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Arte & Design km. zero. Le prossimità del feltro
Una mostra di artisti internazionali mette in contatto arte e design. All’interno dell’esposizione, si osserva come il feltro si combina con il legno, con la ceramica e con la luce, insieme ad opere dove gli artisti traducono la loro ricerca linguistica nella calda tattilità della materia prima.
Comunicato stampa
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Questa selezione di opere intende proporre al pubblico un materiale trasformato dalla ricerca di artisti e/o designer in opere che mantengono una prossimità, ovvero una dimensione intima e colloquiale con il fruitore, che deriva proprio dalla natura dei procedimenti ma anche dalla memoria antica di un materiale come il feltro.
Nell’esposizione i limiti tra arte e design, se possono essere netti sul piano della funzionalità, diventano più sfumati su quello estetico in quanto accomunati da una analoga ricerca su tecniche e linguaggi. Può trattarsi del recupero di procedimenti antichi, come le tinture naturali estratte dalle piante tintorie sperimentate da Piera Antonelli, o di saperi che si spingono fino al neolitico come nel lungo viaggio compiuto da Cristiana di Nardo tra le tuie in feltro della repubblica dell’Alati e di Tuva nella Russi asiatica.
Se, come diceva Gropius, un artigiano può non essere un artista, ma un artista non può non essere un artigiano, si comprende la ricerca di chi piega la materia alle proprie esigenze espressive connotandola con segni che rimandano non solo al proprio percorso personale ma anche alle culture di origine.
E’ il caso del bengalese Kabir Chandan che fa emergere, da una profondità leggera e atmosferica, i segni tridimensionali dei suoi nodi intrecciati con le scritture. Oppure le maschere sciamaniche della finlandese Armi Heikkinen, una nordica per la quale i segni della natura e della magia soppiantano quelli della storia.
Dino de Simone, con la collaborazione di Cristiana di Nardo, spostando su un altro materiale la sua ricerca sospesa tra natura e architettura, fa emergere il disegno dal diradamento delle fibre del feltro mentre per Eva Basile il nesso cultura/natura si traduce nella matericità del supporto ligneo su cui fissa la sua “giacca-scultura” mentre Nadia Odorico è totalmente immersa nell’emulazione di forme organiche dispiegando la superficie in petali di luce tattile.
Un altro caso interessante di trasferimento del linguaggio da un medium all’altro si verifica nell’opera della coppia Pinto / Natale che conserva, nella condotta/fruttiera, la scomposizione quasi ingegneristica dei piani già sperimentata in pittura.
L’impiego del feltro per la realizzazione di tappeti non è certo cosa nuova ma qui si offre come occasione di rivisitazioni interessanti. Per Paola della Pergola è un terreno zenitale su cui ferma l’incanto di lenti fi occhi di neve; accanto a questa suggestione invernale, si può accostare, come in un dittico, quella primaverile di Angelo Minisci che, con Eva Basile, immerge nella bianca luce la leggerezza dei petali rosa deposti, come per caso, ai nostri piedi. E’ tattile e corporeo invece l’approccio di Maria Federica Prezioso con sedute come sassi e tappeti dove si stende la linea rossa del cuore e delle sue diramazioni.
Il tema della natura assume valenze più grafi che nella sagoma stessa del tappeto della giapponese Rutsuko Sakata, elegantemente divisa nella specularità dei bianchi e neri di una lisca di pesce. E’ quasi uno spiazzamento invece l’operazione di Cristiana di Nardo con i suoi vasi in feltro che assumono le venature e i colori della terra e delle pietre e, analogamente ambigua, è la
proposta di Matilde Trapassi con il suo coloratissimo cache-pot che, ribaltato, si trasforma in gioioso copricapo infantile.
Più implicati con le modalità e possibilità della produzione industriale sono le opere di Franco Duranti che da anni lavora con gli stampi della collezione Zucchi. In questo caso ha applicato stampi destinati ad altri usi ottenendo una tessitura di segni sovrapposti che è la naturale evoluzione della sua originaria ricerca in pittura. Alle prese con le proprietà tecniche dei prodotti industriali è la proposta di Elisabetta Ozino che è partita, per la sua ciotola, dai filati Corda, distribuita dalle Lanecardate di Cossato, un misto di lana finissima e angora, la stessa con cui tradizionalmente sono fatti i cappelli di feltro più pregiati.
Totalmente immersa nella logica del design industriale è la seduta della coppia indo-svedese Sawhney e Willner che unisce il calore del feltro a stecche di legno per un comodo “free parking”, opera già esposta e apprezzata al Salone del Mobile di Milano nel 2009. La seduta della norvegese Britta Telemann propone, nella modularità di forme liberamente componibili, un diverso rapporto con gli oggetti del design, democraticamente modificabili dal gusto e dalle necessità. Un ringraziamento infine a Patricia Waller che ha offerto la sua opera, “Sheep” come immagine simbolo di questa mostra tesa a mostrare le possibili relazioni, mai ingenue, con le prossimità della natura.
Gabriella Anedi de Simone
Nell’esposizione i limiti tra arte e design, se possono essere netti sul piano della funzionalità, diventano più sfumati su quello estetico in quanto accomunati da una analoga ricerca su tecniche e linguaggi. Può trattarsi del recupero di procedimenti antichi, come le tinture naturali estratte dalle piante tintorie sperimentate da Piera Antonelli, o di saperi che si spingono fino al neolitico come nel lungo viaggio compiuto da Cristiana di Nardo tra le tuie in feltro della repubblica dell’Alati e di Tuva nella Russi asiatica.
Se, come diceva Gropius, un artigiano può non essere un artista, ma un artista non può non essere un artigiano, si comprende la ricerca di chi piega la materia alle proprie esigenze espressive connotandola con segni che rimandano non solo al proprio percorso personale ma anche alle culture di origine.
E’ il caso del bengalese Kabir Chandan che fa emergere, da una profondità leggera e atmosferica, i segni tridimensionali dei suoi nodi intrecciati con le scritture. Oppure le maschere sciamaniche della finlandese Armi Heikkinen, una nordica per la quale i segni della natura e della magia soppiantano quelli della storia.
Dino de Simone, con la collaborazione di Cristiana di Nardo, spostando su un altro materiale la sua ricerca sospesa tra natura e architettura, fa emergere il disegno dal diradamento delle fibre del feltro mentre per Eva Basile il nesso cultura/natura si traduce nella matericità del supporto ligneo su cui fissa la sua “giacca-scultura” mentre Nadia Odorico è totalmente immersa nell’emulazione di forme organiche dispiegando la superficie in petali di luce tattile.
Un altro caso interessante di trasferimento del linguaggio da un medium all’altro si verifica nell’opera della coppia Pinto / Natale che conserva, nella condotta/fruttiera, la scomposizione quasi ingegneristica dei piani già sperimentata in pittura.
L’impiego del feltro per la realizzazione di tappeti non è certo cosa nuova ma qui si offre come occasione di rivisitazioni interessanti. Per Paola della Pergola è un terreno zenitale su cui ferma l’incanto di lenti fi occhi di neve; accanto a questa suggestione invernale, si può accostare, come in un dittico, quella primaverile di Angelo Minisci che, con Eva Basile, immerge nella bianca luce la leggerezza dei petali rosa deposti, come per caso, ai nostri piedi. E’ tattile e corporeo invece l’approccio di Maria Federica Prezioso con sedute come sassi e tappeti dove si stende la linea rossa del cuore e delle sue diramazioni.
Il tema della natura assume valenze più grafi che nella sagoma stessa del tappeto della giapponese Rutsuko Sakata, elegantemente divisa nella specularità dei bianchi e neri di una lisca di pesce. E’ quasi uno spiazzamento invece l’operazione di Cristiana di Nardo con i suoi vasi in feltro che assumono le venature e i colori della terra e delle pietre e, analogamente ambigua, è la
proposta di Matilde Trapassi con il suo coloratissimo cache-pot che, ribaltato, si trasforma in gioioso copricapo infantile.
Più implicati con le modalità e possibilità della produzione industriale sono le opere di Franco Duranti che da anni lavora con gli stampi della collezione Zucchi. In questo caso ha applicato stampi destinati ad altri usi ottenendo una tessitura di segni sovrapposti che è la naturale evoluzione della sua originaria ricerca in pittura. Alle prese con le proprietà tecniche dei prodotti industriali è la proposta di Elisabetta Ozino che è partita, per la sua ciotola, dai filati Corda, distribuita dalle Lanecardate di Cossato, un misto di lana finissima e angora, la stessa con cui tradizionalmente sono fatti i cappelli di feltro più pregiati.
Totalmente immersa nella logica del design industriale è la seduta della coppia indo-svedese Sawhney e Willner che unisce il calore del feltro a stecche di legno per un comodo “free parking”, opera già esposta e apprezzata al Salone del Mobile di Milano nel 2009. La seduta della norvegese Britta Telemann propone, nella modularità di forme liberamente componibili, un diverso rapporto con gli oggetti del design, democraticamente modificabili dal gusto e dalle necessità. Un ringraziamento infine a Patricia Waller che ha offerto la sua opera, “Sheep” come immagine simbolo di questa mostra tesa a mostrare le possibili relazioni, mai ingenue, con le prossimità della natura.
Gabriella Anedi de Simone
10
settembre 2011
Arte & Design km. zero. Le prossimità del feltro
Dal 10 al 20 settembre 2011
design
arte contemporanea
arti decorative e industriali
arte contemporanea
arti decorative e industriali
Location
GALLERIA TANNAZ
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Firenze, Via Dell'oche, 9-11r, (Firenze)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 16 - 20
Vernissage
10 Settembre 2011, h 18.00
Autore
Curatore