31 gennaio 2010

WRIGHT IL TURNERIANO

 
Intervista a Richard Wright, vincitore del Turner Prize 2009 e creatore di opere nate per non durare. “Quando mi si chiede se mi addolora la distruzione del mio lavoro, forse la risposta dovrebbe essere che non va chiesto a me. Per me un elemento di sacrificio è importante, ma è al contempo un senso di liberazione dal passato”...

di

La tua installazione alla Tate
è stata ridipinta: non ti spiace? Capisco che il dispiacere non sia il punto,
ma non credi che trarremmo beneficio da una bellezza durevole nel tempo?

La fine di questo lavoro è stata
più sentita del solito, forse per via della pubblicità. Certo, una riflessione
su qualcosa che è sparito c’è – anche se rivisitassi il dipinto perderebbe
innocenza e dunque potenza -, c’è una perdita, ma non tristezza, perché questa
è la natura del lavoro.

In un’intervista al Guardian hai dichiarato che “c’è
troppa roba nel mondo
”. In termini d’arte, cosa non deve essere distrutto? Perché?
Il mio lavoro è intenzionalmente
in una posizione di precarietà. Ma ciò non significa che non debba
sopravvivere. Se qualcosa è sufficientemente significativa e necessaria, allora
sopravviverà (almeno per un po’). È un fatto di per sé sfortunato che Leonardo
abbia fatto alcuni errori tecnici nell’Ultima Cena. L’affresco ha poi avuto una vita
molto tormentata. Qualcuno potrebbe dire che non è più il lavoro di Leonardo ma
che è il suo fantasma che ci possiede. È chiaro che, ora che il mondo che lo ha
creato è scomparso, abbiamo bisogno di certe testimonianze.
Richard Wright - Untitled (08/06/09) - 2009 - courtesy Gagosian Gallery, Londra-New York & The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow & BQ, Berlin - photo Prudence Cuming Associates Ltd.
Molto è stato detto sulla tua
pittura erudita, che elabora motivi e tecniche del passato. Chi ha influenzato
la tua arte?

Avrei bisogno di un libro per
questo. Una lista potrebbe iniziare con il Maestro dell’Osservanza, la pittura
indiana mughal, Duccio, i Lorenzetti, Mondrian, Duchamp, Paul Rand e Rick
Griffin… Sono influenzato da circa tutto ciò che vedo e spesso guardo al
lavoro di artisti i cui nomi non sono conosciuti, forse perché di altre culture
o tempi. O perché non considerati artisti.

Il paradigma del bello è stato
stabilito una volta per tutte?

Penso che il futuro ci ricorderà
come un’età egoista che si riflette nella nostra arte. Forse abbiamo bisogno
della cultura del passato perché questa ci mette in una luce differente; mostra
che ce la possiamo fare. Da lì veniamo e senza di essa siamo vuoti. Ma ciò non
significa che il paradigma della bellezza sia già stato definito. Il passato è
solo uno specchio. Potrebbe essere uno specchio in cui siamo intrappolati. Ma
proprio per questo un pittore dovrebbe sempre ricominciare da capo come se non
ci fosse arte.

Come descriveresti la relazione
con lo spazio in cui/che dipingi? Chi decide cosa?

Lo spazio è come se fosse già
un’opera, come se emettesse un suono o una voce. Cerco di sviluppare il lavoro
in modo tale da liberare quella voce. La cosa più importante è spesso cosa non
c’è, e dunque la parte principale del lavoro è lo spazio in cui è collocato.
Richard Wright - No Title - 2007 - courtesy Gagosian Gallery, Londra-New York & The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow & BQ, Berlin - photo Ruth Clark
E il sistema dell’arte
contemporanea? Il tuo lavoro sembra negarlo, ma ti è stato attribuito uno dei
suoi premi più noti. È una contraddizione?

Nessuno può negare il sistema
dell’arte contemporanea, ma il sistema ha molto poco a che fare con l’Arte.
Principalmente riguarda la produzione di valore che oggi qualifica lo stato
dell’opera d’arte. È un piacere essere “riconosciuto” ma non ha a che vedere
con l’arte.

Inevitabile banalità: che tipo
di persona sei?

Credo che sia una domanda per
altri. Non posso dire di essere nulla.

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a cura di silvia colaiacomo

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