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Pensare l’evento
Incontro tra ricercatori, creatori e curatori che, per due intense giornate, riflettono e dibattono sul significato e il valore dell’Evento nella cultura e nella produzione artistica contemporanea. L’appuntamento offre un’occasione unica per dialogare con figure chiave del mondo dell’arte, della filosofia e dell’antropologia su un concetto così fondamentale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Venezia, 12-13 ottobre 2012
PENSARE L’EVENTO
Riflessioni su significato e valore dell’evento nella cultura contemporanea
ABSTRACTS interventi relatori
12 ottobre 2012
mattina
Jacinto Lageira, critico d'arte e professore di estetica, Università di Parigi I (Pantheon-Sorbonne)
Ricordo, memoria e re-enactement
Integrando documenti, documentari e archivi storici nelle loro opere, gli artisti contemporanei
che adottano uno “stile documentaristico” compiono delle operazioni storiche nel momento in
cui riprendono e rielaborano gli eventi del passato e del presente, e preparano una parte del
futuro. Scegliere un evento storico da ricostruire e riproporre in maniera diversa costituisce da
poco una sfida per l’arte contemporanea, la quale trae origine da ciò che il filosofo e storico R. B.
Collingwood definiva re-enactement. Vedremo come la temporalità degli eventi viene modificata e
trasformata da questa forma di ripresa.
Ester Coen. storica e critica d’arte
Dell'imprevedibile
In difetto di strumenti filosofici e scientifici, se non per semplici letture e approfondimenti personali,
ho vagabondato tra sponde di scritti e teorie – da Einstein a Whitehead, da Badiou a Rancière,
da Derrida a Žižek – riflettendo sulla natura dell’”evento” in rapporto ai luoghi più miei: il mondo
dell’arte visiva. Per una strana coincidenza oppositiva, su cui mi interrogo, il termine e il suo uso
in eccesso si scontrano oggi con il vuoto sacrale di Mallarmé nell’evocare il muto soliloquio di
un mimo. Tornare a quel vuoto? A quello scarto di desiderio tra fantasia e realtà? A un’unicità
scandita sulla natura dello spazio e del tempo contemporanei?
Federico Ferrari, filosofo
Anywhere out of the world o dell'imprevedibile
La parola evento è stata una delle più abusate degli ultimi vent'anni. Si è passati da tentativi
estremamente sofisticati di farne un concetto (Deleuze e Badiou, ad esempio) agli spregiudicati
utilizzi commerciali dell'industria culturale. L'evento è stato, e tuttora è, il grande feticcio di una
cultura globalizzata che tenta di incidere sul reale attraverso una sua spettacolarizzazione.
L'evento come grande manifestazione, come occasione irripetibile e quindi da non perdere.
L'evento come estremo tentativo di ricreare un'aura perduta, di rifondare un'originalità del fatto
artistico, legandolo a un determinato contesto e a un preciso istante del tempo.
In realtà, pur nelle infinite sfumature assunte, questa strategia o economia che si rende
esplicita nell'annuncio (l'immancabile comunicato stampa) dell'evento, proprio dell'evento
manca l'essenziale: l'evento è ciò che non è prevedibile e che, proprio in quanto tale, apre alla
dimensione dell'imprevisto, di ciò che non si può vedere in anticipo e che non è attuabile attraverso
un'organizzazione dei fatti. Se l'evento, nella sua dimensione spettacolare e globalizzata,
vuole configurarsi come l'immagine più attuale del mondo, radicandosi ed associandosi a un
punto preciso del globo (istituzione, manifestazione, città, nazione, ecc.), allora l'evento nella
sua dimensione radicale è piuttosto ciò che sradica dal mondo; ciò che non è localizzabile, né
definibile, né soprattutto prevedibile: l'evento apre a una dimensione che è in nessun luogo e
ovunque; e, paradossalmente, sempre fuori dal mondo. Per usare il celebre verso baudelairiano,
l'evento è e ci pone anywhere out of the world.
12 ottobre 2012
pomeriggio
François Soulages, critico d’arte e professore di estetica, Università di Parigi VIII (Pantheon-Sorbonne)
Il geoevento
Tradizionalmente, l’evento è una rottura, una novità radicale inaspettata, l’inizio di un’epoca nuova:
si articola nella storia per nutrirla e/o sconvolgerla.
Qual è la situazione nell’età contemporanea che talvolta si basa su un’ideologia pronta a celare
storia e tempo per vivere nell’oggi o almeno nelle sue immagini? È quindi possibile pensare
all’evento in un’epoca della “presenza”? L’attenzione al presente può metamorfosare o perfino
rendere caduco il concetto di evento, in considerazione della sua trasformazione rispetto al
passato e al futuro? O ancora, possiamo attribuire un significato nuovo e ricco a questo concetto,
al contempo meno messianico e più attivo?
La questione rimane aperta e reca in nuce delle complessità e delle contraddizioni interessanti da
esplorare e da sfruttare:
- da un lato, un interrogativo sull’articolazione locale e globale permetterà di ridare significato
al concetto di micro-evento e di riformulare la questione del significato e del tempo al di là della
chiusura di un presunto sistema globale;
l’evento renderà possibile il passaggio dall’universale astratto all’universale concreto di cui parlava
Hegel;
- dall’altro, un’attenzione alla mutazione dell’immagine, dall’analogico al digitale, in particolare della
fotografia, fornirà al concetto di evento un nuovo spunto: la fotografia digitale concepisce l’evento
in maniera diversa, tenendo conto della circolazione rizomatica e fluidica delle immagini, attraverso
internet, e delle nuove condizioni di produzione e consumo: il flusso sostituisce il fisso, gli artisti
l’hanno capito.
Per comprendere l’evento, lo spazio e il “geo” sono quindi tanto importanti quanto il tempo:
geopolitica, geonumerica, geoartistica e geoestetica trasformano l’evento e permettono di
interrogarlo e di sperimentarlo in modo diverso.
Viktor Misiano, curatore, presidente Fondazione Manifesta, Amsterdam, fondatore e direttore della rivista
Moscow Art Magazine
"Evento contrapposto a Scandalo. Il Case Study INTERPOL"
La mostra internazionale 'INTERPOL' è stata curata da Jan Aman e Viktor Misiano e presentata a
Stoccolma presso il Centro di Arte Contemporanea Fargfabriken nei mesi di gennaio e febbraio del
1996.
Ponendo l’enfasi sul dialogo tra Est e Ovest, e concepito come nuovo modello di collaborazione
artistica internazionale, questo progetto si rivelò uno scandalo internazionale.
All’inaugurazione della mostra, l’artista russo Alexander Brener danneggiò l’installazione dell’artista
cinese Wenda Gu, proponendo tale azione quale suo contributo alla manifestazione.
Il contributo di un altro artista russo, Oleg Kulik, invece, fu una sorta di "azione canina": nudo e a
carponi, fece scalpore tra i visitatori della mostra.
In risposta a ciò, fu scritta una ipercritica "Lettera aperta al Mondo dell’Arte" firmata da molti di
coloro che avevano partecipato all’INTERPOL, tutti però provenienti dal mondo occidentale.
Pubblicata su molte riviste artistiche internazionali, fu accompagnata dai commenti e dalle
riflessioni di artisti e curatori provenienti dal mondo orientale.
Qualche anno più tardi, il caso venne riassunto in un libro, “INTERPOL The Art Exhibition which
Divided East and West” (INTERPOL la Manifestazione artistica che divise Est e Ovest), che riunì in
un’unica copertina tutti i testi e le riflessioni scaturiti dall’evento.
Ma si trattò di un vero e proprio evento? O semplicemente di uno scandalo? Qual è la differenza
concreta tra l’uno e l’altro? Il Case Study 'INTERPOL' ci dà l’opportunità di riflettere su questa
questione.
Marina Fokidis, curatrice, fondatrice della Kunsthalle Athena, Atene
punti sviluppati:
• L'evento, l'altra metà dell'arte contemporanea
• Arte come scusa per stare insieme
• Evento, il ponte tra privato e pubblico
•
•
Kunsthalle Athena: istituzione come evento
Quale ruolo svolge l’arte contemporanea nel forgiare una sfera pubblica?
Kunsthalle Athena è un centro di flexible art dedicato alla cultura visiva del nostro tempo.
Il suo obiettivo principale è di reintrodurre l’arte contemporanea e la sua importanza
in un’autentica sfera pubblica, dando la priorità alla possibilità di co-produrre e quindi
estendere la cultura.
Attingendo da fonti creative di svariate origini e fungendo da centro vitale per l’interazione sociale
e lo scambio, Kunsthalle Athena è costantemente informata sull’eccentricità e sui tratti distintivi
di Atene e del suo pubblico. Desideriamo evidenziare la costante trasformazione della ‘polis’
quale location simbolica per la produzione e la diffusione della cultura contemporanea mondiale.
Riflettendo sul ruolo sociale delle istituzioni artistiche nel XXI secolo, Kunsthalle Athena, lungi
dal rimanere troppo attaccata ad una mera esibizione dell’arte contemporanea, dà la priorità alla
co-produzione della cultura. Attingendo da fonti creative di svariate origini e fungendo da centro
vitale per l’interazione sociale e lo scambio, Kunsthalle Athena si impegna a favorire l’incontro del
pubblico con l’arte contemporanea in modo regolare ed informale. Kunsthalle Athena non vuole
rivolgersi solamente ad un pubblico – la comunità artistica – già esistente, ma ambisce piuttosto ad
ampliare la sfera pubblica democratica dialogando con i suoi tanti sostenitori. Kunsthalle Athena
pone il seguente quesito: quale ruolo svolge l’arte contemporanea nel forgiare una sfera pubblica
democratica?
Kunsthalle Athena vuole essere un evento abituale, uno spazio che offre momenti di
pensiero critico a chi ne sente la necessità. Kunsthalle Athena non vuole essere una sorta
di ‘oasi passiva' ma piuttosto un punto di partecipazione concentrata.
L’organizzazione di mostre e progetti viene vissuta come un rapporto vivo tra la pratica dell’arte,
la sperimentazione e l’atto trasformativo di una pedagogia socialmente impegnata e non didattica.
L’interpretazione provvisoria, la comunicazione aperta, ma anche la contestazione, caratterizzano
la prassi organizzativa privilegiata da Kunsthalle Athena. Quando mostre, progetti a breve o lungo
termine, conversazioni, conferenze, presentazioni, proiezioni e workshop sull’arte contemporanea
incontrano domini alternativi di pratica creativa fondati, ad esempio, sulla cultura popolare e
dei giovani di Atene, la ‘cultura’ si manifesta come una parte viva ed indispensabile della vita
quotidiana. L’arte contemporanea diventa patrimonio di tutti ed il campo di applicazione di chi
rivendica il diritto alla creatività sfidando tutte le probabilità. Eppure, Kunsthalle Athena non si
fa illusioni. Fondandosi sulla tradizione dell’autocritica, opererà inevitabilmente entro i limiti del
possibile, nella ferma convinzione che qualcosa è meglio di nulla.
Kunsthalle Athena è un’istituzione artistica ma continuerà a porre il seguente quesito: che
cos’è un’istituzione artistica, e cosa la rende tale?
L’interesse pubblico locale nell’arte contemporanea si sta considerevolmente ampliando ed Atene
sta diventando una destinazione nella cartina internazionale dell’arte contemporanea grazie agli
sforzi profusi sia dai singoli che dalle istituzioni pubbliche e private. Nel 2010 il paese e la capitale
sono entrati in un periodo di incertezza economica che ha messo in discussione il tessuto sociale.
Ed è proprio in questo momento di difficoltà che Kunsthalle Athena vede per l’arte la possibilità
di rivolgersi all’immaginario sociale. ‘Noi’ non possiamo aspettare che si presenti un momento
migliore. Questo è il momento giusto per fare le cose in modo diverso, per vedere in modo diverso
e per credere di fare la differenza.
Kunsthalle Athena si baserà sul lavoro di squadra, fondamentale, tra singoli e gruppi con un vasto
spettro di esperienze e competenze, cercando il contributo creativo delle comunità locali e globali.
Favorirà interazioni creative con una portata internazionale mentre il suo centro gravitazionale
sarà la particolarità di Atene e del suo pubblico. Kunsthalle Athena proporrà un nuovo modo di
sperimentare l’arte ad Atene, offrendo un’alternativa al museo di arte convenzionale ed alle relative
istituzioni artistiche, allo scopo di completarle. Kunsthalle Athena mira ad evidenziare la costante
trasformazione della ‘polis’ quale location simbolica per la produzione e la diffusione della cultura
contemporanea mondiale.
Silvia Bottiroli, studiosa e curatrice di performing arts, direttrice artistica di Santarcangelo, Festival
Internazionale del Teatro di Piazza, Santarcangelo di Romagna
Per conoscere le lucciole
Nelle arti performative, e particolarmente nelle pratiche che operano nello spazio pubblico, la
questione dell’evento come “manifestazione dell’arte” interseca quelle dell’esistenza e della
fragilità della sfera politica; del rapporto tra realtà e rappresentazione; delle complesse dinamiche
di memoria e di promessa legate all’atto del guardare e del partecipare.
Proverò ad attraversare questi intrecci facendo riferimento specificamente a un lavoro – “I
topi lasciano la nave” di Zapruder filmmakersgroup realizzato per Santarcangelo •12 Festival
Internazionale del Teatro in Piazza nel 2012 – e approfondendo alcuni concetti che quest’opera,
il suo accadere e scomparire, il suo durare nella memoria e nella documentazione, chiamano in
causa.
13 ottobre 2012
mattina
Réda Bensmaïa, docente del dipartimento di letteratura comparata, Brown University, Providence
Figure dell’evento
“Soltanto attraverso l’evento diventiamo noi stessi”, affermava con convinzione Martin Heidegger
in uno dei testi fondanti del concetto di evento nei suoi Holzweg. Ripreso dai fenomenologi,
il concetto si sarebbe trasformato in ciò che Jean-Luc Marion ha qualificato come “fenomeno
saturo”, ossia come un’esperienza del mondo che passa d’ora in poi attraverso un “sovrappiù”
di intuizione su tutti i concetti e le categorie di apprensione della realtà mondana da parte di una
coscienza.
In questo excursus, metteremo in evidenza il posto che occupa oggi il concetto di evento nel
campo della creazione artistica, a partire dall’analisi di alcune delle configurazioni teoriche che
questo concetto ha assunto nella modernità.
Bruno Giorgini, fisico teorico
La Fisica degli Eventi: dal Big Bang al Carnevale di Venezia
A partire dalla definizione di evento nell’ambito della filosofia naturale, sarà proposta una
passeggiata che comincia col Big Bang, la singolarità iniziale dello spaziotempo cosmico con
l’esplosione primigenia che ha dato luogo al nostro attuale universo, e che passando per il ponte
di Einstein-Rosen finisce tra i canali e le calli veneziane durante il carnevale sulle tracce di quella
strana particella chiamata “pedone”.
Diego Fusaro, docente di storia della filosofia, Università San Raffaele, Milano
Storia ed evento: il senso della possibilità
Pensare l’evento significa riflettere sulle strutture della temporalità storica, ossia sull’accadere
concepito nella sua pura attualità, sospeso tra le due dimensioni del non-più del passato e del
non-ancora del futuro. Il divenire storico si regge, infatti, sull’intreccio a geometrie variabili di
eventi unici e irripetibili e strutture di lunga durata, ossia tra azioni e accadimenti ogni volta nuovi
e condizioni già esistenti su cui essi vanno a innestarsi. L’evento diventa, allora, la via privilegiata
per riflettere su quello che Musil chiamava il “senso di
possibilità” come cifra della storia; un tema che, nell’attuale congiuntura storica, pare essere
caduto nell’oblio in forza dell’egemonia di quella mistica della necessità che, neutralizzando la
pensabilità stessa dell’evento sotto i colpi della desertificazione dell’avvenire, ci rende ergastolani
del presente e riduce l’evento a riproduzione seriale dell’esistente.
13 ottobre 2012
pomeriggio
Claire de Ribaupierre, docente di antropologia, Haute Ecole d’art et de design, Geneve
Il processo del pensare: un esperimento del presente
Il concetto di evento nel campo artistico risale agli anni ’50, con l’Untitled Event di John Cage
che instaura la pratica dell’improvvisazione, legata alla questione del tempo, della molteplicità
dell’azione (poesia, musica, pittura, danza) e che assegna un nuovo posto allo spettatore
all’interno del dispositivo.
Successivamente, nel campo artistico, questo concetto di evento verrà sostituito da quello
di happening o di performance. E l’evento si sposterà verso qualcosa di molto mediatico, di
ipervisibile, coniugandosi così al plurale: gli eventi.
Tuttavia, il concetto di evento si sviluppa parallelamente nel campo della storia e permette agli
storici degli anni 60-70 di contrastare l’effetto di lunga durata, di movimento continuo e l’idea di
progressione. Vorrei quindi analizzare brevemente come tale concetto consenta agli antropologi di
pensare i fenomeni di rottura, di subitanea apparizione e di caso.
La questione temporale e il suo legame con l’azione è al centro di numerosi
approcci artistici. In questo senso cercherò di sviluppare una riflessione
avvalendomi di un esempio di performance intitolata Les Héros de la pensée, che permette di
costruire contemporaneamente un’esperienza del tempo e del
pensiero.
Mårten Spångberg, performer e teorico della performance
La coreografia come pratica estesa
Una coreografia estesa possiede il futuro. La danza così come la conosciamo, se non lo è già,
sarà presto superata, proprio come l’opera o il jazz di dixieland. Il futuro appartiene alla coreografia
ma solo se riconosce la sua potenzialità di capacità estesa. La coreografia non è l’arte di fare le
danze (una serie direzionale di strumenti), è una serie generica di capacità applicabili a qualsiasi
tipo di produzione, analisi ed organizzazione.
La coreografia non è l’arte di fare le danze, è un mezzo complesso per affrontare il mondo. No,
l’universo. In una società fondata sulla diffusione di valori astratti piuttosto che di beni materiali,
sono il movimento ed i rapporti a farla da Re, non il petrolio e l’acciaio. Se viviamo in una società
della performance, il suo fondamento strutturale è la coreografia.
Silvia Fanti, curatrice e programmatrice di performing arts; co-fondatrice di XING, cultural network,
Bologna
Casco
- Chi rinuncia alla vigilanza rinuncia all'attenzione e all'intenzione, a ogni tipo di tensione e di
attesa; entra nella de-tensione dei progetti e degli obbiettivi, delle anticipazioni e dei calcoli.
- Pensare è generalmente concepito come fare niente, e il far niente è difficile da fare. La via
migliore per realizzarlo è di mascherarlo nel 'fare qualcosa', e ciò che più si avvicina al fare
niente è il camminare. Camminare in sé è l'atto volontario più vicino ai ritmi involontari del corpo.
Camminare è, idealmente, uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo sono allineati. La mente
stessa è un paesaggio.
- Spettatore e performer condividono la medesima concretezza corporea di un organismo orientato
al suo ambiente. L'adattamento avviene per espansione, come l'eliotropismo delle piante che si dispongono verso la luce, non 'guardano' la luce.
Venezia, 12-13 ottobre 2012
PENSARE L’EVENTO
Riflessioni su significato e valore dell’evento nella cultura contemporanea
ABSTRACTS interventi relatori
12 ottobre 2012
mattina
Jacinto Lageira, critico d'arte e professore di estetica, Università di Parigi I (Pantheon-Sorbonne)
Ricordo, memoria e re-enactement
Integrando documenti, documentari e archivi storici nelle loro opere, gli artisti contemporanei
che adottano uno “stile documentaristico” compiono delle operazioni storiche nel momento in
cui riprendono e rielaborano gli eventi del passato e del presente, e preparano una parte del
futuro. Scegliere un evento storico da ricostruire e riproporre in maniera diversa costituisce da
poco una sfida per l’arte contemporanea, la quale trae origine da ciò che il filosofo e storico R. B.
Collingwood definiva re-enactement. Vedremo come la temporalità degli eventi viene modificata e
trasformata da questa forma di ripresa.
Ester Coen. storica e critica d’arte
Dell'imprevedibile
In difetto di strumenti filosofici e scientifici, se non per semplici letture e approfondimenti personali,
ho vagabondato tra sponde di scritti e teorie – da Einstein a Whitehead, da Badiou a Rancière,
da Derrida a Žižek – riflettendo sulla natura dell’”evento” in rapporto ai luoghi più miei: il mondo
dell’arte visiva. Per una strana coincidenza oppositiva, su cui mi interrogo, il termine e il suo uso
in eccesso si scontrano oggi con il vuoto sacrale di Mallarmé nell’evocare il muto soliloquio di
un mimo. Tornare a quel vuoto? A quello scarto di desiderio tra fantasia e realtà? A un’unicità
scandita sulla natura dello spazio e del tempo contemporanei?
Federico Ferrari, filosofo
Anywhere out of the world o dell'imprevedibile
La parola evento è stata una delle più abusate degli ultimi vent'anni. Si è passati da tentativi
estremamente sofisticati di farne un concetto (Deleuze e Badiou, ad esempio) agli spregiudicati
utilizzi commerciali dell'industria culturale. L'evento è stato, e tuttora è, il grande feticcio di una
cultura globalizzata che tenta di incidere sul reale attraverso una sua spettacolarizzazione.
L'evento come grande manifestazione, come occasione irripetibile e quindi da non perdere.
L'evento come estremo tentativo di ricreare un'aura perduta, di rifondare un'originalità del fatto
artistico, legandolo a un determinato contesto e a un preciso istante del tempo.
In realtà, pur nelle infinite sfumature assunte, questa strategia o economia che si rende
esplicita nell'annuncio (l'immancabile comunicato stampa) dell'evento, proprio dell'evento
manca l'essenziale: l'evento è ciò che non è prevedibile e che, proprio in quanto tale, apre alla
dimensione dell'imprevisto, di ciò che non si può vedere in anticipo e che non è attuabile attraverso
un'organizzazione dei fatti. Se l'evento, nella sua dimensione spettacolare e globalizzata,
vuole configurarsi come l'immagine più attuale del mondo, radicandosi ed associandosi a un
punto preciso del globo (istituzione, manifestazione, città, nazione, ecc.), allora l'evento nella
sua dimensione radicale è piuttosto ciò che sradica dal mondo; ciò che non è localizzabile, né
definibile, né soprattutto prevedibile: l'evento apre a una dimensione che è in nessun luogo e
ovunque; e, paradossalmente, sempre fuori dal mondo. Per usare il celebre verso baudelairiano,
l'evento è e ci pone anywhere out of the world.
12 ottobre 2012
pomeriggio
François Soulages, critico d’arte e professore di estetica, Università di Parigi VIII (Pantheon-Sorbonne)
Il geoevento
Tradizionalmente, l’evento è una rottura, una novità radicale inaspettata, l’inizio di un’epoca nuova:
si articola nella storia per nutrirla e/o sconvolgerla.
Qual è la situazione nell’età contemporanea che talvolta si basa su un’ideologia pronta a celare
storia e tempo per vivere nell’oggi o almeno nelle sue immagini? È quindi possibile pensare
all’evento in un’epoca della “presenza”? L’attenzione al presente può metamorfosare o perfino
rendere caduco il concetto di evento, in considerazione della sua trasformazione rispetto al
passato e al futuro? O ancora, possiamo attribuire un significato nuovo e ricco a questo concetto,
al contempo meno messianico e più attivo?
La questione rimane aperta e reca in nuce delle complessità e delle contraddizioni interessanti da
esplorare e da sfruttare:
- da un lato, un interrogativo sull’articolazione locale e globale permetterà di ridare significato
al concetto di micro-evento e di riformulare la questione del significato e del tempo al di là della
chiusura di un presunto sistema globale;
l’evento renderà possibile il passaggio dall’universale astratto all’universale concreto di cui parlava
Hegel;
- dall’altro, un’attenzione alla mutazione dell’immagine, dall’analogico al digitale, in particolare della
fotografia, fornirà al concetto di evento un nuovo spunto: la fotografia digitale concepisce l’evento
in maniera diversa, tenendo conto della circolazione rizomatica e fluidica delle immagini, attraverso
internet, e delle nuove condizioni di produzione e consumo: il flusso sostituisce il fisso, gli artisti
l’hanno capito.
Per comprendere l’evento, lo spazio e il “geo” sono quindi tanto importanti quanto il tempo:
geopolitica, geonumerica, geoartistica e geoestetica trasformano l’evento e permettono di
interrogarlo e di sperimentarlo in modo diverso.
Viktor Misiano, curatore, presidente Fondazione Manifesta, Amsterdam, fondatore e direttore della rivista
Moscow Art Magazine
"Evento contrapposto a Scandalo. Il Case Study INTERPOL"
La mostra internazionale 'INTERPOL' è stata curata da Jan Aman e Viktor Misiano e presentata a
Stoccolma presso il Centro di Arte Contemporanea Fargfabriken nei mesi di gennaio e febbraio del
1996.
Ponendo l’enfasi sul dialogo tra Est e Ovest, e concepito come nuovo modello di collaborazione
artistica internazionale, questo progetto si rivelò uno scandalo internazionale.
All’inaugurazione della mostra, l’artista russo Alexander Brener danneggiò l’installazione dell’artista
cinese Wenda Gu, proponendo tale azione quale suo contributo alla manifestazione.
Il contributo di un altro artista russo, Oleg Kulik, invece, fu una sorta di "azione canina": nudo e a
carponi, fece scalpore tra i visitatori della mostra.
In risposta a ciò, fu scritta una ipercritica "Lettera aperta al Mondo dell’Arte" firmata da molti di
coloro che avevano partecipato all’INTERPOL, tutti però provenienti dal mondo occidentale.
Pubblicata su molte riviste artistiche internazionali, fu accompagnata dai commenti e dalle
riflessioni di artisti e curatori provenienti dal mondo orientale.
Qualche anno più tardi, il caso venne riassunto in un libro, “INTERPOL The Art Exhibition which
Divided East and West” (INTERPOL la Manifestazione artistica che divise Est e Ovest), che riunì in
un’unica copertina tutti i testi e le riflessioni scaturiti dall’evento.
Ma si trattò di un vero e proprio evento? O semplicemente di uno scandalo? Qual è la differenza
concreta tra l’uno e l’altro? Il Case Study 'INTERPOL' ci dà l’opportunità di riflettere su questa
questione.
Marina Fokidis, curatrice, fondatrice della Kunsthalle Athena, Atene
punti sviluppati:
• L'evento, l'altra metà dell'arte contemporanea
• Arte come scusa per stare insieme
• Evento, il ponte tra privato e pubblico
•
•
Kunsthalle Athena: istituzione come evento
Quale ruolo svolge l’arte contemporanea nel forgiare una sfera pubblica?
Kunsthalle Athena è un centro di flexible art dedicato alla cultura visiva del nostro tempo.
Il suo obiettivo principale è di reintrodurre l’arte contemporanea e la sua importanza
in un’autentica sfera pubblica, dando la priorità alla possibilità di co-produrre e quindi
estendere la cultura.
Attingendo da fonti creative di svariate origini e fungendo da centro vitale per l’interazione sociale
e lo scambio, Kunsthalle Athena è costantemente informata sull’eccentricità e sui tratti distintivi
di Atene e del suo pubblico. Desideriamo evidenziare la costante trasformazione della ‘polis’
quale location simbolica per la produzione e la diffusione della cultura contemporanea mondiale.
Riflettendo sul ruolo sociale delle istituzioni artistiche nel XXI secolo, Kunsthalle Athena, lungi
dal rimanere troppo attaccata ad una mera esibizione dell’arte contemporanea, dà la priorità alla
co-produzione della cultura. Attingendo da fonti creative di svariate origini e fungendo da centro
vitale per l’interazione sociale e lo scambio, Kunsthalle Athena si impegna a favorire l’incontro del
pubblico con l’arte contemporanea in modo regolare ed informale. Kunsthalle Athena non vuole
rivolgersi solamente ad un pubblico – la comunità artistica – già esistente, ma ambisce piuttosto ad
ampliare la sfera pubblica democratica dialogando con i suoi tanti sostenitori. Kunsthalle Athena
pone il seguente quesito: quale ruolo svolge l’arte contemporanea nel forgiare una sfera pubblica
democratica?
Kunsthalle Athena vuole essere un evento abituale, uno spazio che offre momenti di
pensiero critico a chi ne sente la necessità. Kunsthalle Athena non vuole essere una sorta
di ‘oasi passiva' ma piuttosto un punto di partecipazione concentrata.
L’organizzazione di mostre e progetti viene vissuta come un rapporto vivo tra la pratica dell’arte,
la sperimentazione e l’atto trasformativo di una pedagogia socialmente impegnata e non didattica.
L’interpretazione provvisoria, la comunicazione aperta, ma anche la contestazione, caratterizzano
la prassi organizzativa privilegiata da Kunsthalle Athena. Quando mostre, progetti a breve o lungo
termine, conversazioni, conferenze, presentazioni, proiezioni e workshop sull’arte contemporanea
incontrano domini alternativi di pratica creativa fondati, ad esempio, sulla cultura popolare e
dei giovani di Atene, la ‘cultura’ si manifesta come una parte viva ed indispensabile della vita
quotidiana. L’arte contemporanea diventa patrimonio di tutti ed il campo di applicazione di chi
rivendica il diritto alla creatività sfidando tutte le probabilità. Eppure, Kunsthalle Athena non si
fa illusioni. Fondandosi sulla tradizione dell’autocritica, opererà inevitabilmente entro i limiti del
possibile, nella ferma convinzione che qualcosa è meglio di nulla.
Kunsthalle Athena è un’istituzione artistica ma continuerà a porre il seguente quesito: che
cos’è un’istituzione artistica, e cosa la rende tale?
L’interesse pubblico locale nell’arte contemporanea si sta considerevolmente ampliando ed Atene
sta diventando una destinazione nella cartina internazionale dell’arte contemporanea grazie agli
sforzi profusi sia dai singoli che dalle istituzioni pubbliche e private. Nel 2010 il paese e la capitale
sono entrati in un periodo di incertezza economica che ha messo in discussione il tessuto sociale.
Ed è proprio in questo momento di difficoltà che Kunsthalle Athena vede per l’arte la possibilità
di rivolgersi all’immaginario sociale. ‘Noi’ non possiamo aspettare che si presenti un momento
migliore. Questo è il momento giusto per fare le cose in modo diverso, per vedere in modo diverso
e per credere di fare la differenza.
Kunsthalle Athena si baserà sul lavoro di squadra, fondamentale, tra singoli e gruppi con un vasto
spettro di esperienze e competenze, cercando il contributo creativo delle comunità locali e globali.
Favorirà interazioni creative con una portata internazionale mentre il suo centro gravitazionale
sarà la particolarità di Atene e del suo pubblico. Kunsthalle Athena proporrà un nuovo modo di
sperimentare l’arte ad Atene, offrendo un’alternativa al museo di arte convenzionale ed alle relative
istituzioni artistiche, allo scopo di completarle. Kunsthalle Athena mira ad evidenziare la costante
trasformazione della ‘polis’ quale location simbolica per la produzione e la diffusione della cultura
contemporanea mondiale.
Silvia Bottiroli, studiosa e curatrice di performing arts, direttrice artistica di Santarcangelo, Festival
Internazionale del Teatro di Piazza, Santarcangelo di Romagna
Per conoscere le lucciole
Nelle arti performative, e particolarmente nelle pratiche che operano nello spazio pubblico, la
questione dell’evento come “manifestazione dell’arte” interseca quelle dell’esistenza e della
fragilità della sfera politica; del rapporto tra realtà e rappresentazione; delle complesse dinamiche
di memoria e di promessa legate all’atto del guardare e del partecipare.
Proverò ad attraversare questi intrecci facendo riferimento specificamente a un lavoro – “I
topi lasciano la nave” di Zapruder filmmakersgroup realizzato per Santarcangelo •12 Festival
Internazionale del Teatro in Piazza nel 2012 – e approfondendo alcuni concetti che quest’opera,
il suo accadere e scomparire, il suo durare nella memoria e nella documentazione, chiamano in
causa.
13 ottobre 2012
mattina
Réda Bensmaïa, docente del dipartimento di letteratura comparata, Brown University, Providence
Figure dell’evento
“Soltanto attraverso l’evento diventiamo noi stessi”, affermava con convinzione Martin Heidegger
in uno dei testi fondanti del concetto di evento nei suoi Holzweg. Ripreso dai fenomenologi,
il concetto si sarebbe trasformato in ciò che Jean-Luc Marion ha qualificato come “fenomeno
saturo”, ossia come un’esperienza del mondo che passa d’ora in poi attraverso un “sovrappiù”
di intuizione su tutti i concetti e le categorie di apprensione della realtà mondana da parte di una
coscienza.
In questo excursus, metteremo in evidenza il posto che occupa oggi il concetto di evento nel
campo della creazione artistica, a partire dall’analisi di alcune delle configurazioni teoriche che
questo concetto ha assunto nella modernità.
Bruno Giorgini, fisico teorico
La Fisica degli Eventi: dal Big Bang al Carnevale di Venezia
A partire dalla definizione di evento nell’ambito della filosofia naturale, sarà proposta una
passeggiata che comincia col Big Bang, la singolarità iniziale dello spaziotempo cosmico con
l’esplosione primigenia che ha dato luogo al nostro attuale universo, e che passando per il ponte
di Einstein-Rosen finisce tra i canali e le calli veneziane durante il carnevale sulle tracce di quella
strana particella chiamata “pedone”.
Diego Fusaro, docente di storia della filosofia, Università San Raffaele, Milano
Storia ed evento: il senso della possibilità
Pensare l’evento significa riflettere sulle strutture della temporalità storica, ossia sull’accadere
concepito nella sua pura attualità, sospeso tra le due dimensioni del non-più del passato e del
non-ancora del futuro. Il divenire storico si regge, infatti, sull’intreccio a geometrie variabili di
eventi unici e irripetibili e strutture di lunga durata, ossia tra azioni e accadimenti ogni volta nuovi
e condizioni già esistenti su cui essi vanno a innestarsi. L’evento diventa, allora, la via privilegiata
per riflettere su quello che Musil chiamava il “senso di
possibilità” come cifra della storia; un tema che, nell’attuale congiuntura storica, pare essere
caduto nell’oblio in forza dell’egemonia di quella mistica della necessità che, neutralizzando la
pensabilità stessa dell’evento sotto i colpi della desertificazione dell’avvenire, ci rende ergastolani
del presente e riduce l’evento a riproduzione seriale dell’esistente.
13 ottobre 2012
pomeriggio
Claire de Ribaupierre, docente di antropologia, Haute Ecole d’art et de design, Geneve
Il processo del pensare: un esperimento del presente
Il concetto di evento nel campo artistico risale agli anni ’50, con l’Untitled Event di John Cage
che instaura la pratica dell’improvvisazione, legata alla questione del tempo, della molteplicità
dell’azione (poesia, musica, pittura, danza) e che assegna un nuovo posto allo spettatore
all’interno del dispositivo.
Successivamente, nel campo artistico, questo concetto di evento verrà sostituito da quello
di happening o di performance. E l’evento si sposterà verso qualcosa di molto mediatico, di
ipervisibile, coniugandosi così al plurale: gli eventi.
Tuttavia, il concetto di evento si sviluppa parallelamente nel campo della storia e permette agli
storici degli anni 60-70 di contrastare l’effetto di lunga durata, di movimento continuo e l’idea di
progressione. Vorrei quindi analizzare brevemente come tale concetto consenta agli antropologi di
pensare i fenomeni di rottura, di subitanea apparizione e di caso.
La questione temporale e il suo legame con l’azione è al centro di numerosi
approcci artistici. In questo senso cercherò di sviluppare una riflessione
avvalendomi di un esempio di performance intitolata Les Héros de la pensée, che permette di
costruire contemporaneamente un’esperienza del tempo e del
pensiero.
Mårten Spångberg, performer e teorico della performance
La coreografia come pratica estesa
Una coreografia estesa possiede il futuro. La danza così come la conosciamo, se non lo è già,
sarà presto superata, proprio come l’opera o il jazz di dixieland. Il futuro appartiene alla coreografia
ma solo se riconosce la sua potenzialità di capacità estesa. La coreografia non è l’arte di fare le
danze (una serie direzionale di strumenti), è una serie generica di capacità applicabili a qualsiasi
tipo di produzione, analisi ed organizzazione.
La coreografia non è l’arte di fare le danze, è un mezzo complesso per affrontare il mondo. No,
l’universo. In una società fondata sulla diffusione di valori astratti piuttosto che di beni materiali,
sono il movimento ed i rapporti a farla da Re, non il petrolio e l’acciaio. Se viviamo in una società
della performance, il suo fondamento strutturale è la coreografia.
Silvia Fanti, curatrice e programmatrice di performing arts; co-fondatrice di XING, cultural network,
Bologna
Casco
- Chi rinuncia alla vigilanza rinuncia all'attenzione e all'intenzione, a ogni tipo di tensione e di
attesa; entra nella de-tensione dei progetti e degli obbiettivi, delle anticipazioni e dei calcoli.
- Pensare è generalmente concepito come fare niente, e il far niente è difficile da fare. La via
migliore per realizzarlo è di mascherarlo nel 'fare qualcosa', e ciò che più si avvicina al fare
niente è il camminare. Camminare in sé è l'atto volontario più vicino ai ritmi involontari del corpo.
Camminare è, idealmente, uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo sono allineati. La mente
stessa è un paesaggio.
- Spettatore e performer condividono la medesima concretezza corporea di un organismo orientato
al suo ambiente. L'adattamento avviene per espansione, come l'eliotropismo delle piante che si dispongono verso la luce, non 'guardano' la luce.
12
ottobre 2012
Pensare l’evento
Dal 12 al 13 ottobre 2012
incontro - conferenza
Location
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Venezia, Campo Santa Maria Formosa, 5252, (Venezia)
Venezia, Campo Santa Maria Formosa, 5252, (Venezia)
Orario di apertura
dalle 10 alle 18
Curatore