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Max Caffell – Pieni – Vuoti
Il fulcro principale del suo lavoro è l’esperienza dello spazio e della presenza. La combinazione di bidimensionalità e tridimensionalità riflette il rapporto tra la fenomenologia della presenza fisica dell’oggetto e il coinvolgimento dell’immaginazione nella rappresentazione fotografica
Comunicato stampa
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Max Caffell
'Pieni - Vuoti'
In occasione del programma espositivo “Lightness” a Torino, Max Caffell mostra per la prima volta
insieme una scelta di sculture, fotografie e disegni preparatori astratti.
Il fulcro principale del suo lavoro è l'esperienza dello spazio e della presenza. La combinazione
di bidimensionalità e tridimensionalità riflette il rapporto tra la fenomenologia della presenza
fisica dell'oggetto e il coinvolgimento dell’immaginazione nella rappresentazione fotografica.
Le sculture operano una traslazione dal reale alla sua impronta o indizio, partendo dalla presenza
fisica nel suo stato grezzo. Questo rapporto duale - come nella definizione di Sigmund Freud della
scissione tra “il sé” e l’"altro" - passa attraverso la riduzione dei calchi a sottili strisce di gesso che
si delineano da un punto ad un altro della sedia. Il corpo - la cui presenza emerge tra le impronte
delle pieghe della pelle schiacciata dal gesso - si fonde con la materia del supporto. Il soggetto e
l'oggetto si combinano in un’unica creatura - allo stesso tempo animata e inanimata.
Se a prima vista queste opere condividono alcune analogie formali con la serie 'Nuds' di Sarah
Lucas - collants imbottiti di kapok che si appoggiano surrealmente su sedie di legno o su blocchi
di cemento - esse, allo stesso tempo, si ricollegano allo spirito dell’Arte Povera, in una personale
reinterpretazione (non è un caso che Caffell mostri il suo lavoro a Torino, centro del movimento
alla fine degli anni sessanta). Il lavoro dell’artista, tuttavia, si può considerare come una nuova
lettura della fenomenologia dell’esperienza della materia: laddove i movimenti artistici degli anni
sessanta si sono spostati dalla figurazione all'astrazione, Caffell reintroduce l'estetica e la figura
nei dibattiti concernenti le nozioni di presenza e assenza. Fondamentale per questo approccio è
il ricorso al mezzo fotografico – al di là del semplice uso della fotografia per la documentazione
dell'opera. È questa una direzione già intrapresa a fine Ottocento da Auguste Rodin, che si è servito
più volte della fotografia per dare forma alla scultura.
Una delle prime opere che esprimono l’interesse dell’artista verso il corpo in azione e la
sua rappresentazione è “Leaning torso” (busto inclinato) che richiama alla mente, nella sua
performatività, un lavoro del minimalista Robert Morris, “Untitled (Box for standing)”, 1961,
il primo della nota serie di scatole spoglie, plinti senza statue. Quello che è interessante sapere
sull’opera di Caffell è che essa è stata fatta dall'interno verso l’esterno: l’artista ha plasmato i lati
della scatola mentre era racchiuso al suo interno. Come una traccia di quest’atto creatore rimane il
calco dal vivo dei piedi dell’autore alla base del parallelepipedo, che conferisce all’oggetto cavo
una qualità antropomorfica. La sensazione di un corpo racchiuso in un vuoto tombale rievoca un
detto Sufi - "il corpo è la gabbia dell'anima"; eppure nel lavoro di Caffell questo corpo si libra con
la stessa leggerezza riecheggiata nelle parole di Alex Potts, a proposito del rapporto tra scultura e
documentazione fotografica:
'Se è vero che la fotografia tende, da un lato, a sottolineare la massa e il peso dell’oggetto
rappresentato, essa sa, d’altro canto, mostrarci l’opera in quanto presenza dematerializzata, come un
effetto ottico di un gioco di luci, o un inquietante senso di vuoto'.
Colin Glen, 2012 (tratto da)
'Pieni - Vuoti'
In occasione del programma espositivo “Lightness” a Torino, Max Caffell mostra per la prima volta
insieme una scelta di sculture, fotografie e disegni preparatori astratti.
Il fulcro principale del suo lavoro è l'esperienza dello spazio e della presenza. La combinazione
di bidimensionalità e tridimensionalità riflette il rapporto tra la fenomenologia della presenza
fisica dell'oggetto e il coinvolgimento dell’immaginazione nella rappresentazione fotografica.
Le sculture operano una traslazione dal reale alla sua impronta o indizio, partendo dalla presenza
fisica nel suo stato grezzo. Questo rapporto duale - come nella definizione di Sigmund Freud della
scissione tra “il sé” e l’"altro" - passa attraverso la riduzione dei calchi a sottili strisce di gesso che
si delineano da un punto ad un altro della sedia. Il corpo - la cui presenza emerge tra le impronte
delle pieghe della pelle schiacciata dal gesso - si fonde con la materia del supporto. Il soggetto e
l'oggetto si combinano in un’unica creatura - allo stesso tempo animata e inanimata.
Se a prima vista queste opere condividono alcune analogie formali con la serie 'Nuds' di Sarah
Lucas - collants imbottiti di kapok che si appoggiano surrealmente su sedie di legno o su blocchi
di cemento - esse, allo stesso tempo, si ricollegano allo spirito dell’Arte Povera, in una personale
reinterpretazione (non è un caso che Caffell mostri il suo lavoro a Torino, centro del movimento
alla fine degli anni sessanta). Il lavoro dell’artista, tuttavia, si può considerare come una nuova
lettura della fenomenologia dell’esperienza della materia: laddove i movimenti artistici degli anni
sessanta si sono spostati dalla figurazione all'astrazione, Caffell reintroduce l'estetica e la figura
nei dibattiti concernenti le nozioni di presenza e assenza. Fondamentale per questo approccio è
il ricorso al mezzo fotografico – al di là del semplice uso della fotografia per la documentazione
dell'opera. È questa una direzione già intrapresa a fine Ottocento da Auguste Rodin, che si è servito
più volte della fotografia per dare forma alla scultura.
Una delle prime opere che esprimono l’interesse dell’artista verso il corpo in azione e la
sua rappresentazione è “Leaning torso” (busto inclinato) che richiama alla mente, nella sua
performatività, un lavoro del minimalista Robert Morris, “Untitled (Box for standing)”, 1961,
il primo della nota serie di scatole spoglie, plinti senza statue. Quello che è interessante sapere
sull’opera di Caffell è che essa è stata fatta dall'interno verso l’esterno: l’artista ha plasmato i lati
della scatola mentre era racchiuso al suo interno. Come una traccia di quest’atto creatore rimane il
calco dal vivo dei piedi dell’autore alla base del parallelepipedo, che conferisce all’oggetto cavo
una qualità antropomorfica. La sensazione di un corpo racchiuso in un vuoto tombale rievoca un
detto Sufi - "il corpo è la gabbia dell'anima"; eppure nel lavoro di Caffell questo corpo si libra con
la stessa leggerezza riecheggiata nelle parole di Alex Potts, a proposito del rapporto tra scultura e
documentazione fotografica:
'Se è vero che la fotografia tende, da un lato, a sottolineare la massa e il peso dell’oggetto
rappresentato, essa sa, d’altro canto, mostrarci l’opera in quanto presenza dematerializzata, come un
effetto ottico di un gioco di luci, o un inquietante senso di vuoto'.
Colin Glen, 2012 (tratto da)
16
giugno 2012
Max Caffell – Pieni – Vuoti
Dal 16 giugno al 16 luglio 2012
fotografia
arte contemporanea
disegno e grafica
arte contemporanea
disegno e grafica
Location
LOST & FOUND GALLERY
Torino, Via Guastalla, 5, (Torino)
Torino, Via Guastalla, 5, (Torino)
Vernissage
16 Giugno 2012, ore 18
Autore