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Rabi’a
Cinque fotografi raccontano le rivoluzioni arabe
Comunicato stampa
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Che faccia ha una rivoluzione? Ha l’espressio- ne di rabbia per i soprusi subiti, lo
sguardo di gioia per la “giustizia” restituita, gli occhi vacui e nostalgici al ricordo di
quanto ci si è apparen- temente lasciato alle spalle, il volto inconsape- vole di un
bambino che non si rende conto di essere nel bel mezzo della storia, i colori sbiaditi
dei martiri che si affacciano nelle fo- tografie tenute fra le mani dei parenti ignari
spesso della sorte dei loro cari.
Che gesti ha una rivoluzione? Lo sventolio di una bandiera dai colori differenti
che sottin- tende la patria riconquistata, le dita in aria in segno di vittoria, il pugno
alzato e chiuso per manifestare lo sdegno, il grido liberatorio, il te- lefonino acceso
sulla macchina fotografica per immortalare un momento, l’attaccamento alle nuove
tecnologie per misurarne la temperatu- ra di notorietà.
Che suoni ha una rivoluzione? Gli slogan can- tilenati per nottate intere, un urlo
liberatorio per il nemico sconfitto, una pioggia di pietre che cade, e poi le sirene e
poi i colpi di arma da fuoco e poi lo stridio di gomme sull’asfalto e poi i missili e poi
il silenzio.
Che conseguenze ha una rivoluzione? Le fe- ste di piazza, certo, il ritrovarsi di
nuovo vicini quando si è sempre stati estranei, l’euforia, se tutto va bene. Ma
anche gli spari sulla folla, lecorse verso un ospedale nella maggior parte dei casi
improvvisato, le fazioni che si affron- tano a grappoli di morti, gli interventi delle
potenze esterne, i danni collaterali, gli edifici che crollano, le perdite materiali e
umane. La guerra, in poche parole. E la fuga, anche, nel- la consapevolezza che
qualsiasi cambiamento non sarà mai abbastanza, nella speranza che la libertà di
movimento di cui ci si è riappropriati sia foriera di un futuro migliore, altrove.
Dicembre 2010: una serie di manifestazioni di piazza popolano la Tunisia di Ben
Alì. La gente protesta per la disoccupazione, l’aumento dei prezzi dei beni di prima
necessità, la corruzione delle autorità. E’ la “Rivolta dei Gelsomini”, l’ini- zio di
una rivoluzione popolare che porterà in breve tempo alla destituzione e fuga del
presi- dente. Ma che, soprattutto, segnerà l’inizio di un movimento contagioso di
ribellione e risveglio contro situazioni di crisi e tirannia diffuse ormai da decenni.
Alle vicende tunisine si affiancano quasi immediatamente, e con risultati analo-
ghi, quelle dell’Egitto di Hosni Mubarak. Quello che colpisce, di questa ondata di
ribellione, è la composizione eterogenea degli aderenti alle proteste. Per sesso,
età, ceto sociale.A scendere in strada sono anche donne, bambini, professio- nisti,
rappresentanti del ceto medio.
Seguono i movimenti di piazza di molti altri paesi del mondo arabo, iniziano le
repressioni nel sangue, e la differenziazione nella parteci- pazione della comunità
internazionale in virtù di logiche che poco hanno a che fare con il di- ritto alla
libertà. È la Libia, fra tutti, il paese che catalizza su di sé l’attenzione globale.
Muammar
Gheddafi, il tiranno cui per oltre 40 anni l’oc- cidente (e in particolare l’Italia)
aveva strizzato l’occhio girando la testa dall’altra parte in cam- bio di petrolio,
improvvisamente non è più da considerarsi amico. Risorgono gli antichi livori fra
Tripolitania e Cirenaica, il paese si spacca, le manifestazioni si trasformano in una
guerra tanto reale e consistente da richiedere l’inter- vento internazionale nella
figura della Nato.
E fuggono le persone, dalle battaglie e dal timore che il futuro, comunque, possa
non riservare belle sorprese. Fuggono fino ad ar- rivare al mare, fuggono per mare
fino a rag- giungere il primo pezzo di terraferma che si incontra nel Mediterraneo
venendo dal nord Africa che si possa chiamare Italia, Europa.
Cinque fotografi hanno proposto cinque sto- rie diverse, eppure strettamente legate
dal filo narrativo degli avvenimenti recenti in un mon- do tanto distante quanto
vicino al nostro. Dalla Rivolta dei Gelsomini, appunto, alle proteste di piazza Tahrir
al Cairo, raccontati attraverso le immagini di Giuseppe Carotenuto ed Eduar- do
Castaldo; dalla guerra in Libia fotografata da Pietro Masturzo (diversa da tutte le
altre rivolte ma fortemente connessa all’ondata migratoria cui si sta assistendo in
questi mesi) alle storie di profughi al confine, durante il loro viaggio e al loro arrivo
a Lampedusa, narrate negli scatti di Giulio Piscitelli e Roberto Salo- mone. Cinque
autori che hanno raccontato le facce, i gesti e le conseguenze in una maniera
talmente vivida da riuscire a far udire persino l’eco dei suoni. Cinque persone che
hanno vis- suto la Primavera araba. In arabo, Rabi’a.
sguardo di gioia per la “giustizia” restituita, gli occhi vacui e nostalgici al ricordo di
quanto ci si è apparen- temente lasciato alle spalle, il volto inconsape- vole di un
bambino che non si rende conto di essere nel bel mezzo della storia, i colori sbiaditi
dei martiri che si affacciano nelle fo- tografie tenute fra le mani dei parenti ignari
spesso della sorte dei loro cari.
Che gesti ha una rivoluzione? Lo sventolio di una bandiera dai colori differenti
che sottin- tende la patria riconquistata, le dita in aria in segno di vittoria, il pugno
alzato e chiuso per manifestare lo sdegno, il grido liberatorio, il te- lefonino acceso
sulla macchina fotografica per immortalare un momento, l’attaccamento alle nuove
tecnologie per misurarne la temperatu- ra di notorietà.
Che suoni ha una rivoluzione? Gli slogan can- tilenati per nottate intere, un urlo
liberatorio per il nemico sconfitto, una pioggia di pietre che cade, e poi le sirene e
poi i colpi di arma da fuoco e poi lo stridio di gomme sull’asfalto e poi i missili e poi
il silenzio.
Che conseguenze ha una rivoluzione? Le fe- ste di piazza, certo, il ritrovarsi di
nuovo vicini quando si è sempre stati estranei, l’euforia, se tutto va bene. Ma
anche gli spari sulla folla, lecorse verso un ospedale nella maggior parte dei casi
improvvisato, le fazioni che si affron- tano a grappoli di morti, gli interventi delle
potenze esterne, i danni collaterali, gli edifici che crollano, le perdite materiali e
umane. La guerra, in poche parole. E la fuga, anche, nel- la consapevolezza che
qualsiasi cambiamento non sarà mai abbastanza, nella speranza che la libertà di
movimento di cui ci si è riappropriati sia foriera di un futuro migliore, altrove.
Dicembre 2010: una serie di manifestazioni di piazza popolano la Tunisia di Ben
Alì. La gente protesta per la disoccupazione, l’aumento dei prezzi dei beni di prima
necessità, la corruzione delle autorità. E’ la “Rivolta dei Gelsomini”, l’ini- zio di
una rivoluzione popolare che porterà in breve tempo alla destituzione e fuga del
presi- dente. Ma che, soprattutto, segnerà l’inizio di un movimento contagioso di
ribellione e risveglio contro situazioni di crisi e tirannia diffuse ormai da decenni.
Alle vicende tunisine si affiancano quasi immediatamente, e con risultati analo-
ghi, quelle dell’Egitto di Hosni Mubarak. Quello che colpisce, di questa ondata di
ribellione, è la composizione eterogenea degli aderenti alle proteste. Per sesso,
età, ceto sociale.A scendere in strada sono anche donne, bambini, professio- nisti,
rappresentanti del ceto medio.
Seguono i movimenti di piazza di molti altri paesi del mondo arabo, iniziano le
repressioni nel sangue, e la differenziazione nella parteci- pazione della comunità
internazionale in virtù di logiche che poco hanno a che fare con il di- ritto alla
libertà. È la Libia, fra tutti, il paese che catalizza su di sé l’attenzione globale.
Muammar
Gheddafi, il tiranno cui per oltre 40 anni l’oc- cidente (e in particolare l’Italia)
aveva strizzato l’occhio girando la testa dall’altra parte in cam- bio di petrolio,
improvvisamente non è più da considerarsi amico. Risorgono gli antichi livori fra
Tripolitania e Cirenaica, il paese si spacca, le manifestazioni si trasformano in una
guerra tanto reale e consistente da richiedere l’inter- vento internazionale nella
figura della Nato.
E fuggono le persone, dalle battaglie e dal timore che il futuro, comunque, possa
non riservare belle sorprese. Fuggono fino ad ar- rivare al mare, fuggono per mare
fino a rag- giungere il primo pezzo di terraferma che si incontra nel Mediterraneo
venendo dal nord Africa che si possa chiamare Italia, Europa.
Cinque fotografi hanno proposto cinque sto- rie diverse, eppure strettamente legate
dal filo narrativo degli avvenimenti recenti in un mon- do tanto distante quanto
vicino al nostro. Dalla Rivolta dei Gelsomini, appunto, alle proteste di piazza Tahrir
al Cairo, raccontati attraverso le immagini di Giuseppe Carotenuto ed Eduar- do
Castaldo; dalla guerra in Libia fotografata da Pietro Masturzo (diversa da tutte le
altre rivolte ma fortemente connessa all’ondata migratoria cui si sta assistendo in
questi mesi) alle storie di profughi al confine, durante il loro viaggio e al loro arrivo
a Lampedusa, narrate negli scatti di Giulio Piscitelli e Roberto Salo- mone. Cinque
autori che hanno raccontato le facce, i gesti e le conseguenze in una maniera
talmente vivida da riuscire a far udire persino l’eco dei suoni. Cinque persone che
hanno vis- suto la Primavera araba. In arabo, Rabi’a.
15
ottobre 2011
Rabi’a
Dal 15 ottobre al 13 novembre 2011
fotografia
Location
MUSEO PRINCIPE DIEGO ARAGONA PIGNATELLI CORTES – CASA DELLA FOTOGRAFIA
Napoli, Riviera Di Chiaia, 200, (Napoli)
Napoli, Riviera Di Chiaia, 200, (Napoli)
Vernissage
15 Ottobre 2011, ore 11
Autore
Curatore