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Maggie Cardelus – Doing life
L’utilizzo della fotografia, in particolare del proprio album familiare, porta l’artista in un territorio che è allo stesso tempo profondamente individualizzato e universalmente condiviso.
Comunicato stampa
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kaufmann repetto è lieta di presentare in galleria la mostra di Maggie Cardelús, Doing Life.
Il titolo della mostra racchiude i presupposti che alimentano il lavoro di Maggie Cardelús, lavoro in cui l'esperienza quotidiana come donna, artista, madre, e cittadina del mondo costituisce l'origine e lo stimolo per una ricerca che scandaglia le dinamiche dell'essere umano all'interno delle strutture sociali in cui è immerso.
L'utilizzo della fotografia, in particolare del proprio album familiare, porta Maggie Cardelús in un territorio che è allo stesso tempo profondamente individualizzato e universalmente condiviso. La snap-shot appartiene a un rituale che accomuna le culture più diverse, è il veicolo attraverso cui ogni nucleo familiare costruisce la propria micro-storia, e insieme, come disse Diane Arbus, costituisce una finzione di finzione, una sorta di autoritratto idealizzato.
L'uso di un materiale tanto sensibile da parte dell'artista corrisponde alla rivendicazione di ciò che Allan Kaprow definì art at the service of life. Nel lavoro di Maggie Cardelús la sfera domestica e familiare, comunemente marginalizzata dal mondo dell'arte, è posta prepotentemente al centro della riflessione artistica. La dimensione individuale diventa lo strumento attraverso cui processare le più comuni pulsioni umane, come il passare inesorabile del tempo e il timore della perdita e della separazione.
Intervenire materialmente sulle riproduzioni di foto di famiglia corrisponde, per Maggie Cardelús, a un tentativo di cristallizzare un flusso in continua evoluzione. Nella mostra in galleria queste opposte tensioni risuonano attraverso lavori che gravitano attorno alla figura dell'artista, come un unico, mutevole, autoritratto.
L'intera mostra è allestita in relazione a un'unica linea di orizzonte che corrisponde all'altezza dell'ombelico di Maggie Cardelús, creando così un paesaggio individualizzato il cui centro gravitazionale è la soggettività stessa dell'artista.
Nei due spazi della galleria, quasi a contenere l'intera mostra, un autoritratto scattato in controluce è ingrandito e scisso in due elementi: Maggie here e Maggie there, una foto meticolosamente intagliata e una modificata attraverso l'uso di liquidi domestici come la candeggina e l'alcol. Questa tensione tra ordine precostituito e perdita di controllo è presente in tutti i lavori in mostra, ed è messa in scena attraverso la performance D/Inner Time, in cui i tre figli dell'artista, letteralmente rivestiti del corpo materno, rispondono allo spettatore impersonando Maggie Cardelús. In questo come negli altri lavori in mostra, a un movimento centripeto ed egoriferito ne corrisponde uno centrifugo, in cui l'ego dell'artista si dissolve in una molteplicità potenzialmente infinita di rappresentazioni.
Il tema della creazione artistica, in questo contesto, si sovrappone alla creazione intesa come atto demiurgico, portatore di vita. La ceramica appesa al soffitto, modellata dalla pressione di indice e pollice, simbolizza proprio la dulità tra civiltà e natura: il segno lasciato dal pollice rimanda al controllo della specie umana sulla materia, materia che allo stesso tempo mantiene una natura organica e incontrollata.
Il titolo stesso della mostra è aperto a un'interpretazione molteplice: Doing Life rimanda insieme all'atto artistico, al generare vita e al racconto, più o meno mistificato, della propria storia. Ma è anche il tentativo di manipolare la realtà, farla nostra, includere tutto e tutti nel nostro piccolo universo individuale.
Il titolo della mostra racchiude i presupposti che alimentano il lavoro di Maggie Cardelús, lavoro in cui l'esperienza quotidiana come donna, artista, madre, e cittadina del mondo costituisce l'origine e lo stimolo per una ricerca che scandaglia le dinamiche dell'essere umano all'interno delle strutture sociali in cui è immerso.
L'utilizzo della fotografia, in particolare del proprio album familiare, porta Maggie Cardelús in un territorio che è allo stesso tempo profondamente individualizzato e universalmente condiviso. La snap-shot appartiene a un rituale che accomuna le culture più diverse, è il veicolo attraverso cui ogni nucleo familiare costruisce la propria micro-storia, e insieme, come disse Diane Arbus, costituisce una finzione di finzione, una sorta di autoritratto idealizzato.
L'uso di un materiale tanto sensibile da parte dell'artista corrisponde alla rivendicazione di ciò che Allan Kaprow definì art at the service of life. Nel lavoro di Maggie Cardelús la sfera domestica e familiare, comunemente marginalizzata dal mondo dell'arte, è posta prepotentemente al centro della riflessione artistica. La dimensione individuale diventa lo strumento attraverso cui processare le più comuni pulsioni umane, come il passare inesorabile del tempo e il timore della perdita e della separazione.
Intervenire materialmente sulle riproduzioni di foto di famiglia corrisponde, per Maggie Cardelús, a un tentativo di cristallizzare un flusso in continua evoluzione. Nella mostra in galleria queste opposte tensioni risuonano attraverso lavori che gravitano attorno alla figura dell'artista, come un unico, mutevole, autoritratto.
L'intera mostra è allestita in relazione a un'unica linea di orizzonte che corrisponde all'altezza dell'ombelico di Maggie Cardelús, creando così un paesaggio individualizzato il cui centro gravitazionale è la soggettività stessa dell'artista.
Nei due spazi della galleria, quasi a contenere l'intera mostra, un autoritratto scattato in controluce è ingrandito e scisso in due elementi: Maggie here e Maggie there, una foto meticolosamente intagliata e una modificata attraverso l'uso di liquidi domestici come la candeggina e l'alcol. Questa tensione tra ordine precostituito e perdita di controllo è presente in tutti i lavori in mostra, ed è messa in scena attraverso la performance D/Inner Time, in cui i tre figli dell'artista, letteralmente rivestiti del corpo materno, rispondono allo spettatore impersonando Maggie Cardelús. In questo come negli altri lavori in mostra, a un movimento centripeto ed egoriferito ne corrisponde uno centrifugo, in cui l'ego dell'artista si dissolve in una molteplicità potenzialmente infinita di rappresentazioni.
Il tema della creazione artistica, in questo contesto, si sovrappone alla creazione intesa come atto demiurgico, portatore di vita. La ceramica appesa al soffitto, modellata dalla pressione di indice e pollice, simbolizza proprio la dulità tra civiltà e natura: il segno lasciato dal pollice rimanda al controllo della specie umana sulla materia, materia che allo stesso tempo mantiene una natura organica e incontrollata.
Il titolo stesso della mostra è aperto a un'interpretazione molteplice: Doing Life rimanda insieme all'atto artistico, al generare vita e al racconto, più o meno mistificato, della propria storia. Ma è anche il tentativo di manipolare la realtà, farla nostra, includere tutto e tutti nel nostro piccolo universo individuale.
22
novembre 2012
Maggie Cardelus – Doing life
Dal 22 novembre 2012 al 17 gennaio 2013
arte contemporanea
Location
KAUFMANN REPETTO
Milano, Via Di Porta Tenaglia, 7, (Milano)
Milano, Via Di Porta Tenaglia, 7, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 11-19.30
sabato ore 14-19.30
Vernissage
22 Novembre 2012, ore 19.00
Autore