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Daniele Fissore 1972-2011
Seconda parte dell’antologica dedicata all’autore: la prima parte è in corso presso la Pow Gallery di Piazza Castello 51 a Torino
Comunicato stampa
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Volendo assumere un atteggiamento di costruttivo ottimismo, in una fase in cui per molteplici
motivi questo latita fortemente, la nostra pare proprio una fase in cui iniziano a dipanarsi nodi che
sembravano indissolubili e costringevano quest’ epoca ad una condizione di stallo ed irrisolutezza.
Quanto si manifesta tuttora incerto e l’orizzonte, ancora celato dalla foschia tipica delle rovine che
crollano, ed impediscono una chiara visione di quanto si profila. La lunga stagione di interregno,
tipica delle stagioni di passaggio, iniziata dopo il ’68, caratterizzata dalla crisi dell’edificio
socioculturale novecentesco, sembra denunciare manifesti sintomi di un esaurimento progressivo
della necessità del suo esserci. A partire dalla data indicata si evidenzia un primo e profondo
momento di crisi dell’assetto strutturale della tarda modernità. Vengono contestati aspramente i
dogmi e le convenzioni della società borghese, soprattutto in termini di morale, inizia un processo
di disgregazione del nucleo familiare tradizionale, assistiamo ad una ritualizzazione collettiva, da
parte delle giovani generazioni, del tradizionale assunto freudiano dell’uccisione del padre, le
rivolte operaie sono preludio all’inizio di un invasivo processo di deindustrializzazione frutto
dell’automatismo introdotto dallo sviluppo delle tecnologie telematiche. Il decennio successivo,
fino al’77, segna una fase di fibrillazioni sussultorie e talvolta drammatiche che si pongono
sostanzialmente sulla scia del moto di partenza. Negli anni ’80 si entra in quella che molti
definiscono, non di rado con confusione terminologica, stagione postmoderna, etichetta che va
usata come parziale sinonimo di contemporaneità, a meglio indicarne una condizione di non del
tutto compiuto dispiegamento.Molti segnali, come dicevo in apertura, fanno intendere come anche
questo interregno volga al termine, e sono una globalizzazione economica e culturale sempre più
stringente ed inevitabile di pari ansiosa di essere governata con spirito giusto ed equanime, come
richiedono ampi movimenti di opposizione, la cultura occidentale messa alle corde dai flussi
migratori e dal terrorismo islamico, con il crollo delle Torri Gemelle ad indicarci che il mondo
virtuale in cui ci siamo più o meno pigramente cullati per un ventennio abbondante si è alla fine
manifestato con una oggettività concreta e devastante, la crisi definitiva degli ultimi nuclei di
capitalismo tradizionale, ancora non piegatisi alla necessità di collocarsi in un ambito
sopranazionale di scambi ed accorpamenti governati dalle leggi della finanza internazionale.
Naturalmente l’arte, e non poteva essere diversamente, ha seguito in parallelo questi mutamenti, ora
assecondandoli, ora precedendoli. I moti sessantottini hanno rappresentato l’ultimo sussulto
dell’avanguardia novecentesca intesa come segmento sincronico e vettoriale, come continuo
superamento delle pastoie degli antichi linguaggi, e le istanze del concettuale, in Italia manifestatosi
soprattutto nell’accezione dell’Arte Povera, si sono poste sintonicamente all’utopia politica di
quella fase storica rispetto al rigore del comportamento ed alla ricerca di un terreno di possibile
relazione tra artificio tecnologico e natura. A partire dalla seconda metà degli anni’70 e per tutti gli
anni’80, ha inizio quella fase di esaurimento dell’incedere progressivo del linguaggio delle
avanguardie con l’avvento di un nuovo e diffuso clima, caratterizzato inizialmente dal ritorno della
manualità pittorica ed in seguito da un eclettismo stilistico dove la citazione delle principali
esperienze formali del Novecento si è abbinato al tentativo di stabilire un dialogo con una realtà
caratterizzata da una presenza sempre più invasiva delle nuove tecnologie e degli strumenti di
comunicazione. Gli anni’90 hanno sostanzialmente proseguito in questa direzione, con una marcata
presenza della fotografia e del video ed un graduale infittirsi delle presenze operanti a vario titolo
nella scena artistica. Nell’ambito di un panorama sempre più uniforme e globalizzato, la
connotazione negativa dell’arte italiana dell’ultimo decennio è stata la conformistica adesione a
moduli compositivi estranei alla nostra tradizione. Particolarmente riguardo la vasta area del
cosiddetto “neoconcettuale”, dove è stato privilegiato quello che ha stancamente ricalcato i canoni
espressivi degli anni ’60 e ’70 proponendo un appiattimento totale sulla realtà, spesso limitato alla
dimensione del proprio microcosmo individuale, ed invece hanno spesso faticato ad imporsi quelle
opere in grado di esprimere autenticamente lo spirito del tempo, in bilico tra realtà ed allegoria, e
dotate di una carica di corrosiva e disinibita ironia, peculiarità del “genius loci” italiano.
Nell’ultimo periodo la tensione tra queste due opposte opzioni si è, in qualche misura, pacificata, e
lo scenario complessivo dell’arte appare mobile e fluttuante, come in uno stato di sospensione, che
sembra volere preludere a possibili mutamenti futuri. Un clima di questo genere favorisce
indubbiamente la riflessione sulle esperienze del recente passato, e sulla loro frequente condizione
di attualità, permettendo una positiva rilettura di importanti esperienze individuali e collettive, che
si riversano ed arricchiscono uno scenario in cerca d’autore. In questo clima complessivo si
inquadra con puntualità un lavoro di rilettura della produzione di un autore significativo dell’arte
contemporanea piemontese e non solo come Daniele Fissore, sia dal punto di vista della verifica
della forza della produzione attuale che di un attento riesame di quella precedente. Ed il 2011 è
stato davvero un ottimo anno per l’artista nato a Savigliano. Coronato da una serie di presenze che
in larga parte hanno ruotato attorno alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Tra
queste spiccano i due eventi dall’omologo titolo “Eroica. Eroi Noti ed Ignoti. Dal Risorgimento
al Futuro”, consistente l’uno in una serie di grandi pitture murali disposte nell’area di archeologia
industriale del Parco Dora, l’altro nella presentazione di opere di ampie dimensioni relative al
medesimo tema allestite presso il Museo Naturale di Scienze Naturali. Ma sull’ argomento ritornerò
dopo. Questa è un’occasione per ripercorrere, sebbene sinteticamente, i temi principali del percorso
artistico di Fissore. L’ambito è quello delle due personali che saranno inaugurate a distanza di una
settimana, venerdì 14 e 21 ottobre, nelle due gallerie torinesi Pow Gallery e Spazio Sansovino
Arte Contemporanea e sono significativamente intitolate “Daniele Fissore. Opere 1972-2011”.
Ammetto, essendo nato nel 1960, quindi ancora non troppo avanti con gli anni anche se la mia
carriera è iniziata precocemente, specie per l’abitudine dell’epoca, nel 1984, di essermi imbattuto
per la prima volta nel lavoro di Fissore tra la fine di quel decennio ed i primi anni Novanta quando
in alcune gallerie torinesi, soprattutto la Bussola, ma anche in molti altri ambienti, ho avuto modo
di ammirare la serie di tele rappresentanti i campi da golf, i paesaggi e le marine. Devo confessare
in tutta sincerità di avere apprezzato la qualità di quelle opere al di là della loro piacevolezza
iconografica che fu tale da decretare un notevole successo commerciale, da cui derivarono critiche
non troppo velate. Ritengo questo argomento del tutto insufficiente, non sono forse piacevoli allo
sguardo ed altrettanto fortunate dal punto di vista del mercato le creazioni di due campioni del
passaggio dal Concettuale al Post moderno, che io apprezzo molto, come Salvo e Luigi Ontani? Il
percorso artistico di Daniele Fissore è assolutamente coerente, insolite sono semmai le tecniche che
ha scelto e l’indipendenza caratterizzante la sua storia, in una città certo all’avanguardia in campo
sociale, artistico e culturale, ma spesso conformista nei confronti delle voci che non si adeguano al
coro. Lo strumento scelto da Fissore è da sempre quello della pittura, pur spesso posta in relazione e
confronto con la tecnologia e l’universo della comunicazione. L’artista nasce nel 1947, quindi
troppo giovane per relazionarsi, ammesso lo avesse ritenuto opportuno, con la corrente post
surrealista di Surfanta, ma anche con le esperienze dell‘Informale e della Pop che trovano idoneo
palcoscenico tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta. Fissore è
pressappoco coetaneo della generazione dell’Arte Povera, destinata ad esercitare, al di là dei suoi
indubbi meriti artistici, una pesante influenza nell’ambiente, non solo torinese, fino ai giorni nostri.
L’artista non si sottrae al confronto con un scenario all’epoca teso politicamente e socialmente e
carico di stimoli. Semmai opta non per un confronto “mondano” con l’esterno, nell’accezione della
ricerca di un rapporto tra artificio e natura mediata dall’oggetto quale esso sia, ma predilige una
ricerca sull’immagine a partire da una pittura “praticata” e non scomposta nei suoi elementi base,
come fecero le esperienze minimali. Fissore indaga sulla sua collocazione nel mondo, sulla
possibilità di relazionarsi con se stesso in funzione di un dialogo possibile con il prossimo e con la
società. Ma questo approccio non è mai squisitamente ideologico ma mediato da una riflessione
sull’essenza dell’arte in una dimensione anche di recupero della storia. Nella prima serie di lavori,
quali “Cabina telefonica”, “Ricognizione”, “Ricognizione natura morta”, l’artista pone in essere la
sfida della sua pittura alla fotografia, privilegiando anche una tecnica raffinata ma mai fine a se
stessa, adoperata come retaggio simbolico del passato, ponte posto in direzione, ad esempio, del
Manierismo, mirabile esempio di uso concettuale della pittura. A partire da un’opera come “Le
foglie di magnolia” del 1978, Fissore inizia il suo dialogo con la natura ed il paesaggio, proseguito
poi con la fortunata serie realizzata a Londra tra il 1980 ed il 1981. Il paesaggio che interessa
l’artista non è quello dello stile tardo naturalista dell’en plen air, ma è un paesaggio della mente,
filtrato dal ricordo e dalla riflessione. Il passo successivo è quello che porta alla nota ideazione di
due serie quali i “Green” e le “Marine”. In questi lavori la figura umana, sua o di altri, in
precedenza costante della rappresentazione, sparisce. Al posto suo la raffigurazione di distese verdi,
le cui pieghe nel manto d’erba sono retaggio dei campi da golf, luoghi particolari e sottilmente
inquietanti da sempre fonte di inspirazione per romanzieri e giallisti. La natura viene qui
rappresentata secondo uno schema preciso e metodico, che ricorda il simbolismo ed in particolare il
puntinismo di Seurat. L’artista esercita il mestiere del pittore con rigore dal sapore antico e
consapevole ossessione donandoci icone dall’umore raffinatamente metafisico. Stesso dicasi per
le “Marine”, dove il mare assume una dimensione di sostanziale immobilità e sospensione, con il
blu a diventare presenza immanente nella composizione. Unico segno di vita la lieve increspatura
delle onde e la presenza, sullo sfondo, di nuvole appena accennate e mai minacciose. Talvolta i due
elementi si combinano con armonia, come nel caso di “Green e mare”, e la somma di questi due
simboli figurativi mi ricorda molto gli assemblaggi pittorici di un artista milanese da me amato e
seguito sin dall’inizio della sua carriera, Aldo Damioli, con la serie “Venezia – New York” dove, al
posto del paesaggio trova spazio l’estetica della metropoli. Negli ultimi anni Zero Fissore dimostra,
se ce ne fosse bisogno, la sua vena di artista autentico, in grado di mettersi in discussione senza
adagiarsi sulle glorie del recente passato. Dapprima con la serie dei “Video Spenti”, dove evidenzia
una singolare freschezza creativa che lo apparenta alle prove migliori dell’ultima generazione, che
frequentemente adopera la pittura, senza curarsi del sottile interdetto che continua a penalizzare
questa antica e mai doma disciplina. Queste opere riprendono il discorso del Fissore degli esordi,
attento al confronto con l’universo mediale. Lo schermo televisivo è ormai una presenza fissa nelle
nostre esistenze ed è in grado, al pari, di fornirci messaggi stimolanti, e costringerci ad alienazioni
quasi ipnotiche, specie per chi è poco in grado di decodificare i reali contenuti. Fissore inverte i
termini della questione raffigurando gli schermi spenti, usati come specchi riflettenti che riportano
sulla loro superficie, agevolati da tagli particolari di luce, porzioni intime e poco conosciute del
nostro vivere quotidiano. Ed in ultimo la serie degli eroi, noti ed ignoti, del Risorgimento, davvero
emozionante e spettacolare dal punto di vista dell’impatto visivo. Questo tipo di ricerca, centrato
sulla raffigurazione dell’immagine scultorea di questi personaggi, di cui comprensibilmente Torino
ed Piemonte sono pieni, al punto da costituire un elemento assolutamente familiare e per questo
ormai sottovalutato, del paesaggio quotidiano, non è inedita per l’artista. Già negli anni Ottanta
Fissore si era cimentato con Santorre di Santarosa, originario della sua Savigliano, personaggio
simbolo dei primi moti risorgimentali, fortemente intrisi di spirito romantico. L’artista rappresenta
le icone di quella fase storica fedele al suo stile, sottile ed enigmatico. Le rende, infatti, non
facilmente riconoscibili, ritraendole, ad esempio, di spalle, o solo per particolari, dove ripropone la
sua costante fedeltà all’uso della “piega” nella rappresentazione pittorica. Un criterio che riesce a
divulgare con successo un argomento che deve essere, questo l’intento delle Celebrazioni, ravvivato
e riportato d’attualità. Queste due personali sono un ottimo motivo per riscoprire ulteriormente la
forza e l’attualità di un lavoro che si pone come protagonista insieme ad altri, magari diversi come
opzioni stilistiche, della scena dell’arte torinese ed italiana degli ultimi quarant’anni.
Edoardo Di Mauro, ottobre 2011.
motivi questo latita fortemente, la nostra pare proprio una fase in cui iniziano a dipanarsi nodi che
sembravano indissolubili e costringevano quest’ epoca ad una condizione di stallo ed irrisolutezza.
Quanto si manifesta tuttora incerto e l’orizzonte, ancora celato dalla foschia tipica delle rovine che
crollano, ed impediscono una chiara visione di quanto si profila. La lunga stagione di interregno,
tipica delle stagioni di passaggio, iniziata dopo il ’68, caratterizzata dalla crisi dell’edificio
socioculturale novecentesco, sembra denunciare manifesti sintomi di un esaurimento progressivo
della necessità del suo esserci. A partire dalla data indicata si evidenzia un primo e profondo
momento di crisi dell’assetto strutturale della tarda modernità. Vengono contestati aspramente i
dogmi e le convenzioni della società borghese, soprattutto in termini di morale, inizia un processo
di disgregazione del nucleo familiare tradizionale, assistiamo ad una ritualizzazione collettiva, da
parte delle giovani generazioni, del tradizionale assunto freudiano dell’uccisione del padre, le
rivolte operaie sono preludio all’inizio di un invasivo processo di deindustrializzazione frutto
dell’automatismo introdotto dallo sviluppo delle tecnologie telematiche. Il decennio successivo,
fino al’77, segna una fase di fibrillazioni sussultorie e talvolta drammatiche che si pongono
sostanzialmente sulla scia del moto di partenza. Negli anni ’80 si entra in quella che molti
definiscono, non di rado con confusione terminologica, stagione postmoderna, etichetta che va
usata come parziale sinonimo di contemporaneità, a meglio indicarne una condizione di non del
tutto compiuto dispiegamento.Molti segnali, come dicevo in apertura, fanno intendere come anche
questo interregno volga al termine, e sono una globalizzazione economica e culturale sempre più
stringente ed inevitabile di pari ansiosa di essere governata con spirito giusto ed equanime, come
richiedono ampi movimenti di opposizione, la cultura occidentale messa alle corde dai flussi
migratori e dal terrorismo islamico, con il crollo delle Torri Gemelle ad indicarci che il mondo
virtuale in cui ci siamo più o meno pigramente cullati per un ventennio abbondante si è alla fine
manifestato con una oggettività concreta e devastante, la crisi definitiva degli ultimi nuclei di
capitalismo tradizionale, ancora non piegatisi alla necessità di collocarsi in un ambito
sopranazionale di scambi ed accorpamenti governati dalle leggi della finanza internazionale.
Naturalmente l’arte, e non poteva essere diversamente, ha seguito in parallelo questi mutamenti, ora
assecondandoli, ora precedendoli. I moti sessantottini hanno rappresentato l’ultimo sussulto
dell’avanguardia novecentesca intesa come segmento sincronico e vettoriale, come continuo
superamento delle pastoie degli antichi linguaggi, e le istanze del concettuale, in Italia manifestatosi
soprattutto nell’accezione dell’Arte Povera, si sono poste sintonicamente all’utopia politica di
quella fase storica rispetto al rigore del comportamento ed alla ricerca di un terreno di possibile
relazione tra artificio tecnologico e natura. A partire dalla seconda metà degli anni’70 e per tutti gli
anni’80, ha inizio quella fase di esaurimento dell’incedere progressivo del linguaggio delle
avanguardie con l’avvento di un nuovo e diffuso clima, caratterizzato inizialmente dal ritorno della
manualità pittorica ed in seguito da un eclettismo stilistico dove la citazione delle principali
esperienze formali del Novecento si è abbinato al tentativo di stabilire un dialogo con una realtà
caratterizzata da una presenza sempre più invasiva delle nuove tecnologie e degli strumenti di
comunicazione. Gli anni’90 hanno sostanzialmente proseguito in questa direzione, con una marcata
presenza della fotografia e del video ed un graduale infittirsi delle presenze operanti a vario titolo
nella scena artistica. Nell’ambito di un panorama sempre più uniforme e globalizzato, la
connotazione negativa dell’arte italiana dell’ultimo decennio è stata la conformistica adesione a
moduli compositivi estranei alla nostra tradizione. Particolarmente riguardo la vasta area del
cosiddetto “neoconcettuale”, dove è stato privilegiato quello che ha stancamente ricalcato i canoni
espressivi degli anni ’60 e ’70 proponendo un appiattimento totale sulla realtà, spesso limitato alla
dimensione del proprio microcosmo individuale, ed invece hanno spesso faticato ad imporsi quelle
opere in grado di esprimere autenticamente lo spirito del tempo, in bilico tra realtà ed allegoria, e
dotate di una carica di corrosiva e disinibita ironia, peculiarità del “genius loci” italiano.
Nell’ultimo periodo la tensione tra queste due opposte opzioni si è, in qualche misura, pacificata, e
lo scenario complessivo dell’arte appare mobile e fluttuante, come in uno stato di sospensione, che
sembra volere preludere a possibili mutamenti futuri. Un clima di questo genere favorisce
indubbiamente la riflessione sulle esperienze del recente passato, e sulla loro frequente condizione
di attualità, permettendo una positiva rilettura di importanti esperienze individuali e collettive, che
si riversano ed arricchiscono uno scenario in cerca d’autore. In questo clima complessivo si
inquadra con puntualità un lavoro di rilettura della produzione di un autore significativo dell’arte
contemporanea piemontese e non solo come Daniele Fissore, sia dal punto di vista della verifica
della forza della produzione attuale che di un attento riesame di quella precedente. Ed il 2011 è
stato davvero un ottimo anno per l’artista nato a Savigliano. Coronato da una serie di presenze che
in larga parte hanno ruotato attorno alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Tra
queste spiccano i due eventi dall’omologo titolo “Eroica. Eroi Noti ed Ignoti. Dal Risorgimento
al Futuro”, consistente l’uno in una serie di grandi pitture murali disposte nell’area di archeologia
industriale del Parco Dora, l’altro nella presentazione di opere di ampie dimensioni relative al
medesimo tema allestite presso il Museo Naturale di Scienze Naturali. Ma sull’ argomento ritornerò
dopo. Questa è un’occasione per ripercorrere, sebbene sinteticamente, i temi principali del percorso
artistico di Fissore. L’ambito è quello delle due personali che saranno inaugurate a distanza di una
settimana, venerdì 14 e 21 ottobre, nelle due gallerie torinesi Pow Gallery e Spazio Sansovino
Arte Contemporanea e sono significativamente intitolate “Daniele Fissore. Opere 1972-2011”.
Ammetto, essendo nato nel 1960, quindi ancora non troppo avanti con gli anni anche se la mia
carriera è iniziata precocemente, specie per l’abitudine dell’epoca, nel 1984, di essermi imbattuto
per la prima volta nel lavoro di Fissore tra la fine di quel decennio ed i primi anni Novanta quando
in alcune gallerie torinesi, soprattutto la Bussola, ma anche in molti altri ambienti, ho avuto modo
di ammirare la serie di tele rappresentanti i campi da golf, i paesaggi e le marine. Devo confessare
in tutta sincerità di avere apprezzato la qualità di quelle opere al di là della loro piacevolezza
iconografica che fu tale da decretare un notevole successo commerciale, da cui derivarono critiche
non troppo velate. Ritengo questo argomento del tutto insufficiente, non sono forse piacevoli allo
sguardo ed altrettanto fortunate dal punto di vista del mercato le creazioni di due campioni del
passaggio dal Concettuale al Post moderno, che io apprezzo molto, come Salvo e Luigi Ontani? Il
percorso artistico di Daniele Fissore è assolutamente coerente, insolite sono semmai le tecniche che
ha scelto e l’indipendenza caratterizzante la sua storia, in una città certo all’avanguardia in campo
sociale, artistico e culturale, ma spesso conformista nei confronti delle voci che non si adeguano al
coro. Lo strumento scelto da Fissore è da sempre quello della pittura, pur spesso posta in relazione e
confronto con la tecnologia e l’universo della comunicazione. L’artista nasce nel 1947, quindi
troppo giovane per relazionarsi, ammesso lo avesse ritenuto opportuno, con la corrente post
surrealista di Surfanta, ma anche con le esperienze dell‘Informale e della Pop che trovano idoneo
palcoscenico tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta. Fissore è
pressappoco coetaneo della generazione dell’Arte Povera, destinata ad esercitare, al di là dei suoi
indubbi meriti artistici, una pesante influenza nell’ambiente, non solo torinese, fino ai giorni nostri.
L’artista non si sottrae al confronto con un scenario all’epoca teso politicamente e socialmente e
carico di stimoli. Semmai opta non per un confronto “mondano” con l’esterno, nell’accezione della
ricerca di un rapporto tra artificio e natura mediata dall’oggetto quale esso sia, ma predilige una
ricerca sull’immagine a partire da una pittura “praticata” e non scomposta nei suoi elementi base,
come fecero le esperienze minimali. Fissore indaga sulla sua collocazione nel mondo, sulla
possibilità di relazionarsi con se stesso in funzione di un dialogo possibile con il prossimo e con la
società. Ma questo approccio non è mai squisitamente ideologico ma mediato da una riflessione
sull’essenza dell’arte in una dimensione anche di recupero della storia. Nella prima serie di lavori,
quali “Cabina telefonica”, “Ricognizione”, “Ricognizione natura morta”, l’artista pone in essere la
sfida della sua pittura alla fotografia, privilegiando anche una tecnica raffinata ma mai fine a se
stessa, adoperata come retaggio simbolico del passato, ponte posto in direzione, ad esempio, del
Manierismo, mirabile esempio di uso concettuale della pittura. A partire da un’opera come “Le
foglie di magnolia” del 1978, Fissore inizia il suo dialogo con la natura ed il paesaggio, proseguito
poi con la fortunata serie realizzata a Londra tra il 1980 ed il 1981. Il paesaggio che interessa
l’artista non è quello dello stile tardo naturalista dell’en plen air, ma è un paesaggio della mente,
filtrato dal ricordo e dalla riflessione. Il passo successivo è quello che porta alla nota ideazione di
due serie quali i “Green” e le “Marine”. In questi lavori la figura umana, sua o di altri, in
precedenza costante della rappresentazione, sparisce. Al posto suo la raffigurazione di distese verdi,
le cui pieghe nel manto d’erba sono retaggio dei campi da golf, luoghi particolari e sottilmente
inquietanti da sempre fonte di inspirazione per romanzieri e giallisti. La natura viene qui
rappresentata secondo uno schema preciso e metodico, che ricorda il simbolismo ed in particolare il
puntinismo di Seurat. L’artista esercita il mestiere del pittore con rigore dal sapore antico e
consapevole ossessione donandoci icone dall’umore raffinatamente metafisico. Stesso dicasi per
le “Marine”, dove il mare assume una dimensione di sostanziale immobilità e sospensione, con il
blu a diventare presenza immanente nella composizione. Unico segno di vita la lieve increspatura
delle onde e la presenza, sullo sfondo, di nuvole appena accennate e mai minacciose. Talvolta i due
elementi si combinano con armonia, come nel caso di “Green e mare”, e la somma di questi due
simboli figurativi mi ricorda molto gli assemblaggi pittorici di un artista milanese da me amato e
seguito sin dall’inizio della sua carriera, Aldo Damioli, con la serie “Venezia – New York” dove, al
posto del paesaggio trova spazio l’estetica della metropoli. Negli ultimi anni Zero Fissore dimostra,
se ce ne fosse bisogno, la sua vena di artista autentico, in grado di mettersi in discussione senza
adagiarsi sulle glorie del recente passato. Dapprima con la serie dei “Video Spenti”, dove evidenzia
una singolare freschezza creativa che lo apparenta alle prove migliori dell’ultima generazione, che
frequentemente adopera la pittura, senza curarsi del sottile interdetto che continua a penalizzare
questa antica e mai doma disciplina. Queste opere riprendono il discorso del Fissore degli esordi,
attento al confronto con l’universo mediale. Lo schermo televisivo è ormai una presenza fissa nelle
nostre esistenze ed è in grado, al pari, di fornirci messaggi stimolanti, e costringerci ad alienazioni
quasi ipnotiche, specie per chi è poco in grado di decodificare i reali contenuti. Fissore inverte i
termini della questione raffigurando gli schermi spenti, usati come specchi riflettenti che riportano
sulla loro superficie, agevolati da tagli particolari di luce, porzioni intime e poco conosciute del
nostro vivere quotidiano. Ed in ultimo la serie degli eroi, noti ed ignoti, del Risorgimento, davvero
emozionante e spettacolare dal punto di vista dell’impatto visivo. Questo tipo di ricerca, centrato
sulla raffigurazione dell’immagine scultorea di questi personaggi, di cui comprensibilmente Torino
ed Piemonte sono pieni, al punto da costituire un elemento assolutamente familiare e per questo
ormai sottovalutato, del paesaggio quotidiano, non è inedita per l’artista. Già negli anni Ottanta
Fissore si era cimentato con Santorre di Santarosa, originario della sua Savigliano, personaggio
simbolo dei primi moti risorgimentali, fortemente intrisi di spirito romantico. L’artista rappresenta
le icone di quella fase storica fedele al suo stile, sottile ed enigmatico. Le rende, infatti, non
facilmente riconoscibili, ritraendole, ad esempio, di spalle, o solo per particolari, dove ripropone la
sua costante fedeltà all’uso della “piega” nella rappresentazione pittorica. Un criterio che riesce a
divulgare con successo un argomento che deve essere, questo l’intento delle Celebrazioni, ravvivato
e riportato d’attualità. Queste due personali sono un ottimo motivo per riscoprire ulteriormente la
forza e l’attualità di un lavoro che si pone come protagonista insieme ad altri, magari diversi come
opzioni stilistiche, della scena dell’arte torinese ed italiana degli ultimi quarant’anni.
Edoardo Di Mauro, ottobre 2011.
21
ottobre 2011
Daniele Fissore 1972-2011
Dal 21 ottobre al 19 novembre 2011
arte contemporanea
Location
SPAZIO SANSOVINO
Torino, Via Andrea Sansovino, 243/25g, (Torino)
Torino, Via Andrea Sansovino, 243/25g, (Torino)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 16.00-19.30 o su appuntamento
Vernissage
21 Ottobre 2011, ore 18
Autore
Curatore