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Perugino inedito
L’esposizione di 12 opere del Maestro, che nasce dalla collaborazione tra il Comune di Campione d’Italia, la Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici dell’Umbria e l’Università degli Studi di Perugia, è incentrata sulla presentazione di sei opere del Perugino conservate in una collezione privata del Canton Ticino. Quattro delle sei opere, appartenenti alla fase finale dell’attività del Vannucci, sono già state esposte presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, in occasione di una recente mostra voluta e sostenuta dalla Fondazione Arte di Perugia. Le rimanenti due, mostrate per la prima volta in questa circostanza, sono invece cronologicamente situabili a immediato ridosso della documentata presenza di Perugino a Venezia (1494-1497).
Comunicato stampa
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Dal 15 ottobre 2011 al 15 gennaio 2012 la Galleria civica San Zenone di Campione d'Italia propone "Perugino inedito", mostra curata da Francesco Federico Mancini.
L'esposizione di 12 opere del Maestro, che nasce dalla collaborazione tra il Comune di Campione d'Italia, la Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici dell'Umbria e l'Università degli Studi di Perugia, è incentrata sulla presentazione di sei opere del Perugino conservate in una collezione privata del Canton Ticino. Quattro delle sei opere, appartenenti alla fase finale dell'attività del Vannucci, sono già state esposte presso la Galleria Nazionale dell'Umbria, in occasione di una recente mostra voluta e sostenuta dalla Fondazione Arte di Perugia. Le rimanenti due, mostrate per la prima volta in questa circostanza, sono invece cronologicamente situabili a immediato ridosso della documentata presenza di Perugino a Venezia (1494-1497).
La mostra, concepita per comprendere come si è giunti a riferire questi dipinti alla mano del grande maestro umbro, propone un eloquente confronto con dipinti di sicura autografia conservati presso la Galleria Nazionale dell'Umbria. Ciò consente di entrare nelle complesse dinamiche di uno dei laboratori d'arte più prestigiosi e prolifici del Rinascimento italiano. E' noto infatti che il Perugino, da grande imprenditore qual era, gestiva con abilità e fermezza una vera e propria "officina". Molti furono gli artisti che lavorarono al suo fianco e che fecero tesoro non solo della sua straordinaria perizia tecnica ma anche della sua incomparabile capacità disegnativa. Lo stesso Raffaello, stando a quanto dice il Vasari, mosse i primi passi nella bottega umbra del Vannucci.
Accompagnato da approfondite indagini tecniche e diagnostiche, lo studio delle quattro opere "tarde", raffiguranti San Girolamo, San Nicola di Bari, l' Angelo Annunziante e una Santa Martire, ha portato alla conclusione che tali dipinti, di piccole dimensioni, ma di grande raffinatezza esecutiva, appartenevano con tutta probabilità allo smembrato (e disperso) tabernacolo del polittico di Sant'Agostino a Perugia. Opera di gigantesche proporzioni, il polittico di Sant'Agostino, oggi suddiviso tra vari musei, fu realizzato in due distinte e riconoscibili fasi stilistiche, dal 1502 al 1512 la prima, dal 1513 al 1523 la seconda. Il tabernacolo può essere ascritto alla seconda fase, quando il pittore, mettendo in atto una semplificazione coloristica, oltreché disegnativa, raggiunse effetti di morbidezza pittorica sconosciuti al primo periodo e alla fase matura. Un serrato confronto tra le quattro tavolette, alcuni scomparti del polittico di Sant'Agostino e altre opere del maestro umbro, cronologicamente situabili nello stesso momento, consente di verificare in mostra l'attendibilità della proposta critica.
Diverso è il caso delle restanti due tavole. Raffiguranti la Vergine e Cristo coronato di spine, queste opere hanno tutte le caratteristiche per essere inquadrate nella produzione autografa del Perugino maturo. In origine erano collegate da cerniere, a formare un dittico. Presentano sul verso un rivestimento di pelle stampigliata, che simula la coperta di un libro. Funzionante come altarolo domestico, il dittico, una volta chiuso, poteva essere collocato nello scaffale di una libreria e di certo rappresentava una succosa "curiosità" per il gabinetto di un amateur. Sulla coperta di pelle, che quasi certamente fu realizzata in ambiente fiorentino, si vedono impressi eleganti motivi decorativi che disegnano una doppia riquadratura punzonata con al centro una losanga includente il monogramma cristologico. Se la valva di sinistra del dittico, dove è rappresentata la Vergine, rivela contatti con la figura femminile che si trova all'estrema destra della pala del Perugino realizzata tra il 1502 e il 1503 per il Duomo di Perugia e oggi conservata nel Museo di Caen in Normandia, il Cristo coronato di spine mostra lo sforzo del pittore di entrare in sintonia con il contemporaneo mondo artistico veneziano; in particolare con un'opera di Alvise Vivarini, ai suoi tempi grandemente apprezzata: il Cristo benedicente dipinto per la cimasa dell'altare-reliquario di San Giovanni Elemosinario a San Giovanni in Bragora. Perugino fu in contatto con la città lagunare dal 1494 al 1497. Il doge Agostino Barbarigo avrebbe voluto ingaggiarlo per la decorazione della Sala del Gran Consiglio. Ma l'accordo non fu raggiunto. In compenso l'artista lavorò per la Scuola di San Giovanni Evangelista alla quale consegnò un telero raffigurante I miracoli della Croce Santissima della Scuola di San Giovanni Evangelista in Venezia, andato distrutto in un incendio nel 1587. Perduta quest'opera, null'altro sappiamo del soggiorno veneziano del maestro umbro. E tuttavia il dittico, così intriso di umori veneziani che parlano anche di Jacopo de'Barbari e più in generale del clima che si respira a Venezia dopo le colte lezioni pittoriche di Antonello da Messina e Giovanni Bellini, potrebbe colmare questa lacuna. Forse a Firenze il dittico venne trasformato in "finto libro".
E' naturale chiedersi chi ne fu in antico il fortunato possessore. Non è da escludere che i "due quadri compagni del Perugino", raffiguranti "la Madonna e Giesù", citati in un inventario del 1703, dove vengono elencati i beni posseduti dal dottore e intellettuale fiorentino Cosimo Bordoni, amico di Filippo Baldinucci e medico personale del granduca Cosimo III, altro non siano che i due dipinti in questione. A quelle date già separati, avevano perso la caratteristica di dittico ed erano diventati una coppia di quadri da appendere al muro.
Il curatore della mostra, Francesco Federico Mancini, è professore ordinario di Storia dell'Arte Moderna presso l'Università degli Studi di Perugia. Esperto di Rinascimento umbro, ha al suo attivo monografie e saggi su Benedetto Bonfigli, Perugino, Pintoricchio, Piermatteo d'Amelia. Ha organizzato, in collaborazione con Vittoria Garibaldi, già Direttrice della Galleria Nazionale dell'Umbria, la grande mostra monografica su Pietro Perugino (2004), e, più recentemente, le rassegne espositive su Berardino Pintoricchio (2008) e Piermatteo d'Amelia (2010). Ha inoltre curato mostre su Gian Domenico Cerrini (2005), sull'Arte dell'Ottocento in Umbria (2006), su Federico Barocci e la pittura della maniera in Umbria (2010). E' attualmente impegnato, insieme con Vittoria Garibaldi e a Tom Henry, nella preparazione di una rassegna monografica, da tenersi nell'estate del 2012, dedicata a Luca Signorelli.
L'esposizione di 12 opere del Maestro, che nasce dalla collaborazione tra il Comune di Campione d'Italia, la Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici dell'Umbria e l'Università degli Studi di Perugia, è incentrata sulla presentazione di sei opere del Perugino conservate in una collezione privata del Canton Ticino. Quattro delle sei opere, appartenenti alla fase finale dell'attività del Vannucci, sono già state esposte presso la Galleria Nazionale dell'Umbria, in occasione di una recente mostra voluta e sostenuta dalla Fondazione Arte di Perugia. Le rimanenti due, mostrate per la prima volta in questa circostanza, sono invece cronologicamente situabili a immediato ridosso della documentata presenza di Perugino a Venezia (1494-1497).
La mostra, concepita per comprendere come si è giunti a riferire questi dipinti alla mano del grande maestro umbro, propone un eloquente confronto con dipinti di sicura autografia conservati presso la Galleria Nazionale dell'Umbria. Ciò consente di entrare nelle complesse dinamiche di uno dei laboratori d'arte più prestigiosi e prolifici del Rinascimento italiano. E' noto infatti che il Perugino, da grande imprenditore qual era, gestiva con abilità e fermezza una vera e propria "officina". Molti furono gli artisti che lavorarono al suo fianco e che fecero tesoro non solo della sua straordinaria perizia tecnica ma anche della sua incomparabile capacità disegnativa. Lo stesso Raffaello, stando a quanto dice il Vasari, mosse i primi passi nella bottega umbra del Vannucci.
Accompagnato da approfondite indagini tecniche e diagnostiche, lo studio delle quattro opere "tarde", raffiguranti San Girolamo, San Nicola di Bari, l' Angelo Annunziante e una Santa Martire, ha portato alla conclusione che tali dipinti, di piccole dimensioni, ma di grande raffinatezza esecutiva, appartenevano con tutta probabilità allo smembrato (e disperso) tabernacolo del polittico di Sant'Agostino a Perugia. Opera di gigantesche proporzioni, il polittico di Sant'Agostino, oggi suddiviso tra vari musei, fu realizzato in due distinte e riconoscibili fasi stilistiche, dal 1502 al 1512 la prima, dal 1513 al 1523 la seconda. Il tabernacolo può essere ascritto alla seconda fase, quando il pittore, mettendo in atto una semplificazione coloristica, oltreché disegnativa, raggiunse effetti di morbidezza pittorica sconosciuti al primo periodo e alla fase matura. Un serrato confronto tra le quattro tavolette, alcuni scomparti del polittico di Sant'Agostino e altre opere del maestro umbro, cronologicamente situabili nello stesso momento, consente di verificare in mostra l'attendibilità della proposta critica.
Diverso è il caso delle restanti due tavole. Raffiguranti la Vergine e Cristo coronato di spine, queste opere hanno tutte le caratteristiche per essere inquadrate nella produzione autografa del Perugino maturo. In origine erano collegate da cerniere, a formare un dittico. Presentano sul verso un rivestimento di pelle stampigliata, che simula la coperta di un libro. Funzionante come altarolo domestico, il dittico, una volta chiuso, poteva essere collocato nello scaffale di una libreria e di certo rappresentava una succosa "curiosità" per il gabinetto di un amateur. Sulla coperta di pelle, che quasi certamente fu realizzata in ambiente fiorentino, si vedono impressi eleganti motivi decorativi che disegnano una doppia riquadratura punzonata con al centro una losanga includente il monogramma cristologico. Se la valva di sinistra del dittico, dove è rappresentata la Vergine, rivela contatti con la figura femminile che si trova all'estrema destra della pala del Perugino realizzata tra il 1502 e il 1503 per il Duomo di Perugia e oggi conservata nel Museo di Caen in Normandia, il Cristo coronato di spine mostra lo sforzo del pittore di entrare in sintonia con il contemporaneo mondo artistico veneziano; in particolare con un'opera di Alvise Vivarini, ai suoi tempi grandemente apprezzata: il Cristo benedicente dipinto per la cimasa dell'altare-reliquario di San Giovanni Elemosinario a San Giovanni in Bragora. Perugino fu in contatto con la città lagunare dal 1494 al 1497. Il doge Agostino Barbarigo avrebbe voluto ingaggiarlo per la decorazione della Sala del Gran Consiglio. Ma l'accordo non fu raggiunto. In compenso l'artista lavorò per la Scuola di San Giovanni Evangelista alla quale consegnò un telero raffigurante I miracoli della Croce Santissima della Scuola di San Giovanni Evangelista in Venezia, andato distrutto in un incendio nel 1587. Perduta quest'opera, null'altro sappiamo del soggiorno veneziano del maestro umbro. E tuttavia il dittico, così intriso di umori veneziani che parlano anche di Jacopo de'Barbari e più in generale del clima che si respira a Venezia dopo le colte lezioni pittoriche di Antonello da Messina e Giovanni Bellini, potrebbe colmare questa lacuna. Forse a Firenze il dittico venne trasformato in "finto libro".
E' naturale chiedersi chi ne fu in antico il fortunato possessore. Non è da escludere che i "due quadri compagni del Perugino", raffiguranti "la Madonna e Giesù", citati in un inventario del 1703, dove vengono elencati i beni posseduti dal dottore e intellettuale fiorentino Cosimo Bordoni, amico di Filippo Baldinucci e medico personale del granduca Cosimo III, altro non siano che i due dipinti in questione. A quelle date già separati, avevano perso la caratteristica di dittico ed erano diventati una coppia di quadri da appendere al muro.
Il curatore della mostra, Francesco Federico Mancini, è professore ordinario di Storia dell'Arte Moderna presso l'Università degli Studi di Perugia. Esperto di Rinascimento umbro, ha al suo attivo monografie e saggi su Benedetto Bonfigli, Perugino, Pintoricchio, Piermatteo d'Amelia. Ha organizzato, in collaborazione con Vittoria Garibaldi, già Direttrice della Galleria Nazionale dell'Umbria, la grande mostra monografica su Pietro Perugino (2004), e, più recentemente, le rassegne espositive su Berardino Pintoricchio (2008) e Piermatteo d'Amelia (2010). Ha inoltre curato mostre su Gian Domenico Cerrini (2005), sull'Arte dell'Ottocento in Umbria (2006), su Federico Barocci e la pittura della maniera in Umbria (2010). E' attualmente impegnato, insieme con Vittoria Garibaldi e a Tom Henry, nella preparazione di una rassegna monografica, da tenersi nell'estate del 2012, dedicata a Luca Signorelli.
13
ottobre 2011
Perugino inedito
Dal 13 ottobre 2011 al 15 gennaio 2012
arte antica
Location
GALLERIA CIVICA
Campione D'italia, Piazzale Maestri Campionesi, (Como)
Campione D'italia, Piazzale Maestri Campionesi, (Como)
Orario di apertura
martedì- venerdì 10.30-12.30 / 15.00-18.00; sabato-domenica 11.00-18.00
Vernissage
13 Ottobre 2011, per la stampa ore 11.30
Casinò di Campione d'Italia
Ufficio stampa
STUDIO ESSECI
Autore
Curatore