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Goffredo Godi – Settant’anni di pittura
La mostra vuole far conoscere l’universo pittorico dell’artista napoletano, dagli anni Settanta attivo a Roma, attraverso le sue opere recenti in cui il sentimento tattile della natura, il senso di immediatezza, appunto, dei colori e delle atmosfere fa da filo conduttore a paesaggi vibranti di luce, visioni di Roma e ritratti
Comunicato stampa
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La mostra “Goffredo Godi. Settant’anni di pittura”, ospitata al Complesso del Vittoriano dal 7 al 26 settembre 2012, vuole far conoscere l’universo pittorico dell’artista napoletano, dagli anni Settanta attivo a Roma, attraverso le sue opere recenti in cui il sentimento tattile della natura, il senso di immediatezza, appunto, dei colori e delle atmosfere fa da filo conduttore a paesaggi vibranti di luce, visioni di Roma e ritratti. Scrive l’artista stesso: “Preferisco dipingere dal vero perché mi dà la possibilità di analizzare, scoprire ed evidenziare i ritmi che si nascondono nella natura e forniscono all’uomo, che inconsapevolmente accetta, sostanze liriche capaci di irrobustirgli lo spirito fino alla formazione della personale coscienza”.
La mostra si avvale del Patrocinio della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Arte e Sport -, di Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico -, della Provincia di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali. L’esposizione è curata da Lorenzo Canova.
Su l'immediatezza di Godi
Vorrei dire subito la mia impressione. A me sembra che chiunque per un momento venga distolto dall'ambiente della sua vita - da quel contatto con la pressante invadenza degli oggetti e delle “operazioni” entro la cui rete implacabilmente la quotidianità ci tiene - e sia posto di fronte ai dipinti di Godi, alle sue piccole tele dai vivaci colori sulle quali affiorano sintetiche raffigurazioni del mondo - paesaggi, persone, cose: campioni della natura -, non possa sottrarsi a un certo sentimento d'incanto. È la sorpresa, la meraviglia e subito dopo il senso un po' di mistero che si prova per quanto riesce a catturarci, a farci preda di una diversa visione, di un diverso pensiero. È quel che succede sempre di fronte alle opere d'arte, di qualsiasi concezione e fattura esse siano l'esito: dalle più astratte o concettuali a quelle al contrario, come i dipinti di Godi, più vicine alla riconoscibilità del mondo visibile che ci circonda; ma a condizione che vi sia quel qualcosa che chiamiamo arte, che è in grado di trasferirci in una dimensione simbolica o immaginaria dell'esperienza.
I quadri esposti in questa mostra rappresentano bene i soggetti cari al maestro. Vediamo soprattutto paesaggi, poi nature morte e rappresentazioni di persone nella natura. Ma compaiono anche dipinti nei quali le figure sono state sottoposte a processi d'astrazione che hanno consentito la costruzione d'intrecci dinamici. Già questo aspetto, quantitativamente secondario nell'attività di Godi, che si è voluto tuttavia documentare, lascia intendere che la formazione del suo linguaggio è stata più stratificata di quanto a un primo sguardo potrebbe apparire. Ma anche un'osservazione attenta dell'insieme delle sue opere non può non stimolare chi le guarda a interrogarsi sull'apparente semplicità d'espressione di cui esse si avvalgono.
Il fatto è che l'immediatezza con la quale le immagini di Godi giungono al fruitore trae in inganno. L'immediatezza degli effetti suggestiona, coinvolge, allieta; e insieme nasconde il linguaggio che tali effetti genera. È interessante che anni fa un esperto d'arte come Franco Simongini, che per la televisione nazionale ha filmato tanti colloqui con artisti, attraverso i quali è stato in grado di mostrare e rendere comprensibile il fondo della ricerca espressiva di ciascuno, abbia introdotto una mostra di Godi a Roma collocando nel suo testo l'osservazione di due caratteristiche apparentemente contraddittorie. Con raffinata sensibilità, infatti, egli guardava a Godi come a un personaggio di quel grande scrittore svizzero di inizio novecento che fu Robert Walser, «camminatore accanito, amante della natura». «Anche Walser - dice Simongini - figlio dell'inquietudine e della malinconia, amava la quiete, la profonda calma dell'anima, l'immutabilità della natura, la stabilità delle cose». E concludeva il suo scritto con queste parole: «La pittura di Godi così rassicurante, idillica in apparenza, nasconde inquietudini, tremori, ossessioni, come se tutta quella bellezza folgorata dalla luce estiva fosse precaria, sull'orlo di scomparire, e celasse nelle sue spire il seme stesso della distruzione».
A sostegno della complessità insita nell'immediatezza di espressione e rappresentazione del linguaggio di Godi vorrei portare anche un altro esempio e indizio. All'inizio della collezione d'arte negli ambienti della Quadriennale di Roma, a Villa Carpegna, proprio all'inizio dunque di un'esposizione che presenta opere dell'arte di ricerca più radicale, è collocata una veduta di Godi. Il suo paesaggismo mimetico naturalmente un po' stride in un luogo dominato da opere che si allontanano sia dalle forme che dalle tecniche della tradizione, ma si può avvertire che regge il confronto. Vale a dire che, condotto a questa prova del fuoco, il linguaggio di Godi rivela di basarsi su una struttura di segni dotata di una propria autonoma forza espressiva, in grado di sostenere il compito, oggi arduo per l'arte, di farsi immagine tradizionalmente realistica. Se ne era senza dubbio reso conto Il Presidente della Quadriennale, Gino Agnese, conoscitore dell'arte contemporanea e studioso in particolare del Futurismo, da sempre appassionato e attento sostenitore della produzione di Godi, che aveva voluto acquisire la tela ed esporla nella collezione.
Le immagini della realtà oggi ci giungono dai media della riproduzione tecnica e ci sommergono; già alla fine dell'Ottocento l'Impressionismo e il Simbolismo furono le prime vie di fuga di fronte all'affermarsi nella società industriale di un'immagine strettamente legata al valore economico della merce e al sistema della comunicazione. La figurazione mimetica di Godi non può non fare i conti con la presenza di questa seducente duplicazione del mondo proposta anzitutto dall'immagine stampata, che giunge in una certa misura a precostituire nell'uomo contemporaneo il filtro estetico della ricezione visiva dell'ambiente in cui vive. Infatti il linguaggio di Godi, se da un lato deve confrontarsi con l'astrazione, dall'altro compete di fatto anche con le attrattive dell'immagine prodotta dai media.
All'astrazione oppone l'immediatezza “viva” delle cose e della natura. Se l'astrazione può raggiungere esiti di grande e originale qualità estetica nella sua rielaborazione aniconica del modo, ecco che le barche e il mare, gli alberi e le montagne, gli oggetti e i prodotti della natura disposti sul tavolo che vediamo nei quadri di Godi, risvegliano in noi l'esperienza viva e concreta del mondo. C'è meno gioco in questo “naturalismo” per le declinazioni raffinate dei puri segni della pittura e anche, certo, per l'interiorizzazione della vita, ma la suggestione d'immediata presenza degli spazi e delle cose della realtà conquista il fruitore e guadagna un risultato di fondo molto importante nella dimensione dell'arte contemporanea: sottrae l'opera alla considerazione “artistica”, cioè al discorso puramente estetico sulle forme. Le immagini di Godi richiamano l'attenzione e suscitano emozione per quel che immediatamente mostrano; come dicevamo, in secondo piano rimane il livello del “come” mostrano. Invece, con l'immagine pubblicitaria, e più in generale con l'immagine-merce, le rappresentazioni di Godi sembrano giocare la loro partita grazie a una duplice operazione: per un verso esse accettano di competere con quelle sul piano dell'evidenza, in quanto sono rappresentazioni che non si ritraggono di fronte al compito di mostrare le cose, le figure, il mondo. C'è questa semplicità della visione che avvicina alle sue opere, che le rende capaci d'una comunicazione immediata. Per un altro verso, invece, esse dalle immagini-merce si distaccano. La differenza nasce all'interno della pittura: dalle rapide stesure del colore, dal modo secondo cui Godi costruisce i piani della rappresentazione, dalla disarticolazione dell'unità dell'immagine che col colore vi realizza.
Perché se guardiamo più attentamente i suoi dipinti, subito ci accorgiamo che la felice immediatezza nella restituzione delle apparenze visive è ottenuta con un percorso delle stesure cromatiche - e dunque dei piani dalla cui sintesi chi guarda deduce la realtà - che ha affinità con il linguaggio astratto. La peculiarità della pittura di Godi sta nella sua singolare sintesi di realtà e astrazione. L'astrazione serve a costruire una suggestione di immediatezza che non si avvalga solo della riconoscibilità delle cose, ma provenga proprio dagli scarti tra i piani, dai tagli che i colori e loro toni generano nella scena, dal movimento cui l'occhio è chiamato per fare emergere dall'insieme delle percezioni visive questa o quell'altra forma e così giungere a riconoscere per messe a fuoco successive i particolari del brano di realtà rappresentato.
La semplicità apparente del linguaggio di Godi risiede in un peculiare uso della lezione astratta che recupera l'elementarità di stesura del colore e la sua struttura frammentaria per ottenere effetti mimetici di più intensa e immediata ricezione. Se si osserva una qualsiasi delle opere in mostra, per esempio Barche di pescatori, ci si accorge che la forza rappresentativa del quadro è generata proprio dalla frammentaria costruzione per piani di colore sia degli spazi, sia degli oggetti in esso disseminati, sia dell'ambiente naturale nel suo insieme. La viva immediatezza della scena in fondo non deriva dalla facile riconoscibilità dei diversi motivi figurativi, ma dalla rapida sintesi dei distinti piani di colore secondo cui Godi realizza la rappresentazione. È questa struttura di segni, che rimane nascosta a chi si lascia catturare solo dal loro esito raffigurativo, a nutrire le rappresentazioni di Godi del loro spirito felice, che, come osservava Simongini, contiene in sé tanto il sentimento dell'eterno che il presentimento della fine.
Dal punto di vista della storia dell'arte, direi che il “naturalismo fremente” della pittura Godi si differenzia sia dai modi dell'Impressionismo che dell'Espressionismo. Dai primi, perché non si serve della sintesi ottica dei colori. L'immediatezza visiva delle sue forme essenziali e vivaci è data dalle relazioni sintetiche che si stabiliscono tra i diversi piani di colore, senza mai pervenire a soluzioni di fusione. Anche il riferimento all'esempio di Cézanne non calza bene, perché ciò che caratterizza i quadri di Godi è il risalto intenso dei particolari della veduta. Se si guarda, per esempio, la Natura morta del 2006, immediatamente si è richiamati dalle dissonanti stesure cromatiche delle quali sono fatti i frutti e gli ortaggi alla percezione della loro esistenza. Allora si penserebbe alla presenza nella sua pittura di una carica espressionista. Ma si faccia il confronto con Soutine e ci si renderà conto che la soggettività con cui Godi si avvicina ai suoi motivi nulla ha a che fare con la volontà di stravolgerli da cima a fondo con l'impeto di un pathos interiore. Le sue rappresentazioni lasciano avvertire una vibrazione, direi un tremito esistenziale; ma è tutt'altra cosa rispetto al ruolo che la manifestazione dell'interiorità gioca generalmente nell'Espressionismo.
Godi ha ricevuto una buona formazione artistica. Vivendo da ragazzo a Ercolano, vicino a Napoli, ha assorbito subito, nella sua giovanile vocazione alla pittura, la tradizione ottocentesca ancora ben viva della rappresentazione dal vero all'aria aperta, che aveva avuto in Marco De Gregorio proprio a Ercolano una personalità di particolare spicco. Sappiamo che al porto del Granatello incontrò una delle figure più forti del naturalismo napoletano del primo Novecento, Luigi Crisconio, che a tale tradizione si richiamava. E che studiò negli anni trenta all'importante Scuola di incisione su corallo “Maria José del Belgio”, a Torre del Greco. Immacolata Marino, nella sua tesi di laurea dedicata al maestro, ha ricostruito in modo molto particolareggiato l'itinerario di Godi e le sue relazioni con l'ambiente artistico napoletano, riversando queste preziose conoscenze anche nel sito web a lui dedicato. Dalle poche opere salvatesi della sua prima produzione emerge una pittura di forte modellato plastico, ottenuto con sicura costruzione dei piani per via di chiaroscuro. Penso anzitutto ai ritratti del padre (1941) e della madre (1945) dell'artista. Ritornato a casa dopo il servizio militare in guerra, e iscrittosi nel 1946 all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove seguirà l'insegnamento di Emilio Notte, artista di grande rilievo nazionale che aveva vissuto con esperienze dirette anche la stagione del Futurismo, le sue opere mostrano subito un nuovo assetto, in cui sono i colori, articolandosi nei piani, a divenire l'elemento costruttivo della scena.
Credo che Godi sia stato Godi fin da quel momento, che la sua pittura già dalla fine degli anni quaranta si sia insediata per intima vocazione nel gioco dei piani colorati e dei rapporti tonali, rivolgendosi alla realtà e cercando di renderne con vigore e nettezza di passaggi il complesso delle suggestioni sensoriali. Ma l'insegnamento di Notte, che era maestro capace di far crescere per la propria via la personalità dei suoi allievi e che per questa sua qualità ha formato a Napoli tanti e tanto diversi artisti, sicuramente ha avuto un ruolo centrale nel trasmettere al giovane Godi la lezione della costruttività del colore, risalente a Cézanne, che egli stesso aveva a fondo assimilato e rielaborato poi nelle soluzioni astratte. E c'è anche da fare attenzione a un'altra circostanza. Nel 1952, per l'interessamento di Notte, Godi diviene assistente di Domenico Spinosa, che insegnava al Liceo artistico. Svolgerà questo compito per tre anni, poi Spinosa passerà all'Accademia e Godi comincerà la sua stagione di professore al Liceo artistico, prima a Napoli, poi a Roma dal 1970. Bene, Spinosa proprio in quel momento, agli inizi degli anni cinquanta, stava avviando la sua peculiare ricerca sull'immersione e lo sfrangiamento dell'immagine della cosa (oggetti dell'ambiente domestico prevalentemente) nella materia dei colori. Una sua via, pittoricamente sensibilissima, all'esperienza dell'Informale. Ora, la mia impressione e ipotesi è che nella costruzione dei piani di Godi sia trapassato qualcosa del sentimento di tenerezza e di vitalità del colore-materia che guidava Spinosa, divenendo un'acquisizione del giovane artista che accompagnerà l'evoluzione continua del suo linguaggio. Se guardiamo infatti al modo secondo cui Godi realizza la stesura dei colori da cui originano i piani della sua rappresentazione, ci si rivela l'evidenza di segni impressi rapidamente, con movimenti riconoscibili che hanno un ruolo nel generare quella successione di scarti e di discontinuità nel tessuto pittorico che conferisce immediatezza e vivacità alla visione. Ebbene, questo movimento interno alla pittura, da cui deriva in buona parte anche il senso di vibrazione che i dipinti di Godi trasmettono, a me sembra che possieda qualcosa dell'esistenzialità tipicamente espressa dai modi dell'Informale e propria anche del linguaggio di Spinosa. Ciò che incanta del realismo di Godi non dipende forse proprio dalla leggerezza con cui si compongono insieme i sui segni, rivelando di appartenere alla comune vita della materia pittorica che si mostra immediata nella stesura veloce dei piani?
Guardiamo Godi dipingere. Guardiamo le fotografie che ce lo presentano da giovanissimo fino ad oggi, con quell'espressione aperta del volto che rivela proprio la felicità di vedere e di partecipare così alla vita. Che cosa ci mostrano le sue vedute? Che cosa guardando e dipingendo, guardando sempre col pennello alla mano, ci ha fatto vedere? Simongini lo ha già detto. Provo a dirlo anch'io.
Quel sorriso incantato di Godi non prelude ad una pittura che effonda sentimento, ma neanche a una distaccata osservazione. Con queste parole egli ha disegnato il suo profilo di pittore dal vero: «Preferisco dipingere dal vero perché mi dà la possibilità di analizzare, scoprire ed evidenziare i ritmi che si nascondono nella natura e forniscono all'uomo che, inconsapevolmente accetta, sostanze liriche capaci di irrobustirgli lo spirito fino alla formazione della personale coscienza». I ritmi, dunque. Ed ecco la vibrazione, infatti, che ogni critico del suo lavoro ha avvertito levarsi dal suo naturalismo; ed il movimento dei piani, fondamentale sotto l'evidenza della rappresentazione. Non si tratta di rappresentare una relazione empatica con la natura, di proiettare cioè qualcosa della spiritualità del soggetto che sia suscitata dal confronto con la natura e venga riflessa su di essa; la veduta di Godi non è del genere di quella di Friedrich. E tuttavia l'artista vuol cogliere qualcosa del mondo cui guarda, qualcosa della vita che si nasconde in esso, più in profondità della superficie delle cose, dove l'uomo possa trovare il nutrimento per sé perché di quella vita anch'egli è parte. È un vedutismo dunque che ha una motivazione e una guida spirituale, ma che sa di dover cercare guardando, senza avvicinarsi troppo ai motivi per non riversarvi un sentimento di origine soggettiva, senza rimanere troppo lontano da essi per non perdere la ragione umana di quella osservazione. La mia impressione è che Godi facendo parte di quell'esperienza - e di quella cultura - che ha attraversato la guerra e le si è proiettata oltre rimanendone segnata, ha sentito che prima dell'essere c'è l'esistere, che all'essere l'uomo può giungere solo passando tra i sentieri dell'esistere, che il nutrimento dell'eternità della natura dunque, e il nutrimento che questo sentimento può dare, si possono attingere avvertendo a fondo quanto tutto sia “esposto” al divenire. E trasferendo questo in pittura, a me pare che quel contatto con la vitalità del colore-materia, cioè quell'assimilazione d'una essenza di Informale rielaborata nella resa dell'immediatezza vitale della veduta, sia l'altra faccia di tale sua matrice - per esperienza di vita - “esistenzialista”.
Stefano Gallo
La mostra si avvale del Patrocinio della Regione Lazio – Assessorato alla Cultura, Arte e Sport -, di Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico -, della Provincia di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali. L’esposizione è curata da Lorenzo Canova.
Su l'immediatezza di Godi
Vorrei dire subito la mia impressione. A me sembra che chiunque per un momento venga distolto dall'ambiente della sua vita - da quel contatto con la pressante invadenza degli oggetti e delle “operazioni” entro la cui rete implacabilmente la quotidianità ci tiene - e sia posto di fronte ai dipinti di Godi, alle sue piccole tele dai vivaci colori sulle quali affiorano sintetiche raffigurazioni del mondo - paesaggi, persone, cose: campioni della natura -, non possa sottrarsi a un certo sentimento d'incanto. È la sorpresa, la meraviglia e subito dopo il senso un po' di mistero che si prova per quanto riesce a catturarci, a farci preda di una diversa visione, di un diverso pensiero. È quel che succede sempre di fronte alle opere d'arte, di qualsiasi concezione e fattura esse siano l'esito: dalle più astratte o concettuali a quelle al contrario, come i dipinti di Godi, più vicine alla riconoscibilità del mondo visibile che ci circonda; ma a condizione che vi sia quel qualcosa che chiamiamo arte, che è in grado di trasferirci in una dimensione simbolica o immaginaria dell'esperienza.
I quadri esposti in questa mostra rappresentano bene i soggetti cari al maestro. Vediamo soprattutto paesaggi, poi nature morte e rappresentazioni di persone nella natura. Ma compaiono anche dipinti nei quali le figure sono state sottoposte a processi d'astrazione che hanno consentito la costruzione d'intrecci dinamici. Già questo aspetto, quantitativamente secondario nell'attività di Godi, che si è voluto tuttavia documentare, lascia intendere che la formazione del suo linguaggio è stata più stratificata di quanto a un primo sguardo potrebbe apparire. Ma anche un'osservazione attenta dell'insieme delle sue opere non può non stimolare chi le guarda a interrogarsi sull'apparente semplicità d'espressione di cui esse si avvalgono.
Il fatto è che l'immediatezza con la quale le immagini di Godi giungono al fruitore trae in inganno. L'immediatezza degli effetti suggestiona, coinvolge, allieta; e insieme nasconde il linguaggio che tali effetti genera. È interessante che anni fa un esperto d'arte come Franco Simongini, che per la televisione nazionale ha filmato tanti colloqui con artisti, attraverso i quali è stato in grado di mostrare e rendere comprensibile il fondo della ricerca espressiva di ciascuno, abbia introdotto una mostra di Godi a Roma collocando nel suo testo l'osservazione di due caratteristiche apparentemente contraddittorie. Con raffinata sensibilità, infatti, egli guardava a Godi come a un personaggio di quel grande scrittore svizzero di inizio novecento che fu Robert Walser, «camminatore accanito, amante della natura». «Anche Walser - dice Simongini - figlio dell'inquietudine e della malinconia, amava la quiete, la profonda calma dell'anima, l'immutabilità della natura, la stabilità delle cose». E concludeva il suo scritto con queste parole: «La pittura di Godi così rassicurante, idillica in apparenza, nasconde inquietudini, tremori, ossessioni, come se tutta quella bellezza folgorata dalla luce estiva fosse precaria, sull'orlo di scomparire, e celasse nelle sue spire il seme stesso della distruzione».
A sostegno della complessità insita nell'immediatezza di espressione e rappresentazione del linguaggio di Godi vorrei portare anche un altro esempio e indizio. All'inizio della collezione d'arte negli ambienti della Quadriennale di Roma, a Villa Carpegna, proprio all'inizio dunque di un'esposizione che presenta opere dell'arte di ricerca più radicale, è collocata una veduta di Godi. Il suo paesaggismo mimetico naturalmente un po' stride in un luogo dominato da opere che si allontanano sia dalle forme che dalle tecniche della tradizione, ma si può avvertire che regge il confronto. Vale a dire che, condotto a questa prova del fuoco, il linguaggio di Godi rivela di basarsi su una struttura di segni dotata di una propria autonoma forza espressiva, in grado di sostenere il compito, oggi arduo per l'arte, di farsi immagine tradizionalmente realistica. Se ne era senza dubbio reso conto Il Presidente della Quadriennale, Gino Agnese, conoscitore dell'arte contemporanea e studioso in particolare del Futurismo, da sempre appassionato e attento sostenitore della produzione di Godi, che aveva voluto acquisire la tela ed esporla nella collezione.
Le immagini della realtà oggi ci giungono dai media della riproduzione tecnica e ci sommergono; già alla fine dell'Ottocento l'Impressionismo e il Simbolismo furono le prime vie di fuga di fronte all'affermarsi nella società industriale di un'immagine strettamente legata al valore economico della merce e al sistema della comunicazione. La figurazione mimetica di Godi non può non fare i conti con la presenza di questa seducente duplicazione del mondo proposta anzitutto dall'immagine stampata, che giunge in una certa misura a precostituire nell'uomo contemporaneo il filtro estetico della ricezione visiva dell'ambiente in cui vive. Infatti il linguaggio di Godi, se da un lato deve confrontarsi con l'astrazione, dall'altro compete di fatto anche con le attrattive dell'immagine prodotta dai media.
All'astrazione oppone l'immediatezza “viva” delle cose e della natura. Se l'astrazione può raggiungere esiti di grande e originale qualità estetica nella sua rielaborazione aniconica del modo, ecco che le barche e il mare, gli alberi e le montagne, gli oggetti e i prodotti della natura disposti sul tavolo che vediamo nei quadri di Godi, risvegliano in noi l'esperienza viva e concreta del mondo. C'è meno gioco in questo “naturalismo” per le declinazioni raffinate dei puri segni della pittura e anche, certo, per l'interiorizzazione della vita, ma la suggestione d'immediata presenza degli spazi e delle cose della realtà conquista il fruitore e guadagna un risultato di fondo molto importante nella dimensione dell'arte contemporanea: sottrae l'opera alla considerazione “artistica”, cioè al discorso puramente estetico sulle forme. Le immagini di Godi richiamano l'attenzione e suscitano emozione per quel che immediatamente mostrano; come dicevamo, in secondo piano rimane il livello del “come” mostrano. Invece, con l'immagine pubblicitaria, e più in generale con l'immagine-merce, le rappresentazioni di Godi sembrano giocare la loro partita grazie a una duplice operazione: per un verso esse accettano di competere con quelle sul piano dell'evidenza, in quanto sono rappresentazioni che non si ritraggono di fronte al compito di mostrare le cose, le figure, il mondo. C'è questa semplicità della visione che avvicina alle sue opere, che le rende capaci d'una comunicazione immediata. Per un altro verso, invece, esse dalle immagini-merce si distaccano. La differenza nasce all'interno della pittura: dalle rapide stesure del colore, dal modo secondo cui Godi costruisce i piani della rappresentazione, dalla disarticolazione dell'unità dell'immagine che col colore vi realizza.
Perché se guardiamo più attentamente i suoi dipinti, subito ci accorgiamo che la felice immediatezza nella restituzione delle apparenze visive è ottenuta con un percorso delle stesure cromatiche - e dunque dei piani dalla cui sintesi chi guarda deduce la realtà - che ha affinità con il linguaggio astratto. La peculiarità della pittura di Godi sta nella sua singolare sintesi di realtà e astrazione. L'astrazione serve a costruire una suggestione di immediatezza che non si avvalga solo della riconoscibilità delle cose, ma provenga proprio dagli scarti tra i piani, dai tagli che i colori e loro toni generano nella scena, dal movimento cui l'occhio è chiamato per fare emergere dall'insieme delle percezioni visive questa o quell'altra forma e così giungere a riconoscere per messe a fuoco successive i particolari del brano di realtà rappresentato.
La semplicità apparente del linguaggio di Godi risiede in un peculiare uso della lezione astratta che recupera l'elementarità di stesura del colore e la sua struttura frammentaria per ottenere effetti mimetici di più intensa e immediata ricezione. Se si osserva una qualsiasi delle opere in mostra, per esempio Barche di pescatori, ci si accorge che la forza rappresentativa del quadro è generata proprio dalla frammentaria costruzione per piani di colore sia degli spazi, sia degli oggetti in esso disseminati, sia dell'ambiente naturale nel suo insieme. La viva immediatezza della scena in fondo non deriva dalla facile riconoscibilità dei diversi motivi figurativi, ma dalla rapida sintesi dei distinti piani di colore secondo cui Godi realizza la rappresentazione. È questa struttura di segni, che rimane nascosta a chi si lascia catturare solo dal loro esito raffigurativo, a nutrire le rappresentazioni di Godi del loro spirito felice, che, come osservava Simongini, contiene in sé tanto il sentimento dell'eterno che il presentimento della fine.
Dal punto di vista della storia dell'arte, direi che il “naturalismo fremente” della pittura Godi si differenzia sia dai modi dell'Impressionismo che dell'Espressionismo. Dai primi, perché non si serve della sintesi ottica dei colori. L'immediatezza visiva delle sue forme essenziali e vivaci è data dalle relazioni sintetiche che si stabiliscono tra i diversi piani di colore, senza mai pervenire a soluzioni di fusione. Anche il riferimento all'esempio di Cézanne non calza bene, perché ciò che caratterizza i quadri di Godi è il risalto intenso dei particolari della veduta. Se si guarda, per esempio, la Natura morta del 2006, immediatamente si è richiamati dalle dissonanti stesure cromatiche delle quali sono fatti i frutti e gli ortaggi alla percezione della loro esistenza. Allora si penserebbe alla presenza nella sua pittura di una carica espressionista. Ma si faccia il confronto con Soutine e ci si renderà conto che la soggettività con cui Godi si avvicina ai suoi motivi nulla ha a che fare con la volontà di stravolgerli da cima a fondo con l'impeto di un pathos interiore. Le sue rappresentazioni lasciano avvertire una vibrazione, direi un tremito esistenziale; ma è tutt'altra cosa rispetto al ruolo che la manifestazione dell'interiorità gioca generalmente nell'Espressionismo.
Godi ha ricevuto una buona formazione artistica. Vivendo da ragazzo a Ercolano, vicino a Napoli, ha assorbito subito, nella sua giovanile vocazione alla pittura, la tradizione ottocentesca ancora ben viva della rappresentazione dal vero all'aria aperta, che aveva avuto in Marco De Gregorio proprio a Ercolano una personalità di particolare spicco. Sappiamo che al porto del Granatello incontrò una delle figure più forti del naturalismo napoletano del primo Novecento, Luigi Crisconio, che a tale tradizione si richiamava. E che studiò negli anni trenta all'importante Scuola di incisione su corallo “Maria José del Belgio”, a Torre del Greco. Immacolata Marino, nella sua tesi di laurea dedicata al maestro, ha ricostruito in modo molto particolareggiato l'itinerario di Godi e le sue relazioni con l'ambiente artistico napoletano, riversando queste preziose conoscenze anche nel sito web a lui dedicato. Dalle poche opere salvatesi della sua prima produzione emerge una pittura di forte modellato plastico, ottenuto con sicura costruzione dei piani per via di chiaroscuro. Penso anzitutto ai ritratti del padre (1941) e della madre (1945) dell'artista. Ritornato a casa dopo il servizio militare in guerra, e iscrittosi nel 1946 all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove seguirà l'insegnamento di Emilio Notte, artista di grande rilievo nazionale che aveva vissuto con esperienze dirette anche la stagione del Futurismo, le sue opere mostrano subito un nuovo assetto, in cui sono i colori, articolandosi nei piani, a divenire l'elemento costruttivo della scena.
Credo che Godi sia stato Godi fin da quel momento, che la sua pittura già dalla fine degli anni quaranta si sia insediata per intima vocazione nel gioco dei piani colorati e dei rapporti tonali, rivolgendosi alla realtà e cercando di renderne con vigore e nettezza di passaggi il complesso delle suggestioni sensoriali. Ma l'insegnamento di Notte, che era maestro capace di far crescere per la propria via la personalità dei suoi allievi e che per questa sua qualità ha formato a Napoli tanti e tanto diversi artisti, sicuramente ha avuto un ruolo centrale nel trasmettere al giovane Godi la lezione della costruttività del colore, risalente a Cézanne, che egli stesso aveva a fondo assimilato e rielaborato poi nelle soluzioni astratte. E c'è anche da fare attenzione a un'altra circostanza. Nel 1952, per l'interessamento di Notte, Godi diviene assistente di Domenico Spinosa, che insegnava al Liceo artistico. Svolgerà questo compito per tre anni, poi Spinosa passerà all'Accademia e Godi comincerà la sua stagione di professore al Liceo artistico, prima a Napoli, poi a Roma dal 1970. Bene, Spinosa proprio in quel momento, agli inizi degli anni cinquanta, stava avviando la sua peculiare ricerca sull'immersione e lo sfrangiamento dell'immagine della cosa (oggetti dell'ambiente domestico prevalentemente) nella materia dei colori. Una sua via, pittoricamente sensibilissima, all'esperienza dell'Informale. Ora, la mia impressione e ipotesi è che nella costruzione dei piani di Godi sia trapassato qualcosa del sentimento di tenerezza e di vitalità del colore-materia che guidava Spinosa, divenendo un'acquisizione del giovane artista che accompagnerà l'evoluzione continua del suo linguaggio. Se guardiamo infatti al modo secondo cui Godi realizza la stesura dei colori da cui originano i piani della sua rappresentazione, ci si rivela l'evidenza di segni impressi rapidamente, con movimenti riconoscibili che hanno un ruolo nel generare quella successione di scarti e di discontinuità nel tessuto pittorico che conferisce immediatezza e vivacità alla visione. Ebbene, questo movimento interno alla pittura, da cui deriva in buona parte anche il senso di vibrazione che i dipinti di Godi trasmettono, a me sembra che possieda qualcosa dell'esistenzialità tipicamente espressa dai modi dell'Informale e propria anche del linguaggio di Spinosa. Ciò che incanta del realismo di Godi non dipende forse proprio dalla leggerezza con cui si compongono insieme i sui segni, rivelando di appartenere alla comune vita della materia pittorica che si mostra immediata nella stesura veloce dei piani?
Guardiamo Godi dipingere. Guardiamo le fotografie che ce lo presentano da giovanissimo fino ad oggi, con quell'espressione aperta del volto che rivela proprio la felicità di vedere e di partecipare così alla vita. Che cosa ci mostrano le sue vedute? Che cosa guardando e dipingendo, guardando sempre col pennello alla mano, ci ha fatto vedere? Simongini lo ha già detto. Provo a dirlo anch'io.
Quel sorriso incantato di Godi non prelude ad una pittura che effonda sentimento, ma neanche a una distaccata osservazione. Con queste parole egli ha disegnato il suo profilo di pittore dal vero: «Preferisco dipingere dal vero perché mi dà la possibilità di analizzare, scoprire ed evidenziare i ritmi che si nascondono nella natura e forniscono all'uomo che, inconsapevolmente accetta, sostanze liriche capaci di irrobustirgli lo spirito fino alla formazione della personale coscienza». I ritmi, dunque. Ed ecco la vibrazione, infatti, che ogni critico del suo lavoro ha avvertito levarsi dal suo naturalismo; ed il movimento dei piani, fondamentale sotto l'evidenza della rappresentazione. Non si tratta di rappresentare una relazione empatica con la natura, di proiettare cioè qualcosa della spiritualità del soggetto che sia suscitata dal confronto con la natura e venga riflessa su di essa; la veduta di Godi non è del genere di quella di Friedrich. E tuttavia l'artista vuol cogliere qualcosa del mondo cui guarda, qualcosa della vita che si nasconde in esso, più in profondità della superficie delle cose, dove l'uomo possa trovare il nutrimento per sé perché di quella vita anch'egli è parte. È un vedutismo dunque che ha una motivazione e una guida spirituale, ma che sa di dover cercare guardando, senza avvicinarsi troppo ai motivi per non riversarvi un sentimento di origine soggettiva, senza rimanere troppo lontano da essi per non perdere la ragione umana di quella osservazione. La mia impressione è che Godi facendo parte di quell'esperienza - e di quella cultura - che ha attraversato la guerra e le si è proiettata oltre rimanendone segnata, ha sentito che prima dell'essere c'è l'esistere, che all'essere l'uomo può giungere solo passando tra i sentieri dell'esistere, che il nutrimento dell'eternità della natura dunque, e il nutrimento che questo sentimento può dare, si possono attingere avvertendo a fondo quanto tutto sia “esposto” al divenire. E trasferendo questo in pittura, a me pare che quel contatto con la vitalità del colore-materia, cioè quell'assimilazione d'una essenza di Informale rielaborata nella resa dell'immediatezza vitale della veduta, sia l'altra faccia di tale sua matrice - per esperienza di vita - “esistenzialista”.
Stefano Gallo
06
settembre 2012
Goffredo Godi – Settant’anni di pittura
Dal 06 al 26 settembre 2012
arte contemporanea
Location
COMPLESSO DEL VITTORIANO
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Roma, Via Di San Pietro In Carcere, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni 9.30 -19.30
Vernissage
6 Settembre 2012, ore 18.30
Autore
Curatore