di certo espressionismo francese e alle eleganze lineari delle Secessioni nordiche, tanto feconde di suggestioni in ambito veronese.
E’ del 1920, dunque, la prima partecipazione del pittore ad una mostra di carattere nazionale, l’”Esposizione d’Arte di Vicenza”, in compagnia degli amici Angelo Zamboni, Orazio Pigato e Guido Farina, con i quali darà vita ad un fecondo e duraturo sodalizio artistico e ai quali verrà associato dalla critica fino agli anni Quaranta, sotto la nota etichetta del “Gruppo veronese”.
Mentre contemporaneamente si registra la presenza di Vitturi in tante mostre, soprattutto in ambito veronese, padovano e veneziano, vengono, poi, gli anni gloriosi delle Biennali in laguna. La prima partecipazione risale al 1924. il pittore veronese, successivamente, sarà a Venezia altre sei volte, figurando nelle edizioni del 1926, del 1930, del 1932, del 1934,del 1936 e del 1948.
Del 1931, invece, è la prima personale dedicata all’artista, allestita a Milano, nella neonata galleria “Il Milione” di Bardi e Ghiringhelli, dove Vitturi espone accanto a Zamboni, Pigato e Farina. A questa mostra farà seguito nel 1946 la personale ordinata a Verona, presso la galleria “L’Albero”, di cui, tuttavia, non rimane alcuna documentazione.
Sono anni di intenso lavoro, nei quali, con assidua concentrazione, il pittore veronese matura e conquista un personale linguaggio, fatto di forme elementari, crudamente sbozzate, di spazialità compresse sul piano, di colori elementari, ora freddi e acerbi, ora affocati e roventi. Sono anni, in cui, parimenti, l’artista a poco a poco costruisce un proprio repertorio di soggetti-ritratti, autoritratti, nature morte, interni borghesi, paesaggi e scene sacre - sui quali si prova ininterrottamente, quasi per ansia di continuo perfezionamento.
E trova speciale consonanza interiore con il genere del paesaggio, declinato sotto forma di scorcio cittadino rubato all’amata Verona, di veduta marina in cui si condensano i ricordi delle vacanze estive a Cervia, e, infine, di vedute campestri, collinari o montane, nelle quali si fanno immagine e pittura i frammenti di vita naturale interiorizzati da Vitturi nel corso di tanti soggiorni nella provincia Veronese.
Riconoscimenti al lavoro dell’artista veronese, tra gli anni Venti e la metà negli anni Trenta, provengono da storici dell’arte e critici del calibro di Diego Valeri, Ugo Ojetti, Nino Barbantini, Gino Fogolari, Giuseppe Marchiori, Cipriano E. Oppo, che guardano con curiosità alla sua attività e a quella degli amici veronesi. E la fama di Vitturi supera i confini italiani, come testimoniano, nel 1926, le note di approvazione consegnate alle pagine dei periodici “Revue moderne illustré des art e de la vie” e “ Revue du vrai e du beau” da Clemente Morro e Tancredi Viale.
Poi, già a partire dagli anni Quaranta, lentamente il silenzio cala sulla storia di Vitturi, che deve scontare la progressiva indifferenza della critica, fino a vedersi negata la partecipazione alla Biennale veneziana del 1950 e che, messo di fronte a tale disconoscimento, reagirà chiudendosi in se stesso, in un mesto e sofferto isolamento, di cui indirettamente parlano tante delle ultime opere dipinte dall’artista, in un certo modo più dimesse, disimpegnate, disadorne.
Dopo il 1950 si contano ancora poche presenze di Vitturi a manifestazioni di ambito esclusivamente veronese e, infine, come esito dell’interessamento di una figura sensibile e di raffinata intelligenza come Licisco Magagnato, la importante mostra antologica allestita presso la Galleria Civica di Palazzo Forti, a Verona, nel 1957.
E’ questo l’ultimo atto rilevante di una vicenda artistica troppo presto e senza troppi scrupoli dimenticata: se si eccettuano le due importanti antologiche da Francesca M. Varotto Pensabene del 1986, presso la Galleria Veronese “Prisma”, si deve attendere il 1991, infatti, perché una mostra dedicata a Vitturi, ospitata proprio nella sede di Palazzo Forti, diventi occasione di una accurata messa a fuoco dell’artista e del suo lavoro e di un quanto mai dovuto risarcimento della sua fortuna critica, ad opera di Giorgio Cortenova e Francesco Butturini.
In tempi più recenti, poi, nel contesto di altre esposizioni di carattere antologico, si è accolta la sfida di far conoscere il nome di Vitturi e di rendere meglio nota la sua produzione pittorica e grafica. E basti citare la mostra organizzata presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles (2002, catalogo contributi critici di S. Miori, F. Butturini, P. Azzolini, l: Tedeschi), quella transitata per l’Istituto Italiano di cultura di Lubiana e la Biblioteca statale di Trieste ( 2006, catalogo con contributi critici di G. Xausa, M. Menato, E. Pontiggia, D. Surian Ferrari, E. Pasetto) e quella accolta presso la biblioteca statale Isontina di Gorizia (2006, catalogo con contributi critici di M. Menato, V. Meneguzzo, E. Pasetto, D. Surian Ferrari). La presente mostra, dunque, rinnova tale propsito e, mentre offre allo sguardo del pubblico alcuni dei più preziosi paesaggi del pittore veronese, propizia l’incontro dello spettatore con l’artista che, sempre fedele a se stesso, non si allontanò mai da questo credo: “Avere radici profonde nella realtà, non per lasciarsene dominare e servirla, ma per non cadere nel cerebralismo e non perdere di vista l’umanità dell’opera”.
MARIANNA NEGRINI
*
Albano Vitturi, figlio di Vittorio Vitturi, poeta vernacolare, nasce a Verona il 19 dicembre 1888. Primogenito di cinque fratelli avrà nel fratello Ettore, dedito anch’esso alla pittura, un compagno per alcune esposizioni in mostre anche nazionali. Il ginnasio e gli studi liceali vengono compiuti presso il Liceo Ginnasio “Scipione Maffei” di Verona ove conseguirà il diploma di maturità classica nel 1908. Durante il ginnasio frequenta parallelamente la scuola domenicale di Arte Applicata all’Industria, nei corsi di disegno ornato e disegno industriale. Sono di questi anni (1903-1906) i primi disegni e piccole tempere documentate ove traspare un’impostazione tardo-ottocentesca espressione degli studi a lui contemporanei. In quegli anni realizza altresì lavori di densa materia cromatica che lo contraddistingueranno immediatamente e lo renderanno indipendente rispetto al clima culturale pittorico veronese.
Nonostante tale distacco, entrerà a far parte di un gruppo di amici, al quale rimarrà sempre legato, formato dai pittori Angelo Zamboni, Orazio Pigato e Guido Farina che verrà in seguito definito dalla critica e dalla stampa il “Gruppo Veronese”. Nel 1908 presso l’Università di Padova, si iscrive alla Facoltà di Legge.
Oltre alle sue raccolte di impressioni, idee critiche, riflessioni, disegni o semplici schizzi sui suoi inseparabili libriccini o foglietti di carta realizza i suoi primi oli. Tra il 1916 e 1918 si devono datare 56 cartoline postali, indirizzate ai famigliari, che riportano su un verso schizzi e disegni eseguiti con tecniche varie, spedite dal fronte albanese o dalle località in cui si trovava prima del rientro definitivo. Passato un breve periodo divisionista testimoniato da alcune tempere, Vitturi coltiva una simpatia di fondo per i futuristi, come si evince in una lettera al padre, poi pubblicata sul Corriere del Mattino del 9 maggio 1918. Il 22 settembre del 1919 Vitturi viene congedato e ritorna alla vita civile, dopo aver ritardato il rientro soggiornando in alcune città dell’Italia meridionale: Napoli sicuramente ma forse anche Taranto. L’amicizia con Zamboni, Pigato e Farina facilita il suo reinserimento nella cultura veronese ufficiale e con essi, nel settembre del 1920, partecipa all’ “Esposizione nazionale d’Arte di Vicenza” dove il “Gruppo Veronese” riscontra i favori della critica.
Nel settembre 1921 partecipa a Verona, con sei opere, alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona, insieme ad artisti quali G. Rossi, O. Pigato, A. Stringa, P. Semeghini, E. Notte. Nel 1922 Vitturi partecipa con alcune opere all’Esposizione Nazionale d’Arte di Padova e poi alla “Mostra d’Arte Italiana”, itinerante nell’America del Sud. Partecipa inoltre nel 1923 alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona.
Nel 1924 Vitturi partecipa alla XIV Biennale di Venezia con l’opera “Madre e figlia”. Partecipa nel 1925 alla Biennale Nazionale d’Arte della Società Belle Arti di Verona con 6 opere. Nel 1926 viene nominato socio attivo dell’Accademia Cignaroli.. Il 25 novembre a Parigi, la rivista “Revue de Vrai et du Baeu” a firma di Tancrede Viale, dedicherà una pagina a Vitturi (condivisa con Dante Broglio) con la riproduzione dei due quadri esposti nella Biennale.”.
Nel 1930, ritorna alla XVII Biennale di Venezia, dopo aver saltato l’edizione del 1928, con due opere. L’arte sacra è senza dubbio un tema molto ricorrente nella produzione di Vitturi, soprattutto dagli anni Trenta, anni questi di grande e felice creatività artistica. La “sacralità” del pittore veneto si discosta sensibilmente però da quella classica, lasciando percepire a chi osserva i suoi quadri un certo distacco dal credo religioso volendo piuttosto evidenziare la propria laicità.
Nel 1936, su invito, partecipa alla XX Biennale di Venezia con tre opere dal contenuto sacro: “San Sebastiano” (1935), “Il ricco Epulone” (1935) e “L’Arca di Noè” (1933-1936). Dal 5 giugno al 26 ottobre 1940 Vitturi viene richiamato alle armi con il grado di capitano e inviato presso il tribunale militare di guerra di Monza. Sono questi gli anni (tra il 1943 e il 1944) in cui vengono prodotte opere in cui si respira l’incubo dei bombardamenti e della guerra. L’ultima Biennale Nazionale d’Arte a cui presenzia Vitturi è quella del 1961 che segna il definitivo addio alle esposizioni delle sue opere. Gli amici più cari sono morti, ultimo Orazio Pigato nel 1966 e del suo mondo rimane poco o nulla.
L’11 agosto del 1968 Albano Vitturi si spegne all’ospedale di San Bonifacio, dopo breve malattia che lo aveva colpito a Colognola ai Colli dove, da sempre, trascorreva periodi di riposo nella quiete della campagna collinare.
Dal sito: http://www.galleryartcenter.it/?page_id=570
24
novembre 2012
Albano Vitturi
Dal 24 novembre al 09 dicembre 2012
arte moderna
Location
SPAZIO 6
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Orario di apertura
da martedì a Sabato ore 16,30-19,30
Vernissage
24 Novembre 2012, ore 18,00
Autore
Curatore