Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Omaggio a Guido Gambone
In mostra una quarantina di pezzi della Collezione di Giuseppe Tampieri – pittore faentino e suo stimato amico – insieme a 24 opere tra cui alcuni inediti presenti nella collezione del Museo stesso
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Omaggio a Guido Gambone, la prossima mostra che inaugura il 20 ottobre, alle 17.30, al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, espone una quarantina di pezzi della Collezione di Giuseppe Tampieri - pittore faentino e suo stimato amico - insieme a 24 opere tra cui alcuni inediti presenti nella collezione del Museo stesso.
Guido Gambone di origine campana, si trasferisce giovanissimo con la famiglia a Vietri dove impara l’arte della ceramica. Qui lavora con le principali manifatture ed entra in contatto con la cosiddetta "colonia dei ceramisti tedeschi" attivi a Vietri negli anni ’20 e ’30 (Richard Doelker, Irene Kowaliska, Gunther Stundemann, Elle Scwarz, Barbara Margarethe, Thewalt-Hannasch) assimilandone lo stile fiabesco mediterraneo. Influenzato soprattutto da Irene Kowaliska, Gambone elabora un proprio stile attento alle forme primitive e alla decorazione astratto-figurativa e fondando una sua manifattura “La Faenzerella”.
Le occasioni che portarono Guido Gambone a Faenza furono diverse. Partecipò a diversi edizioni del Premio Faenza, proprio su sollecito di Tampieri, vincendone ben cinque edizioni (1947, 1948, 1949, 1959, 1960) e grazie, sempre all’interessamento dell’amico e all’aiuto di Ennio Golfieri e di Melisanda Lama - allora segretaria del Mic - realizza una mostra nel dicembre del 1948.
“Parte delle opere esposte all’epoca sono affini a quella della mostra di oggi – scrive Claudia Casali, direttrice del Mic – sono manufatti, di natura sperimentale, che richiamano in parte , nella figurazione, l’esperienza di Vietri e della colonia tedesca”.
In mostra anche tre dipinti realizzati negli anni ’50 che “mostrano chiari riferimenti alla Scuola Romana e al Novecento, - continua - un’impronta propriamente surrealistico-metafisica, di certo marginale rispetto agli esiti ceramici”.
Guido Gambone e Giuseppe Tampieri si conoscono a Firenze tra il 1938 e il 1941, anni in cui Tampieri frequentò l’Istituto d’arte e da allora comincia un lungo rapporto di amicizia e di affinità elettive.
Tampieri lo definisce “dal carattere fiero e intransigente” e rivela la sua segreta passione per la pittura. Purtroppo la monografica faentina del 1948 passò un po’ in secondo piano, nonostante l’anno prima avesse vinto il Premio Faenza. “E allora, come mai quella che effettivamente era la sua prima mostra personale passò inosservata - si chiede Tampieri - e non è nemmeno citata oggi nelle sue schede bibliografiche?”.
Dopo 43 anni dalla sua morte ecco che Tampieri torna a celebrare l’amico con questa nuova esposizione ricordandolo ancora con affetto: “Sono passati tanti anni - dice - e ancora sento la sua presenza nelle lettere e nelle opere che ho conservato gelosamente”.
La mostra inaugura il 20 ottobre alle 17,30 e rimane allestita fino al 6 gennaio 2013.
Scheda tecnica
Titolo: Omaggio a Guido Gambone
Dove: Mic - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, viale Baccarini 19, 48018. Faenza (Ra)
Inaugurazione: 20 ottobre, ore 17.30
Durata: 20 ottobre 2012 – 6 gennaio 2013
Apertura: dal martedì al venerdì 10,00-13,30, sabato, domenica e festivi 10,00-17,30, chiuso il lunedì
Ingresso: intero 8 euro, ridotto 5 euro, pacchetto famiglia 12 euro.
Info: 0546 697311 , info@micfaenza.org, www.micfaenza.org
Biografia
Pittore, scultore e ceramista Guido Gambone, nato ad Avellino il 27 giugno del 1909 si
trasferisce giovanissimo con i genitori a Vietri ed inizia il suo rapporto con la ceramica presso la
manifattura "Avallone" di proprietà di don Ciccio Avallone, prima come apprendista, poi come
pittore e quindi capo pittore, e completa la sua formazione presso la "M.A.C.S." (Manifattura
Artistica Ceramica Salernitana) di proprietà, come la "I.C.S." (Industria Ceramica Salernitana),
presso la quale lavora alcuni anni dopo, dell'imprenditore tedesco Max Melamerson.
Lavorando presso queste manifatture entra in contatto con la cosidetta "colonia dei ceramisti
tedeschi" attivi a Vietri (Richard Dolker, Irene Kowaliska, ecc.) assimilandone lo stile.
Attento a tutti i mutamenti artistici della sua epoca giovanissimo si avvicina alla corrente Valori
Plastici.
Nel 1930 è invitato ad esporre le sue ceramiche alla Triennale di Milano.
Nel 1933, a causa di un grave incidente d'auto subisce l'amputazione di un arto.
Intorno alla metà degli anni Trenta il suo interesse si rivolge al Gruppo dei Nuovi Pittori Romani
costituito da Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli.
Nel 1935 è direttore artistico all "I.C.S." e nel 1936 viene trasferito, insieme a Vincenzo Procida
e a Francesco Solimene, a Firenze presso la manifattura per la produzione di ceramiche
artistiche "Cantagalli" con la quale Melamerson ha stretto un accordo di collaborazione.
Nello stesso anno si sposa con Concetta Pierro.
Presso la "Cantagalli" realizza una produzione in stile vietrese ma fortemente influenzato dalla
pittura metafisica di Massimo Campigli e dal Novecentismo di Giò Ponti.
Arricchito dall'esperienza fiorentina e influenzato dalla ricerca sul colorismo plastico e sugli smalti
vetrosi di di Max Laeuger, nel 1939 torna a Vietri, alla manifattura "I.C.S." e qui entra in contatto
con il ceramista sardo Melchiorre Melis restandone influenzato.
Negli anni Quaranta apre una piccola manifattura in proprio ma la guerra ne interrompe
bruscamente l'operato.
Nell'immediato secondo dopoguerra Guido Gambone insieme al fratello Remigio e all'amico
Andrea D'Arienzo fonda una manifattura ceramica con ragione sociale "Faenzarella" e,
tralasciando la ceramica artistica, inizia a produrre manufatti semplici, privi o quasi di decoro e
destinati a rimpiazzare le indispensabili stoviglie andate perse durante la guerra.
Con la "Faenzarella"collabora in quegli anni anche Vincenzo Procida.
Contemporaneamente, per sopravvivere, lavora a Marina di Vietri presso le ex fabbriche di
Melamerson rilevate da Negri.
Lentamente la "Faenzarella" torna a produrre ceramica artistica ottenendo un lento ma crescente
successo e negli anni 1947 e 1948 alcuni manufatti realizzati da Gambone con il marchio
della "Faenzarella"(un asinello) partecipano, vincendolo, al premio Faenza.
Nel 1947, con il pannello ceramico La repubblica italiana del lavoro, vince per la prima volta il
Premio Faenza, premio che gli viene riconosciuto anche nel 1948, con Coppa con ornati astratti,
ex equo con una fiasca di Anselmo Bucci nel '49, con la fiasca dal titolo La faenzarella, nel '59 con
Coppa e vaso in bianco graffito e nel '60 con Forma plastica bruno e ruggine e vaso bruno e bianco.
Nel 1949 ottiene il I° premio al concorso Premio Nove bandito dall'Ente Fiera di Vicenza.
Nel 1950 Gambone si trasferisce definitivamente a Firenze e, insieme all'amico Andrea D'Arienzo
e dopo un periodo trascorso alla "Cantagalli" dove mette in produzione alcuni lavori ispirati alla
produzione pontiana, fonda la manifattura la "Tirrena ", con cui collaborano anche Vincenzo
Procida, Luli Moriondo e il figlio di Guido, Bruno Gambone.
Nel 1950 è invitato ad esporre alcuni suoi lavori, tra cui un piatto dal titolo Madonna e Bambino,
alla Mostra dell'Artigianato Italiano al Brooklyn Museum di New York e nello stesso anno
partecipa, fuori concorso, al Premio Faenza.
Nel 1951 presenta la sua prima personale alla Galleria Il Milione di Milano.
Nel 1959 è primo premio al Concorso di Faenza, nel 1960 ottiene una medaglia d'oro alla Biennale
della Ceramica di Gubbio e nel 1962 è vincitore del primo premio al Concorso di Gualdo Tadino.
La manifattura rimane attiva fino al 1967.
Guido Gambone muore a Firenze nel 1969.
TESTIMONIANZA GIUSEPPE TAMPIERI
Ho conosciuto Guido Gambone a Firenze nel lontano 1938. Frequentavo allora i corsi dell’Istituto
d’Arte e avevo appena iniziato gli ultimi due anni di Magistero che mi avrebbero abilitato
all’insegnamento della scultura in pietra e marmo.
Un tardo pomeriggio, finite le lezioni, mentre stavo percorrendo la breve discesa verso il
piazzale di Porta Romana, vidi venirmi incontro il mio vecchio amico ceramista Angelo Ungania.
Lo seguiva a breve distanza, appoggiandosi al bastone, Guido Gambone. Angelo me lo presentò
come amico e stimato collega di lavoro nella vicina Fabbrica di ceramiche Cantagalli.
Un po’ perché avevamo tutti altri impegni, un po’ perché l’andirivieni del pubblico e dei mezzi
di trasporto era troppo rumoroso, decidemmo di rinviare quel primo approccio ad altra più
favorevole occasione.
L’occasione che doveva rivelarmi il carattere più autentico di Guido Gambone, avvenne
casualmente prima del previsto: mi ero fermato davanti alla vetrina di un piccolo negozietto
d’antiquariato e stavo passando in rassegna gli oggetti esposti, quanto sentii picchiettarmi sulla
spalla. Mi voltai, era Guido: “Ti ho seguito e ti ho beccato, ti andrebbe di fare quattro chiacchiere
con me?”. Non avevo impegni e approvai. Eravamo a pochi passi dal Caffè Petrarca e io proposi di
sederci lì. Non l’avessi mai detto, storse la bocca e ghignò: “In quel covo di vipere, no!”. “E allora
dove?”. Un attimo per pensare e disse: “So io dove possiamo parlare liberamente senza tanti
ficcanaso tra i piedi”. Mi prese sottobraccio e mi portò dove c’era una panchina riparata dal sole
a ridosso di una folta siepe di ginepro. “Qui, disse, ci vengo ogni tanto per riposarmi dopo una
giornata di duro lavoro per pensare ai fatti miei, e qui ti ho portato per parlare anche dei fatti
nostri”.
Ci sedemmo e aspettai che parlasse. Mi fissò un po’ titubante e disse: “Tu che frequenti il mio
stesso ambiente, ne avrai sentite delle belle sul mio conto”. “Perché mi fai questa domanda?”. E
lui, “Così, per sapere come la pensi”. “Te lo dico subito come la penso: dai pettegolezzi, dicerie e
maldicenze, sto alla larga. Se poi mi trovo in un locale pubblico o privato e sento trinciare giudizi
velenosi, sicuramente in malafede, prendo su e me ne vado”. Mi interruppe eccitato: “Ma come,
nemmeno se il calunniato fosse stato tuo amico?”. E io di rimando: “In questo caso gli avrei
consigliato di lasciar perdere per non cacciarsi nei guai”. Non mi lasciò finire: “E io dovrei credere
che non esprimi mai le tue opinioni?”. “E come no, ma le esprimo soltanto quando l’interlocutore
è disposto ad ascoltarle”.
Ne avevo abbastanza di quel bisticcio e replicai: “Senti, se ci tieni proprio alla mia amicizia,
parliamoci chiaro…”. “Basta così, disse Guido, ora so che posso fidarmi di te, stiamo allegri e
parliamo d’altro, ma non adesso. La prossima volta chiariremo tutto con più calma”.
Si era fatto tardi e ce ne andammo. Al momento di separarci mi abbracciò e disse: “Ho idea che
noi due ci intenderemo presto”.
Con questo auspicio ogni incertezza scomparve e fu vera amicizia.
Degli anni che trascorremmo insieme a Firenze, dal 1938 al 1941, anno in cui terminai i miei
studi e me ne tornai a Faenza, ci sarebbe molto altro da dire: del carattere fiero e intransigente
di Guido, del suo bisogno di sentirsi compreso e amato, della sua segreta passione per la pittura,
della impellente necessità di trovare una sistemazione autonoma e indipendente in un laboratorio
suo proprio per esprimere liberamente tutto il suo talento.
Lo spazio a mia disposizione è limitato e perciò stringo i tempi, anche perché il nostro sodalizio
fiorentino si rinnovò altrove e più intensamente a Faenza. Dopo molti mesi di separazione ricevetti
una sua lettera da Vietri, intestata Manifattura Artistica Ceramica Salernitana, dove mi annunciava
che sarebbe andato a Firenze e che, in tal caso, avrebbe allungato il percorso per venire a
trovarmi.
Fu, questa, la prima di una lunga, fitta corrispondenza epistolare, dove la testimonianza diretta
di Guido è sicuramente più affidabile del mio attuale ricorso alla memoria. E dunque è dai suoi
scritti e con le sue stesse parole che ho potuto estrarre gli aspetti più significativi delle vicende che
ci coinvolsero, e che qui di seguito riporto.
Vietri 07-10-1942 -
Caro Peppino, ti ringrazio innanzitutto e spero che tu mi creda sincero,
dell’accoglienza fattami ed in particolar modo dell’ospitalità avuta presso i tuoi (benedette
tagliatelle! Fammene fare una foto a colori dal tuo amico dottore. La proietterei in famiglia all’ora
dei pasti).
Vietri 19-04-1943…Dimenticavo di dirti che in questi ultimi tempi ho potuto ripetere a Vietri i miei
tentativi di Firenze e con successo, tanto che si impone una mostra personale per far conoscere
alle turbe queste belle maioliche.
Vietri 02-02-1948…scusami del ritardo…l’invio della cassa dei dipinti …Ti ringrazio per la spinta che
mi dai; la fiducia che hai in me mi commuove, tanto più che veramente non credo di valere tanto
quanto tu vuoi far apparire…Ti dico questo con la massima sincerità, checché ne pensino quelli che
mi conoscono solo dall’esterno. So che assumo a volte pose che sono il primo a deprecare e tu che
mi conosci sai che sono una difesa.
Vietri 10-07-1948 – La Faenzerella…Caro Peppino, la tua è stata un’ondata di calore, e non è
poca cosa per me oggi. Il resto a voce, ché conto di essere a Faenza nei primi giorni dell’entrante
settimana. E’ stata la tua a decidermi. Nient’altro da dire per ora. Sento ancora di dirti che la tua
amicizia mi commuove e mi sento meno solo.
Vietri 23-07-1948…Appena a casa, ho passato in rivista quanto ho di pronto di pittura e credo che
qualche cosa di presentabile ci sia. L’idea della mostra a Faenza mi elettrizza…e poi, curata da te…I
giorni di Faenza, il tuo esempio, mi hanno rimesso in sesto…Tra qualche giorno ti invierò la piccola
maiolica che è mia e ho sempre evitato di vendere. Dandola a te è come l’avessi ancora io.
Vietri 02-10-1948...ti ringrazio delle ricette di tempere che sono interessanti e che proverò appena
possibile. Io sto lavorando tutte le sere e qualche risultato conto di averlo ottenuto, anche se può
spaventare un osservatore superficiale…Pare che la faccenda del Brasile vada concretandosi; ma
anche se dovessi partire, non rinuncerei alla mostra di Faenza e i motivi sono molti: il primo forte è
il bisogno di essere stimato da chi stimo.
Vietri 26-10-1948…Il Brasile? Oramai ho deciso di partire, se si concretizza tutto come da taluni
sintomi appare: pensa che in ultima analisi andrò a vedere le più belle farfalle del mondo e i più
bei pappagalli. E poi sento la urgente necessità di liberarmi della vita di tutti i giorni, anche a
costo di dovermene creare un’altra più o meno identica. Mi dirai che non ne vale la pena, ma è
sempre “altrove”.
Vietri 28-10-1948…E’ certo che se lavoro adesso, in buona parte lo devo a te, al tuo esempio e
spinte, ma non vorrei darti delusioni, mi dispiacerebbe troppo.
Vietri 23-11-1948…sono tutto preso e occupato da questa scocciatura che non ci voleva, come tu
definisci il mio viaggio in Brasile…E’ con commozione che ti dico che la nostra amicizia non finirà
sul molo d’imbarco. Continueremo a tenerci in contatto, e se tu mi hai ritrovato, dal canto mio ho
finalmente un fratello.
Non sapendo come si sarebbe risolta la faccenda del Brasile, tanto valeva occuparci della
mostra a Faenza.
Le opere di Guido erano già pronte; soltanto i locali disponibili, danneggiati dagli eventi bellici,
erano da restaurare. Perciò l’apertura della mostra fu spostata al giorno di Natale. A complicare le
cose contribuirono l’inverno glaciale e la grande epidemia influenzale che imperversò nel nostro
paese. Io, che ero già febbricitante durante l’allestimento delle opere, assolsi il mio impegno nel
miglior modo possibile e, prima di mettermi a letto, passai le consegne a due persone amiche
e affidabili: Melisanda Lama – segretaria del direttore del Museo delle Ceramiche di Faenza – e
Liana Macellari. Il giorno di Natale, il medico che mi visitò scosse subito la testa: mi ero buscato
una brutta broncopolmonite acuta e le speranze di cavarmela erano scarse. Fortunatamente dosi
massicce di penicillina mi salvarono dal peggio.
Guido, a letto anche lui con l’influenza a Vietri, seppe da Liana dell’estrema gravità del mio
malanno e ne fu scosso. Nella lettera che mi mandò mi diceva: “Non so dirti il mio stato d’animo
alla notizia della tua malattia e di quanto essa sia imputabile a me. La sera che ti lasciai alla
stazione, sentivo che non stavi bene e se avessi avuto più intuizione, non sarei partito. Non mi
perdono di non averlo fatto”.
Ma poi, perché recriminare? Nessuno aveva colpe. Tutti ci eravamo impegnati al massimo;
Guido, addirittura, con la sua produzione migliore di ceramiche e pittura. Oltre tutto, Gambone
era già noto a Faenza per essersi aggiudicato il prestigioso “Premio Faenza” l’anno prima, 1947, e
in quello stesso 1948 (successivamente ne avrebbe vinti altri tre nel 1949, 1959, 1960). E allora,
come mai quella che effettivamente era la sua prima mostra personale passò inosservata e non è
nemmeno citata, a tutt’oggi nelle sue schede biografiche?
Comunque alla chiusura della mostra rispedimmo le opere invendute a Vietri e di questa
deludente esperienza non si parlò più.
In una lettera del 10-02-1949, Guido mi scriveva: “Molto probabilmente non andrò in Brasile, la
ragione è la mia mutilazione. Al consolato a cui mi sono rivolto per il visto del passaporto, pensano
che io non possa lavorare con una gamba soltanto – hanno una strana idea di come si possa
produrre della maiolica…”.
Vietri 23-12-1949…Lo scorso mese è stato qui Orio Vergani e abbiamo parlato di te: non puoi
immaginare come questa comune amicizia abbia servito ad avvicinarci. Vergani è un uomo in
gamba e mi ha intimidito.
Vietri 05-04-1950…a fine settimana andrò a Firenze per restarci. Come ti accennai a suo tempo
della faccenda; dopo lungo e periglioso viaggio, sono giunto in porto, e oramai la fabbrica c’è.
Firenze 19-05-1950…Ho intenzione di lavorare forte e prepararmi per una mostra da farsi a
Milano…Spero di averti qui un giorno o l’altro per farti vedere quanto ho realizzato.
Firenze 23-11-1950…Enorme sorpresa per la decisione tua di restare a Genova…
Come risulta da questi brevi stralci di lettere, tanto Guido che io avevamo trovato finalmente
una sistemazione più duratura, lui a Firenze e io a Genova, con l’esaltante prospettiva di fare
sempre nuove esperienze.
Non ne risentì la nostra amicizia, anzi fu più stimolante comunicarci a voce o per lettera le
nostre realizzazioni. Quando poi nei miei frequenti spostamenti da una città all’altra passavo da
Firenze, non mancavo mai di andare a trovarlo nel suo laboratorio di via Palazzo dei Diavoli. Lì lo
vedevo felice di mostrarmi le sue ultime creazioni e, se si accorgeva che una di queste attirava
maggiormente la mia attenzione, me ne faceva dono.
In quella “sua” officina – assillante obbiettivo raggiunto dopo tanti anni di incertezze e
sofferenze – egli trovò finalmente la serenità indispensabile per esprimere tutto il suo potenziale
ed inesauribile talento, mai pago di sperimentare nuovi valori materici e sempre più ardite forme
plastiche. E con il riconoscimento di queste eccezionali qualità anche il suo nome e la sua valentia
si diffusero rapidamente.
L’ultima volta che andai a trovarlo a Firenze volle portarmi a pranzo a Pontassieve con la sua
macchina espressamente predisposta per il suo arto artificiale. Era allegro e non mi sembrò che
avesse problemi.
Non molto tempo dopo un amico mi fermò per strada e mi disse: “Hai saputo di Gambone?”.
Ero impallidito e lui capì: “allora non sapevi che è morto”. “Quando?” chiesi e lui: “una decina di
giorni fa”.
Sono passati tanti anni e ancora sento la sua presenza nelle lettere e nelle sue opere che ho
conservato gelosamente.
La Fondazione Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, dove opere di Gambone sono
già esposte in permanenza, ha accolto l’idea di mettere in mostra, dal 20 ottobre al 6 gennaio
2013, l’intera mia raccolta.
Devo dire che non poteva esserci sede più autorevole per onorare la memoria di un insigne
Maestro della ceramica italiana e internazionale.
Giuseppe Tampieri
Omaggio a Guido Gambone (1909-1969)
Di Claudia Casali
Quella tra Guido Gambone e Giuseppe Tampieri non fu una semplice amicizia, fu un rapporto
di stima reciproca, di rispetto e di confronto, come si legge dall’appassionata testimonianza
qui allegata. Conosciutisi a Firenze, poco prima della guerra, continuarono a frequentarsi negli
anni, con un rispetto e una franchezza unici. Gambone aveva un caratteraccio, ricorda Tampieri,
era molto aggressivo: “Fu un colpo di fulmine! Ci intendemmo subito, poiché avevamo gusti
compatibili, ci rispettavamo”. Nella Firenze dell’epoca la polemica era all’ordine del giorno, era lo
svago cittadino, e Gambone reagiva in malo modo ai discorsi improvvisati e alle boutades. Finita la
Scuola di perfezionamento in scultura, Tampieri si trasferì a Faenza ed iniziò tra loro una intensa
corrispondenza epistolare, che sollecitò, fortunatamente, Gambone a partecipare a diversi Premi
Faenza, vincendo ben cinque edizioni (1947, 1948, 1949, 1959, 1960). Dagli scritti di Gambone
emerge il profilo di una forte e sensibile personalità, molto critica con se stesso e il proprio lavoro.
Tampieri organizzò a Faenza nell’inverno 1948 una mostra monografica presso i locali in disuso
della Società delle Arti, grazie all’aiuto di Ennio Golfieri e soprattutto di Melisanda Lama, allora
segretaria del Museo Internazionale delle Ceramiche. Tampieri, influenzato, allestì la mostra che
venne inaugurata, senza clamori né promozione, alla vigilia di Natale, con un buon successo di
vendite. Parte delle opere esposte all’epoca sono affini a quelle in mostra oggi: sono manufatti
di natura sperimentale, che richiamano in parte, nella figurazione, l’esperienza di Vietri e della
colonia tedesca di Gunther Studemann, Richard Doelker, Elle Schwarz, Barbara Margarethe
Thewalt-Hannasch e Irene Kowaliska, attiva a Vietri negli anni ’20-’30, con inclinazioni fiabesco-
mediterranee. Gambone assorbe il cambiamento apportato soprattutto da Kowaliska, immette
personali suggestioni nordiche e primitive e, grazie ad un attento e curioso sperimentalismo,
riesce a trovare un proprio inimitabile stile, rintracciabile già nell’esperienza della sua prima
manifattura “La Faenzerella” a Vietri. Oltre all’influsso tedesco si avvertono echi di derivazione
kleeiana, soprattutto nelle piccole piastrelle di ambito astratto-figurativo. Le opere successive
rivelano invece la sua passione per la materia, la sua indole primitivo-arcaica che, soprattutto
con il trasferimento a Firenze nel 1950 e la fondazione della manifattura “Ceramica Gambone”,
trova nel grès e negli impasti vetrosi la sua più importante affermazione. La materia della sua
opera sottolinea quel connubio, evidenziato dallo stesso Gio Ponti, tra modernità e ancestralità,
precorritore di tante scelte artistiche degli anni ’60. Uno scettico della ceramica come Garibaldo
Marussi incensò l’opera di Gambone la cui “ceramica non è un gioco a vuoto… Non occorre molto
per accorgersi che le creazioni di Gambone nascono tutte da una necessità interiore, da un moto
della fantasia, cui sorregge una tecnica sottile e raffinata…” (in “La Fiera letteraria”, 18 febbraio
1951). La solida innovazione nel rispetto e conoscenza di una grande tradizione ceramica e la
certezza della scultura erano i due punti saldi della sua grande poetica. E le opere del MIC, esposte
accanto a quelle della Collezione Tampieri, dimostrano appieno una lezione di “affinità elettive”,
per dirla con Marussi, con la mediterraneità e la tradizione scultorea italiane, che proprio nei
fervidi anni ’50 emergono in tutto il loro splendore.
Come ricorda Tampieri, il vero sogno di Gambone era fare pittura, che in parte riuscì a trasferire
a certi suoi particolarissimi esiti formali. I tre dipinti esposti, realizzati negli anni ’50 mostrano
chiari riferimenti alla Scuola Romana e al Novecento, un’impronta più propriamente surrealistico-
metafisica, di certo marginale rispetto agli esiti ceramici.
Questo omaggio non è certo esaustivo del percorso artistico di Gambone. È comunque un
riconoscimento ad uno straordinario protagonista del secondo dopoguerra, un innovatore
riservato e raffinato.
Guido Gambone di origine campana, si trasferisce giovanissimo con la famiglia a Vietri dove impara l’arte della ceramica. Qui lavora con le principali manifatture ed entra in contatto con la cosiddetta "colonia dei ceramisti tedeschi" attivi a Vietri negli anni ’20 e ’30 (Richard Doelker, Irene Kowaliska, Gunther Stundemann, Elle Scwarz, Barbara Margarethe, Thewalt-Hannasch) assimilandone lo stile fiabesco mediterraneo. Influenzato soprattutto da Irene Kowaliska, Gambone elabora un proprio stile attento alle forme primitive e alla decorazione astratto-figurativa e fondando una sua manifattura “La Faenzerella”.
Le occasioni che portarono Guido Gambone a Faenza furono diverse. Partecipò a diversi edizioni del Premio Faenza, proprio su sollecito di Tampieri, vincendone ben cinque edizioni (1947, 1948, 1949, 1959, 1960) e grazie, sempre all’interessamento dell’amico e all’aiuto di Ennio Golfieri e di Melisanda Lama - allora segretaria del Mic - realizza una mostra nel dicembre del 1948.
“Parte delle opere esposte all’epoca sono affini a quella della mostra di oggi – scrive Claudia Casali, direttrice del Mic – sono manufatti, di natura sperimentale, che richiamano in parte , nella figurazione, l’esperienza di Vietri e della colonia tedesca”.
In mostra anche tre dipinti realizzati negli anni ’50 che “mostrano chiari riferimenti alla Scuola Romana e al Novecento, - continua - un’impronta propriamente surrealistico-metafisica, di certo marginale rispetto agli esiti ceramici”.
Guido Gambone e Giuseppe Tampieri si conoscono a Firenze tra il 1938 e il 1941, anni in cui Tampieri frequentò l’Istituto d’arte e da allora comincia un lungo rapporto di amicizia e di affinità elettive.
Tampieri lo definisce “dal carattere fiero e intransigente” e rivela la sua segreta passione per la pittura. Purtroppo la monografica faentina del 1948 passò un po’ in secondo piano, nonostante l’anno prima avesse vinto il Premio Faenza. “E allora, come mai quella che effettivamente era la sua prima mostra personale passò inosservata - si chiede Tampieri - e non è nemmeno citata oggi nelle sue schede bibliografiche?”.
Dopo 43 anni dalla sua morte ecco che Tampieri torna a celebrare l’amico con questa nuova esposizione ricordandolo ancora con affetto: “Sono passati tanti anni - dice - e ancora sento la sua presenza nelle lettere e nelle opere che ho conservato gelosamente”.
La mostra inaugura il 20 ottobre alle 17,30 e rimane allestita fino al 6 gennaio 2013.
Scheda tecnica
Titolo: Omaggio a Guido Gambone
Dove: Mic - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, viale Baccarini 19, 48018. Faenza (Ra)
Inaugurazione: 20 ottobre, ore 17.30
Durata: 20 ottobre 2012 – 6 gennaio 2013
Apertura: dal martedì al venerdì 10,00-13,30, sabato, domenica e festivi 10,00-17,30, chiuso il lunedì
Ingresso: intero 8 euro, ridotto 5 euro, pacchetto famiglia 12 euro.
Info: 0546 697311 , info@micfaenza.org, www.micfaenza.org
Biografia
Pittore, scultore e ceramista Guido Gambone, nato ad Avellino il 27 giugno del 1909 si
trasferisce giovanissimo con i genitori a Vietri ed inizia il suo rapporto con la ceramica presso la
manifattura "Avallone" di proprietà di don Ciccio Avallone, prima come apprendista, poi come
pittore e quindi capo pittore, e completa la sua formazione presso la "M.A.C.S." (Manifattura
Artistica Ceramica Salernitana) di proprietà, come la "I.C.S." (Industria Ceramica Salernitana),
presso la quale lavora alcuni anni dopo, dell'imprenditore tedesco Max Melamerson.
Lavorando presso queste manifatture entra in contatto con la cosidetta "colonia dei ceramisti
tedeschi" attivi a Vietri (Richard Dolker, Irene Kowaliska, ecc.) assimilandone lo stile.
Attento a tutti i mutamenti artistici della sua epoca giovanissimo si avvicina alla corrente Valori
Plastici.
Nel 1930 è invitato ad esporre le sue ceramiche alla Triennale di Milano.
Nel 1933, a causa di un grave incidente d'auto subisce l'amputazione di un arto.
Intorno alla metà degli anni Trenta il suo interesse si rivolge al Gruppo dei Nuovi Pittori Romani
costituito da Corrado Cagli, Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli.
Nel 1935 è direttore artistico all "I.C.S." e nel 1936 viene trasferito, insieme a Vincenzo Procida
e a Francesco Solimene, a Firenze presso la manifattura per la produzione di ceramiche
artistiche "Cantagalli" con la quale Melamerson ha stretto un accordo di collaborazione.
Nello stesso anno si sposa con Concetta Pierro.
Presso la "Cantagalli" realizza una produzione in stile vietrese ma fortemente influenzato dalla
pittura metafisica di Massimo Campigli e dal Novecentismo di Giò Ponti.
Arricchito dall'esperienza fiorentina e influenzato dalla ricerca sul colorismo plastico e sugli smalti
vetrosi di di Max Laeuger, nel 1939 torna a Vietri, alla manifattura "I.C.S." e qui entra in contatto
con il ceramista sardo Melchiorre Melis restandone influenzato.
Negli anni Quaranta apre una piccola manifattura in proprio ma la guerra ne interrompe
bruscamente l'operato.
Nell'immediato secondo dopoguerra Guido Gambone insieme al fratello Remigio e all'amico
Andrea D'Arienzo fonda una manifattura ceramica con ragione sociale "Faenzarella" e,
tralasciando la ceramica artistica, inizia a produrre manufatti semplici, privi o quasi di decoro e
destinati a rimpiazzare le indispensabili stoviglie andate perse durante la guerra.
Con la "Faenzarella"collabora in quegli anni anche Vincenzo Procida.
Contemporaneamente, per sopravvivere, lavora a Marina di Vietri presso le ex fabbriche di
Melamerson rilevate da Negri.
Lentamente la "Faenzarella" torna a produrre ceramica artistica ottenendo un lento ma crescente
successo e negli anni 1947 e 1948 alcuni manufatti realizzati da Gambone con il marchio
della "Faenzarella"(un asinello) partecipano, vincendolo, al premio Faenza.
Nel 1947, con il pannello ceramico La repubblica italiana del lavoro, vince per la prima volta il
Premio Faenza, premio che gli viene riconosciuto anche nel 1948, con Coppa con ornati astratti,
ex equo con una fiasca di Anselmo Bucci nel '49, con la fiasca dal titolo La faenzarella, nel '59 con
Coppa e vaso in bianco graffito e nel '60 con Forma plastica bruno e ruggine e vaso bruno e bianco.
Nel 1949 ottiene il I° premio al concorso Premio Nove bandito dall'Ente Fiera di Vicenza.
Nel 1950 Gambone si trasferisce definitivamente a Firenze e, insieme all'amico Andrea D'Arienzo
e dopo un periodo trascorso alla "Cantagalli" dove mette in produzione alcuni lavori ispirati alla
produzione pontiana, fonda la manifattura la "Tirrena ", con cui collaborano anche Vincenzo
Procida, Luli Moriondo e il figlio di Guido, Bruno Gambone.
Nel 1950 è invitato ad esporre alcuni suoi lavori, tra cui un piatto dal titolo Madonna e Bambino,
alla Mostra dell'Artigianato Italiano al Brooklyn Museum di New York e nello stesso anno
partecipa, fuori concorso, al Premio Faenza.
Nel 1951 presenta la sua prima personale alla Galleria Il Milione di Milano.
Nel 1959 è primo premio al Concorso di Faenza, nel 1960 ottiene una medaglia d'oro alla Biennale
della Ceramica di Gubbio e nel 1962 è vincitore del primo premio al Concorso di Gualdo Tadino.
La manifattura rimane attiva fino al 1967.
Guido Gambone muore a Firenze nel 1969.
TESTIMONIANZA GIUSEPPE TAMPIERI
Ho conosciuto Guido Gambone a Firenze nel lontano 1938. Frequentavo allora i corsi dell’Istituto
d’Arte e avevo appena iniziato gli ultimi due anni di Magistero che mi avrebbero abilitato
all’insegnamento della scultura in pietra e marmo.
Un tardo pomeriggio, finite le lezioni, mentre stavo percorrendo la breve discesa verso il
piazzale di Porta Romana, vidi venirmi incontro il mio vecchio amico ceramista Angelo Ungania.
Lo seguiva a breve distanza, appoggiandosi al bastone, Guido Gambone. Angelo me lo presentò
come amico e stimato collega di lavoro nella vicina Fabbrica di ceramiche Cantagalli.
Un po’ perché avevamo tutti altri impegni, un po’ perché l’andirivieni del pubblico e dei mezzi
di trasporto era troppo rumoroso, decidemmo di rinviare quel primo approccio ad altra più
favorevole occasione.
L’occasione che doveva rivelarmi il carattere più autentico di Guido Gambone, avvenne
casualmente prima del previsto: mi ero fermato davanti alla vetrina di un piccolo negozietto
d’antiquariato e stavo passando in rassegna gli oggetti esposti, quanto sentii picchiettarmi sulla
spalla. Mi voltai, era Guido: “Ti ho seguito e ti ho beccato, ti andrebbe di fare quattro chiacchiere
con me?”. Non avevo impegni e approvai. Eravamo a pochi passi dal Caffè Petrarca e io proposi di
sederci lì. Non l’avessi mai detto, storse la bocca e ghignò: “In quel covo di vipere, no!”. “E allora
dove?”. Un attimo per pensare e disse: “So io dove possiamo parlare liberamente senza tanti
ficcanaso tra i piedi”. Mi prese sottobraccio e mi portò dove c’era una panchina riparata dal sole
a ridosso di una folta siepe di ginepro. “Qui, disse, ci vengo ogni tanto per riposarmi dopo una
giornata di duro lavoro per pensare ai fatti miei, e qui ti ho portato per parlare anche dei fatti
nostri”.
Ci sedemmo e aspettai che parlasse. Mi fissò un po’ titubante e disse: “Tu che frequenti il mio
stesso ambiente, ne avrai sentite delle belle sul mio conto”. “Perché mi fai questa domanda?”. E
lui, “Così, per sapere come la pensi”. “Te lo dico subito come la penso: dai pettegolezzi, dicerie e
maldicenze, sto alla larga. Se poi mi trovo in un locale pubblico o privato e sento trinciare giudizi
velenosi, sicuramente in malafede, prendo su e me ne vado”. Mi interruppe eccitato: “Ma come,
nemmeno se il calunniato fosse stato tuo amico?”. E io di rimando: “In questo caso gli avrei
consigliato di lasciar perdere per non cacciarsi nei guai”. Non mi lasciò finire: “E io dovrei credere
che non esprimi mai le tue opinioni?”. “E come no, ma le esprimo soltanto quando l’interlocutore
è disposto ad ascoltarle”.
Ne avevo abbastanza di quel bisticcio e replicai: “Senti, se ci tieni proprio alla mia amicizia,
parliamoci chiaro…”. “Basta così, disse Guido, ora so che posso fidarmi di te, stiamo allegri e
parliamo d’altro, ma non adesso. La prossima volta chiariremo tutto con più calma”.
Si era fatto tardi e ce ne andammo. Al momento di separarci mi abbracciò e disse: “Ho idea che
noi due ci intenderemo presto”.
Con questo auspicio ogni incertezza scomparve e fu vera amicizia.
Degli anni che trascorremmo insieme a Firenze, dal 1938 al 1941, anno in cui terminai i miei
studi e me ne tornai a Faenza, ci sarebbe molto altro da dire: del carattere fiero e intransigente
di Guido, del suo bisogno di sentirsi compreso e amato, della sua segreta passione per la pittura,
della impellente necessità di trovare una sistemazione autonoma e indipendente in un laboratorio
suo proprio per esprimere liberamente tutto il suo talento.
Lo spazio a mia disposizione è limitato e perciò stringo i tempi, anche perché il nostro sodalizio
fiorentino si rinnovò altrove e più intensamente a Faenza. Dopo molti mesi di separazione ricevetti
una sua lettera da Vietri, intestata Manifattura Artistica Ceramica Salernitana, dove mi annunciava
che sarebbe andato a Firenze e che, in tal caso, avrebbe allungato il percorso per venire a
trovarmi.
Fu, questa, la prima di una lunga, fitta corrispondenza epistolare, dove la testimonianza diretta
di Guido è sicuramente più affidabile del mio attuale ricorso alla memoria. E dunque è dai suoi
scritti e con le sue stesse parole che ho potuto estrarre gli aspetti più significativi delle vicende che
ci coinvolsero, e che qui di seguito riporto.
Vietri 07-10-1942 -
Caro Peppino, ti ringrazio innanzitutto e spero che tu mi creda sincero,
dell’accoglienza fattami ed in particolar modo dell’ospitalità avuta presso i tuoi (benedette
tagliatelle! Fammene fare una foto a colori dal tuo amico dottore. La proietterei in famiglia all’ora
dei pasti).
Vietri 19-04-1943…Dimenticavo di dirti che in questi ultimi tempi ho potuto ripetere a Vietri i miei
tentativi di Firenze e con successo, tanto che si impone una mostra personale per far conoscere
alle turbe queste belle maioliche.
Vietri 02-02-1948…scusami del ritardo…l’invio della cassa dei dipinti …Ti ringrazio per la spinta che
mi dai; la fiducia che hai in me mi commuove, tanto più che veramente non credo di valere tanto
quanto tu vuoi far apparire…Ti dico questo con la massima sincerità, checché ne pensino quelli che
mi conoscono solo dall’esterno. So che assumo a volte pose che sono il primo a deprecare e tu che
mi conosci sai che sono una difesa.
Vietri 10-07-1948 – La Faenzerella…Caro Peppino, la tua è stata un’ondata di calore, e non è
poca cosa per me oggi. Il resto a voce, ché conto di essere a Faenza nei primi giorni dell’entrante
settimana. E’ stata la tua a decidermi. Nient’altro da dire per ora. Sento ancora di dirti che la tua
amicizia mi commuove e mi sento meno solo.
Vietri 23-07-1948…Appena a casa, ho passato in rivista quanto ho di pronto di pittura e credo che
qualche cosa di presentabile ci sia. L’idea della mostra a Faenza mi elettrizza…e poi, curata da te…I
giorni di Faenza, il tuo esempio, mi hanno rimesso in sesto…Tra qualche giorno ti invierò la piccola
maiolica che è mia e ho sempre evitato di vendere. Dandola a te è come l’avessi ancora io.
Vietri 02-10-1948...ti ringrazio delle ricette di tempere che sono interessanti e che proverò appena
possibile. Io sto lavorando tutte le sere e qualche risultato conto di averlo ottenuto, anche se può
spaventare un osservatore superficiale…Pare che la faccenda del Brasile vada concretandosi; ma
anche se dovessi partire, non rinuncerei alla mostra di Faenza e i motivi sono molti: il primo forte è
il bisogno di essere stimato da chi stimo.
Vietri 26-10-1948…Il Brasile? Oramai ho deciso di partire, se si concretizza tutto come da taluni
sintomi appare: pensa che in ultima analisi andrò a vedere le più belle farfalle del mondo e i più
bei pappagalli. E poi sento la urgente necessità di liberarmi della vita di tutti i giorni, anche a
costo di dovermene creare un’altra più o meno identica. Mi dirai che non ne vale la pena, ma è
sempre “altrove”.
Vietri 28-10-1948…E’ certo che se lavoro adesso, in buona parte lo devo a te, al tuo esempio e
spinte, ma non vorrei darti delusioni, mi dispiacerebbe troppo.
Vietri 23-11-1948…sono tutto preso e occupato da questa scocciatura che non ci voleva, come tu
definisci il mio viaggio in Brasile…E’ con commozione che ti dico che la nostra amicizia non finirà
sul molo d’imbarco. Continueremo a tenerci in contatto, e se tu mi hai ritrovato, dal canto mio ho
finalmente un fratello.
Non sapendo come si sarebbe risolta la faccenda del Brasile, tanto valeva occuparci della
mostra a Faenza.
Le opere di Guido erano già pronte; soltanto i locali disponibili, danneggiati dagli eventi bellici,
erano da restaurare. Perciò l’apertura della mostra fu spostata al giorno di Natale. A complicare le
cose contribuirono l’inverno glaciale e la grande epidemia influenzale che imperversò nel nostro
paese. Io, che ero già febbricitante durante l’allestimento delle opere, assolsi il mio impegno nel
miglior modo possibile e, prima di mettermi a letto, passai le consegne a due persone amiche
e affidabili: Melisanda Lama – segretaria del direttore del Museo delle Ceramiche di Faenza – e
Liana Macellari. Il giorno di Natale, il medico che mi visitò scosse subito la testa: mi ero buscato
una brutta broncopolmonite acuta e le speranze di cavarmela erano scarse. Fortunatamente dosi
massicce di penicillina mi salvarono dal peggio.
Guido, a letto anche lui con l’influenza a Vietri, seppe da Liana dell’estrema gravità del mio
malanno e ne fu scosso. Nella lettera che mi mandò mi diceva: “Non so dirti il mio stato d’animo
alla notizia della tua malattia e di quanto essa sia imputabile a me. La sera che ti lasciai alla
stazione, sentivo che non stavi bene e se avessi avuto più intuizione, non sarei partito. Non mi
perdono di non averlo fatto”.
Ma poi, perché recriminare? Nessuno aveva colpe. Tutti ci eravamo impegnati al massimo;
Guido, addirittura, con la sua produzione migliore di ceramiche e pittura. Oltre tutto, Gambone
era già noto a Faenza per essersi aggiudicato il prestigioso “Premio Faenza” l’anno prima, 1947, e
in quello stesso 1948 (successivamente ne avrebbe vinti altri tre nel 1949, 1959, 1960). E allora,
come mai quella che effettivamente era la sua prima mostra personale passò inosservata e non è
nemmeno citata, a tutt’oggi nelle sue schede biografiche?
Comunque alla chiusura della mostra rispedimmo le opere invendute a Vietri e di questa
deludente esperienza non si parlò più.
In una lettera del 10-02-1949, Guido mi scriveva: “Molto probabilmente non andrò in Brasile, la
ragione è la mia mutilazione. Al consolato a cui mi sono rivolto per il visto del passaporto, pensano
che io non possa lavorare con una gamba soltanto – hanno una strana idea di come si possa
produrre della maiolica…”.
Vietri 23-12-1949…Lo scorso mese è stato qui Orio Vergani e abbiamo parlato di te: non puoi
immaginare come questa comune amicizia abbia servito ad avvicinarci. Vergani è un uomo in
gamba e mi ha intimidito.
Vietri 05-04-1950…a fine settimana andrò a Firenze per restarci. Come ti accennai a suo tempo
della faccenda; dopo lungo e periglioso viaggio, sono giunto in porto, e oramai la fabbrica c’è.
Firenze 19-05-1950…Ho intenzione di lavorare forte e prepararmi per una mostra da farsi a
Milano…Spero di averti qui un giorno o l’altro per farti vedere quanto ho realizzato.
Firenze 23-11-1950…Enorme sorpresa per la decisione tua di restare a Genova…
Come risulta da questi brevi stralci di lettere, tanto Guido che io avevamo trovato finalmente
una sistemazione più duratura, lui a Firenze e io a Genova, con l’esaltante prospettiva di fare
sempre nuove esperienze.
Non ne risentì la nostra amicizia, anzi fu più stimolante comunicarci a voce o per lettera le
nostre realizzazioni. Quando poi nei miei frequenti spostamenti da una città all’altra passavo da
Firenze, non mancavo mai di andare a trovarlo nel suo laboratorio di via Palazzo dei Diavoli. Lì lo
vedevo felice di mostrarmi le sue ultime creazioni e, se si accorgeva che una di queste attirava
maggiormente la mia attenzione, me ne faceva dono.
In quella “sua” officina – assillante obbiettivo raggiunto dopo tanti anni di incertezze e
sofferenze – egli trovò finalmente la serenità indispensabile per esprimere tutto il suo potenziale
ed inesauribile talento, mai pago di sperimentare nuovi valori materici e sempre più ardite forme
plastiche. E con il riconoscimento di queste eccezionali qualità anche il suo nome e la sua valentia
si diffusero rapidamente.
L’ultima volta che andai a trovarlo a Firenze volle portarmi a pranzo a Pontassieve con la sua
macchina espressamente predisposta per il suo arto artificiale. Era allegro e non mi sembrò che
avesse problemi.
Non molto tempo dopo un amico mi fermò per strada e mi disse: “Hai saputo di Gambone?”.
Ero impallidito e lui capì: “allora non sapevi che è morto”. “Quando?” chiesi e lui: “una decina di
giorni fa”.
Sono passati tanti anni e ancora sento la sua presenza nelle lettere e nelle sue opere che ho
conservato gelosamente.
La Fondazione Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, dove opere di Gambone sono
già esposte in permanenza, ha accolto l’idea di mettere in mostra, dal 20 ottobre al 6 gennaio
2013, l’intera mia raccolta.
Devo dire che non poteva esserci sede più autorevole per onorare la memoria di un insigne
Maestro della ceramica italiana e internazionale.
Giuseppe Tampieri
Omaggio a Guido Gambone (1909-1969)
Di Claudia Casali
Quella tra Guido Gambone e Giuseppe Tampieri non fu una semplice amicizia, fu un rapporto
di stima reciproca, di rispetto e di confronto, come si legge dall’appassionata testimonianza
qui allegata. Conosciutisi a Firenze, poco prima della guerra, continuarono a frequentarsi negli
anni, con un rispetto e una franchezza unici. Gambone aveva un caratteraccio, ricorda Tampieri,
era molto aggressivo: “Fu un colpo di fulmine! Ci intendemmo subito, poiché avevamo gusti
compatibili, ci rispettavamo”. Nella Firenze dell’epoca la polemica era all’ordine del giorno, era lo
svago cittadino, e Gambone reagiva in malo modo ai discorsi improvvisati e alle boutades. Finita la
Scuola di perfezionamento in scultura, Tampieri si trasferì a Faenza ed iniziò tra loro una intensa
corrispondenza epistolare, che sollecitò, fortunatamente, Gambone a partecipare a diversi Premi
Faenza, vincendo ben cinque edizioni (1947, 1948, 1949, 1959, 1960). Dagli scritti di Gambone
emerge il profilo di una forte e sensibile personalità, molto critica con se stesso e il proprio lavoro.
Tampieri organizzò a Faenza nell’inverno 1948 una mostra monografica presso i locali in disuso
della Società delle Arti, grazie all’aiuto di Ennio Golfieri e soprattutto di Melisanda Lama, allora
segretaria del Museo Internazionale delle Ceramiche. Tampieri, influenzato, allestì la mostra che
venne inaugurata, senza clamori né promozione, alla vigilia di Natale, con un buon successo di
vendite. Parte delle opere esposte all’epoca sono affini a quelle in mostra oggi: sono manufatti
di natura sperimentale, che richiamano in parte, nella figurazione, l’esperienza di Vietri e della
colonia tedesca di Gunther Studemann, Richard Doelker, Elle Schwarz, Barbara Margarethe
Thewalt-Hannasch e Irene Kowaliska, attiva a Vietri negli anni ’20-’30, con inclinazioni fiabesco-
mediterranee. Gambone assorbe il cambiamento apportato soprattutto da Kowaliska, immette
personali suggestioni nordiche e primitive e, grazie ad un attento e curioso sperimentalismo,
riesce a trovare un proprio inimitabile stile, rintracciabile già nell’esperienza della sua prima
manifattura “La Faenzerella” a Vietri. Oltre all’influsso tedesco si avvertono echi di derivazione
kleeiana, soprattutto nelle piccole piastrelle di ambito astratto-figurativo. Le opere successive
rivelano invece la sua passione per la materia, la sua indole primitivo-arcaica che, soprattutto
con il trasferimento a Firenze nel 1950 e la fondazione della manifattura “Ceramica Gambone”,
trova nel grès e negli impasti vetrosi la sua più importante affermazione. La materia della sua
opera sottolinea quel connubio, evidenziato dallo stesso Gio Ponti, tra modernità e ancestralità,
precorritore di tante scelte artistiche degli anni ’60. Uno scettico della ceramica come Garibaldo
Marussi incensò l’opera di Gambone la cui “ceramica non è un gioco a vuoto… Non occorre molto
per accorgersi che le creazioni di Gambone nascono tutte da una necessità interiore, da un moto
della fantasia, cui sorregge una tecnica sottile e raffinata…” (in “La Fiera letteraria”, 18 febbraio
1951). La solida innovazione nel rispetto e conoscenza di una grande tradizione ceramica e la
certezza della scultura erano i due punti saldi della sua grande poetica. E le opere del MIC, esposte
accanto a quelle della Collezione Tampieri, dimostrano appieno una lezione di “affinità elettive”,
per dirla con Marussi, con la mediterraneità e la tradizione scultorea italiane, che proprio nei
fervidi anni ’50 emergono in tutto il loro splendore.
Come ricorda Tampieri, il vero sogno di Gambone era fare pittura, che in parte riuscì a trasferire
a certi suoi particolarissimi esiti formali. I tre dipinti esposti, realizzati negli anni ’50 mostrano
chiari riferimenti alla Scuola Romana e al Novecento, un’impronta più propriamente surrealistico-
metafisica, di certo marginale rispetto agli esiti ceramici.
Questo omaggio non è certo esaustivo del percorso artistico di Gambone. È comunque un
riconoscimento ad uno straordinario protagonista del secondo dopoguerra, un innovatore
riservato e raffinato.
20
ottobre 2012
Omaggio a Guido Gambone
Dal 20 ottobre 2012 al 06 gennaio 2013
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arti decorative e industriali
Location
MIC – MUSEO INTERNAZIONALE DELLE CERAMICHE
Faenza, Viale Alfredo Baccarini, 19, (Ravenna)
Faenza, Viale Alfredo Baccarini, 19, (Ravenna)
Biglietti
intero 8 euro, ridotto 5 euro, pacchetto famiglia 12 euro
Orario di apertura
dal martedì al venerdì 10,00-13,30, sabato, domenica e festivi 10,00-17,30, chiuso il lunedì
Vernissage
20 Ottobre 2012, ore 17.30
Autore