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QUARTA MISTA. Sulle tracce di Enzo Bontempi
12 interventi con pluralità di linguaggi
dall’installazione alla scultura,
dalla fotografia all’arte multimediale.
Comunicato stampa
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Una scuola di paese, di quartiere, di città, è il luogo dove tutti ci siamo conosciuti e rimescolati; è il luogo dove è cresciuto un immaginario collettivo che ha partecipato profondamente del nostro essere quello che siamo. Una scuola è il luogo fisico e mentale dove entrare in relazione con la conoscenza è un tutt’uno con il vivere le emozioni tra le persone, i sessi, le gerarchie . Nessuno dimentica un luogo così, dove il tempo subiva accelerazioni o si fermava… Ce ne siamo andati, abbiamo fatto e facciamo altro ma basta un antico compagno di quel tempo, basta una passaggio davanti alla “nostra” scuola e il tempo si ferma: di nuovo siamo riportati dentro un luogo che non è solo mentale e custodisce pezzi della nostra esistenza.
Dunque, la scuola, un contenitore forte, refrattario a ogni idea di sovvertimento di senso. Può un luogo-forza come questo dialogare, confrontarsi, trasformarsi ad opera di qualche agente esterno? Chi è disposto ad accettare la sfida? Chi ne ha la forza o, almeno, la temerarietà? Nel tempo, a più riprese ci hanno provato in tanti. La sociologia ha cercato di decostruire il tessuto –anche fisico- che teneva insieme concetti e strutture; la tecnologia ha cercato e prova modalità di superamento di quell’unicum di tempo e luogo dove si fa crescere l’esperienza; altri ci provano da anni inutilmente, solo l’arte, in qualche modo, ha messo a segno qualche colpo e può dire di essere riuscita a scalfire, ogni tanto, il muro tetragono che della Scuola difende corpo e anima.
Il Gruppo Koinè ha accettato questa sfida temeraria e si è confrontato non solo con un edificio che ha in se tutte le prerogative di cui si detto ma a queste ne aggiunge altre, e forti e suggestive, che rendono questa sfida ancora più accattivante.
La vecchia scuola elementare di Agrate, di via Gian Matteo Ferrario, non è più attiva; niente più animazione di bambini, niente più genitori, nonni, traffico. Ci si passa davanti e la si vede invecchiare, abbandonata. Un grande edificio spiaggiato, fuori contesto, che ha perduto le sue funzioni. Ci stiamo abituando, quelli che ci sono passati pian piano ne smarriscono il senso, quelli che non l’hanno mai vista in funzione non ne comprendono il senso. Come una fabbrica inattiva e infine dismessa, un luogo di relazione, fatica, esperienza per generazioni, è in breve diventato un vuoto, un inghiottitoio di memoria che lascia senza fiato i protagonisti e indifferenti gli altri, senza tacere di chi in essa vede solo l’occasione favorevole per nuove opportunità economiche…
Ancora di più, come un operaio, un impiegato, un lavoratore che ha perso il ruolo, ha perso le sue funzioni, ha visto svalutare, valere niente le sue capacità, le sue qualità. Qualcosa di nuovo, diverso,(moderno…) le ha rese inutili, ne ha fatto museo.
Si è chiusa una porta su un mondo che sopravvive nell’esperienza di chi vi ha partecipato e che può essere ancora raccontato e compreso anche da chi non ci è passato, perché c’è un’evidenza delle cose che permane anche dopo la loro perdita di funzione. Permane perché è diventata altro nel cuore e nella mente delle persone, permane perché ha dato vita a trasformazioni…
All’arte il compito di decifrare, forzare, comunicare questa complessità di ruoli e relazioni che si sono intrecciate e che continuano ad agire in questo luogo in questo tempo. Far emergere il genius loci, determinarne uno nuovo per la posterità.
La“Classe4^ B” da cui prende il titolo questa mostra, nel lontano 1957 fu il primo intervento sperimentale e innovativo di un incontro tra l’arte, gli artisti e la scuola, questa scuola di Agrate Brianza. Un maestro, Enrico Bontempi, in comunanza con quanto veniva sperimentato da altri illustri maestri che tra dopoguerra e 68 mettevano in discussione ( minavano?) le basi del sapere pedagogico, apriva il discorso all’arte, chiamava gli artisti e li metteva nel mezzo di una tensione educativa. Gli alunni non erano semplici spettatori ma partecipavano a pieno titolo all’iniziativa. Scrivevano le loro letterine agli artisti, intellettuali, poeti sulla scena nell’età di mezzo del 900.
Contaminavano una storia e un luogo con piccoli “pezzi” di realtà e immaginazione che erano destinati a lasciare una traccia emotiva indelebile nei giovani protagonisti e una memoria ancora attuale in chi ne è venuto e, si spera, ne verrà a conoscenza.
Oltre mezzo secolo è passato da quell’irruzione dell’arte dentro a una consolidata memoria collettiva. E’ tempo per provare a chiedere ancora all’arte di vedere cosa può fare, di provare a suggerirci una nuova chiave di lettura, di vedere se in questo montaliano“anello che non tiene” che è diventato con tutto il suo peso di animale incagliato l’edificio delle scuole elementari di via Gian Matteo Ferrari, e forse tutta la Scuola, si può ancora ritrovare un percorso di senso, magari a partire da quella germinale esperienza della Classe 4^B.
2012 -Dario Porta
Dunque, la scuola, un contenitore forte, refrattario a ogni idea di sovvertimento di senso. Può un luogo-forza come questo dialogare, confrontarsi, trasformarsi ad opera di qualche agente esterno? Chi è disposto ad accettare la sfida? Chi ne ha la forza o, almeno, la temerarietà? Nel tempo, a più riprese ci hanno provato in tanti. La sociologia ha cercato di decostruire il tessuto –anche fisico- che teneva insieme concetti e strutture; la tecnologia ha cercato e prova modalità di superamento di quell’unicum di tempo e luogo dove si fa crescere l’esperienza; altri ci provano da anni inutilmente, solo l’arte, in qualche modo, ha messo a segno qualche colpo e può dire di essere riuscita a scalfire, ogni tanto, il muro tetragono che della Scuola difende corpo e anima.
Il Gruppo Koinè ha accettato questa sfida temeraria e si è confrontato non solo con un edificio che ha in se tutte le prerogative di cui si detto ma a queste ne aggiunge altre, e forti e suggestive, che rendono questa sfida ancora più accattivante.
La vecchia scuola elementare di Agrate, di via Gian Matteo Ferrario, non è più attiva; niente più animazione di bambini, niente più genitori, nonni, traffico. Ci si passa davanti e la si vede invecchiare, abbandonata. Un grande edificio spiaggiato, fuori contesto, che ha perduto le sue funzioni. Ci stiamo abituando, quelli che ci sono passati pian piano ne smarriscono il senso, quelli che non l’hanno mai vista in funzione non ne comprendono il senso. Come una fabbrica inattiva e infine dismessa, un luogo di relazione, fatica, esperienza per generazioni, è in breve diventato un vuoto, un inghiottitoio di memoria che lascia senza fiato i protagonisti e indifferenti gli altri, senza tacere di chi in essa vede solo l’occasione favorevole per nuove opportunità economiche…
Ancora di più, come un operaio, un impiegato, un lavoratore che ha perso il ruolo, ha perso le sue funzioni, ha visto svalutare, valere niente le sue capacità, le sue qualità. Qualcosa di nuovo, diverso,(moderno…) le ha rese inutili, ne ha fatto museo.
Si è chiusa una porta su un mondo che sopravvive nell’esperienza di chi vi ha partecipato e che può essere ancora raccontato e compreso anche da chi non ci è passato, perché c’è un’evidenza delle cose che permane anche dopo la loro perdita di funzione. Permane perché è diventata altro nel cuore e nella mente delle persone, permane perché ha dato vita a trasformazioni…
All’arte il compito di decifrare, forzare, comunicare questa complessità di ruoli e relazioni che si sono intrecciate e che continuano ad agire in questo luogo in questo tempo. Far emergere il genius loci, determinarne uno nuovo per la posterità.
La“Classe4^ B” da cui prende il titolo questa mostra, nel lontano 1957 fu il primo intervento sperimentale e innovativo di un incontro tra l’arte, gli artisti e la scuola, questa scuola di Agrate Brianza. Un maestro, Enrico Bontempi, in comunanza con quanto veniva sperimentato da altri illustri maestri che tra dopoguerra e 68 mettevano in discussione ( minavano?) le basi del sapere pedagogico, apriva il discorso all’arte, chiamava gli artisti e li metteva nel mezzo di una tensione educativa. Gli alunni non erano semplici spettatori ma partecipavano a pieno titolo all’iniziativa. Scrivevano le loro letterine agli artisti, intellettuali, poeti sulla scena nell’età di mezzo del 900.
Contaminavano una storia e un luogo con piccoli “pezzi” di realtà e immaginazione che erano destinati a lasciare una traccia emotiva indelebile nei giovani protagonisti e una memoria ancora attuale in chi ne è venuto e, si spera, ne verrà a conoscenza.
Oltre mezzo secolo è passato da quell’irruzione dell’arte dentro a una consolidata memoria collettiva. E’ tempo per provare a chiedere ancora all’arte di vedere cosa può fare, di provare a suggerirci una nuova chiave di lettura, di vedere se in questo montaliano“anello che non tiene” che è diventato con tutto il suo peso di animale incagliato l’edificio delle scuole elementari di via Gian Matteo Ferrari, e forse tutta la Scuola, si può ancora ritrovare un percorso di senso, magari a partire da quella germinale esperienza della Classe 4^B.
2012 -Dario Porta
14
aprile 2012
QUARTA MISTA. Sulle tracce di Enzo Bontempi
Dal 14 aprile al 20 maggio 2012
arte contemporanea
Location
EX SCUOLE ELEMENTARI
Agrate Brianza, Via Gian Matteo Ferrario, 1, (Monza E Brianza)
Agrate Brianza, Via Gian Matteo Ferrario, 1, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
sabato - ore 15.00 - 19.00
festivi - ore 10.00 - 13.00 / 15.00 - 19.00
Vernissage
14 Aprile 2012, ore 17.00
Autore