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Vittorio Pavoncello – Redshift. La Memoria
E’ un moderno “artista totale” e un rappresentante ideale per creare il “Gesamtkunstwerk” dei nostri tempi. E non solo perché si esprime nei generi artistici più svariati ma anche perché le sue riflessioni partono da concetti esistenziali per sollevare preoccupazioni cruciali della nostra civilta’.
Comunicato stampa
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REDSHIFT – LA MEMORIA
Forme circolari, ognuna delle quali ci suggerisce una storia legata all’origine del mondo e dell’umanità. Questioni assolute sono imposte all’osservatore invitato a ragionare attraverso un linguaggio sottile, uno stile minimalista che si presenta sempre armonizzante e piacevole all’occhio. Dopo una serie sul blu, Vittorio Pavoncello si è dedicato intensamente ad un altro colore primario: il rosso. L’impegno è complesso essendo il rosso associabile a infiniti simboli che accompagnano la vita umana nella sua sostanza e nella sua storia. La particolare sensibilità dell’occhio umano al colore rosso ha provocato la sua associazione al pericolo. Il termine rosso si è sviluppato subito dopo la distinzione tra giorno e notte. Il rosso, essendo il colore del sangue e del fuoco è anche quello più legato al concetto di vitalità, come la passione, la velocità e la gioia, nonché del potere politico e infine di moti rivoluzionari a partire dalla metà del 19° secolo. Questa simbologia poliedrica ed esistenziale è particolarmente congeniale all’autore la cui arte spazia dalla pittura alla scultura, dalla poesia e scrittura alla regia. Pavoncello è un moderno “artista totale” e un rappresentante ideale per creare il “Gesamtkunstwerk” dei nostri tempi. E non solo perché si esprime nei generi artistici più svariati ma anche perché le sue riflessioni partono da concetti esistenziali per sollevare preoccupazioni cruciali della nostra odierna civiltà. Nell’opera “Origine” dietro le linee di un ordine rigorosamente geometrico e incorniciato da un perfetto doppio cerchio si apre un universo incerto e in fase di evoluzione. L’uomo, sempre rappresentato con poche linee di una geometria apparentemente semplice esprime interi concetti: In ”Amnio” riconosciamo la tipica posizione di un embrione nel grembo della madre in tutta la sua vulnerabilità. “Ognuno ha un fratello morto nel cuore”, ci rende partecipi di un abbraccio sovradimensionato e intimo di un vuoto, espressione del lutto dell’umanità (che allo stesso tempo nella sua posizione curva accennata si rifà alla posizione classica della malinconia). Con “Eterna domanda: dove sono”, percepiamo immediatamente attraverso la posizione sospesa e piena di tensione della figura le incertezze di ognuno di noi.“Le vie che non abbiamo percorso” ci mette a confronto con un gioco di linee sottilmente distinte nelle diverse tonalità del rosso, che ci fanno vedere anche strade sbarrate e interrotte da grosse barre bianche, segno, quest’ultimo, presente in molte opere di Redshift. Si tratta di una specie di trait d’union del ciclo che ci rimanda al fatto che ci sono sempre strade alternative da prendere o concetti alternativi da seguire, anche nel ricordo. La barra bianca rappresenta un supplemento organizzativo del concetto astrofisico di “Redshift” (lo spostamento verso il rosso). L’allontanamento dalla sorgente luminosa sta qui per il viaggio della vita di ognuno di noi in cui i fatti avvenuti si allontanano progressivamente e diventano memoria. Per Pavoncello il veicolo del concetto è il cerchio rosso. La mostra è anche un viaggio nel tempo. Più piccoli sono i formati e i cerchi, più lontano è l’evento o la sensazione vissuta.Il carattere segnico delle figure e la sottile sovrapposizione di linee geometriche rimandano all’allontanamento nel tempo. Quello che rimane è la memoria di una sensazione umanamente essenziale. I segni primitivi e allo stesso tempo calcolati alla perfezione che si inseriscono in strutture rigorosamente geometriche sono la firma inconfondibile di Vittorio Pavoncello. L’artista fa coscientemente riferimento ai parametri artistici del Novecento, tra l’Astrattismo e un linguaggio segnico nato negli anni Sessanta non dimenticando le tradizioni dell’arte italiana classica. La leggerezza con cui si muove all’interno dei differenti universi artistici con uno stile del tutto individuale e incisivo conferma che la divisione per ideologia delle correnti artistiche appartiene definitivamente alla storia. Tanja Lelgeman
“Lo spostamento verso il rosso (chiamato anche col termine inglese redshift) è il fenomeno per cui la frequenza della luce, quando osservata in certe circostanze, è più bassa della frequenza che aveva quando è stata emessa. Ciò accade in genere quando la sorgente di luce si muove allontanandosi dall'osservatore (o equivalentemente, essendo il moto relativo, quando l'osservatore si allontana dalla sorgente). “
Partendo da questa definizione astrofisica e da una fascinazione per il colore rosso ho iniziato a dipingere e riflettere su questo allontanamento delle cose e del tempo e così il Redshift si è caricato di altre valenze quale La memoria. Come le stelle che pur essendo morte emanano ancora una luce visibile così i ricordi e le nostre esperienze fanno parte di noi sebbene andando avanti con gli anni tutto si allontani da noi. La mostra vuole immaginare momenti particolari a ciascuno ma specifici del genere umano come : la vita introuterina (Amnio) il lutto (Ognuno ha un fratello morto nel cuore ) la percezione di sé (Quella prima volta allo specchio) gli amori e ricordi che non torneranno più e che si allonatano (Nostalgia di amori) o le cose inutili e bizzare della vita (I cavoli a merenda). L’allestimento della mostra anche è un viaggiare nel tempo e nello spazio con dimensioni che crescono o diminuiscono a secondo del proprio punto di ossservazione dell’evento osservato o del ricordo riafforato alla memoria. Un specie di film insomma che scorre sulle pareti dove ogni quadro può essere un fotogramma isolato in un contesto di immagini che si allontanano le une dalle altre come accade nell’Universo in espansione.
Forme circolari, ognuna delle quali ci suggerisce una storia legata all’origine del mondo e dell’umanità. Questioni assolute sono imposte all’osservatore invitato a ragionare attraverso un linguaggio sottile, uno stile minimalista che si presenta sempre armonizzante e piacevole all’occhio. Dopo una serie sul blu, Vittorio Pavoncello si è dedicato intensamente ad un altro colore primario: il rosso. L’impegno è complesso essendo il rosso associabile a infiniti simboli che accompagnano la vita umana nella sua sostanza e nella sua storia. La particolare sensibilità dell’occhio umano al colore rosso ha provocato la sua associazione al pericolo. Il termine rosso si è sviluppato subito dopo la distinzione tra giorno e notte. Il rosso, essendo il colore del sangue e del fuoco è anche quello più legato al concetto di vitalità, come la passione, la velocità e la gioia, nonché del potere politico e infine di moti rivoluzionari a partire dalla metà del 19° secolo. Questa simbologia poliedrica ed esistenziale è particolarmente congeniale all’autore la cui arte spazia dalla pittura alla scultura, dalla poesia e scrittura alla regia. Pavoncello è un moderno “artista totale” e un rappresentante ideale per creare il “Gesamtkunstwerk” dei nostri tempi. E non solo perché si esprime nei generi artistici più svariati ma anche perché le sue riflessioni partono da concetti esistenziali per sollevare preoccupazioni cruciali della nostra odierna civiltà. Nell’opera “Origine” dietro le linee di un ordine rigorosamente geometrico e incorniciato da un perfetto doppio cerchio si apre un universo incerto e in fase di evoluzione. L’uomo, sempre rappresentato con poche linee di una geometria apparentemente semplice esprime interi concetti: In ”Amnio” riconosciamo la tipica posizione di un embrione nel grembo della madre in tutta la sua vulnerabilità. “Ognuno ha un fratello morto nel cuore”, ci rende partecipi di un abbraccio sovradimensionato e intimo di un vuoto, espressione del lutto dell’umanità (che allo stesso tempo nella sua posizione curva accennata si rifà alla posizione classica della malinconia). Con “Eterna domanda: dove sono”, percepiamo immediatamente attraverso la posizione sospesa e piena di tensione della figura le incertezze di ognuno di noi.“Le vie che non abbiamo percorso” ci mette a confronto con un gioco di linee sottilmente distinte nelle diverse tonalità del rosso, che ci fanno vedere anche strade sbarrate e interrotte da grosse barre bianche, segno, quest’ultimo, presente in molte opere di Redshift. Si tratta di una specie di trait d’union del ciclo che ci rimanda al fatto che ci sono sempre strade alternative da prendere o concetti alternativi da seguire, anche nel ricordo. La barra bianca rappresenta un supplemento organizzativo del concetto astrofisico di “Redshift” (lo spostamento verso il rosso). L’allontanamento dalla sorgente luminosa sta qui per il viaggio della vita di ognuno di noi in cui i fatti avvenuti si allontanano progressivamente e diventano memoria. Per Pavoncello il veicolo del concetto è il cerchio rosso. La mostra è anche un viaggio nel tempo. Più piccoli sono i formati e i cerchi, più lontano è l’evento o la sensazione vissuta.Il carattere segnico delle figure e la sottile sovrapposizione di linee geometriche rimandano all’allontanamento nel tempo. Quello che rimane è la memoria di una sensazione umanamente essenziale. I segni primitivi e allo stesso tempo calcolati alla perfezione che si inseriscono in strutture rigorosamente geometriche sono la firma inconfondibile di Vittorio Pavoncello. L’artista fa coscientemente riferimento ai parametri artistici del Novecento, tra l’Astrattismo e un linguaggio segnico nato negli anni Sessanta non dimenticando le tradizioni dell’arte italiana classica. La leggerezza con cui si muove all’interno dei differenti universi artistici con uno stile del tutto individuale e incisivo conferma che la divisione per ideologia delle correnti artistiche appartiene definitivamente alla storia. Tanja Lelgeman
“Lo spostamento verso il rosso (chiamato anche col termine inglese redshift) è il fenomeno per cui la frequenza della luce, quando osservata in certe circostanze, è più bassa della frequenza che aveva quando è stata emessa. Ciò accade in genere quando la sorgente di luce si muove allontanandosi dall'osservatore (o equivalentemente, essendo il moto relativo, quando l'osservatore si allontana dalla sorgente). “
Partendo da questa definizione astrofisica e da una fascinazione per il colore rosso ho iniziato a dipingere e riflettere su questo allontanamento delle cose e del tempo e così il Redshift si è caricato di altre valenze quale La memoria. Come le stelle che pur essendo morte emanano ancora una luce visibile così i ricordi e le nostre esperienze fanno parte di noi sebbene andando avanti con gli anni tutto si allontani da noi. La mostra vuole immaginare momenti particolari a ciascuno ma specifici del genere umano come : la vita introuterina (Amnio) il lutto (Ognuno ha un fratello morto nel cuore ) la percezione di sé (Quella prima volta allo specchio) gli amori e ricordi che non torneranno più e che si allonatano (Nostalgia di amori) o le cose inutili e bizzare della vita (I cavoli a merenda). L’allestimento della mostra anche è un viaggiare nel tempo e nello spazio con dimensioni che crescono o diminuiscono a secondo del proprio punto di ossservazione dell’evento osservato o del ricordo riafforato alla memoria. Un specie di film insomma che scorre sulle pareti dove ogni quadro può essere un fotogramma isolato in un contesto di immagini che si allontanano le une dalle altre come accade nell’Universo in espansione.
03
novembre 2011
Vittorio Pavoncello – Redshift. La Memoria
Dal 03 al 12 novembre 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA LE OPERE
Roma, Via Di Monte Giordano, 27, (Roma)
Roma, Via Di Monte Giordano, 27, (Roma)
Orario di apertura
dal Mercoledi al sabato ore 16-30 - 20-30
Vernissage
3 Novembre 2011, ore 18-30
Autore
Curatore