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Giovanni Verga scrittore e fotografo
Una ristretta selezione, trentuno immagini dall’Archivio fotografico
della Fondazione 3M di Milano, per un ritorno alle origini antropologiche, ma anche intime e famigliari,
della grande stagione verista di Giovanni VERGA, uomo, scrittore e fotografo attento.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone CT,
dal 2010 – dopo la mostra In una istantanea ingiallita. Memorie fotografiche dello stare insieme – ogni anno ospita, negli spazi di pertinenza presso la Corte Capitaniale, un appuntamento con la fotografia storica: un tributo alle origini che aiuta a comprendere la complessa realtà del presente e forse immaginare un futuro.
Con una ristretta quanto coinvolgente selezione di trentuno immagini, tratte dall’archivio fotografico della Fondazione 3M di Milano, in un percorso di riscoperta della fotografia di VERGA in atto dal 1970 (e sul quale ha mirabilmente operato Roberto MUTTI) le immagini della mostra, stampe recenti dalle fragili e precarie lastre originali restaurate digitalmente, consentono di tendere lo sguardo al passato attraverso l’album intimo e privato di un intellettuale siciliano, uno scrittore che, come i suoi conterranei CAPUANA e DE ROBERTO, era un appassionato fotografo, magari non particolarmente abile, sicuramente attratto dall’umanità, la stessa così tanto protagonista nella sua opera letteraria. Gente semplice e schietta, donne e uomini, lavoratori e servitori ci guardano, di volta in volta, con sguardi ieratici o attoniti, catturati dal sortilegio e dal mistero della scatola fotografica di un eccentrico signore che li consegna al futuro.
E così, in questo tribolato scorcio di 2012, mentre tutte le certezze trascolorano in dubbi e paure, volgere lo sguardo agli scatti intimi di un padre della letteratura non solo siciliana, può rappresentare un efficace guida, un faro che, a dispetto della ristretta gamma cromatica di ocra, bruni e seppia delle lastre fotografiche di Giovanni VERGA, riesce comunque a colorare questa confusa contemporaneità.
Eppure le incertezze, quasi innocenti cadute di autostima, non mancavano certo al VERGA fotografo: ahi … la rassomiglianza! Eterno, falso quanto ingannevole problema. E l’espressione? E lo sguardo perso, a tratti spiritato o buffo di questi siciliani, arcaici ma veri, figli di un tempo che fu? Quanto ingenue sembrano le esternazioni di colui che mentre, impietoso, con la penna rappresentava e inscenava l’epopea di un popolo, posto dinnanzi all’occhio-finestra della sua camera magica, intanto non resisteva a liberare i suoi timori.
Oggi queste foto, per i più, mantengono il gusto un pò oleografico di una Sicilia mitica, inesorabilmente tramontata ma ancora custode di valori senza tempo. Valori, desideri e aneliti in bilico su un presente forse ingombrante ma chissà se ancora capace di emozionarsi?
Emozionarsi! Quest’ultimo è … l’autentico e vero desiderio!
Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, ottobre 2012
Caro Amico, questa fotografia che hai voluto mandarmi …
… è un vero quadretto. Ma che cosa succede in quel vicolo o in quell'androne? Una rissa? Un funerale? Un arresto? Io pittore, mi varrei molto di questo punto interrogativo che aiuta tanto all'interesse del soggetto.
Allo stesso modo, citando una nota lettera di Giovanni VERGA, del gennaio del 1898, al conte Giuseppe PRIMOLI, mi varrei dell'interrogativo per tutto ciò che riguarda il rapporto tra lo scrittore siciliano e la fotografia che pure esercitò intensamente e a lungo. Cosa rappresentò per lui quest'arte che, ancora in una lettera, questa volta a TREVES, del 1893, dichiarò essere rimasta "l'unica mia grande passione"?
Come mai due scrittori ed intellettuali tanto profondi nella conoscenza dell'animo siciliano e raffinati "critici" della letteratura e dell'arte, quali Leonardo SCIASCIA e Vincenzo CONSOLO, hanno potuto dichiarare rispettivamente che per VERGA la fotografia rappresentasse un "diletto", e un "passatempo" senza "nessun rapporto con la scrittura"? Eppure già solo la citata lettera a PRIMOLI, dimostra l'interesse per la fotografia anche come elemento e espediente narrativo e letterario, e la scelta poetica del VERGA fotografo, inscindibilmente legata al VERGA scrittore. Forse ancora un brano di una sua più remota lettera, del 1880, fornisce un importante e suggestivo elemento di lettura, allorché rivela che "la camera nera è una mia segreta mania". Mania dunque che ne evoca la componente profondamente psichica e lunare, pervasiva e totalizzante. Misterica anche, sicché le foto, le immagini che da essa derivano sono ugualmente affascinanti, enigmatiche e inquietanti. Ritornando alla prima citazione, se ne può dedurre che per lui è un'arte, la fotografia, sospesa tra la rappresentazione oggettiva di un evento la cui oggettività deriva dallo stesso mezzo analogico, e l'enigma ultimo che promana dalla realtà rappresentata.
Le trentuno fotografie selezionate per la mostra di Caltagirone, esprimono esemplarmente questo spirito verghiano, che potremmo definire espressivo, che consiste nel fermare la vita nel suo movimento, lasciando aperte e senza risposte le domande che riguardano il prima e il dopo dell'attimo fissato, e l'intorno, più affascinante e misterioso del soggetto protagonista. In questo senso la poetica verghiana della fotografia coincide con quella della scrittura, che postula l'espediente di "tirarsi fuori un istante del campo della lotta", e divenire insieme, paradossalmente, osservatore e spettatore della scena; come affermava Roland BARTHES, assumere la fotografia come "quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una micro esperienza della morte".
Quel segmento infinitamente lungo e nello stesso tempo corto del tempo e dello spazio, è quello che interessa a Giovanni VERGA, che non ha bisogno di professionalità e conoscenza tecnica per essere evocato, ma vive dell'essenzialità dello sguardo che è proprio del poeta.
Se si guarda la foto che ritrae "L'avvocato dei Verga, Salvatore Paolo Verdura", ciò che maggiormente colpisce non è tanto la severa figura dell'uomo, quanto la successione delle due stanze alle sue spalle, da cui a stento emergono dalla penombra, vaghe sagome di oggetti quotidiani che parlano di un mondo altro, il balcone che si apre su una luce diurna stranita e epifanica. Anche la foto della "Bambina alla finestra, Novalucello", propone, seppure all'inverso, la stessa sequenza, da un fuori luminoso e definito, al muro scabro e decrepito della casa, alla finestra che incornicia la bambina, ma allo stesso tempo l'oscurità di un interno nel quale tutto può avvenire e nulla è immaginabile.
È la poetica della soglia, dell'oltre imperscrutabile che violentemente cozza contro la pretesa di impadronirsi della realtà attraverso l'oggettività della tecnica; unita alla sensazione che a fronte di una primitiva e ancestrale percezione immediata della realtà, un'altra si sostituisce, quella della modernità, sempre più mediata dalle infinite possibilità del virtuale, sempre più aliena e vissuta più che come una possibilità, come una condanna.
Domenico AMOROSO
Direttore dei Musei civici di Caltagirone
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, ottobre 2012
Giovanni Verga allo specchio:
scenografie veriste per una Time-Machine
Dicono che quei cieli siano adatti
al cavalli e che le strade
siano polvere di palcoscenico …
Ricordi del secolo prima,
roba di un'epoca lontana,
epoca intravista nel bagliore bianco
che spara il lampo di magnesio
sul rosso folle del manganesio …
Paolo CONTE, Novecento, 1998
Mentre, immagine dopo immagine, seguo il percorso iconografico allestito nella Galleria Fotografica Luigi GHIRRI di Caltagirone per questa mostra dedicata a Giovanni VERGA scrittore e fotografo, torno con la mente a tutte le pagine lette di questo Autore, e ravviso in questi ritratti una folla di personaggi letterari indimenticabili che mi accompagnano dai tempi della scuola.
Con l’occasione suggerisco altresì, a tutti gli Amici che seguono l’attività della Galleria GHIRRI, la lettura di alcuni saggi fondamentali per cogliere le infinite sfaccettature di come l’arte fotografica sia stata per Giovanni VERGA un filo rosso che ha attraversato la produzione delle sue novelle e dei romanzi: mi riferisco al poderoso volume di Giovanni GARRA AGOSTA Verga Fotografo, edito nel 1991 dall’editore MAIMONE di Catania, che reca scritti di Vincenzo CONSOLO e Paolo Mario SIPALA; al saggio di Andrea NEMIZ Capuana, Verga, De Roberto fotografi, edito nel 1982 a Palermo da Edikronos; al saggio di Giuliana MINGHELLI L’occhio di Verga. La pratica fotografica nel Verismo italiano, reperibile in rete; ad uno dei saggi del Volume di Epifanio AJELLO Il racconto delle immagini, pubblicato a Pisa nel 2008 dall’editore ETS dal titolo Giovanni Verga. La fotografia della “casa del nespolo”; non ultima, all’opera di Wladimiro SETTIMELLI Giovanni Verga fotografo, edito nel 1970 dal Centro Informazioni 3M.
La mostra è stata anche per me l’occasione di riscoprire (o di scoprire ex novo), con sempre viva curiosità, questi testi che raccontano l'eccezionale rinvenimento dei 448 negativi fotografici impressionati da Giovanni VERGA avvenuto nel 1966 nella casa natale dello scrittore, in via Sant’Anna 8 a Catania, per emozionarmi nel leggere la commossa testimonianza di Wladimiro SETTIMELLI:
Proprio intorno agli Anni 70 vengo mobilitato da una grande azienda milanese. Devo correre a Catania, nella casa di Verga, per dare un’occhiata a certe lastre fotografiche chiuse in una cassetta. In quella cassetta mette le mani spesso uno studioso catanese di Verga: Giovanni Garra Agosta che, però, di fotografia non capisce molto. Mi rendo subito conto che quelle lastre formato 9x12, 10x15, 6,5x9, 13x18 e 18x14, sono state scattate dal grande scrittore che le ha poi messe via in mezzo a dei foglietti con indicazioni delle località riprese e precisazioni tecniche varie. Mi è chiaro, dunque, che l’autore dei “Malavoglia”, di “Vita dei campi”, “Novelle rusticane” e di “Mastro don Gesualdo”, ha ripreso tre o quattrocento immagini della sua città, dei contadini, dei campieri, degli amici del Sud e del Nord, delle donne di casa, dei bambini e delle ragazzine, dei servi e dei padroni. Ha messo insieme, cioè, le foto dei personaggi che affollano i suoi libri. È chiaro anche che ha già scritto quasi tutto quando si appassiona alla fotografia. Ma scopro che si porta dietro quelle immagini a Milano, a Firenze e a Roma, come se volesse, ogni volta, rivedere la casa, la gente che lo circondava e controllare il modo di vestirsi dei contadini e delle contadine, rivedere il mare e i campi e tutta la gente che lo aveva in qualche modo ispirato. Forse per scrivere ancora, studiare, confrontare, verificare. Per me fu una scoperta davvero straordinaria: un grande maestro del Verismo italiano si era affidato alla fotografia per riscoprire il mondo della realtà. Aveva ripreso volti, gesti e “pose” che si ritrovavano in molte delle sue opere, non c’era alcun dubbio. La “calligrafia” fotografica era piuttosto incerta perché molte delle immagini non erano bene a fuoco e in altre l’inquadratura appariva forzata e un po’ assurda. Ma la sostanza c’era tutta e il “mondo dei vinti” era leggibilissimo in quelle foto.
Wladimiro SETTIMELLI, cit.
Per ricordare, attraverso le appassionate indagini di Epifanio AJELLO, un Giovanni VERGA non solo fotografo, ma desideroso di farsi a sua volta fotografare, presumibilmente durante il suo viaggio a Parigi del 1884, da Gaspard Félix TOURNACHON in persona, più noto come NADAR, al quale commissionò una serie di ritratti.
Oppure per immaginare un VERGA maldestro, al punto da perdere una serie di fotografie scattate ad Acitrezza poiché, come egli riferisce in una lettera del 1898 al suo traduttore Édouard ROD,
“… nell’utilizzo la macchinetta s’è guastata nel fare il ritrattino al figlioletto dell’ingegnere in miniera, e tutte le prove che erano nel rocchetto, comprese quelle di Acitrezza, sono andate perdute”
Giovanni VERGA, cit.
La fotografia che personalmente più mi attrae è quella che i curatori Sebastiano FAVITTA, Attilio GERBINO e Roberto MUTTI hanno scelto ad emblema di questa mostra: lo splendido Autoritratto di VERGA del 1887.
Tutte le immagini intrigano, perché attraverso esse – in un curioso inseguirsi circolare di immaginazione e realtà – possiamo dare un volto a Mazzarò, Nedda, Bastianazzo, ‘Ntoni, Gesualdo, ai contadini ribelli della novella Libertà: ogni fotografia evoca un’ambientazione, un brano, un luogo che ci sono familiari, grazie alle ripetute letture di questo Autore intramontabile, che negli anni ci segue. Tuttavia con il proprio autoritratto VERGA ci ha consegnato se stesso, ed affidando ad una lastra di vetro la memoria di sé, ci trasmette ancor oggi la passione con cui egli coltivò la scoperta di questa tecnica che rappresentava l’essenza del Verismo, quell’arte fotografica nascente che all’epoca appassionò lui, che ancora oggi a lui ci accomuna, e che sentiamo particolarmente vicino in questo viaggio a ritroso nel tempo.
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Savona, novembre 2012
Lo scrittore che catturava la realtà
Giovanni VERGA arriva alla fotografia quasi per caso, utilizzando una grossa macchina a cassetta dello zio paterno con cui realizza a partire dal 1878 le prime fotografie su lastre di vetro nel formato 18x23. Coltiva la sua passione in sintonia con gli amici scrittori Federico DE ROBERTO e Luigi CAPUANA: con costoro scambia consigli e commenti lasciandosi talvolta andare ad aspre autocritiche nel definire “sgorbi fotografici” le sue immagini meno riuscite. Infatti, Giovanni VERGA non ha mai preteso di uscire da un ambito strettamente privato dove la fotografia è piacevolezza, ricordo, divertissement colto che, in quanto tale, è da realizzare con costanza e determinazione.
Dopo i primi esperimenti, lo scrittore si attrezza con altre macchine più maneggevoli con cui realizza la maggior parte delle sue fotografie usando lastre in vetro francesi LUMIÈRE e italiane della ditta milanese CAPPELLI e pellicole a rullo. Giovanni VERGA è un fotografo capace di realizzare ritratti mediocri come pregevoli e di far emergere un particolare estro soprattutto di fronte ai paesaggi urbani: attraverso gli errori affina il suo stile e quando padroneggia meglio la tecnica i risultati migliorano. Questo aspetto è importante per giudicare le fotografie dello scrittore che opera in un’epoca in cui, finita l’era dei pionieri, non è ancora iniziata quella in cui l’industria chimica e meccanica avrebbe reso le cose più semplici per tutti. Con gli anni i risultati dello scrittore fotografo migliorano, soprattutto quando nel suo corredo arriva la EASTMAN, un apparecchio leggero e maneggevole grazie a cui realizza inquadrature più ardite che si ritrovano anche quando riutilizza le vecchie macchine dimostrando di avere acquisito una pregevole forza espressiva. Nel 1911, misteriosamente, smette di scattare.
La dimensione privata della sua produzione fa sprofondare il VERGA fotografo in un oblio dal quale ciclicamente riemerge. Questa volta, confidiamo, per una riconsiderazione dei suoi pregi di autore. I ritratti - Il ritratto è il genere che Giovanni VERGA affronta fin dai primi scatti tanto che, guardando le sue fotografie, si può seguire l’evoluzione di uno stile che all’inizio è ingenuamente semplice: c’è la disponibilità e la pazienza del fotoamatore nel mettere tutti in posa, la ricerca di un equilibrio nella composizione dei gruppi come dei singoli, la costanza nel cercare un angolo giusto per scattare, non importa che sia sul terrazzino della casa di Catania o nell’angolo del cortile della tenuta di Tèbidi. Talvolta preferisce lavorare in esterni usando come sfondo il paesaggio che si intravede alle spalle dei soggetti, in altri casi fa ricorso come fondale a un paravento o, più comunemente, come facevano molti professionisti, a un lenzuolo teso.
Non sempre è soddisfatto (“dei ritratti – scrive – il meglio riuscito è quello di Giovanni colla sorellina, quello di Mario coi ragazzi non sarebbe male ma il piccolo Marco è irriconoscibile perché fuori fuoco”) ma in alcuni casi i risultati sono davvero pregevoli come quando riprende gli elegantissimi amici scrittori. Interessanti anche da un punto di vista sociale sono i ritratti della gente comune: contadini, donne di servizio, perfino una mendicante che alludono a quei “vinti” protagonisti di tante storie verghiane. (…)
Dalle lastre di vetro al digitale
Le fotografie presentate in questa mostra non sono vintage ma tutte stampe recenti, una scelta obbligata perché nessuna delle fotografie originali di Giovanni VERGA ci è pervenuta. Dalle lastre negative originali erano state tratte nel 1970, in occasione della prima mostra dell’autore, delle immagini le cui copie sono conservate nell’archivio fotografico della Fondazione 3M. A queste si è fatto ricorso perché la delicatezza delle lastre non ha reso possibile una loro ulteriore manipolazione per ricavare nuove stampe: in alcuni casi, infatti, l’emulsione è stata danneggiata, graffiata o addirittura si è parzialmente distaccata dal vetro.
Per ottenere una giusta intensità del viraggio seppia si sono utilizzate come parametro le immagini di Luigi CAPUANA che di VERGA è stato, fotograficamente parlando, il maestro e il suggeritore di molte soluzioni tecniche comprese le formule chimiche di sviluppo e fissaggio dei negativi.
Roberto MUTTI
Dal catalogo: “Giovanni Verga, scrittore fotografo”
Novara - Milano, De Agostini - Fondazione 3M, 2004
L’occasione offerta dalla Galleria GHIRRI
di poter tornare agli albori della fotografia italiana e, insieme, scoprire la testimonianza preziosa dell’opera dello scrittore Giovanni VERGA, qui nella veste di fotografo, ci consente di articolare una riflessione sul rapporto fra fotografi e scrittori, e, nello specifico, tra fotografi siciliani e scrittori siciliani.
Tutti conoscono della passione fotografica di Luigi CAPUANA, del suo “allievo” Federico DE ROBERTO, e oggi rinverdiamo, con la presente mostra, il contributo di Giovanni VERGA.
Non tutti hanno, però approfondito, la natura della loro passione: nel caso del primo perseguita tutta la vita con dispendio di quattrini e di risorse, nel secondo applicata con sistematicità nella documentazione della geografia etnea; libera e, in una certa misura eclettica, del nostro VERGA che, se tecnicamente non si apparentava a certe raffinatezze dell’amico CAPUANA, invero disponeva - ed è sotto gli occhi di tutti - di una visione più moderna, diremmo già fotografica (la posa, il taglio, la composizione, lo studio delle luci, la scelta dei soggetti) come ha ben rilevato il prof. GARRA AGOSTA, devoto esegeta dei suoi risultati fotografici.
La natura di questa passione era di tipo letterario?
Certamente i nostri scrittori costituiscono una trilogia che riconduciamo con facilità al Verismo letterario, al Naturalismo ricognitivo, al Realismo di analisi. Eppure i risultati conseguiti sono talmente vari (distribuiti come sono tra le foto ricordo, le foto di circostanza, i ritratti, quelli di costume e di genere) da non consentirci di sostenere con certezza una tesi di questo genere. C’è indubbiamente qualche testimonianza epistolare con la quale uno chiede all’altro documenti circa l’abbigliamento delle donne locali per utilizzarli, verosimilmente, negli allestimenti teatrali. Ma tutto ciò è insufficiente a sostenere la tesi, assai semplicistica quanto spontanea, di una naturale predisposizione alla fotografia dovuta alla loro scelta letteraria.
Era, allora, la loro fotografia, un mero trastullo, di borghesi, in qualche modo, benestanti, che si “divertivano” con il nuovo strumento?
Di certo, in CAPUANA, c’era la volontà di stupire, ingannare, falsificare anche il vero e, così, esplorare i confini della nuova invenzione. Ma in effetti, in VERGA, l’uso era più meditato e impegnato: c’è nello scrittore catanese il bisogno di capire perché intelletti preziosi come BAUDELAIRE avevano paura della fotografia e temevano, dalla sua affermazione, la scomparsa della pittura. C’è pure la volontà di cancellare i terrori provati da BALZAC di fronte all’obiettivo di NADAR. Ed all’opposto, l’incontro con le emozioni che già sperimentavano con la nuova arte il giovane Giovanni PASCOLI, “l’egiziano” esploratore MAUPASSANT, il “garibaldino” DUMAS, il vicino ZOLA. Insomma c’era nel VERGA, e lo comprendiamo in questi lavori, la precisa volontà di usare il mezzo fotografico, come analisi aggiunta, ulteriore, di quella realtà descritta e rimemorata attraverso le parole. “La bambina di Nuovaluce” e i “Massari di Vizzini”, rivisti in fotografia, svelavano allo scrittore quanto cose si dovevano fare e quanto lavoro restava da compiere per questa terra e per la sua gente. Ogni fotografia era una memoria.
Possiamo concludere ricordando che l’esempio degli scrittori suddetti è stato valorosamente ripreso, in termini più strettamente letterari ma sempre di grande valore. dal contributo che hanno saputo dare alla comprensione della fotografia ed alla sua affermazione, altri scrittori siciliani come SCIASCIA, BUFALINO, CONSOLO, BONAVIRI e MORMORIO. Anzi, dal loro esempio è venuta la provocazione a chiedere ai fotografi una loro trasmigrazione in campo letterario (vedasi l’esempio di Ferdinando SCIANNA).
E la storia continua.
Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Catania, ottobre 2012
**
Anche questa mostra, a vent’anni dalla morte di Luigi GHIRRI (Scandiano RE, 1943 - Roncocesi RE, 1992) – il grande fotografo italiano del Novecento al quale, nel 1999, viene intitolata l’associazione culturale e l’omonimo spazio espositivo denominato pertanto Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone (prime, e al momento uniche, istituzioni dedicate all’indiscutibile maestro contemporaneo del saper vedere il mondo) – è dedicata a lui e alla moglie Paola BORGONZONI GHIRRI – scomparsa l’8 novembre 2011 –.
Con questo gesto cerchiamo di ricordare e dare testimonianza del suo … del loro insegnamento.
READING: Giacomo BARLETTA, Mario FAVARA e Margherita ROMANO, Ass.ne Culturale PERCORSI di Caltagirone
CREDITI FOTOGRAFICI: Fondazione 3M di Milano, proprietaria delle foto, che ne ha gentilmente concesso la mostra
RINGRAZIAMENTI: Dott.ssa Valentina SIRENA per la Fondazione 3M, Milano,
l’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Caltagirone CT, e Sergio VINCI – di Riesi –,
senza la cui disponibilità ultima, sarebbe arduo dar seguito alle mostre della GHIRRI
dal 2010 – dopo la mostra In una istantanea ingiallita. Memorie fotografiche dello stare insieme – ogni anno ospita, negli spazi di pertinenza presso la Corte Capitaniale, un appuntamento con la fotografia storica: un tributo alle origini che aiuta a comprendere la complessa realtà del presente e forse immaginare un futuro.
Con una ristretta quanto coinvolgente selezione di trentuno immagini, tratte dall’archivio fotografico della Fondazione 3M di Milano, in un percorso di riscoperta della fotografia di VERGA in atto dal 1970 (e sul quale ha mirabilmente operato Roberto MUTTI) le immagini della mostra, stampe recenti dalle fragili e precarie lastre originali restaurate digitalmente, consentono di tendere lo sguardo al passato attraverso l’album intimo e privato di un intellettuale siciliano, uno scrittore che, come i suoi conterranei CAPUANA e DE ROBERTO, era un appassionato fotografo, magari non particolarmente abile, sicuramente attratto dall’umanità, la stessa così tanto protagonista nella sua opera letteraria. Gente semplice e schietta, donne e uomini, lavoratori e servitori ci guardano, di volta in volta, con sguardi ieratici o attoniti, catturati dal sortilegio e dal mistero della scatola fotografica di un eccentrico signore che li consegna al futuro.
E così, in questo tribolato scorcio di 2012, mentre tutte le certezze trascolorano in dubbi e paure, volgere lo sguardo agli scatti intimi di un padre della letteratura non solo siciliana, può rappresentare un efficace guida, un faro che, a dispetto della ristretta gamma cromatica di ocra, bruni e seppia delle lastre fotografiche di Giovanni VERGA, riesce comunque a colorare questa confusa contemporaneità.
Eppure le incertezze, quasi innocenti cadute di autostima, non mancavano certo al VERGA fotografo: ahi … la rassomiglianza! Eterno, falso quanto ingannevole problema. E l’espressione? E lo sguardo perso, a tratti spiritato o buffo di questi siciliani, arcaici ma veri, figli di un tempo che fu? Quanto ingenue sembrano le esternazioni di colui che mentre, impietoso, con la penna rappresentava e inscenava l’epopea di un popolo, posto dinnanzi all’occhio-finestra della sua camera magica, intanto non resisteva a liberare i suoi timori.
Oggi queste foto, per i più, mantengono il gusto un pò oleografico di una Sicilia mitica, inesorabilmente tramontata ma ancora custode di valori senza tempo. Valori, desideri e aneliti in bilico su un presente forse ingombrante ma chissà se ancora capace di emozionarsi?
Emozionarsi! Quest’ultimo è … l’autentico e vero desiderio!
Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, ottobre 2012
Caro Amico, questa fotografia che hai voluto mandarmi …
… è un vero quadretto. Ma che cosa succede in quel vicolo o in quell'androne? Una rissa? Un funerale? Un arresto? Io pittore, mi varrei molto di questo punto interrogativo che aiuta tanto all'interesse del soggetto.
Allo stesso modo, citando una nota lettera di Giovanni VERGA, del gennaio del 1898, al conte Giuseppe PRIMOLI, mi varrei dell'interrogativo per tutto ciò che riguarda il rapporto tra lo scrittore siciliano e la fotografia che pure esercitò intensamente e a lungo. Cosa rappresentò per lui quest'arte che, ancora in una lettera, questa volta a TREVES, del 1893, dichiarò essere rimasta "l'unica mia grande passione"?
Come mai due scrittori ed intellettuali tanto profondi nella conoscenza dell'animo siciliano e raffinati "critici" della letteratura e dell'arte, quali Leonardo SCIASCIA e Vincenzo CONSOLO, hanno potuto dichiarare rispettivamente che per VERGA la fotografia rappresentasse un "diletto", e un "passatempo" senza "nessun rapporto con la scrittura"? Eppure già solo la citata lettera a PRIMOLI, dimostra l'interesse per la fotografia anche come elemento e espediente narrativo e letterario, e la scelta poetica del VERGA fotografo, inscindibilmente legata al VERGA scrittore. Forse ancora un brano di una sua più remota lettera, del 1880, fornisce un importante e suggestivo elemento di lettura, allorché rivela che "la camera nera è una mia segreta mania". Mania dunque che ne evoca la componente profondamente psichica e lunare, pervasiva e totalizzante. Misterica anche, sicché le foto, le immagini che da essa derivano sono ugualmente affascinanti, enigmatiche e inquietanti. Ritornando alla prima citazione, se ne può dedurre che per lui è un'arte, la fotografia, sospesa tra la rappresentazione oggettiva di un evento la cui oggettività deriva dallo stesso mezzo analogico, e l'enigma ultimo che promana dalla realtà rappresentata.
Le trentuno fotografie selezionate per la mostra di Caltagirone, esprimono esemplarmente questo spirito verghiano, che potremmo definire espressivo, che consiste nel fermare la vita nel suo movimento, lasciando aperte e senza risposte le domande che riguardano il prima e il dopo dell'attimo fissato, e l'intorno, più affascinante e misterioso del soggetto protagonista. In questo senso la poetica verghiana della fotografia coincide con quella della scrittura, che postula l'espediente di "tirarsi fuori un istante del campo della lotta", e divenire insieme, paradossalmente, osservatore e spettatore della scena; come affermava Roland BARTHES, assumere la fotografia come "quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una micro esperienza della morte".
Quel segmento infinitamente lungo e nello stesso tempo corto del tempo e dello spazio, è quello che interessa a Giovanni VERGA, che non ha bisogno di professionalità e conoscenza tecnica per essere evocato, ma vive dell'essenzialità dello sguardo che è proprio del poeta.
Se si guarda la foto che ritrae "L'avvocato dei Verga, Salvatore Paolo Verdura", ciò che maggiormente colpisce non è tanto la severa figura dell'uomo, quanto la successione delle due stanze alle sue spalle, da cui a stento emergono dalla penombra, vaghe sagome di oggetti quotidiani che parlano di un mondo altro, il balcone che si apre su una luce diurna stranita e epifanica. Anche la foto della "Bambina alla finestra, Novalucello", propone, seppure all'inverso, la stessa sequenza, da un fuori luminoso e definito, al muro scabro e decrepito della casa, alla finestra che incornicia la bambina, ma allo stesso tempo l'oscurità di un interno nel quale tutto può avvenire e nulla è immaginabile.
È la poetica della soglia, dell'oltre imperscrutabile che violentemente cozza contro la pretesa di impadronirsi della realtà attraverso l'oggettività della tecnica; unita alla sensazione che a fronte di una primitiva e ancestrale percezione immediata della realtà, un'altra si sostituisce, quella della modernità, sempre più mediata dalle infinite possibilità del virtuale, sempre più aliena e vissuta più che come una possibilità, come una condanna.
Domenico AMOROSO
Direttore dei Musei civici di Caltagirone
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, ottobre 2012
Giovanni Verga allo specchio:
scenografie veriste per una Time-Machine
Dicono che quei cieli siano adatti
al cavalli e che le strade
siano polvere di palcoscenico …
Ricordi del secolo prima,
roba di un'epoca lontana,
epoca intravista nel bagliore bianco
che spara il lampo di magnesio
sul rosso folle del manganesio …
Paolo CONTE, Novecento, 1998
Mentre, immagine dopo immagine, seguo il percorso iconografico allestito nella Galleria Fotografica Luigi GHIRRI di Caltagirone per questa mostra dedicata a Giovanni VERGA scrittore e fotografo, torno con la mente a tutte le pagine lette di questo Autore, e ravviso in questi ritratti una folla di personaggi letterari indimenticabili che mi accompagnano dai tempi della scuola.
Con l’occasione suggerisco altresì, a tutti gli Amici che seguono l’attività della Galleria GHIRRI, la lettura di alcuni saggi fondamentali per cogliere le infinite sfaccettature di come l’arte fotografica sia stata per Giovanni VERGA un filo rosso che ha attraversato la produzione delle sue novelle e dei romanzi: mi riferisco al poderoso volume di Giovanni GARRA AGOSTA Verga Fotografo, edito nel 1991 dall’editore MAIMONE di Catania, che reca scritti di Vincenzo CONSOLO e Paolo Mario SIPALA; al saggio di Andrea NEMIZ Capuana, Verga, De Roberto fotografi, edito nel 1982 a Palermo da Edikronos; al saggio di Giuliana MINGHELLI L’occhio di Verga. La pratica fotografica nel Verismo italiano, reperibile in rete; ad uno dei saggi del Volume di Epifanio AJELLO Il racconto delle immagini, pubblicato a Pisa nel 2008 dall’editore ETS dal titolo Giovanni Verga. La fotografia della “casa del nespolo”; non ultima, all’opera di Wladimiro SETTIMELLI Giovanni Verga fotografo, edito nel 1970 dal Centro Informazioni 3M.
La mostra è stata anche per me l’occasione di riscoprire (o di scoprire ex novo), con sempre viva curiosità, questi testi che raccontano l'eccezionale rinvenimento dei 448 negativi fotografici impressionati da Giovanni VERGA avvenuto nel 1966 nella casa natale dello scrittore, in via Sant’Anna 8 a Catania, per emozionarmi nel leggere la commossa testimonianza di Wladimiro SETTIMELLI:
Proprio intorno agli Anni 70 vengo mobilitato da una grande azienda milanese. Devo correre a Catania, nella casa di Verga, per dare un’occhiata a certe lastre fotografiche chiuse in una cassetta. In quella cassetta mette le mani spesso uno studioso catanese di Verga: Giovanni Garra Agosta che, però, di fotografia non capisce molto. Mi rendo subito conto che quelle lastre formato 9x12, 10x15, 6,5x9, 13x18 e 18x14, sono state scattate dal grande scrittore che le ha poi messe via in mezzo a dei foglietti con indicazioni delle località riprese e precisazioni tecniche varie. Mi è chiaro, dunque, che l’autore dei “Malavoglia”, di “Vita dei campi”, “Novelle rusticane” e di “Mastro don Gesualdo”, ha ripreso tre o quattrocento immagini della sua città, dei contadini, dei campieri, degli amici del Sud e del Nord, delle donne di casa, dei bambini e delle ragazzine, dei servi e dei padroni. Ha messo insieme, cioè, le foto dei personaggi che affollano i suoi libri. È chiaro anche che ha già scritto quasi tutto quando si appassiona alla fotografia. Ma scopro che si porta dietro quelle immagini a Milano, a Firenze e a Roma, come se volesse, ogni volta, rivedere la casa, la gente che lo circondava e controllare il modo di vestirsi dei contadini e delle contadine, rivedere il mare e i campi e tutta la gente che lo aveva in qualche modo ispirato. Forse per scrivere ancora, studiare, confrontare, verificare. Per me fu una scoperta davvero straordinaria: un grande maestro del Verismo italiano si era affidato alla fotografia per riscoprire il mondo della realtà. Aveva ripreso volti, gesti e “pose” che si ritrovavano in molte delle sue opere, non c’era alcun dubbio. La “calligrafia” fotografica era piuttosto incerta perché molte delle immagini non erano bene a fuoco e in altre l’inquadratura appariva forzata e un po’ assurda. Ma la sostanza c’era tutta e il “mondo dei vinti” era leggibilissimo in quelle foto.
Wladimiro SETTIMELLI, cit.
Per ricordare, attraverso le appassionate indagini di Epifanio AJELLO, un Giovanni VERGA non solo fotografo, ma desideroso di farsi a sua volta fotografare, presumibilmente durante il suo viaggio a Parigi del 1884, da Gaspard Félix TOURNACHON in persona, più noto come NADAR, al quale commissionò una serie di ritratti.
Oppure per immaginare un VERGA maldestro, al punto da perdere una serie di fotografie scattate ad Acitrezza poiché, come egli riferisce in una lettera del 1898 al suo traduttore Édouard ROD,
“… nell’utilizzo la macchinetta s’è guastata nel fare il ritrattino al figlioletto dell’ingegnere in miniera, e tutte le prove che erano nel rocchetto, comprese quelle di Acitrezza, sono andate perdute”
Giovanni VERGA, cit.
La fotografia che personalmente più mi attrae è quella che i curatori Sebastiano FAVITTA, Attilio GERBINO e Roberto MUTTI hanno scelto ad emblema di questa mostra: lo splendido Autoritratto di VERGA del 1887.
Tutte le immagini intrigano, perché attraverso esse – in un curioso inseguirsi circolare di immaginazione e realtà – possiamo dare un volto a Mazzarò, Nedda, Bastianazzo, ‘Ntoni, Gesualdo, ai contadini ribelli della novella Libertà: ogni fotografia evoca un’ambientazione, un brano, un luogo che ci sono familiari, grazie alle ripetute letture di questo Autore intramontabile, che negli anni ci segue. Tuttavia con il proprio autoritratto VERGA ci ha consegnato se stesso, ed affidando ad una lastra di vetro la memoria di sé, ci trasmette ancor oggi la passione con cui egli coltivò la scoperta di questa tecnica che rappresentava l’essenza del Verismo, quell’arte fotografica nascente che all’epoca appassionò lui, che ancora oggi a lui ci accomuna, e che sentiamo particolarmente vicino in questo viaggio a ritroso nel tempo.
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Savona, novembre 2012
Lo scrittore che catturava la realtà
Giovanni VERGA arriva alla fotografia quasi per caso, utilizzando una grossa macchina a cassetta dello zio paterno con cui realizza a partire dal 1878 le prime fotografie su lastre di vetro nel formato 18x23. Coltiva la sua passione in sintonia con gli amici scrittori Federico DE ROBERTO e Luigi CAPUANA: con costoro scambia consigli e commenti lasciandosi talvolta andare ad aspre autocritiche nel definire “sgorbi fotografici” le sue immagini meno riuscite. Infatti, Giovanni VERGA non ha mai preteso di uscire da un ambito strettamente privato dove la fotografia è piacevolezza, ricordo, divertissement colto che, in quanto tale, è da realizzare con costanza e determinazione.
Dopo i primi esperimenti, lo scrittore si attrezza con altre macchine più maneggevoli con cui realizza la maggior parte delle sue fotografie usando lastre in vetro francesi LUMIÈRE e italiane della ditta milanese CAPPELLI e pellicole a rullo. Giovanni VERGA è un fotografo capace di realizzare ritratti mediocri come pregevoli e di far emergere un particolare estro soprattutto di fronte ai paesaggi urbani: attraverso gli errori affina il suo stile e quando padroneggia meglio la tecnica i risultati migliorano. Questo aspetto è importante per giudicare le fotografie dello scrittore che opera in un’epoca in cui, finita l’era dei pionieri, non è ancora iniziata quella in cui l’industria chimica e meccanica avrebbe reso le cose più semplici per tutti. Con gli anni i risultati dello scrittore fotografo migliorano, soprattutto quando nel suo corredo arriva la EASTMAN, un apparecchio leggero e maneggevole grazie a cui realizza inquadrature più ardite che si ritrovano anche quando riutilizza le vecchie macchine dimostrando di avere acquisito una pregevole forza espressiva. Nel 1911, misteriosamente, smette di scattare.
La dimensione privata della sua produzione fa sprofondare il VERGA fotografo in un oblio dal quale ciclicamente riemerge. Questa volta, confidiamo, per una riconsiderazione dei suoi pregi di autore. I ritratti - Il ritratto è il genere che Giovanni VERGA affronta fin dai primi scatti tanto che, guardando le sue fotografie, si può seguire l’evoluzione di uno stile che all’inizio è ingenuamente semplice: c’è la disponibilità e la pazienza del fotoamatore nel mettere tutti in posa, la ricerca di un equilibrio nella composizione dei gruppi come dei singoli, la costanza nel cercare un angolo giusto per scattare, non importa che sia sul terrazzino della casa di Catania o nell’angolo del cortile della tenuta di Tèbidi. Talvolta preferisce lavorare in esterni usando come sfondo il paesaggio che si intravede alle spalle dei soggetti, in altri casi fa ricorso come fondale a un paravento o, più comunemente, come facevano molti professionisti, a un lenzuolo teso.
Non sempre è soddisfatto (“dei ritratti – scrive – il meglio riuscito è quello di Giovanni colla sorellina, quello di Mario coi ragazzi non sarebbe male ma il piccolo Marco è irriconoscibile perché fuori fuoco”) ma in alcuni casi i risultati sono davvero pregevoli come quando riprende gli elegantissimi amici scrittori. Interessanti anche da un punto di vista sociale sono i ritratti della gente comune: contadini, donne di servizio, perfino una mendicante che alludono a quei “vinti” protagonisti di tante storie verghiane. (…)
Dalle lastre di vetro al digitale
Le fotografie presentate in questa mostra non sono vintage ma tutte stampe recenti, una scelta obbligata perché nessuna delle fotografie originali di Giovanni VERGA ci è pervenuta. Dalle lastre negative originali erano state tratte nel 1970, in occasione della prima mostra dell’autore, delle immagini le cui copie sono conservate nell’archivio fotografico della Fondazione 3M. A queste si è fatto ricorso perché la delicatezza delle lastre non ha reso possibile una loro ulteriore manipolazione per ricavare nuove stampe: in alcuni casi, infatti, l’emulsione è stata danneggiata, graffiata o addirittura si è parzialmente distaccata dal vetro.
Per ottenere una giusta intensità del viraggio seppia si sono utilizzate come parametro le immagini di Luigi CAPUANA che di VERGA è stato, fotograficamente parlando, il maestro e il suggeritore di molte soluzioni tecniche comprese le formule chimiche di sviluppo e fissaggio dei negativi.
Roberto MUTTI
Dal catalogo: “Giovanni Verga, scrittore fotografo”
Novara - Milano, De Agostini - Fondazione 3M, 2004
L’occasione offerta dalla Galleria GHIRRI
di poter tornare agli albori della fotografia italiana e, insieme, scoprire la testimonianza preziosa dell’opera dello scrittore Giovanni VERGA, qui nella veste di fotografo, ci consente di articolare una riflessione sul rapporto fra fotografi e scrittori, e, nello specifico, tra fotografi siciliani e scrittori siciliani.
Tutti conoscono della passione fotografica di Luigi CAPUANA, del suo “allievo” Federico DE ROBERTO, e oggi rinverdiamo, con la presente mostra, il contributo di Giovanni VERGA.
Non tutti hanno, però approfondito, la natura della loro passione: nel caso del primo perseguita tutta la vita con dispendio di quattrini e di risorse, nel secondo applicata con sistematicità nella documentazione della geografia etnea; libera e, in una certa misura eclettica, del nostro VERGA che, se tecnicamente non si apparentava a certe raffinatezze dell’amico CAPUANA, invero disponeva - ed è sotto gli occhi di tutti - di una visione più moderna, diremmo già fotografica (la posa, il taglio, la composizione, lo studio delle luci, la scelta dei soggetti) come ha ben rilevato il prof. GARRA AGOSTA, devoto esegeta dei suoi risultati fotografici.
La natura di questa passione era di tipo letterario?
Certamente i nostri scrittori costituiscono una trilogia che riconduciamo con facilità al Verismo letterario, al Naturalismo ricognitivo, al Realismo di analisi. Eppure i risultati conseguiti sono talmente vari (distribuiti come sono tra le foto ricordo, le foto di circostanza, i ritratti, quelli di costume e di genere) da non consentirci di sostenere con certezza una tesi di questo genere. C’è indubbiamente qualche testimonianza epistolare con la quale uno chiede all’altro documenti circa l’abbigliamento delle donne locali per utilizzarli, verosimilmente, negli allestimenti teatrali. Ma tutto ciò è insufficiente a sostenere la tesi, assai semplicistica quanto spontanea, di una naturale predisposizione alla fotografia dovuta alla loro scelta letteraria.
Era, allora, la loro fotografia, un mero trastullo, di borghesi, in qualche modo, benestanti, che si “divertivano” con il nuovo strumento?
Di certo, in CAPUANA, c’era la volontà di stupire, ingannare, falsificare anche il vero e, così, esplorare i confini della nuova invenzione. Ma in effetti, in VERGA, l’uso era più meditato e impegnato: c’è nello scrittore catanese il bisogno di capire perché intelletti preziosi come BAUDELAIRE avevano paura della fotografia e temevano, dalla sua affermazione, la scomparsa della pittura. C’è pure la volontà di cancellare i terrori provati da BALZAC di fronte all’obiettivo di NADAR. Ed all’opposto, l’incontro con le emozioni che già sperimentavano con la nuova arte il giovane Giovanni PASCOLI, “l’egiziano” esploratore MAUPASSANT, il “garibaldino” DUMAS, il vicino ZOLA. Insomma c’era nel VERGA, e lo comprendiamo in questi lavori, la precisa volontà di usare il mezzo fotografico, come analisi aggiunta, ulteriore, di quella realtà descritta e rimemorata attraverso le parole. “La bambina di Nuovaluce” e i “Massari di Vizzini”, rivisti in fotografia, svelavano allo scrittore quanto cose si dovevano fare e quanto lavoro restava da compiere per questa terra e per la sua gente. Ogni fotografia era una memoria.
Possiamo concludere ricordando che l’esempio degli scrittori suddetti è stato valorosamente ripreso, in termini più strettamente letterari ma sempre di grande valore. dal contributo che hanno saputo dare alla comprensione della fotografia ed alla sua affermazione, altri scrittori siciliani come SCIASCIA, BUFALINO, CONSOLO, BONAVIRI e MORMORIO. Anzi, dal loro esempio è venuta la provocazione a chiedere ai fotografi una loro trasmigrazione in campo letterario (vedasi l’esempio di Ferdinando SCIANNA).
E la storia continua.
Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Catania, ottobre 2012
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Anche questa mostra, a vent’anni dalla morte di Luigi GHIRRI (Scandiano RE, 1943 - Roncocesi RE, 1992) – il grande fotografo italiano del Novecento al quale, nel 1999, viene intitolata l’associazione culturale e l’omonimo spazio espositivo denominato pertanto Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone (prime, e al momento uniche, istituzioni dedicate all’indiscutibile maestro contemporaneo del saper vedere il mondo) – è dedicata a lui e alla moglie Paola BORGONZONI GHIRRI – scomparsa l’8 novembre 2011 –.
Con questo gesto cerchiamo di ricordare e dare testimonianza del suo … del loro insegnamento.
READING: Giacomo BARLETTA, Mario FAVARA e Margherita ROMANO, Ass.ne Culturale PERCORSI di Caltagirone
CREDITI FOTOGRAFICI: Fondazione 3M di Milano, proprietaria delle foto, che ne ha gentilmente concesso la mostra
RINGRAZIAMENTI: Dott.ssa Valentina SIRENA per la Fondazione 3M, Milano,
l’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Caltagirone CT, e Sergio VINCI – di Riesi –,
senza la cui disponibilità ultima, sarebbe arduo dar seguito alle mostre della GHIRRI
10
novembre 2012
Giovanni Verga scrittore e fotografo
Dal 10 novembre 2012 al 06 gennaio 2013
fotografia
serata - evento
serata - evento
Location
GALLERIA FOTOGRAFICA LUIGI GHIRRI
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Orario di apertura
lun./dom. 9.30 -12.30, 16.00 -19.00
Vernissage
10 Novembre 2012, ore 18.00
Autore
Curatore