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Paolo Gubinelli
Opere su carta, ceramica e vetro accompagnate da poesie dei maggiori poeti contemporanei
Comunicato stampa
Segnala l'evento
PAOLO GUBINELLI
Presentazione critica di Luigi Paolo Finizio
Isolotto, in collaborazione della Commissione Cultura del Consiglio di Quartiere 4 di
Firenze, Limonaia di Villa Strozzi”ospita l’opera dell’artista Paolo Gubinelli.
Limonaia di Villa Strozzi
Via Pisana, 77 – Firenze – tel. 055 2767113
Inaugurazione sabato 2 giugno ore 17,00
Dal 2 al 16 Giugno
Apertura al pubblico
Dal lunedì al sabato, Ore 16,00 – 19,00
Presentazione critica di Luigi Paolo Finizio
Il segno dell’arte
L’arte di Paolo Gubinelli è da tempo il segno assoluto dell’arte, la sua pura traccia senza
referenti. Non è il solo in questa zona franca delle campiture e configurazioni astratte o non
astratte della storia della pittura occidentale. Almeno da quando Mondrian sancì l’idea del segno
astratto, tra cielo e terra, con i suoi tratti del più e meno in un rosone di pittura su fondo bianco.
Con il tempo e nei tempi del proprio percorso di pittura, di segno-pittura, l’artista ha svolto
un procedere continuo, di lavoro sempre in corso in cui il segno si genera e rigenera lungo il
tragitto di coerenza immaginativa, di risoluta poetica in cui le costanti agiscono non di meno delle
variabili. Non sarebbe impossibile riconoscere lungo l’opera di Gubinelli una sintomatica tra segno
e il vissuto dell’artista. Una sorta, insomma, di sismografia esistenziale tra il segno, i segni e la
biografia del proprio essere artista. E non lo dico per caricare di soggettivo, di personale lirismo,
che pure c’è, la sua vicenda espressiva, la personale giunzione tra astrazione e realtà, ma per come
la sua immaginazione e poetica del segno, la sua pratica e declinazione del segno si siano svolte e
continuino a svolgersi corrispondendo allo spirito dei tempi.
L’indefettibile attualità delle sue opere, grafiche per manualità e lirismo, per progetto e
sensibilità, non sta certo nella cronaca dei giorni, nell’avvicendarsi dei fatti quanto invece,
sino ad oggi, in una rinnovata e comunicante ricezione di poesia sempre imminente e in atto.
Attualità, appunto, vissuta e registrata sul campo d’immagine per proporsi e dispiegarsi dentro le
realtà contemporanee dell’arte, nel loro succedere scandite per forme e linguaggi, per pratiche e
configurazioni dagli avvii della sua ricerca artistica durante gli inoltrati anni Settanta del secolo
scorso.
Per trasporto e dedizione, per manìa poietica, voglio dire, le sue intraprese mutazioni nella
pratica del segno, nel darsi plastico e lineare di trame geometriche e corsive sul supporto cartaceo
con trasparenze, biancori e marezzature di colore, si danno sempre al presente, nella flagranza
operante del gesto che incide e disegna. Di qui, pur con spirito appartato, un vissuto che stringe
l’arte di Gubinelli al proprio farsi, all’azione del dettato espressivo nel divenire delle militanze
dell’arte.
Ricordo il mio lontano primo incontro, qualche decennio addietro, con la sua arte nello studio
di Firenze-Rifredi dove supporti e attrezzi, carte e teleri, lucidi e taglierine, punzoni e squadre si
mostravano in un ordito materiale indistinto da quello tramato nel rigore affilato del segno, delle sue
leggere movenze, delle sue fenditure e pieghe aggettanti la luce dei fogli. Da architetto del segno
Gubinelli mi si mostrò nel suo luogo di lavoro artefice e mistagogo di un teatro in cui l’accudita
manualità inscenava la drammaturgia del segno, gli assoli e le coralità, le nette stesure e le muliebri
metamorfosi.
La temperatura dell’arte a quei tempi era di rarefatta e attiva oggettività, spoglia dagli
espressionismi del gesto informale e dalle più recenti ironie sociali del pop-art e di varie tecnologie
cinetico-percettive. Tra estroverse esibizioni del corpo nel body-art e minimalismi dei corpi plastici,
tra land-art e sofisticate concettualità, tra happenig e narrative-art, gli anni di passaggio dai Settanta
e gli Ottanta, lungo quest’ultimo decennio e il successivo, marcano gli esordi e gli assetti maturi
dell’opera di Gubinelli nell’affidare alla pratica del segno, al suo assoluto gesto d’immagine astratta
un mobile e tacito confronto con le tendenze in corso, verso le diverse poetiche dell’arte. Più di un
commentatore ha rilevato questi raccordi con altre ricerche artistiche e sta qui, con il vissuto della
ricerca, l’intensa alterità della sua formulazione creativa rispetto al campo consueto della cosiddetta
grafica.
Complessivamente si può dire che, sino ad oggi, la conduzione del segno e la elaborazione
plastica e pittorica del segno Gubinelli le abbia svolte tendendo a travalicare, pur tenendosi
sull’istituzionale supporto cartaceo, il campo convenzionale dell’apparato di tecniche e risultanze
dell’opera grafica. Vocazione che incorpora e fa transitare il segno tra plastica e pittura, tra
architettura e corsività, tra installazione e mobilità spaziale, tra estroversione manuale e intimità
espressiva.
Come sempre quando si scavalcano gli specifici della tecnica anche il segno grafico di Gubinelli,
nell’autonoma dimensione costruttiva e poetica, si afferma in un proprio statuto formale, in una
piena e plurale capacità d’immagine. A dirla con il Focillon di Vie des formes: “Il segno significa,
ma, divenuto forma, aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso”. Questa, insomma, la virtualità
mentale e sensibile, la virtuosa dimensione di tratto e luce, di grafia e colore spaziali che animano
di forma le pratiche del segno, il suo rinnovato generarsi di senso tra progetto e induzione, tra
rigori e abbandoni emotivi. L’artista ha da sempre elaborato il segno in un gioco spaziale indistinto
e convertibile, tra superficie e spazio, foglio e parete. A vedere i nudi rettangoli di fogli che è
solito disporre in sequenza sulle pareti espositive e i teleri di carta che lascia srotolare sino al
pavimento, ci accorgiamo che il segno nelle trasparenze e nelle delicate marezzature di colore che
lo ambientano, tende travalicare la consueta e frontale bidimensionalità. Tende a coglierci in una
sorta di ordito temporale, di veicolante e stereovisiva discorsività, vale a dire, secondo il pungolo
percettivo di un racconto trasmesso per coinvolgenza visivo-colloquiale, per avviluppante giunzione
di pensieri affidati e sciorinati nello spazio quadrimensionale.
In questa luce ci si può spingere a dire che il segno assoluto di Gubinelli, la sua piena
articolazione d’immagine aspira allo spazio ubiquo della poesia. Dove il fare manuale che plasma
il foglio nelle pieghe e nei tratti aggettanti il campo planare della carta, dove il segno inciso e
le stesure acquerellate seguono e inseguono flussi di pensiero nel combinarsi a un impulso di
scrittura pervasiva, di poesia totale. Di fatto, sono numerosi e intensi i rapporti dell’arte di Gubinelli
con quella dei poeti: tra carte, segni e versi dedicati alla sua storia espressiva, al suo condurre e
comunicare una estrema quanto inesauribile giuntura tra visione e poesia. Quasi che una specie di
naturale calamitazione di spirito e grafie destini e faccia interagire un comune dettato, una affine
mania di poiesi.
Forse tutto riguarda un’ancestrale matrice del segno, un antropologico dire primario e remoto del
segno che principiava a significare senza ancora differenze di senso e di scrittura. Iniziava in quei
tempi lontani e oscuri un dire sensitivo e d’emozioni, un dire poetico in senso vichiano che indurrà
alle prime scansioni, alle prime grammatiche e architetture del segno e della parola nella visione e
nell’ascolto. Come solo può rigenerare e riattualizzare il potere dell’arte, l’arte e la poesia del segno
di Gubinelli mostrano sommuovere così lontane radici, così profonde origini tra segno e parola. La
sua visibile architettura del segno affonda negli orditi della poesia, la sua misura di segno e colore
nella metrica armonica del verso. In effetti, secondo l’autorevole linguista Roman Jakobson si da
una notevole analogia tra il ruolo della grammatica in poesia e il ruolo della composizione per il
pittore.
Sorrento maggio 2010
Luigi Paolo Finizio
Il segno ceramico di Gubinelli.
Si sa, il segno che figura ha preceduto l’avvento della scrittura, e da quei tempi remoti, anche
quando le sue portate di senso erano solo nella volatilità orale, il segno che dice, il segno che
indica si è sempre dato una veste fisica, una trasmissione materiale. Rivendicando un proprio
significare indipendente, una propria virtualità espressiva, allora come oggi non sempre il segno si
è consegnato soltanto alla parola. Di qui una particolare disponibilità a darsi un corpo o meglio a
investire del suo tratto ogni materia che lo accoglie.
Il segno di Gubinelli, segno astratto, appare per sua natura votato a tale disseminazione dai tempi
dei suoi ‘Studi di architettura’. Chi ha seguito e segue la sua arte conosce la migrazione spaziale del
suo segno sulla carta, sulle sue trasparenze e opacità, sui suoi biancori e assorbenze di colore, sulle
sue pieghe e srotolamenti a telero. La sottile e lieve disposizione, anche quando incide o si aggetta
sul campo, mostra come un tratto di luce aderire al fragile supporto cartaceo, si tiene arioso di colori
nei suoi labili confini smarginati. Ora invece il segno è migrato verso il ceramico, ne ha assunto gli
azzardi del fuoco e le consistenze di materia e colore.
Libero e docile, danzante e costruttivo il segno di Gubinelli risponde con liricità alla natura e alle
pratiche dei materiali che lo ricevono. Ne assume tutte le verifiche e consistenze che il manufatto
ceramico richiede. Appare come concedere e allo stesso tempo imprimere l’idea compositiva che
quale segno, nato sulla carta, dipana e trama attraverso le tecniche e i passaggi esecutivi, dalla
matrice in gesso ai bagni e cotture dell’opera finale. L’idea si fa materiale, il suo senso aniconico
assume peso e durezza.
Al foglio lindo di luce, quello bianco del poeta, il segno di Gubinelli ha sempre conferito un
compito di aderenza plasmante allo spazio d’immagine nella sua vaga e tessuta articolazione di
colore. Col passare sul campo della ceramica la scommessa con il fuoco è di rigenerare lo stesso
senso d’immagine, la stessa leggera mobilità tra segno e colore, ma poi la natura del materiale fa
subito avvertire le sue esigenze e pertinenze fisiche. Il suscitante gioco fluente e liquido di segno
e colore sulla carta muta in un progetto, in una matrice e le sue varianti. Il transito a cottura sulle
paste e i lustri ceramici di segno e colore li rendono più netti. Dai ‘Graffi su carta’ ai ‘Rilievi su
ceramica’, si dispone una resa risoluta e compatta, un tratto e una stesura cromatica maggiormente
contenuti e decisi sul campo d’immagine.
Luigi Paolo Finizio
Sorrento maggio 2010
LUIGI PAOLO FINIZIO, 2010
The Sign of Art
The art of Paolo Gubinelli has for a long time been the absolute sign of art, its pure evidence
without points of reference. In the history of Western painting, he is not the only one in this free-
trade zone of painted grounds and abstract or non-abstract configurations, at least since Mondrian
sanctioned the idea of the abstract sign, between sky and earth, with his plus and minus signs in a
painted rose on a white ground.
In the time and at the pace of his journey in painting and in the painting of signs, the artist
has undertaken a continuous advancement of a work in progress that generates and regenerates
itself along the route of imaginative coherence, and of a resolute poetics with the constants no less
active than the variables. It would not be impossible to distinguish in Gubinelli’s work a
symptomatic quality between the sign and the artist’s past experiences, a sort of existential
seismograph between the sign, signs and the artist’s biography. And I’m not saying this to charge
his expressivity, his personal coupling of abstraction and reality, with the subjective perspective and
personal lyricism, but to show how his imagination and poetics of the sign, his practise and
declination of the sign have unfolded and continue to do so, in correspondence with the spirit of the
time.
The unfaltering topicality of his work, which is graphic for manual skill and lyricism, for
project and sensitivity, certainly does not lie so much in the chronicle of days, in the succession of
facts, as it does instead in a renewed and communicating reception of an always immanent and
present poetry. A topicality experienced and recorded as an image to be then proposed and unfold
in the contemporary realities of art, in their succession marked by forms and languages, practises
and configurations, since the beginning of his artistic journey in the full 1970s.
For transport and devotion, for creative mania, the mutations he has undertaken in the
practise of the sign, a plastic and linear pronouncement of geometrical and cursive weaves on a
paper support with transparencies, whiteness and moiré colours, always give in to the present, in the
operative flagrancy of the gesture that cuts and draws. Hence, though with a secluded spirit,
experience drives the art of Gubinelli into being, into the action of the expressive dictate in the
unfolding of militancy in art.
I recall my first encounter with his art a few decades ago at his studio in the Rifredi district
of Florence where supports and equipment, paper and canvas, transparencies and cutters, punches
and squares all lay in a material array indistinct from the rigour of the sign, its slight motions, its
slits and folds, projecting the light of the sheets. In his place of work, Gubinelli revealed himself to
me as an architect of the sign, artificer and mystagogue of a theatre in which careful manual skill
choreographed the dramaturgy of the sign, the solos and choral quality, the clean drafts and
feminine metamorphoses.
The temperature of art at that time was of a rarefied and active objectivity, free from the
expressionisms of the informal gesture, the most recent social ironies of pop art, and the various
kinetic-perceptive technologies. Between the extroverted exhibitions of the body in body-art and
the minimalisms of plastic bodies, between land-art and sophisticated conceptualities, between
happening and narrative-art, the years of passage from the Seventies and the Eighties, through this
past decade and the next, mark the beginnings and maturity of Gubinelli’s work in entrusting the
practise of the sign, its absolute gesture of an abstract image, to perform a mobile and tacit
comparison with the trends underway, towards the diverse poetics of art. More than one
commenter has pointed out these connections to other artistic explorations, and here with the
experience of the search lies the intense otherness of his creative formulation with respect to the
usual field of so-called graphic art.
Overall, we can say that until today, Gubinelli has tended to conduct the sign and its plastic
and pictorial elaboration, overstepping the conventional field of the apparatus of techniques and
results of graphic art, though keeping to the institutional paper support. This vocation incorporates
and makes the sign transit between plastic and painting, architecture and the cursive, installation
and spatial mobility, manual extroversion and expressive intimacy.
As always occurs when the specificities of technique are sidestepped, Gubinelli’s graphic
sign, too, in its autonomous constructive and poetic dimension, establishes its own formal statute, in
a full and plural image capacity. We can say with Focillon, author of Vie des formes: “The sign
signifies, but once it becomes form, it aspires to signify itself, and creates its new sense”. This, in
short, is mental and sensible virtuality, the virtuous dimension of stroke and light, of the spatial
script and colour that animate the practise of the sign, its renewed generation of sense between
project and induction, rigour and emotional abandonment. The artist has always elaborated the sign
in an indistinct and convertible spatial game, between surface and space, sheet and wall. On seeing
the bare rectangular leaves that he usually arranges in sequence on exhibition walls and the rolls of
paper that he lets unroll down to the floor, we realise that in the transparencies and delicate watered
colours that lend it a setting, the sign tends to surpass the usual and frontal two-dimensionality. It
tends to catch us in a sort of temporal web, a vehiculating and stereo discursiveness, that is to say
according to the perceptive stimulus of a tale recounted by visual-colloquial involvement, by the
entangling junction of thoughts entrusted to and revealed in four-dimensional space.
In this light, we can dare say that Gubinelli’s absolute sign, his full articulation of the image
aspires to the ubiquitous space of poetry, where manually forming the sheet in folds and segments
that project onto the paper’s flat surface, where the cut sign and water-coloured drafts follow and
pursue streams of thought in combining with an impulse of pervasive writing, and of total poetry.
In fact, there have been numerous and intense relations between Gubinelli’s art and that of poets:
between papers, signs and verses dedicated to his expressive story, his conducting and
communicating an extreme and inexhaustible junction between vision and poetry. Almost as
though a sort of natural magnetisation of spirit and script destines and urges to interaction, a shared
dictate, a similar mania of poiesis.
Perhaps it all hails back to an ancestral matrix of the sign, an anthropological primary and
remote pronouncement of the sign, which without limits began to signify differences of sense and
script. Those distant times heralded the onset of a sensitive and emotional pronouncement, a
poetical pronouncement that led to the first articulations, the first grammars and architectures of the
sign and of the work in vision and hearing. As only the power of art can regenerate and make
topical, the art and poetry of Gubinelli’s sign prove to stir such distant roots, such profound origins
between sign and word. His visible architecture of the sign sinks its web in poetry, his measure of
the sign and colour in the harmonic metrics of the verse. In effect, according to imminent linguist
Roman Jakobson, there is a remarkable analogy between the role of grammar in poetry and the role
of composition for the painter.
Sorrento, May 2010
Luigi Paolo Finizio
Translation by Victor Palchetti Beard
LUIGI PAOLO FINIZIO, 2010
Gubinelli’s ceramic mark
It is stated that marks have come before writing and, since that time, communication was
only based on the oral tradition. Marks revenge their own independent concept, its expressive
autonomy , and, from then on, the mark is not only depending on words but it embodies each
material which holds it, taking a shape with its stroke.
Gubinelli’s mark is an abstract mark which appears, by its nature, prone to such a spreading
out since his studies of architecture. And really, starting from that time,it’s easy to understand
and appreciate the special concept of his mark on the sheet of paper: the transparencies and the
opacities, from the brightness of the whites to the innumerable shades of the dull colours winding
themselves as in “telero paintings” *.
The mark, as a glimmer of light, sticks on the fragile papery stand, sometimes it engraves the
support, sometimes it juts out of the background and sometimes it is wide and rich of colours in its
faint and trimmed edges. Now, this mark thanks to the power of the fire, takes the consistency of
material and colour in pottery. Gubinelli’s mark is free and mild, dancing, waving and tossing but
steady , firm and concrete melting poetry with the type of materials.
The idea of composition which was born as a stroke on a sheet of paper, enlarges and forms itself
on a pottery work by the techniques and feasible steps which from a mould in plaster transform
themselves in the final work after baking the ceramics.
The concept of idea changes into material and its anicronic sense assumes thickness and
strength.Gubinelli’s mark gives the poet’s neat and white paper the function to mould the space by
various woven webs of colour.On the pottery, the power of the fire poses and transfers the same
idea of imagination and the same light mobility of mark and colour, but the nature of the material
reveals its own characteristics and physical peculiarities. The provoking running and fluid play of
marks and colours on paper, becomes project, matrix and its variations. By different times of
baking the moulds, the mark and colour become more clear and neat thanks to the brightness of
the ceramic.A line and a chromatic lying lye on “ rilievi” on ceramic in a stronger and thick way
comparing “ the scretches on paper”.
Luigi Paolo Finizio
Translation by Alessandra Pitzianti,
Cagliari- Sardegna
Paolo Gubinelli,
biografia. Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto
d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico
pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto
spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nella sua ricerca: conosce e
stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti:
Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico
Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro,
Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren. Partecipa a numerose mostre personali e
collettive in Italia e all’estero.
Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in italia e all’estero.
L’artista Paolo Gubinelli, invitato da Vittorio Sgarbi e segnalato da Tonino Guerra, presente
con una installazione di n. 28 opere su carta accompagnata da versi di Tonino Guerra alla 54
Biennale di Venezia 2011 del Padiglione Italia alle Corderie dell’Arsenale
Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini,
Carlo Belloli, Vanni Bramanti, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza,
Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Roberto Daolio, Claudio Di
Benedetto, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Francesco Gallo,
Mario Luzi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro
Parmiggiani, Pierre Restany, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni
Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna
Buoninsegni, Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Giuseppe
Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni
D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tonino Guerra, Tony Harrison, Emilio, Isgrò, Clara
Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini,
Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi,
Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni,
Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco
Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio,
Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
Nella sua attività artistica è andato molto presto maturando, dopo esperienze pittoriche su tela
o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita
come mezzo più congeniale di espressione artistica: in una prima fase opera su cartoncino bianco,
morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce, lo incide con una lama, secondo strutture
geometriche che sensibilizza al gioco della luce piegandola manualmente lungo le incisioni.
In un secondo momento, sostituisce al cartoncino bianco, la carta trasparente, sempre incisa e
piegata; o in fogli, che vengono disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli
che si svolgono come papiri su cui le lievissime incisioni ai limiti della percezione diventano i segni
di una poesia non verbale.
Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, il segno geometrico, con il
rigore costruttivo, viene abbandonato per una espressione più libera che traduce, attraverso l’uso di
pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, il libero imprevedibile moto della coscienza, in una
interpretazione tutta lirico musicale.
Oggi questo linguaggio si arricchisce sulla carta di toni e di gesti acquerellati acquistando una più
intima densità di significati.
Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, su tela, ceramica, vetro con segni incisi e in rilievo in uno
spazio lirico-poetico.
Paolo Gubinelli, biography. Born in Matelica (province of Macerata) in 1945, lives and works
in Florence. He received his diploma in painting from the Art Institute of Macerata and continued
his studies in Milan, Rome and Florence as advertising graphic artist, planner and architectural
designer. While still very young, he discovered the importance of Lucio Fontana’s concept of space
which would become a constant in his development: he became friends with such artists as :
Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero
Dorazio, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Umberto Peschi, Emilio Scanavino, Edgardo Mannucci,
Mario Nigro, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, and Zoren, and established a communion of ideas and
work.
His work has been discussed in various catalogues and specialized reviews by such prominent
critics as:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini,
Carlo Belloli, Vanni Bramanti, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio
Cerritelli, Bruno Corà, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Roberto Daolio, Claudio Di Benedetto,
Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Francesco Gallo, Mario Luzi,
Lara Vinca Masini, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Pierre Restany,
Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello
Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
Many others have also written about his work:
Giulio Angelucci, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Nevia Pizzul Capello, Debora Ferrari,
Claudio Di Benedetto, Fabio Corvatta, Antonia ida Fontana, Mario Giannella, Armando Ginesi,
Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Patruno, Roberto Pinto, Osvaldo Rossi,
Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.
His works have also appeared as an integral part of books of previously unpublished poems by
major Italian poets foreigners:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni,
Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Ennio Cavalli, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio
Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi,
Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi,
Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero
Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti,
Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario
Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa
Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
He participated in numerous personal and collective exhibitions in Italy and abroad. Following
pictorial experiences on canvas or using untraditional materials and techniques, he soon matured a
strong interest in “paper” which he felt the most congenial means of artistic expression. During this
initial phase, he used a thin white cardboard, soft to the touch and particularly receptive to light,
whose surface he cut with a blade according to geometric structures to accent the play of light and
space, and then manually folded it along the cuts.
In his second phase, he substituted thin white cardboard with the transparent paper used by
architects, still cutting and folding it, or with sheets arranged in a room in a rhythmic-dynamic
progression, or with rolls unfurled like papyruses on which the very slight cuts challenging
perception became the signs of non-verbal poetry.
In his most recent artistic experience, still on transparent paper, the geometric sign with its
constructive rigor is abandoned for a freer expression which, through the use of colored pastels and barely perceptible cuts, translates the free, unpredictable motion of consciousness in a lyrical- musical interpretation.
Today, he expresses this language on paper with watercolor tones and gestures which lend it a
greater and more significant intensity.
He made white and colour pottery where engraved and relief signs stand out in a lyrical-poetic
space.
Presentazione critica di Luigi Paolo Finizio
Isolotto, in collaborazione della Commissione Cultura del Consiglio di Quartiere 4 di
Firenze, Limonaia di Villa Strozzi”ospita l’opera dell’artista Paolo Gubinelli.
Limonaia di Villa Strozzi
Via Pisana, 77 – Firenze – tel. 055 2767113
Inaugurazione sabato 2 giugno ore 17,00
Dal 2 al 16 Giugno
Apertura al pubblico
Dal lunedì al sabato, Ore 16,00 – 19,00
Presentazione critica di Luigi Paolo Finizio
Il segno dell’arte
L’arte di Paolo Gubinelli è da tempo il segno assoluto dell’arte, la sua pura traccia senza
referenti. Non è il solo in questa zona franca delle campiture e configurazioni astratte o non
astratte della storia della pittura occidentale. Almeno da quando Mondrian sancì l’idea del segno
astratto, tra cielo e terra, con i suoi tratti del più e meno in un rosone di pittura su fondo bianco.
Con il tempo e nei tempi del proprio percorso di pittura, di segno-pittura, l’artista ha svolto
un procedere continuo, di lavoro sempre in corso in cui il segno si genera e rigenera lungo il
tragitto di coerenza immaginativa, di risoluta poetica in cui le costanti agiscono non di meno delle
variabili. Non sarebbe impossibile riconoscere lungo l’opera di Gubinelli una sintomatica tra segno
e il vissuto dell’artista. Una sorta, insomma, di sismografia esistenziale tra il segno, i segni e la
biografia del proprio essere artista. E non lo dico per caricare di soggettivo, di personale lirismo,
che pure c’è, la sua vicenda espressiva, la personale giunzione tra astrazione e realtà, ma per come
la sua immaginazione e poetica del segno, la sua pratica e declinazione del segno si siano svolte e
continuino a svolgersi corrispondendo allo spirito dei tempi.
L’indefettibile attualità delle sue opere, grafiche per manualità e lirismo, per progetto e
sensibilità, non sta certo nella cronaca dei giorni, nell’avvicendarsi dei fatti quanto invece,
sino ad oggi, in una rinnovata e comunicante ricezione di poesia sempre imminente e in atto.
Attualità, appunto, vissuta e registrata sul campo d’immagine per proporsi e dispiegarsi dentro le
realtà contemporanee dell’arte, nel loro succedere scandite per forme e linguaggi, per pratiche e
configurazioni dagli avvii della sua ricerca artistica durante gli inoltrati anni Settanta del secolo
scorso.
Per trasporto e dedizione, per manìa poietica, voglio dire, le sue intraprese mutazioni nella
pratica del segno, nel darsi plastico e lineare di trame geometriche e corsive sul supporto cartaceo
con trasparenze, biancori e marezzature di colore, si danno sempre al presente, nella flagranza
operante del gesto che incide e disegna. Di qui, pur con spirito appartato, un vissuto che stringe
l’arte di Gubinelli al proprio farsi, all’azione del dettato espressivo nel divenire delle militanze
dell’arte.
Ricordo il mio lontano primo incontro, qualche decennio addietro, con la sua arte nello studio
di Firenze-Rifredi dove supporti e attrezzi, carte e teleri, lucidi e taglierine, punzoni e squadre si
mostravano in un ordito materiale indistinto da quello tramato nel rigore affilato del segno, delle sue
leggere movenze, delle sue fenditure e pieghe aggettanti la luce dei fogli. Da architetto del segno
Gubinelli mi si mostrò nel suo luogo di lavoro artefice e mistagogo di un teatro in cui l’accudita
manualità inscenava la drammaturgia del segno, gli assoli e le coralità, le nette stesure e le muliebri
metamorfosi.
La temperatura dell’arte a quei tempi era di rarefatta e attiva oggettività, spoglia dagli
espressionismi del gesto informale e dalle più recenti ironie sociali del pop-art e di varie tecnologie
cinetico-percettive. Tra estroverse esibizioni del corpo nel body-art e minimalismi dei corpi plastici,
tra land-art e sofisticate concettualità, tra happenig e narrative-art, gli anni di passaggio dai Settanta
e gli Ottanta, lungo quest’ultimo decennio e il successivo, marcano gli esordi e gli assetti maturi
dell’opera di Gubinelli nell’affidare alla pratica del segno, al suo assoluto gesto d’immagine astratta
un mobile e tacito confronto con le tendenze in corso, verso le diverse poetiche dell’arte. Più di un
commentatore ha rilevato questi raccordi con altre ricerche artistiche e sta qui, con il vissuto della
ricerca, l’intensa alterità della sua formulazione creativa rispetto al campo consueto della cosiddetta
grafica.
Complessivamente si può dire che, sino ad oggi, la conduzione del segno e la elaborazione
plastica e pittorica del segno Gubinelli le abbia svolte tendendo a travalicare, pur tenendosi
sull’istituzionale supporto cartaceo, il campo convenzionale dell’apparato di tecniche e risultanze
dell’opera grafica. Vocazione che incorpora e fa transitare il segno tra plastica e pittura, tra
architettura e corsività, tra installazione e mobilità spaziale, tra estroversione manuale e intimità
espressiva.
Come sempre quando si scavalcano gli specifici della tecnica anche il segno grafico di Gubinelli,
nell’autonoma dimensione costruttiva e poetica, si afferma in un proprio statuto formale, in una
piena e plurale capacità d’immagine. A dirla con il Focillon di Vie des formes: “Il segno significa,
ma, divenuto forma, aspira a significarsi, crea il suo nuovo senso”. Questa, insomma, la virtualità
mentale e sensibile, la virtuosa dimensione di tratto e luce, di grafia e colore spaziali che animano
di forma le pratiche del segno, il suo rinnovato generarsi di senso tra progetto e induzione, tra
rigori e abbandoni emotivi. L’artista ha da sempre elaborato il segno in un gioco spaziale indistinto
e convertibile, tra superficie e spazio, foglio e parete. A vedere i nudi rettangoli di fogli che è
solito disporre in sequenza sulle pareti espositive e i teleri di carta che lascia srotolare sino al
pavimento, ci accorgiamo che il segno nelle trasparenze e nelle delicate marezzature di colore che
lo ambientano, tende travalicare la consueta e frontale bidimensionalità. Tende a coglierci in una
sorta di ordito temporale, di veicolante e stereovisiva discorsività, vale a dire, secondo il pungolo
percettivo di un racconto trasmesso per coinvolgenza visivo-colloquiale, per avviluppante giunzione
di pensieri affidati e sciorinati nello spazio quadrimensionale.
In questa luce ci si può spingere a dire che il segno assoluto di Gubinelli, la sua piena
articolazione d’immagine aspira allo spazio ubiquo della poesia. Dove il fare manuale che plasma
il foglio nelle pieghe e nei tratti aggettanti il campo planare della carta, dove il segno inciso e
le stesure acquerellate seguono e inseguono flussi di pensiero nel combinarsi a un impulso di
scrittura pervasiva, di poesia totale. Di fatto, sono numerosi e intensi i rapporti dell’arte di Gubinelli
con quella dei poeti: tra carte, segni e versi dedicati alla sua storia espressiva, al suo condurre e
comunicare una estrema quanto inesauribile giuntura tra visione e poesia. Quasi che una specie di
naturale calamitazione di spirito e grafie destini e faccia interagire un comune dettato, una affine
mania di poiesi.
Forse tutto riguarda un’ancestrale matrice del segno, un antropologico dire primario e remoto del
segno che principiava a significare senza ancora differenze di senso e di scrittura. Iniziava in quei
tempi lontani e oscuri un dire sensitivo e d’emozioni, un dire poetico in senso vichiano che indurrà
alle prime scansioni, alle prime grammatiche e architetture del segno e della parola nella visione e
nell’ascolto. Come solo può rigenerare e riattualizzare il potere dell’arte, l’arte e la poesia del segno
di Gubinelli mostrano sommuovere così lontane radici, così profonde origini tra segno e parola. La
sua visibile architettura del segno affonda negli orditi della poesia, la sua misura di segno e colore
nella metrica armonica del verso. In effetti, secondo l’autorevole linguista Roman Jakobson si da
una notevole analogia tra il ruolo della grammatica in poesia e il ruolo della composizione per il
pittore.
Sorrento maggio 2010
Luigi Paolo Finizio
Il segno ceramico di Gubinelli.
Si sa, il segno che figura ha preceduto l’avvento della scrittura, e da quei tempi remoti, anche
quando le sue portate di senso erano solo nella volatilità orale, il segno che dice, il segno che
indica si è sempre dato una veste fisica, una trasmissione materiale. Rivendicando un proprio
significare indipendente, una propria virtualità espressiva, allora come oggi non sempre il segno si
è consegnato soltanto alla parola. Di qui una particolare disponibilità a darsi un corpo o meglio a
investire del suo tratto ogni materia che lo accoglie.
Il segno di Gubinelli, segno astratto, appare per sua natura votato a tale disseminazione dai tempi
dei suoi ‘Studi di architettura’. Chi ha seguito e segue la sua arte conosce la migrazione spaziale del
suo segno sulla carta, sulle sue trasparenze e opacità, sui suoi biancori e assorbenze di colore, sulle
sue pieghe e srotolamenti a telero. La sottile e lieve disposizione, anche quando incide o si aggetta
sul campo, mostra come un tratto di luce aderire al fragile supporto cartaceo, si tiene arioso di colori
nei suoi labili confini smarginati. Ora invece il segno è migrato verso il ceramico, ne ha assunto gli
azzardi del fuoco e le consistenze di materia e colore.
Libero e docile, danzante e costruttivo il segno di Gubinelli risponde con liricità alla natura e alle
pratiche dei materiali che lo ricevono. Ne assume tutte le verifiche e consistenze che il manufatto
ceramico richiede. Appare come concedere e allo stesso tempo imprimere l’idea compositiva che
quale segno, nato sulla carta, dipana e trama attraverso le tecniche e i passaggi esecutivi, dalla
matrice in gesso ai bagni e cotture dell’opera finale. L’idea si fa materiale, il suo senso aniconico
assume peso e durezza.
Al foglio lindo di luce, quello bianco del poeta, il segno di Gubinelli ha sempre conferito un
compito di aderenza plasmante allo spazio d’immagine nella sua vaga e tessuta articolazione di
colore. Col passare sul campo della ceramica la scommessa con il fuoco è di rigenerare lo stesso
senso d’immagine, la stessa leggera mobilità tra segno e colore, ma poi la natura del materiale fa
subito avvertire le sue esigenze e pertinenze fisiche. Il suscitante gioco fluente e liquido di segno
e colore sulla carta muta in un progetto, in una matrice e le sue varianti. Il transito a cottura sulle
paste e i lustri ceramici di segno e colore li rendono più netti. Dai ‘Graffi su carta’ ai ‘Rilievi su
ceramica’, si dispone una resa risoluta e compatta, un tratto e una stesura cromatica maggiormente
contenuti e decisi sul campo d’immagine.
Luigi Paolo Finizio
Sorrento maggio 2010
LUIGI PAOLO FINIZIO, 2010
The Sign of Art
The art of Paolo Gubinelli has for a long time been the absolute sign of art, its pure evidence
without points of reference. In the history of Western painting, he is not the only one in this free-
trade zone of painted grounds and abstract or non-abstract configurations, at least since Mondrian
sanctioned the idea of the abstract sign, between sky and earth, with his plus and minus signs in a
painted rose on a white ground.
In the time and at the pace of his journey in painting and in the painting of signs, the artist
has undertaken a continuous advancement of a work in progress that generates and regenerates
itself along the route of imaginative coherence, and of a resolute poetics with the constants no less
active than the variables. It would not be impossible to distinguish in Gubinelli’s work a
symptomatic quality between the sign and the artist’s past experiences, a sort of existential
seismograph between the sign, signs and the artist’s biography. And I’m not saying this to charge
his expressivity, his personal coupling of abstraction and reality, with the subjective perspective and
personal lyricism, but to show how his imagination and poetics of the sign, his practise and
declination of the sign have unfolded and continue to do so, in correspondence with the spirit of the
time.
The unfaltering topicality of his work, which is graphic for manual skill and lyricism, for
project and sensitivity, certainly does not lie so much in the chronicle of days, in the succession of
facts, as it does instead in a renewed and communicating reception of an always immanent and
present poetry. A topicality experienced and recorded as an image to be then proposed and unfold
in the contemporary realities of art, in their succession marked by forms and languages, practises
and configurations, since the beginning of his artistic journey in the full 1970s.
For transport and devotion, for creative mania, the mutations he has undertaken in the
practise of the sign, a plastic and linear pronouncement of geometrical and cursive weaves on a
paper support with transparencies, whiteness and moiré colours, always give in to the present, in the
operative flagrancy of the gesture that cuts and draws. Hence, though with a secluded spirit,
experience drives the art of Gubinelli into being, into the action of the expressive dictate in the
unfolding of militancy in art.
I recall my first encounter with his art a few decades ago at his studio in the Rifredi district
of Florence where supports and equipment, paper and canvas, transparencies and cutters, punches
and squares all lay in a material array indistinct from the rigour of the sign, its slight motions, its
slits and folds, projecting the light of the sheets. In his place of work, Gubinelli revealed himself to
me as an architect of the sign, artificer and mystagogue of a theatre in which careful manual skill
choreographed the dramaturgy of the sign, the solos and choral quality, the clean drafts and
feminine metamorphoses.
The temperature of art at that time was of a rarefied and active objectivity, free from the
expressionisms of the informal gesture, the most recent social ironies of pop art, and the various
kinetic-perceptive technologies. Between the extroverted exhibitions of the body in body-art and
the minimalisms of plastic bodies, between land-art and sophisticated conceptualities, between
happening and narrative-art, the years of passage from the Seventies and the Eighties, through this
past decade and the next, mark the beginnings and maturity of Gubinelli’s work in entrusting the
practise of the sign, its absolute gesture of an abstract image, to perform a mobile and tacit
comparison with the trends underway, towards the diverse poetics of art. More than one
commenter has pointed out these connections to other artistic explorations, and here with the
experience of the search lies the intense otherness of his creative formulation with respect to the
usual field of so-called graphic art.
Overall, we can say that until today, Gubinelli has tended to conduct the sign and its plastic
and pictorial elaboration, overstepping the conventional field of the apparatus of techniques and
results of graphic art, though keeping to the institutional paper support. This vocation incorporates
and makes the sign transit between plastic and painting, architecture and the cursive, installation
and spatial mobility, manual extroversion and expressive intimacy.
As always occurs when the specificities of technique are sidestepped, Gubinelli’s graphic
sign, too, in its autonomous constructive and poetic dimension, establishes its own formal statute, in
a full and plural image capacity. We can say with Focillon, author of Vie des formes: “The sign
signifies, but once it becomes form, it aspires to signify itself, and creates its new sense”. This, in
short, is mental and sensible virtuality, the virtuous dimension of stroke and light, of the spatial
script and colour that animate the practise of the sign, its renewed generation of sense between
project and induction, rigour and emotional abandonment. The artist has always elaborated the sign
in an indistinct and convertible spatial game, between surface and space, sheet and wall. On seeing
the bare rectangular leaves that he usually arranges in sequence on exhibition walls and the rolls of
paper that he lets unroll down to the floor, we realise that in the transparencies and delicate watered
colours that lend it a setting, the sign tends to surpass the usual and frontal two-dimensionality. It
tends to catch us in a sort of temporal web, a vehiculating and stereo discursiveness, that is to say
according to the perceptive stimulus of a tale recounted by visual-colloquial involvement, by the
entangling junction of thoughts entrusted to and revealed in four-dimensional space.
In this light, we can dare say that Gubinelli’s absolute sign, his full articulation of the image
aspires to the ubiquitous space of poetry, where manually forming the sheet in folds and segments
that project onto the paper’s flat surface, where the cut sign and water-coloured drafts follow and
pursue streams of thought in combining with an impulse of pervasive writing, and of total poetry.
In fact, there have been numerous and intense relations between Gubinelli’s art and that of poets:
between papers, signs and verses dedicated to his expressive story, his conducting and
communicating an extreme and inexhaustible junction between vision and poetry. Almost as
though a sort of natural magnetisation of spirit and script destines and urges to interaction, a shared
dictate, a similar mania of poiesis.
Perhaps it all hails back to an ancestral matrix of the sign, an anthropological primary and
remote pronouncement of the sign, which without limits began to signify differences of sense and
script. Those distant times heralded the onset of a sensitive and emotional pronouncement, a
poetical pronouncement that led to the first articulations, the first grammars and architectures of the
sign and of the work in vision and hearing. As only the power of art can regenerate and make
topical, the art and poetry of Gubinelli’s sign prove to stir such distant roots, such profound origins
between sign and word. His visible architecture of the sign sinks its web in poetry, his measure of
the sign and colour in the harmonic metrics of the verse. In effect, according to imminent linguist
Roman Jakobson, there is a remarkable analogy between the role of grammar in poetry and the role
of composition for the painter.
Sorrento, May 2010
Luigi Paolo Finizio
Translation by Victor Palchetti Beard
LUIGI PAOLO FINIZIO, 2010
Gubinelli’s ceramic mark
It is stated that marks have come before writing and, since that time, communication was
only based on the oral tradition. Marks revenge their own independent concept, its expressive
autonomy , and, from then on, the mark is not only depending on words but it embodies each
material which holds it, taking a shape with its stroke.
Gubinelli’s mark is an abstract mark which appears, by its nature, prone to such a spreading
out since his studies of architecture. And really, starting from that time,it’s easy to understand
and appreciate the special concept of his mark on the sheet of paper: the transparencies and the
opacities, from the brightness of the whites to the innumerable shades of the dull colours winding
themselves as in “telero paintings” *.
The mark, as a glimmer of light, sticks on the fragile papery stand, sometimes it engraves the
support, sometimes it juts out of the background and sometimes it is wide and rich of colours in its
faint and trimmed edges. Now, this mark thanks to the power of the fire, takes the consistency of
material and colour in pottery. Gubinelli’s mark is free and mild, dancing, waving and tossing but
steady , firm and concrete melting poetry with the type of materials.
The idea of composition which was born as a stroke on a sheet of paper, enlarges and forms itself
on a pottery work by the techniques and feasible steps which from a mould in plaster transform
themselves in the final work after baking the ceramics.
The concept of idea changes into material and its anicronic sense assumes thickness and
strength.Gubinelli’s mark gives the poet’s neat and white paper the function to mould the space by
various woven webs of colour.On the pottery, the power of the fire poses and transfers the same
idea of imagination and the same light mobility of mark and colour, but the nature of the material
reveals its own characteristics and physical peculiarities. The provoking running and fluid play of
marks and colours on paper, becomes project, matrix and its variations. By different times of
baking the moulds, the mark and colour become more clear and neat thanks to the brightness of
the ceramic.A line and a chromatic lying lye on “ rilievi” on ceramic in a stronger and thick way
comparing “ the scretches on paper”.
Luigi Paolo Finizio
Translation by Alessandra Pitzianti,
Cagliari- Sardegna
Paolo Gubinelli,
biografia. Nato a Matelica (MC) nel 1945, vive e lavora a Firenze. Si diploma presso l’Istituto
d’arte di Macerata, sezione pittura, continua gli studi a Milano, Roma e Firenze come grafico
pubblicitario, designer e progettista in architettura. Giovanissimo scopre l’importanza del concetto
spaziale di Lucio Fontana che determina un orientamento costante nella sua ricerca: conosce e
stabilisce un’intesa di idee con gli artisti e architetti:
Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Ugo La Pietra, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico
Castellani, Piero Dorazio, Emilio Isgrò, Umberto Peschi, Edgardo Mannucci, Mario Nigro,
Emilio Scanavino, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, Zoren. Partecipa a numerose mostre personali e
collettive in Italia e all’estero.
Le sue opere sono esposte in permanenza nei maggiori musei in italia e all’estero.
L’artista Paolo Gubinelli, invitato da Vittorio Sgarbi e segnalato da Tonino Guerra, presente
con una installazione di n. 28 opere su carta accompagnata da versi di Tonino Guerra alla 54
Biennale di Venezia 2011 del Padiglione Italia alle Corderie dell’Arsenale
Sono stati pubblicati cataloghi e riviste specializzate, con testi di noti critici:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini,
Carlo Belloli, Vanni Bramanti, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza,
Claudio Cerritelli, Bruno Corà, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Roberto Daolio, Claudio Di
Benedetto, Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Francesco Gallo,
Mario Luzi, Luciano Marziano, Lara Vinca Masini, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro
Parmiggiani, Pierre Restany, Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni
Toniato, Tommaso Trini, Marcello Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
Sono stati pubblicati cataloghi di poesie inedite dei maggiori poeti Italiani e stranieri:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna
Buoninsegni, Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Roberto Carifi, Ennio Cavalli, Giuseppe
Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni
D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi, Tonino Guerra, Tony Harrison, Emilio, Isgrò, Clara
Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi, Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini,
Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi,
Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti, Antonio Riccardi, Davide Rondoni,
Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Antonio Santori, Frencesco
Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio,
Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
Nella sua attività artistica è andato molto presto maturando, dopo esperienze pittoriche su tela
o con materiali e metodi di esecuzione non tradizionali, un vivo interesse per la “carta”, sentita
come mezzo più congeniale di espressione artistica: in una prima fase opera su cartoncino bianco,
morbido al tatto, con una particolare ricettività alla luce, lo incide con una lama, secondo strutture
geometriche che sensibilizza al gioco della luce piegandola manualmente lungo le incisioni.
In un secondo momento, sostituisce al cartoncino bianco, la carta trasparente, sempre incisa e
piegata; o in fogli, che vengono disposti nell’ambiente in progressione ritmico-dinamica, o in rotoli
che si svolgono come papiri su cui le lievissime incisioni ai limiti della percezione diventano i segni
di una poesia non verbale.
Nella più recente esperienza artistica, sempre su carta trasparente, il segno geometrico, con il
rigore costruttivo, viene abbandonato per una espressione più libera che traduce, attraverso l’uso di
pastelli colorati e incisioni appena avvertibili, il libero imprevedibile moto della coscienza, in una
interpretazione tutta lirico musicale.
Oggi questo linguaggio si arricchisce sulla carta di toni e di gesti acquerellati acquistando una più
intima densità di significati.
Ha eseguito opere su carta, libri d’artista, su tela, ceramica, vetro con segni incisi e in rilievo in uno
spazio lirico-poetico.
Paolo Gubinelli, biography. Born in Matelica (province of Macerata) in 1945, lives and works
in Florence. He received his diploma in painting from the Art Institute of Macerata and continued
his studies in Milan, Rome and Florence as advertising graphic artist, planner and architectural
designer. While still very young, he discovered the importance of Lucio Fontana’s concept of space
which would become a constant in his development: he became friends with such artists as :
Giovanni Michelucci, Bruno Munari, Agostino Bonalumi, Alberto Burri, Enrico Castellani, Piero
Dorazio, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Umberto Peschi, Emilio Scanavino, Edgardo Mannucci,
Mario Nigro, Sol Lewitt, Giuseppe Uncini, and Zoren, and established a communion of ideas and
work.
His work has been discussed in various catalogues and specialized reviews by such prominent
critics as:
Giulio Carlo Argan, Giovanni Maria Accame, Cristina Acidini, Mariano Apa, Mirella Bandini,
Carlo Belloli, Vanni Bramanti, Carmine Benincasa, Luciano Caramel, Ornella Casazza, Claudio
Cerritelli, Bruno Corà, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Roberto Daolio, Claudio Di Benedetto,
Angelo Dragone, Luigi Paolo Finizio, Alberto Fiz, Paolo Fossati, Francesco Gallo, Mario Luzi,
Lara Vinca Masini, Bruno Munari, Antonio Paolucci, Sandro Parmiggiani, Pierre Restany,
Maria Luisa Spaziani, Carmelo Strano, Claudio Strinati, Toni Toniato, Tommaso Trini, Marcello
Venturoli, Stefano Verdino, Cesare Vivaldi.
Many others have also written about his work:
Giulio Angelucci, Flavio Bellocchio, Goffredo Binni, Nevia Pizzul Capello, Debora Ferrari,
Claudio Di Benedetto, Fabio Corvatta, Antonia ida Fontana, Mario Giannella, Armando Ginesi,
Elverio Maurizi, Carlo Melloni, Eugenio Miccini, Franco Patruno, Roberto Pinto, Osvaldo Rossi,
Giuliano Serafini, Patrizia Serra, Maria Luisa Spaziani, Maria Grazia Torri, Francesco Vincitorio.
His works have also appeared as an integral part of books of previously unpublished poems by
major Italian poets foreigners:
Adonis, Alberto Bertoni, Alberto Bevilacqua, Libero Bigiaretti, Franco Buffoni, Anna Buoninsegni,
Enrico Capodoglio, Alberto Caramella, Ennio Cavalli, Giuseppe Conte, Vittorio Cozzoli, Maurizio
Cucchi, Milo De Angelis, Eugenio De Signoribus, Gianni D’Elia, Luciano Erba, Giorgio Garufi,
Tony Harrison, Tonino Guerra, Emilio Isgrò, Clara Janés, Ko Un, Vivian Lamarque, Franco Loi,
Mario Luzi, Giancarlo Majorino, Alda Merini, Alessandro Moscè, Roberto Mussapi, Giampiero
Neri, Nico Orengo, Alessandro Parronchi, Feliciano Paoli, Titos Patrikios, Umberto Piersanti,
Antonio Riccardi, Davide Rondoni, Tiziano Rossi, Roberto Roversi, Paolo Ruffilli, Mario
Santagostini, Antonio Santori, Frencesco Scarabicchi, Fabio Scotto, Michele Sovente, Maria Luisa
Spaziani, Enrico Testa, Paolo Valesio, Cesare Vivaldi, Andrea Zanzotto.
He participated in numerous personal and collective exhibitions in Italy and abroad. Following
pictorial experiences on canvas or using untraditional materials and techniques, he soon matured a
strong interest in “paper” which he felt the most congenial means of artistic expression. During this
initial phase, he used a thin white cardboard, soft to the touch and particularly receptive to light,
whose surface he cut with a blade according to geometric structures to accent the play of light and
space, and then manually folded it along the cuts.
In his second phase, he substituted thin white cardboard with the transparent paper used by
architects, still cutting and folding it, or with sheets arranged in a room in a rhythmic-dynamic
progression, or with rolls unfurled like papyruses on which the very slight cuts challenging
perception became the signs of non-verbal poetry.
In his most recent artistic experience, still on transparent paper, the geometric sign with its
constructive rigor is abandoned for a freer expression which, through the use of colored pastels and barely perceptible cuts, translates the free, unpredictable motion of consciousness in a lyrical- musical interpretation.
Today, he expresses this language on paper with watercolor tones and gestures which lend it a
greater and more significant intensity.
He made white and colour pottery where engraved and relief signs stand out in a lyrical-poetic
space.
02
giugno 2012
Paolo Gubinelli
Dal 02 al 16 giugno 2012
arte contemporanea
Location
LIMONAIA DI VILLA STROZZI
Firenze, Via Pisana, 77, (Firenze)
Firenze, Via Pisana, 77, (Firenze)
Orario di apertura
Dal lunedì al sabato, Ore 16– 19
Vernissage
2 Giugno 2012, ore 17
Autore