11 aprile 2010

CRITICI SI NASCE

 
Gli abbiamo dedicato un intero numero di Exibart.onpaper. Lo abbiamo incontrato ripetutamente in questi anni. Ne abbiamo ripreso, con Exibart.tv, conferenze e interventi. Ma per Achille Bonito Oliva non è mai abbastanza. E allora non poteva mancare una intervista a tutto campo per i suoi settant’anni. Dalla Transvanguardia ad Avatar...

di

“Polemos è di tutte le
cose padre, di tutte re
”, scrive Eraclito. Quanto conta la vis polemica in un critico? È un aggettivo
che lo qualifica oppure è la sua più intima natura?
Per me è un sostantivo.
Come diceva Roberto Longhi, critici si nasce, artisti si diventa. Io aggiungo:
pubblico si muore. Il polemos è costitutivo della mia
identità.

Lei ha detto, ricordando la genesi del suo percorso, “sono
diventato un intellettuale per disperazione
”…
Da piccolo ero precettato ogni estate a passare i mesi di
vacanza nel palazzo di famiglia dove i miei avevano queste proprietà, un antico
feudo. Ero tolto da una vita di compagnia, con uno spostamento da una città di
mare come Napoli a un piccolo paese a 800 metri di altezza, Caggiano, dove
esisteva anche una barriera sociale. Io non riuscivo a giocare con gli altri
bambini, contrariamente ai miei fratelli, e per disperazione leggevo quattro
libri al giorno.

Oggi è un intellettuale disperato, nel senso che ha
perso speranza di avere eredi degni o di vedere una critica non asservita?
Io ho un temperamento stoico, ho sviluppato un modello di
critica irripetibile e quindi non mi sono posto il problema di fondare una
scuola o di avere eredi. Non mi faccio illusioni, ma non ho nemmeno delusioni.

Achille Bonita 
Oliva e Jannis Kounellis alla scorsa edizione del Festival dell'Arte 
Contemporanea di Faenza- photo Stefano Campani
Che ruolo sente di avere oggi?
Il critico svolge un ruolo importante in una società in
cui esiste la divisione del lavoro intellettuale. La critica di per sé può
anche non essere importante ma è il critico che deve diventare indispensabile.
Credo di aver prodotto questa indispensabilità diventando un punto di
riferimento. La cultura, l’arte e la critica sono un ambito in cui il principio
di responsabilità è molto importante. Credo di aver sdoganato la critica da
ogni servitù, gli ho dato protagonismo, ma in un sistema globale bisogna
svolgerlo in maniera capillare e con un’etica di fondo, con una trasparenza.

Chi altri sostiene un’idea così aulica?
Spesso trovo che nelle nuove generazioni c’è semplice
manutenzione dell’arte, una generazione fatta quasi interamente da filippini
della critica, servi di scena, maggiordomi e, se vogliamo dirla tutta, anche da
badanti.

Possiamo anche dire da escort?
No.

Dal 1971 insegna all’università: cosa è cambiato e cosa
cambierebbe per migliorare?
Erano gli anni dopo la contestazione, c’era entusiasmo. Ma
con essi si è prodotta la delegittimazione dell’università. Il ’68 ha prodotto
effetti positivi, ha liberato i costumi, ha sostenuto il femminismo, ha
mobilitato nuove energie intellettuali e sociali, ma ha anche demonizzato il
sapere universitario, accusandolo di essere semplicemente accademico. Gli
effetti si sono visti negli anni ‘80 e ‘90 con generazioni di studenti e
professori meno preparata. Adesso si ricomincia ad avere un senso di
responsabilità, ci si applica.

Achille Bonito Oliva alla Certosa di PadulaCome migliorerebbe la critica all’interno
dell’università, essendo questa un lavoro intellettuale, ma pur sempre un
lavoro?
Credo che in Italia manchi la cultura dell’organizzazione
e del management curatoriale e museale. Manca una facoltà sull’arte e sul
sistema dell’arte, in cui chiamerei dei chimici a insegnare il restauro
dell’arte contemporanea, degli informatici per formare nuovi bibliotecari,
degli storici del gusto, del collezionismo e degli architetti che possano
insegnare la storia dei musei. Una facoltà dove ci sia la possibilità di
prepararsi alle professioni del sistema dell’arte: dall’artista al critico, dal
collezionista al mercante, dal direttore di museo al giornalista d’arte. Tranne
che al pubblico, che non ha bisogno di preparazione, gli serve soltanto la
sensibilità. In Italia pesa il retroterra di stampo idealistico improntato
dalla Riforma Gentile, grande filosofo, ma dopo di lui non ci sono state altre
riforme. C’è ancora una remora per tutto quello che riguarda l’organizzazione,
quando invece senza organizzazione non c’è rivoluzione e nemmeno cultura.

Sono idee che metterebbe sul tavolo se domani
diventasse ministro della pubblica istruzione?
No, ma credo che sarebbe bello ipotizzare una facoltà
sull’arte e il sistema dell’arte in cui ci siano tutti i temi che riguardano
questa grande catena di sant’Antonio.

Arte e denaro. Spesso lei sottolinea il fatto che, fin
dal Rinascimento, l’arte è stata fatta anche per denaro…
L’arte, che per secoli è stato frutto di committenza, ha
sviluppato un grande piacere per il denaro negli artisti. Anche nei più grandi.
Pochi sanno che Raffaello aveva ipotizzato una speculazione edilizia a Roma,
comprando un palazzo in via Giulia, pensando di abbattere le mura per fare
grandi atelier e affittare gli spazi ai pittori olandesi che venivano a
dipingere le rovine. Pochi sanno che Michelangelo investiva i soldi che gli
dava il Papa Aldobrandini per la Cappella Sistina tramite il fratello, che
comprava terreni in Toscana. L’attaccamento al denaro in Dalí, l’attaccamento
al piacere di Picasso. Io trovo che la ricchezza dà statuto di realtà all’arte.
L’artista ha una identità precaria, produce fantasmi. Il fatto che questi
cominciano ad avere un valore oggettivo ed economico trovo sia un fatto molto
positivo, che dà solidità a tutto il sistema dell’arte. Per questo la fiera di
Basilea è diventata un fenomeno economico ma anche culturale.

Emilio Mazzoli, Sandro Chia, Achille Bonito Oliva
Veniamo al venale: ha mai calcolato quanto ha
guadagnato nella sua vita con il lavoro che fa?
No.

È incalcolabile?
E nemmeno ho calcolato quanto ho fatto guadagnare agli
artisti.

Immagino sia ancora più difficile da sapere…
Io sono orgoglioso di quello che ho fatto, con le mie
teorie, le mie mostre, i miei libri. Trovo giusto che gli artisti guadagnino
più dei critici, sono ruoli diversi e mi fa piacere che Chia, Cucchi, Clemente,
Paladino e De Maria tuttora siano artistar. Con noi è nato lo star system
dell’arte. Insomma, il sistema dell’arte è come un campionato di calcio, c’è la
serie A la serie B e la serie C.

Lei, naturalmente, è il Murinho della situazione…
Alleno la Nazionale.

“Criticare”, per il senso comune, è in qualche modo un
atto denigratorio. In realtà, come operazione intellettuale significa creare
valore…
Crea valore perché seleziona, sceglie.

Arte e politica: esistono ancora un’arte di destra e di
sinistra?
L’arte è di centro. Dalí era monarchico, de Chirico non
era certo un rivoluzionario, eppure hanno rivoluzionato i linguaggi. Balzac era
considerato da Hegel e da Marx uno scrittore rivoluzionario perché era un
conservatore che descriveva, però, la condizione della Francia del proprio
tempo. L’opera critica o artistica si emancipa dal suo autore e gli può sfuggir
di mano.

Mario Merz - Che fare? - 1968 - cera e neon in recipiente di metallo - Gam, Torino
Ci accingiamo a festeggiare l’unità d’Italia, ma nelle
arti l’Italia pare ancora poco unita…
L’Italia è una realtà multi-municipale, con anche una
ricchezza di motivi e una coesistenza di differenze importanti che considero
molto positiva.

Lei è un temperamento meridionale, come Totò o
Maradona…
Io sono parte nopeo e parte romano…

Ah, non più salernitano?
Mi hanno dato da poco il premio in Campidoglio, vivo qui
dal 1968, sto benissimo a Roma, abito in via Giulia, che tra poco rinomineranno
Via Giulia Bonito Oliva…

Lei arriva a Roma nel 1968, siamo nel 2010: come è
cambiata, culturalmente, la città?
Dagli anni ‘70 l’arte si è evoluta e la città si è aperta
agli influssi internazionali. Io l’ho onorata con mostre come Vitalità del
negativo
, Le
Tribù dell’arte
e
altre che, con cadenza quasi quinquennale, hanno dato sale a questa terra,
portando artisti e movimenti che l’hanno arricchita. Roma è una città anche
complessa e difficile, è una città imperiale e di quartiere dico io. Parto ogni
settimana per viaggi all’estero e torno contento, ma non vivrei in modo fisso a
Roma.

Se lei fosse l’ottavo re di Roma, quali provvedimenti
prenderebbe?
Chiuderei il centro storico – il cuore, non tutto – al
traffico; aprirei le gallerie d’arte di sera; darei gratuitamente degli studi
agli artisti. Troverei il modo di coniugare il rispetto della storia con la
cultura contemporanea.

Vittorio Sgarbi versione sindaco
Dopo i musei, adesso Roma ha anche una sua fiera
d’arte. Come le sembra?
Un gesto coraggioso.

Cosa si aspetta da Mario Resca, il direttore generale per la valorizzazione del patrimonio
culturale?
Il problema è vedere se gli permettono di lavorare. Lui
vorrebbe ammodernare i musei e questa non è un’idea sbagliata.

Vittorio Sgarbi è stato nominato responsabile acquisti
del Maxxi…
Fortunatamente, non ci sono i soldi per comprare opere per
il Maxxi.

… e prossimo curatore del Padiglione italiano alla
prossima Biennale di Venezia.
È il frutto di ciò che chiamo “peronismo mediatico”: per
un effetto televisivo si arriva al padiglione italiano, ma è un padiglione
territoriale, i danni saranno limitati. Fortunatamente non è stato nominato per
l’intera Biennale.

Lei ha detto, come Flaubert, “la Transavanguardia
c’est moi
”…
Ho scritto il primo saggio sul Manierismo nel 1971, quando
ho vinto il concorso come assistente ordinario. Poi ho approfondito il Manierismo,
dopo il mio libro Il territorio magico, che è stato ripubblicato dopo 40 anni a cura di
Stefano Chiodi e Andrea Cortellessa per la casa editrice Le Lettere di Firenze.
Ho scritto poi L’ideologia del traditore. Arte, Maniera e Manierismo, in quanto avevo rintracciato nel
Manierismo un periodo lontano ma affine all’epoca dei primi anni ‘70, con la
crisi energetica, il crollo delle ideologie, lo smascheramento del maoismo, il
crollo del comunismo. La radice di quell’epoca era il passaggio dall’arte di
invenzione, piena di fiducia nel futuro, a un’arte di citazione, a difesa del
passato. La citazione diventa, infatti, nel manierismo, quel carattere
intellettuale e concettuale che si riscontra anche nell’arte contemporanea in
quanto metalinguaggio.
Sandro Chia - Come in un film - 2009 - olio su tela - cm 180x185
Teorizzai anche il recupero della manualità e del disegno,
feci una mostra sul disegno (Disegno e trasparenza) nella galleria di Enzo
Cannaviello a Roma per registrare la ripresa della manualità. Poi la pittura,
quindi la Transavanguardia come forma di neo-manierismo, non di
anti-avanguardia, con il suo recupero della pittura, la citazione, l’eclettismo
stilistico, il nomadismo, l’intreccio fra astratto e figurativo. Rintracciai
alcuni pittori che provenivano dal post-concettuale e vi aggiunsi De Maria, un
pittore astratto: mi sembrava giusto recuperare anche questa inclinazione.
Così feci la prima mostra ad Acireale, poi Aperto ’80 dove, con Szeemann, curai una
mostra sulla Transavanguardia internazionale da cui esplose il fenomeno che
divenne internazionale poiché le condizioni di crisi di cui parlavo erano
riscontrabili sia in Europa che in America. Pubblicai la Transavanguuardia
italiana
con
Politi nel ’80, poi quella internazionale con una ricognizione a tutto campo.
Poi la storia la sanno tutti…

Sì, infatti volevo chiedere: come mai soltanto quei
cinque in Italia? Sarà stata dura tener fuori da un gruppo così ristretto tutti
gli altri…
Come no! Sono un angelo sterminatore, io.

Come mai soltanto cinque artisti?
Vede, la critica è termine che descrive la condizione di
un angelo sterminatore, il cui intento però non è distruttivo, bensì
protettivo. Ho protetto questi cinque da una massa di artisti, li ho estratti,
seguiti e tuttora c’è un dialogo e una collaborazione fra noi.

Era un dialogo che si basava anche su una prossimità
emotiva, affettiva, un’amicizia, una consanguineità?
Certo, una continuità di frequentazione.

Nicola De Maria al Castello di Rivoli - photo Paolo Pellion, Torino
Concludendo, oggi un giovane critico può fare una sua
Transavanguardia?
Non credo ci sia più la possibilità di fondare un gruppo.
Gli artisti vanno in fila indiana ognuno per la propria strada.

Perché? Cosa manca?
Non c’è il tipo di socializzazione indispensabile perché
si formi un gruppo. In quegli anni c’era una possibilità di solidarietà
culturale, anche di contro-comunità. Ora c’è uno stato brado di individualismo
esasperato per cui anche nell’arte ci possono essere contatti sporadici ma non
continuativi.

Cosa porta e cosa toglie la terza età? Lei sembra non
rispettare la dicotomia “più saggezza meno fisicità”: ad Artefiera appariva
molto fisico, ricco di vis
polemica e giocosità.
Inseguo il raggiungimento del massimo della mia
immaturità: è lei che mi dà questa condizione così tonica e tonificante.

Che rapporto ha con il proprio corpo?
Ottimo, e l’ho dimostrato con i miei nudi su Frigidaire, sono un grandissimo ballerino,
continuo a vivere come quando avevo trent’anni. Sono un “notturbino”, vivo la
notte nei bar, però quando torno scrivo. Non mi faccio mancare nulla.

Passiamo allo statuto dell’immagine nel mondo odierno.
Il Louvre e il Guggenheim aprono ad Abu Dabhi, la capitale degli Emirati Arabi,
la cui religione ufficiale è l’Islam e dove parlano arabo. Qual è, secondo lei,
il senso di una tale operazione?
Imprenditoriale. Si crea una sponda economicamente solida
per poter costruire poi in patria il proprio lavoro.

L'Obama di Shepard FaireyChe effetto culturale può avere nel mondo arabo?
Nessuno, e credo che nessuno avrà la spudoratezza di
parlare di una diffusione della cultura universale. Sono operazioni mirate, che
servono a produrre denaro per dei musei che hanno strutture costosissime. Sono
operazioni di esportazione e sono dei fiori all’occhiello per questi Paesi
arabi che stanno creando stati artificiali ad uso di soli finanzieri e gente
ricca.

A febbraio, un libro di testo induista, edito a New
Dehli, ha raffigurato Gesù con sigaretta e Coca-Cola, definendolo un “idolo”
cristiano. Ciò ha generato scontri, con morti e chiese incendiate. Viviamo in
un’epoca in cui l’immagine in Occidente è ipertrofica ma altrove ha ancora un
suo potere…
Fuori dall’Occidente l’immagine ha potere in quanto si
tratta di popoli meno abituati alle immagini, che da loro arrivano ancora
cariche di significato. Da noi sono desemantizzate, guardate con ironia,
distacco e disaffezione.

Shepard Farey, in arte Obey, ha ritratto Obama ed è
diventato un caso. Non ci bastano le immagini, abbiamo ancora bisogno di icone?
È una immagine efficace, ma per merito di Obama. Sul piano
linguistico non introduce nessuna innovazione.

L’arte tende sempre di più al cinema. L’ultima è Shirin
Neshat, Leone d’argento a Venezia…
L’arte sta coltivando una sensibilità pellicolare, c’è un
interscambio fra arte e cinema che è positivo, da Schnabel a Paladino. Gli
artisti non si risparmiano. In più, viviamo in un’epoca di postmodernità, di
eclettismo, di destrutturazione, di riciclaggio e di riconversione, quindi di
mobilità.

Avatar è un’opera d’arte?
È intrattenimento. Amo molto il cinema di Spielberg o di
Lucas perché sono stati i primi a operare in quella direzione. Avatar fa parte della successive
applicazioni estetizzanti di un futuro kitsch.

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[exibart]


9 Commenti

  1. Sempre le solite cose..! Signori, la transavanguardia è VECCHIA e non ha alcuna attinenza con la contemporaneità.Esattamente come il Critico che si vanta di averla inventata! è arte da museo polveroso, tuttalpiù possiamo considerarla arte moderna. A.B.O. è un signore anziano che ha la fama di essere un critico d’arte “contemporanea” quando in realtà è bloccato in un passato logoro,un microcosmo autoreferenziale dove circolano pochi concetti, pochi artisti e poche idee. Basta parlare di “sistema dell’arte” e di Totò, andiamo avanti. Ci sono i computers, la multimedialità, il mondo scambia energie e informazioni in un nanosecondo e ancora parliamo di quest’arte imbalsamata!

  2. Mi riprometto di leggere tutto con attenzione, ma a caldo una cosa la voglio dire: visto che il regno di Roma difficilmente glielo proporranno, potrebbe Bonito Oliva proporsi alla Signoria di Milano, abbiamo disperato bisogno di quel programma.

  3. Gli è rimasto il complesso di essere di rango superiore, è infatti più facile vederlo da Gagosian che negli studi degli artisti non asserviti a quelli cui la critica si piega.
    Ha ragione quando dice che la critica crea valore ed è quindim, per deduzione, uno strumento del sistema.
    Mi piacerebbe sapere perchè non si ritiene un filippino, forse perchè si sente un maggiordomo in gaunti bianchi?

  4. CRITICI SI NASCE, ARTISTA DI DIVENTA – MA, SECoNDO NOI: ARTISTI SI NASCE E CRITICI SI DIVENTA QUANDO SI FALLSCE CONE ARTISTA.
    -Vittorio Del Piano Atelier MediterraneArtePura
    Grottaglie-Taranto/Nizza (Italia) )

    ________________________________________

    Riportiamo una delle prime risposte di ABO all’intervista rilasciata a Exibart.com -.
    Lei ha detto, ricordando la genesi del suo percorso, “sono diventato un intellettuale per disperazione”…
    Da piccolo ero precettato ogni estate a passare i mesi di vacanza nel palazzo di famiglia dove i miei avevano queste proprietà, un antico feudo. Ero tolto da una vita di compagnia, con uno spostamento da una città di mare come Napoli a un piccolo paese a 800 metri di altezza, Caggiano, dove esisteva anche una barriera sociale. Io non riuscivo a giocare con gli altri bambini, contrariamente ai miei fratelli, e per disperazione leggevo quattro libri il giorno.
    ———————–

    mi sacrificherò per leggerla tutta – con interesse e con attenzione- (ora ho fretta devo portare in spiaggia il mio Cane REX a fare la sua passeggiata quotidiana non ha settant’anni, io invece si), ma prima una cosa la voglio dire: a Salerno con Marcello Rumma al “COLAUTTI (1953/1954 -1954/1956), in una giornata di lettura e studio leggevano (senza disperazione) si e no tre o quattro libri.
    L’ABO (Critico Nato) inizia con una grossa bugia! Secondo noi – non ce la “faceva proprio”.
    Nell’andare – poi – a leggere il seguito saremo più “CrticaCritici” sulla mappa… e vorremmo sapere dai 500milaeuro tondi, tondi avuti – per la cura dell’Arte Nel Fossato -.
    Buona settimana e a dopo la lettura. Dalla Regione Puglia a Bari quanti ne ha percepito egli stesso dal (su amigo Niki Vendola).
    Taranto Lunedì 12 aprile 2010 – otre: 13:26
    VITTORIO DEL PIANO
    – Tel/mobile: 328-318-77-13.
    delpiano.artepura@libero.it
    – Atelier MediterraneArtrePura
    – Grottaglie/Tarato/Nizza.

  5. Ancora con sta storia dei finanziamenti!! e mica se li è presi ABO… vincitore appalto: ELECTA uguale MONDADORI uguale BERLUSCA!

  6. _____________________________________________

    “C O M U N I C/A Z I O N E TATTICA & POETICA”
    _____________________________________________
    Dedica di
    VITTORIO DEL PIANO
    Grottaglie-Taranto-Nizza
    (Italia Europa/Mediterranea)

    “CRITICI SI NASCE, ARTISTA SI DIVENTA” NO!

    Ma, secondo noi:

    ARTISTA SI NASCE E CRITICO SI DIVENTA
    QUANDO SI FALLISCE CONE ARTISTA.

    ______________________________________________

    Vittorio Del Piano
    – Atelier: 47-49 Via Giovan Giovine
    74023-GROTTAGLIE (TA)
    – Tel/mobile: 328-318.77.13
    delpiano.artepura@libero.it
    – “Atelier MediterraneArtePura”
    Grottaglie/Tarato/Nizza
    – E-mail: delpiano.artepura@libero.it

  7. Dal nulla rimane il nulla del nulla…..da ABO rimane ABO…..da Sgarbi che cosa rimane ? I ca..i co…ect. in televisione . Eppure, purtroppo, c’è lo troveremo udite… udite alla Biennale di Venezia a curare il padiglione dell’Italia…. o mio Dio!!! Pertanto date a Cesare ciò che è di Cesare ad ABO ciò che è di ABO …e cerchiamo di essere obiettivi e creare un comitato per fare diventare ABO senatore a Vita….

  8. Sono vecchi commenti che leggo per caso e mi chiedo: come si può dar spazio a sfoghi così sterili e frustrati? Evviva la democrazia di internet ma qui si scade proprio sul becero. E se ritenete non pubblicate. Grazie Laura

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