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Tracce svelate 2011. L’arte libera
Introduzione critica ai temi dell’arte aborigena. Prima di calarsi in qualsiasi analisi critica il primo aggettivo con cui viene spontaneo definire quest’arte è “bello”; bella per i colori, gli accostamenti, per i segni e le composizioni
Comunicato stampa
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L’arte libera
di Claudia Lodolo
Prima di calarsi in qualsiasi analisi critica, in sofisticate considerazioni ed esami stilistici, il primo aggettivo con cui viene spontaneo definire quest’arte è “bello”; bella per i colori, gli accostamenti, per i segni e le composizioni.
Uno dei motivi può essere individuato nel fatto che la pittura aborigena - come dice l’etimo della parola stessa - nasce dall’origine dell’uomo, sia intesa come origine della civiltà, sia intesa come infanzia di ognuno di noi. In essa, infatti, da una parte è conservato quello stile che richiama l’arte primitiva delle pitture rupestri, dall’altra vi si percepisce quel candore, quella freschezza pura con cui i bambini realizzano i loro primi disegni. Sono proprio questi elementi che al primo impatto, ci trasmettono qualcosa di puro, di bello, di buono.
A questa prima considerazione, si possono poi aggiungere tutte le analisi critiche che la fanno legare, per molti aspetti, alla pittura espressionista, cubista o astratta. Ma sono solo supposizioni perché nella pittura aborigena queste influenze non ci sono. Gli artisti aborigeni non conoscevano l’espressionismo, e nemmeno il cubismo e tanto meno l’astrattismo; sono completamente liberi da ogni influenza, seguono il loro istinto, i loro sogni le loro visioni, la loro cultura. Proprio come gli uomini primitivi e come i bambini.
Vi sono, certo, evidenti affinità con l’arte moderna di cui ricorda molte scuole, ma è sempre libera. La stessa libertà che caratterizza la vita e la cultura degli aborigeni, senza confini e recinzioni, ma legate alla terra di origine in puro senso spirituale. Ed è soprattutto di spiritualità che è permeata quest’arte che si tramanda da almeno 40.000 anni e che esprime una riconoscente devozione alla Creazione della Terra. Arte tribale e mondo spirituale si fondono in un cromatismo espressivo e simbolico che si dirama in diversi stili. Spesso caratterizzate da puntini (dot art), le immagini sembrano formate da miliardi di stelle che, uniti fantasticamente fra loro, offrono forme sconosciute ed enigmatiche; ma possono sembrare anche la traduzione pittorica di disegni formati dalle gocce di pioggia impresse sul terreno arido del deserto australiano, un gesto per rendere omaggio alla madre della vita, l’acqua; in ogni caso si ottiene un ricamo attento e raffinato, eseguito con eleganza e minuziosità, sintetico ed essenziale al tempo stesso.
Assolutamente lontani dal rappresentare la realtà, i giochi di forme e colori rappresentano la materia nebulosa e impalpabile di cui sono fatti i sogni, perché è soprattutto a questi che sono legati, ai sogni sulla Creazione sulla Terra. I colori sono forti, caldi, come il clima e come i territori in cui vivono; le forme armoniose e tondeggianti, sembrano organismi in movimento che danzano e si plasmano in creature amorfe.
Le pitture aborigene liberano lo spettatore dalla costrizione del verso dell’immagine perché si guardano come si guarda il cielo stellato, senza un alto e senza un basso. Ogni immagine può essere vista da ogni lato, ruotandovi intorno e lasciandosi catturare dalle geometrie ipnotiche che portano a cogliere il quadro non per quello che rappresenta ma per quello che è, permettendoci di vedere i loro sogni e le loro visioni sacre.
Non sorprende che, con tutto quest’insieme di caratteristiche, quest’arte, scoperta e fatta conoscere al mondo occidentale poco più di quarant’anni fa, abbia conquistato un apprezzamento universale.
Fu il giovane artista Geoffrey Bardon il primo, nel 1971, a porre attenzione ai disegni che gli aborigeni di Papunya dipingevano sulla sabbia e sui corpi in occasione di feste tribali. Li convinse a fare gli stessi disegni sulle pareti della scuola e poi sulle tele, per poterne mantenere le immagini che ogni volta andavano perdute.
Grazie alla sua sensibile attenzione, l’arte aborigena ha oltrepassato i confini australiani, sbarcando in altri continenti e portando un tesoro straordinario di cui possiamo godere, immaginando di ritornare indietro nel tempo di 40.000 anni e di assistere ad un fenomeno di arte libera, nel senso più profondo del termine.
di Claudia Lodolo
Prima di calarsi in qualsiasi analisi critica, in sofisticate considerazioni ed esami stilistici, il primo aggettivo con cui viene spontaneo definire quest’arte è “bello”; bella per i colori, gli accostamenti, per i segni e le composizioni.
Uno dei motivi può essere individuato nel fatto che la pittura aborigena - come dice l’etimo della parola stessa - nasce dall’origine dell’uomo, sia intesa come origine della civiltà, sia intesa come infanzia di ognuno di noi. In essa, infatti, da una parte è conservato quello stile che richiama l’arte primitiva delle pitture rupestri, dall’altra vi si percepisce quel candore, quella freschezza pura con cui i bambini realizzano i loro primi disegni. Sono proprio questi elementi che al primo impatto, ci trasmettono qualcosa di puro, di bello, di buono.
A questa prima considerazione, si possono poi aggiungere tutte le analisi critiche che la fanno legare, per molti aspetti, alla pittura espressionista, cubista o astratta. Ma sono solo supposizioni perché nella pittura aborigena queste influenze non ci sono. Gli artisti aborigeni non conoscevano l’espressionismo, e nemmeno il cubismo e tanto meno l’astrattismo; sono completamente liberi da ogni influenza, seguono il loro istinto, i loro sogni le loro visioni, la loro cultura. Proprio come gli uomini primitivi e come i bambini.
Vi sono, certo, evidenti affinità con l’arte moderna di cui ricorda molte scuole, ma è sempre libera. La stessa libertà che caratterizza la vita e la cultura degli aborigeni, senza confini e recinzioni, ma legate alla terra di origine in puro senso spirituale. Ed è soprattutto di spiritualità che è permeata quest’arte che si tramanda da almeno 40.000 anni e che esprime una riconoscente devozione alla Creazione della Terra. Arte tribale e mondo spirituale si fondono in un cromatismo espressivo e simbolico che si dirama in diversi stili. Spesso caratterizzate da puntini (dot art), le immagini sembrano formate da miliardi di stelle che, uniti fantasticamente fra loro, offrono forme sconosciute ed enigmatiche; ma possono sembrare anche la traduzione pittorica di disegni formati dalle gocce di pioggia impresse sul terreno arido del deserto australiano, un gesto per rendere omaggio alla madre della vita, l’acqua; in ogni caso si ottiene un ricamo attento e raffinato, eseguito con eleganza e minuziosità, sintetico ed essenziale al tempo stesso.
Assolutamente lontani dal rappresentare la realtà, i giochi di forme e colori rappresentano la materia nebulosa e impalpabile di cui sono fatti i sogni, perché è soprattutto a questi che sono legati, ai sogni sulla Creazione sulla Terra. I colori sono forti, caldi, come il clima e come i territori in cui vivono; le forme armoniose e tondeggianti, sembrano organismi in movimento che danzano e si plasmano in creature amorfe.
Le pitture aborigene liberano lo spettatore dalla costrizione del verso dell’immagine perché si guardano come si guarda il cielo stellato, senza un alto e senza un basso. Ogni immagine può essere vista da ogni lato, ruotandovi intorno e lasciandosi catturare dalle geometrie ipnotiche che portano a cogliere il quadro non per quello che rappresenta ma per quello che è, permettendoci di vedere i loro sogni e le loro visioni sacre.
Non sorprende che, con tutto quest’insieme di caratteristiche, quest’arte, scoperta e fatta conoscere al mondo occidentale poco più di quarant’anni fa, abbia conquistato un apprezzamento universale.
Fu il giovane artista Geoffrey Bardon il primo, nel 1971, a porre attenzione ai disegni che gli aborigeni di Papunya dipingevano sulla sabbia e sui corpi in occasione di feste tribali. Li convinse a fare gli stessi disegni sulle pareti della scuola e poi sulle tele, per poterne mantenere le immagini che ogni volta andavano perdute.
Grazie alla sua sensibile attenzione, l’arte aborigena ha oltrepassato i confini australiani, sbarcando in altri continenti e portando un tesoro straordinario di cui possiamo godere, immaginando di ritornare indietro nel tempo di 40.000 anni e di assistere ad un fenomeno di arte libera, nel senso più profondo del termine.
08
ottobre 2011
Tracce svelate 2011. L’arte libera
Dall'otto al 13 ottobre 2011
arte etnica
Location
CENTRO CULTURALE ARTIPELAGO
Castelnuovo Di Porto, Via Roma, 32/34, (Roma)
Castelnuovo Di Porto, Via Roma, 32/34, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10-13 e 15-19
Lunedì e domenica su appuntamento
Vernissage
8 Ottobre 2011, 19,30. Ore 20,30 introduzione critica ai temi dell'arte aborigena e proiezione filmato.
Autore
Curatore