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Il mio volto è nell’altro
Il volto. Come si può parlarne? Può intendersi come maschera, secondo il senso greco, ossia il volto è forgiato dalla cultura quale veste che diventa un tutt’uno con la nuda animalità che intimamente gli appartiene.
Comunicato stampa
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Il volto.
Come si può parlarne? Può intendersi come maschera, secondo il senso greco, ossia il volto è forgiato dalla cultura quale veste che diventa un tutt'uno con la nuda animalità che intimamente gli appartiene. Oppure, all'opposto, si può affermare che il viso è ciò che siamo se ci liberiamo delle maschere che la società ci impone al costo di un penoso appiattimento omologante.
È visibile o invisibile? Solo l'altro lo vede e, se vuole, lo guarda. Chi lo vede ce lo rimanda interpretato dal suo modo d'essere: non ci ritorna esattamente il nostro viso ma come esso viene vissuto da chi ci guarda. Neanche allo specchio lo vediamo vivere. Se ci guardiamo è vero che il volto ritorna riflesso ma solo per un attimo. Si tratta di un flash che non possiamo sostenere a lungo tanto più che è una visibilità non reale perché i lineamenti si irrigidiscono in fretta nella posa. La tecnologia avanzata del nostro mondo mediatico non modifica i caratteri con cui il volto si dà né riesce a risolvere l'enigma di questa sottrazione fisica del sé. Una lunga sequenza di riprese (mute, parlate, sofisticate, documentarie) non ci può riportare il nostro viso della quotidianità, è incapace di sostituirne la scioltezza e il senso.
A parlare del volto restano il rapporto con l'altro e l'opera d'arte.
L'opera d'arte.
È la finzione, che narra una verosimile visione (con accenti multiformi, figurati e non) del volto che viene cercato da sè e dall'altro e profondamente guardato.
Il volto nella nostra mostra.
"Il volto è nell'altro", pertanto restando nell'area artistica, è la più lucida tensione comunicativa restituibile.
Il fatto di figurare il viso in modo caleidoscopico, attraverso continue variazioni o addirittura sottolineandone l'assenza visiva, è questione che appartiene a millenari incroci di culture.
Detto questo i quadri in mostra sono un frammento dedicato al tema e risolto in chiave figurativa.
Marco Mattei, illustratore e pittore, angola la sua figurazione pittorica così da mettere in primo piano il disagio che traspare negli sguardi che spesso oggi incrociamo.
Sono maschere intese come bavagli. Lontano dalla lettura classica egli è immerso nella contemporaneità e ne vive la storia come appassionato interprete. L'omologazione della bellezza e dei canoni comportamentali contraggono i rapporti e la vivacità che nasce dal confronto. Si spengono le persone e le loro potenzialità inventive e dialogiche.
"Il mio volto è nell'altro" si perde nell'aridità di una ricerca svuotata.
Eppure i quadri dell'artista contengono il dinamismo tortuoso di chi non si rassegna.
Graffi e grovigli di linee rapide nel segno, colori non vivaci ma intensi, quasi monocromi e spesso terrosi, colmano superfici scabre, in un percorso di esperto mestiere e di ricerca poetica.
I volti di Federica Miani si offrono con un differente impianto dal punto di vista tecnico ma il linguaggio parla di un'affine sensibilità con Marco Mattei. Viene esternato il mal di vivere attraverso la spietata condanna di una invasiva virtualità la quale sconfina dal suo ruolo per estendersi all'intero arco dei rapporti umani e strangolandoli alla stregua di catene. È un soffocamento non solo della fisicità ma anche un'alterazione del legame con il sé, proprio e altrui.
Lo sguardo, se questa via mediatica fosse l'unica percorribile, perderebbe di senso come un fossile museizzato. Anche Federica Miani, sebbene la sua pittura non sia tecnicamente graffiante quanto allusiva tramite un simbolizzare efficace, rimanda alle difficoltà di comunicazione umana.
I suoi ultimi lavori acrilici, cromaticamente pacati e antinaturalistici, si accendono di oro, si danno in trasparenza dietro labirinti dorati, lasciando chi osserva davanti ad una rappresentazione imprevedibile, ossia una composizione equilibrata e per questo motivo ancora più in contrasto con i contenuti allarmanti.
Volchitza Franz ci accompagna invece nel suo mondo coloratissimo costruito come
un castello intricato dove albergano visioni oniriche, sogni ad occhi aperti, vitali e leggeri slanci che si tramutano in un deciso sentire. E ancora ci sono volti segnati dal dolore, dall'isolamento, in una girandola chagalliana, intrisa di musica, teatro, danza.
Volchitza infatti avverte lo stretto vincolo che unisce le arti e in cui esse traggono forza reciproca.
"Il volto è nell'altro" è davvero un ricercarsi e un abbandonarsi nel diverso, illuminando il tema con una nuova luce; Volchitza è anche regista e uno dei suoi pezzi teatrali si intitola "Se mi guardi esisto". Il suo è un viaggio dentro l'anoressia. Anche le filiformi donne della sua poetica riecheggiano da lontano desideri di vicinanza, scambio.
Gli occhi grandi, gli scenari fantastici che racchiudono i suoi visi non sono surrealtà in
quanto ne manca l'enigma. Sono piuttosto le moderne fiabe, dolci e crude.
Le opere di Milena Ciampa si colorano di quiete o di " ricerca atmosferica" in cui l'artista cala il proprio sentire offrendo una ragione d'esistere ai suoi, e altrui, stati d'animo.
La versatilità coloristica di questa pittura risente del raffinato influsso dell'area francese, dall'impressionismo ai nabis, ricalati nell'oggi.
Milena Ciampa è da sempre interessata a ritrarre volti, il suo in particolare. L'attira l'autoritratto, cioè il volto e lo specchio; è un tentativo dalle origini antiche che sempre incuriosisce gli artisti. Il proprio viso è studiato tramite lo specchio, strumento più facile da gestire personalmente e meno statico rispetto ad una foto.
Ne nasce una reinterpretazione, ogni volta diversa, in cui il volto di Milena mostra un attimo artistico della sua sfuggente identità.
Come si può parlarne? Può intendersi come maschera, secondo il senso greco, ossia il volto è forgiato dalla cultura quale veste che diventa un tutt'uno con la nuda animalità che intimamente gli appartiene. Oppure, all'opposto, si può affermare che il viso è ciò che siamo se ci liberiamo delle maschere che la società ci impone al costo di un penoso appiattimento omologante.
È visibile o invisibile? Solo l'altro lo vede e, se vuole, lo guarda. Chi lo vede ce lo rimanda interpretato dal suo modo d'essere: non ci ritorna esattamente il nostro viso ma come esso viene vissuto da chi ci guarda. Neanche allo specchio lo vediamo vivere. Se ci guardiamo è vero che il volto ritorna riflesso ma solo per un attimo. Si tratta di un flash che non possiamo sostenere a lungo tanto più che è una visibilità non reale perché i lineamenti si irrigidiscono in fretta nella posa. La tecnologia avanzata del nostro mondo mediatico non modifica i caratteri con cui il volto si dà né riesce a risolvere l'enigma di questa sottrazione fisica del sé. Una lunga sequenza di riprese (mute, parlate, sofisticate, documentarie) non ci può riportare il nostro viso della quotidianità, è incapace di sostituirne la scioltezza e il senso.
A parlare del volto restano il rapporto con l'altro e l'opera d'arte.
L'opera d'arte.
È la finzione, che narra una verosimile visione (con accenti multiformi, figurati e non) del volto che viene cercato da sè e dall'altro e profondamente guardato.
Il volto nella nostra mostra.
"Il volto è nell'altro", pertanto restando nell'area artistica, è la più lucida tensione comunicativa restituibile.
Il fatto di figurare il viso in modo caleidoscopico, attraverso continue variazioni o addirittura sottolineandone l'assenza visiva, è questione che appartiene a millenari incroci di culture.
Detto questo i quadri in mostra sono un frammento dedicato al tema e risolto in chiave figurativa.
Marco Mattei, illustratore e pittore, angola la sua figurazione pittorica così da mettere in primo piano il disagio che traspare negli sguardi che spesso oggi incrociamo.
Sono maschere intese come bavagli. Lontano dalla lettura classica egli è immerso nella contemporaneità e ne vive la storia come appassionato interprete. L'omologazione della bellezza e dei canoni comportamentali contraggono i rapporti e la vivacità che nasce dal confronto. Si spengono le persone e le loro potenzialità inventive e dialogiche.
"Il mio volto è nell'altro" si perde nell'aridità di una ricerca svuotata.
Eppure i quadri dell'artista contengono il dinamismo tortuoso di chi non si rassegna.
Graffi e grovigli di linee rapide nel segno, colori non vivaci ma intensi, quasi monocromi e spesso terrosi, colmano superfici scabre, in un percorso di esperto mestiere e di ricerca poetica.
I volti di Federica Miani si offrono con un differente impianto dal punto di vista tecnico ma il linguaggio parla di un'affine sensibilità con Marco Mattei. Viene esternato il mal di vivere attraverso la spietata condanna di una invasiva virtualità la quale sconfina dal suo ruolo per estendersi all'intero arco dei rapporti umani e strangolandoli alla stregua di catene. È un soffocamento non solo della fisicità ma anche un'alterazione del legame con il sé, proprio e altrui.
Lo sguardo, se questa via mediatica fosse l'unica percorribile, perderebbe di senso come un fossile museizzato. Anche Federica Miani, sebbene la sua pittura non sia tecnicamente graffiante quanto allusiva tramite un simbolizzare efficace, rimanda alle difficoltà di comunicazione umana.
I suoi ultimi lavori acrilici, cromaticamente pacati e antinaturalistici, si accendono di oro, si danno in trasparenza dietro labirinti dorati, lasciando chi osserva davanti ad una rappresentazione imprevedibile, ossia una composizione equilibrata e per questo motivo ancora più in contrasto con i contenuti allarmanti.
Volchitza Franz ci accompagna invece nel suo mondo coloratissimo costruito come
un castello intricato dove albergano visioni oniriche, sogni ad occhi aperti, vitali e leggeri slanci che si tramutano in un deciso sentire. E ancora ci sono volti segnati dal dolore, dall'isolamento, in una girandola chagalliana, intrisa di musica, teatro, danza.
Volchitza infatti avverte lo stretto vincolo che unisce le arti e in cui esse traggono forza reciproca.
"Il volto è nell'altro" è davvero un ricercarsi e un abbandonarsi nel diverso, illuminando il tema con una nuova luce; Volchitza è anche regista e uno dei suoi pezzi teatrali si intitola "Se mi guardi esisto". Il suo è un viaggio dentro l'anoressia. Anche le filiformi donne della sua poetica riecheggiano da lontano desideri di vicinanza, scambio.
Gli occhi grandi, gli scenari fantastici che racchiudono i suoi visi non sono surrealtà in
quanto ne manca l'enigma. Sono piuttosto le moderne fiabe, dolci e crude.
Le opere di Milena Ciampa si colorano di quiete o di " ricerca atmosferica" in cui l'artista cala il proprio sentire offrendo una ragione d'esistere ai suoi, e altrui, stati d'animo.
La versatilità coloristica di questa pittura risente del raffinato influsso dell'area francese, dall'impressionismo ai nabis, ricalati nell'oggi.
Milena Ciampa è da sempre interessata a ritrarre volti, il suo in particolare. L'attira l'autoritratto, cioè il volto e lo specchio; è un tentativo dalle origini antiche che sempre incuriosisce gli artisti. Il proprio viso è studiato tramite lo specchio, strumento più facile da gestire personalmente e meno statico rispetto ad una foto.
Ne nasce una reinterpretazione, ogni volta diversa, in cui il volto di Milena mostra un attimo artistico della sua sfuggente identità.
14
aprile 2012
Il mio volto è nell’altro
Dal 14 al 28 aprile 2012
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARIELE
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Torino, Via Lauro Rossi, 9 c, (Torino)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 16 - 19,30
Vernissage
14 Aprile 2012, ore 18,00
Autore
Curatore