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Matteo Pugliese / Alfredo Rapetti – I Custodi della Serenità
Doppia personale
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Matteo Pugliese - Alfredo Rapetti
Custodi della Serenità
Sabato 23 Luglio dalle ore 19.00
Anacapri - Via San Nicola, 4 – Tel. +393336099565
Sono qui, ti proteggo.
Custodisco le tue mura e il calore della tua casa.
Voglio impedire a quel mondo di varcare la soglia di casa tua.
Veglio perché non ti venga a mancare il necessario
ma soprattutto perché mai ti sia indispensabile il superfluo.
Questo ti offro: una forza controllata
pronta a mettersi in moto.
Decisa, non arrogante.
Determinata, non violenta.
Imponente, non aggressiva.
Starò con te e osserverò il tuo mondo
prender forma davanti a te.
Finiremo in diverse case e alcuni di noi
attraverseranno il mare e finiranno in posti
che nessuno può immaginare.
Saremo un esercito disperso, unito dalle
Persone che ci avranno scelto, che si saranno
fatte scegliere da noi.
Ascolta il nostro silenzio.
Sono qui, ti proteggo.
Matteo Pugliese
Per la guerra che incombe reale o virtuale un esercito è pronto a scendere in campo davanti alla porta di casa “sono qui ti
proteggo” assicura i il guardiano di bronzo deciso determinato eretto a mostrare grinte, armi e bastoni senza arroganza.
Ma è chiaro che li saprà usare all’occorrenza
Li ha modellati Matteo Pugliese per la mostra: il custode saraceno ,l’indiano, il samurai, il longobardo .
Mi sono ispirato - racconta l’artista - alle maschere di varie culture ,dall’arte precolombiana ai guardiani di pietra adorati
e ingraziati dagli animisti balinesi ma nella cerchia della tribù sono entrati anche i fumetti dell’immaginario barbarico materializzati attraverso la sua esperienza di modellatore di personaggi di Walt Disney, Warner Bros e Mattel
La terza dimensione del fantasy: chi è d’accordo con hegel converrà che è più saggio rappresentare ciò che non esiste. I risultati che si raggiungono imitando la natura - insegnava il filosofo - restano sempre al di sotto di ciò che essa ci offre.
Tanto vale affrontare l’enigma della magia, il verosimile sovrumano, le fantasmagoriche forme del pensiero. Lo scultore contemporaneo gioca con ironia tra visibilia e invisibilia i suoi guerrieri sono già familiari ai bambini.
Gli adulti li espongono all’ingresso, per dire al nemico come gli assediati di Condè di non aver tempo di arrendersi perché
occupati a fare le faccende domestiche..
La serie dei "custodi" di Matteo Pugliese (per i quali l'artista ha creato anche una sorta di poesia-preghiera dal carattere
magico-rituale,), appaiano straordinariamente carichi di riferimenti formali e cul-turali tra i più vari, dall'iconografia
orientale, a quella africana, a quella delle grandi saghe fantasy, senza alcuno iato, sbalzo o contraddizione apparente nel
mescolare in un unico contenitore formale armature prelevate dai guerrieri di terracotta cinesi e maschere tribali africane,
le spade delle saghe medievali o delle chanson de geste e gli elmi o le corazze dei cavalieri e dei soldati presi in prestito dai
giochi di ruolo che pullulano nelle camere dei ragazzi di tutto il mondo, l'iconografia dei samurai e quella gotico fantastica.?
Con questi eroi contemporanei, con i suoi custodi arcaici e pop, con i suoi personaggi insieme vivissimi e più che mai
solidificati nella materia classica del bronzo,
Matteo Pugliese torna come alcuni suoi compagni di strada oggi, a dare vitalità, nerbo e quotidiana espressività al linguaggio
insieme antico e modernissimo della scultura.
Alfredo Rapetti
E’ come un pittore-scriba le cui parole incise nell'acrilico sono come ideogrammi cinesi, "gesti-segni" sacri ispirati da una logica che attinge alla natura profonda dell'uomo e cerca nuove strade per raggiungere il divino. Come nella calligrafia cinese, egli diviene mediante il gesto creativo parte attiva di una serie continue e potenzialmente infinita di eventi che rievocano il processo cosmico della nascita e della rigenerazione. La tecnica e il colore rafforzano l'immediatezza di questo linguaggio dei segni creando un supporto pittorico in continuo divenire, cangiante e fotosensibile come un ologramma, che assume le sembianze di uno specchio magico e dunque parlante.
Non il pennello, bensì le mani, gli stracci, la carta a creare quel senso straordinario di movimento. La tavolozza si alterna con uguale disinvoltura tra i colori dell'umano e dell'ultra terreno, i bianchi, i neri, i rosa, i grigi
da un lato. l'oro dall'altro: la purezza, l'amore, la morte e la paura, Dio e l'infinito.
L'artista racconta con la stessa foga ed armonia le opposte vicende del bene e del male, abbracciando con straordinaria
sensibilità l'intero panorama dei sentimenti e delle situazioni. I suoi quadri sono finestre sull'anima, palcoscenici infiniti dove esorcizzare le paure, sfogare l'inconscio, ammaliare lo spettatore in un vortice di parole incise a punta secca.
Nelle "Lettere", quadrati o doppi quadrati, bianchissimi, incorniciati da brandelli di carta vetrata, l'artista affonda con
impeto nella pittura e negli strati di acrilico una calligrafia affilata e graffiante, scandisce í battiti della propria anima
secondo un'insolita quanto armoniosa partitura musicale, mentre il bianco dello sfondo si carica di luce chiarissima quasi
surreale. Straordinario l'effetto materico d'insieme e la scelta della carta vetrata, ruvida, persino bruciata ma resistente,
incollata a quelle parole, a quei sentimenti come l'uomo alla sua vita. Fragilità e caducità, lotta e sopravvivenza, ma anche amore, passione, speranza e bellezza ,quadri di un misticismo
magnifico dove predomina il dinamismo del fuoco mediante la forza dell'oro, ove il potere delle emozioni prevale finalmente e assolutamente sulla ragione e appare inesorabile un barlume di fede.
Le parole abbandonano il significato letterale per rifluire nell'universale linguaggio dei sentimenti. Lo spettatore è avvolto
e risucchiato dai gorghi di questa pittura in continuo movimento, commosso e alleviato dai suoi squarci di luce. II richiamo alla poetica della materia è fortissimo e con esso la consapevolezza di un'arte che basti a se stessa mediante il
potere visivo del proprio messaggio.
Un nuovo silenzio scende sullo spettatore, un silenzio che rinnova la sete di assoluto ed il bisogno inevitabile di spiritualità.
Sono in molti a credere oggi che una fiducia eccessiva nella concezione razionalista di modernità e progresso abbia prodotto forme di vita impoverite di significato e una disintegrazione catastrofica della nostra civilizzazione. Terminato il secolo della tecnologia e della socializzazione, si apre per l'uomo una nuova era tesa al riscatto del mondo materiale e alla riconquista dell'identità perduta, mediante una rinnovata comunicazione con l'assoluto. Come la quiete dopo la tempesta, alle parole del pittore, alle note del poeta, alla sacralità dei gesti dello scriba, segue
E resta incisa sulla tela la certezza che .Dio non è morto, e l'arte è più viva che mai.
Matteo Pugliese nasce a Milano nel 1969. Dopo un lungo periodo passato in Sardegna nel 1996 si laurea all’Università di Milano in Letteratura Moderna. Scultore autodidatta. Ha tenuto personali in diverse città tra cui: Milano, Bruxelles, l'Aja, Maastricht, San
Giminiano, Taormina, Bologna, Cagliari e, prossimamente, Londra e Hong Kong.
Le sue opere sono state battute presso Christie's e Sotheby's.
Vive e lavora a Milano.
TRAPASSATO FUTURO – A cura di Luca Beatrice
La miscela è quanto mai insolita e il mix sembrerebbe, sulla carta, un’alchimia letale.
Tradizione e classicismo di forme e corpi michelangioleschi revisionati, secondo il metodo cartesiano che guarda a
tutte le cose senza scinderne una in particolare, in chiave lowbrow dove guerrieri, nuotatrici e nudi maschili si permeano di un sentore fantasy e neomanga. Giusto Quentin Tarantino ha saputo – e potuto – osare tanto. Nel cinema, di solito poco propenso alle contaminazioni linguistiche interne al “genere” perché corrotto alla fonte del
suo carattere multidisciplinare, pareva impossibile vedere convivere la tradizione degli Spaghetti Western (in particolaredi Sergio Leone) e l'arte nazionale kung fu degli anni '60-'70, con lo spirito metaironico dell'animazione
giapponese, da sempre bistratta dal cinema cosiddetto “tradizionale”. Eppure la “killer della Yakuza”, che in Kill Bill è la strabica Lucy Liu, diventa nel primo episodio del dittico tarantino sequenza animata dal raro spessore emotivo. Incredibile anche solo da pensare, ecco farsi strada l'idea di demandare al
genere cartoon il ruolo del dramma.
Detto fatto. Ora, paradossalmente, sarebbe come investire la regina dei generi accademici, la scultura figurativa, di un sapore
anime, facendo ricorso all'estetica kawaii (dal giapponese, ciò che è “crino” e nulla più) che contraddistingue tutta la cultura manga e la natura del cartone animato in generale. Paradossale ma reale.
Takashi Murakami è artista giapponese e del Giappone si può promettere di importare il gusto plastificato della nuova era consumistica che dimentica i samurai per dedicarsi all'usa e getta, realizzando sculture pop-surrealiste e
coloratissime. Matteo Pugliese no. Lui è italiano, e la lezione dei “Maestri” nostrani non può ridursi in icone di gomma e nomadismi
fumettistici. Eppure,la contaminazione formale e linguistica è il sapiente pastiche che rende la sua scultura assolutamente figurativa e allo stesso tempo assolutamente contemporanea. Aggettivi difficili all'apparenza da far
convivere. Pugliese ha adottato la via di un pop rinnovato, originale e ipercontemporaneo, che scorpora i detami statuari antichi
in frammenti espressivi dai connotati forti e di nuova generazione.
Ildna resta quello dei pardri: senza cercare adozioni forzate, nei nervi tesi e negli arti imponenti delle sue sculture si intravedono i muscoli corposi dei giganti della Cappella dei Medici, gli studi anatomici cinquecenteschi di Leonardo e qualche accenno posturale di baccanali, santi (Sebastiano, in particolare), giudizi universali.
Rifugge però il rischio di una scultura così prettamente classica da risultare anacromistica.
Assimiliato lo studio dell'anatomia da manuale artistico (da Giovanni Civardi, disponibile in ogni Accademia, a William Hogarh), i nudi di Pugliese vivono autonomamente di una modellazione rinnovata non tanto nella tecnica e
nei materiali – sono questa volta Medardo Rosso e Rodin a impartire l'insegnamento della tradizione – quanto nell'ibridazione iconica di high & low. In uno sfoggio di potenza titanica, i suoi moderni telamoni non sorreggono il peso dell'architettura che li accoglie, ma
sono parte integrante di un tutto da cui cercano di liberarsi. Le violenze corporee imposte dalla materia si emancipano nei dettagli scultorei, dalle mani di Puglies, drammaticamente espressivi.
Un uomo che seppur divincolandosi da costrizioni e obblighi, nell'atto evidente di mostrare e dimostrare virilità e forza, rimane intrappolato nel suo status emotivo. Un eroe marveliano, prototipo reale di Xmen o di Mister Devil, che
cerca la sua rivincita nel mondo reale. Le porzioni di corpo che cercano evasione dal muro, componente installativa delle opere pensate da Pugliese, mettono a nudo l'atto ultimo dell'uomo di autofidarsi in un corpo a corpo alla pari.
I busti imponenti, le articolazioni contratte, le teste importanti compongono figure di odierne incarnazioni del mito di Sisifo, che interpretano metaforicamente l'assurdità del senso della vita. Il muro è origine e fine, ostacolo da infrangere
e ragione di essere. La contaminazione di Pugliese è “exploitation”, come è stato detto dalla critica cinematografa per il capolavoro di
Tarantino, ed è quello che fu il detournement dei Situazionisti prima e qui grossolanamente traducibile in iper-utilizzo
di icone, gusti, stili. La sfida è l'oggetto e il soggetto: fare della scultura il medium per veicolare la possibilità di una felice coesistenza tra classico e contemporaneo. È la tradizione che continua a farsi scrivere, non iniziando un nuovo libro, ma semplicemente aprendo un nuovo capitolo.
Come controllare all'edonismo sprigionato dalla virilità esplicita dei busti maschili, le donne di Pugliese sono nuotatrici abbandonate in una sospensione gravitazionale.
L'argilla lascia il posto al fluido riflesso dello stampo in alluminio. Padrone di una manualità da artigiano, Pugliese sperimenta materiali e tecniche per formulare linguaggi estetici che trascendono la pura dimostrazione di abilità. Più vicine alla metamorfosi tridimensionale di renderdizzazioni 3D, il cielo “Nuotatrici” si svuota di peso e galleggia
in una meta-spazio utopico. Jeff Koons aveva trasformato icone di personaggi famosi in statuette luccicanti e ironiche, mentre il quid di Pugliese è il superamento del sarcasmo degli anni '80: può la scultura smaterializzarsi, nella veste di un ologramma di un personaggio eroico-fumettistico, e diventare forma non ravitazionale?
Come il blob di mercurio liquido che trasforma l'androide Terminator in lama brancusiana o in manichino metallico, così le sinuose rotondità femminili si sciolgono in volumi orizzontali, a stravolgere secoli di slancio verticale, nel
tentativo di restituire un'immagine di esclusiva leggerezza. La coscienza dell'universo virutale cerca soluzione nella tradizione scultorea, in barba alla materia.
Altalenando riferimenti colti e popolari, tra ideali classici e illustrazione grafica, e a coronamento della consapevolezza di una stagione che consente l'ibridazione ed esige il confronto, c'è poi il ciclo dei “Custodi”. Queste
miniature (le dimensioni ricordano per certi versi l'oggettistica americana e nipponica conservata in musei d'archeologia o i modellini in scala da collezionista) di lottatori di sumo mascherati con armature di ogni genere e
foggia, sono l'altra faccia dell'esercito di terracotta dell'imperatore Quin.
Curati nei minimi dettali i piccolo guardiani di Pugliese riproducono nella fisiognomica e nelle loro corazze e uniformi, diverse provenienze e collocazioni geografiche: assiri, italici, saraceni, barbari, tutti dall'aria solenne e
minacciosa, tutti usciti da una storia personale di qualche cartoon di nuova e vecchia annata. Il mesto silensio dell'”ottava meravigli” del mausole composto dai 500 guerrieri di terracotta ritrovati a Xian, in Cina, è l'ennesima
traslazione concettuale e stilistica che con i suoi “Custodi” Matteo Pugliese arrischia, metafora di un tempo che deve
guardare al passato, misurarsi con il presente e saper evocare qualcosa che risiede, forse, nel futuro. Un gioco di rimandi che permette all'opera d'arte di assurgere a una dimensione atemporale, universale.
Gli eroi di oggi si confondono con quelli di ieri, protettori adesso come allora dello stesso antico tesorom che fu la tomba dell'imperatore a Xian e sono oggi tutti i mausolei personali rappresentanti dalle quattro mura di casa. Questi
custodi consapevoli e minacciosi sono le controfigure dei guerrieri, grevi, saldamente ancorati a terra, investiti del ruolo, seppur anacronistico, di protettori sacralli della realtà domestica. Ci sono poi gli animali di Pugliese: la tigre, la formica, la zebra, il cavallo. Queste sculture, al limite tra iperverismo e pop culutre, sono dirette secondo l'iconografia dei cartoon (è da ricordare che l'artista ha collaborato con società
licenziatarie dei personaggi della Walt Disney e della Warner Bros), e sono colme di una straordinaria carica autoironica che si mischia con l'austerità derivata dall'abc formale della statuaria equestre. La scultura contemporanea ha da fare i conti con la zattera della tradizione e con l'avvento di nuove tendenze che l'era
post-mediale ha inevitabilmente portato con sé. Aperta la strada della contaminazione lowbrow, il confronto con il passato deve erigersi su nuovi parametri che garantiscono alla sperimentazione il podio del successo. Prendendo in
prestito le parole di Michelangelo Pistoletto, “la scultura è discendenza, è l'anima moderna concettuale di una sostanza antica e spirituale, è il centro che assicura ogni frammento contro la dispersione totale”.
Nato a Milano nel 1961, la formazione artistica di Alfredo Rapetti risente del clima famigliare, dove da generazioni si respirano musica, letteratura, poesia. Giovanissimo, Rapetti è introdotto dal nonno materno, Alfredo De Pedrini, Presidente dell'Associazione Arti Grafiche, nell’ambiente artistico milanese, arrivando a maturare la passione per la pittura, alla quale si uniscono la formazione presso la scuola del Fumetto a Milano, le collaborazioni in ambito editoriale, mentre l'esercizio pittorico viene
sperimentato in diverse direzioni, destinate a confluire, nel 1996, nello studio degli artisti Alessandro Algardi e Mario Arlati che invitano Rapetti a condividere con loro la ricerca pittorica. Nell'atelier di Via Nota Rapetti lavora quattro intensi anni, arrivando a maturare l’esigenza di coniugare le sue due più grandi passioni: la scrittura e la pittura, intendendole quali visualizzazioni del processo mentale e
psicologico. Grazie ad una tecnica particolare, detta impuntura, l'azione del dipingere si fonde così con l'atto dello scrivere, e le parole iniziano ad essere segnate non solamente su fogli ma anche nelle tele. Segni, tracce, graffiti di un’umanità creativa e consapevole, le opere di Rapetti proseguono quell'ideale tragitto di una scrittura pittorica che tanto più è universale, quanto più sa frantumarsi e confrontarsi con
i secoli della storia dell'arte, dalle avanguardie storiche al concettuale, passando per le esperienze spazialiste di Lucio Fontana e le grafie astratte degli anni Cinquanta.
Trovata la forma espressiva congeniale alla sua poetica, fra la fine degli anni Novanta ed oggi è
davvero notevole l'attività espositiva, sia personale che collettiva, conseguita dall'artista, instancabile come la sua opera sempre in viaggio fra l'Italia e il resto del mondo: universale, appunto. Se tra le sedi
delle mostre collettive sono allora da ricordare il Museo della Permanente di Milano, nel 2002, il
Salon d'Automne Paris, Espace Charenton, nel mese di novembre 2004, nel solo 2006 sono da annoverare il Mosca Mar’s contemporary art museum, Palazzo Strozzi a Firenze, il Riga Foreign
Art Museum ed il Grand Palais di Parigi per la mostra “Comparaisons”; tra le personali sono da
citare la Galleria Cà d’Oro a Roma, nel 2003, la Fondazione KPMG di Berlino, nello stesso anno, la
Galleria Maretti Arte Monaco a Montecarlo e Villa Olmo a Como, nel 2004, L’Albergo delle Povere di Palermo, nel 2005, e l'anno successivo la Certosa di San Lorenzo a Padula, Salerno. Nel 2009
espone 80 opere al Palazzo della Ragione di Mantova. Nel 2010 con la Fondazione De Chirico
espone in tre prestigiosi Musei e Università Statunitensi, come la N.Y. University e il Museo di scultura di Santa Monica L.A. e tiene una personale alla Fondazione Mudima a Milano.
Docente presso il Centro Europeo di Toscolano e nelle Università dell’immagine di Milano e New
York, Rapetti è stato invitato a numerose conferenze e workshop: ricordiamo la sua relazione tenuta alla fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, e l'insegnamento in occasione di Master dell’Università Cattolica di Milano.
Dal 2004 entra a far parte del gruppo internazionale “Signes et Traces”, fondato da Riccardo Licata; fra i premi, ricordiamo l'“Etoile” per la pittura della Provincia di Roma.
la sua opera sempre più coinvolge e suscita interessi e dibattiti, da Duccio Trombadori a Gianluca Ranzi, da Luciano Caprile a Maurizio Vanni, la critica più attenta ha saputo leggere in Alfredo Rapetti quella tensione costante ad una ricerca tesa fra Oriente e Occidente, fra preghiera e mantra, poesia e prosa; "naturale" punto di arrivo, o meglio di nuova partenza, è nel 2007 l'invito ad esporre alla 52° Biennale di Venezia, nel Padiglione della Repubblica Araba Siriana, in occasione della mostra "Sulle vie di Damasco" curata da Duccio Trombadori.
Custodi della Serenità
Sabato 23 Luglio dalle ore 19.00
Anacapri - Via San Nicola, 4 – Tel. +393336099565
Sono qui, ti proteggo.
Custodisco le tue mura e il calore della tua casa.
Voglio impedire a quel mondo di varcare la soglia di casa tua.
Veglio perché non ti venga a mancare il necessario
ma soprattutto perché mai ti sia indispensabile il superfluo.
Questo ti offro: una forza controllata
pronta a mettersi in moto.
Decisa, non arrogante.
Determinata, non violenta.
Imponente, non aggressiva.
Starò con te e osserverò il tuo mondo
prender forma davanti a te.
Finiremo in diverse case e alcuni di noi
attraverseranno il mare e finiranno in posti
che nessuno può immaginare.
Saremo un esercito disperso, unito dalle
Persone che ci avranno scelto, che si saranno
fatte scegliere da noi.
Ascolta il nostro silenzio.
Sono qui, ti proteggo.
Matteo Pugliese
Per la guerra che incombe reale o virtuale un esercito è pronto a scendere in campo davanti alla porta di casa “sono qui ti
proteggo” assicura i il guardiano di bronzo deciso determinato eretto a mostrare grinte, armi e bastoni senza arroganza.
Ma è chiaro che li saprà usare all’occorrenza
Li ha modellati Matteo Pugliese per la mostra: il custode saraceno ,l’indiano, il samurai, il longobardo .
Mi sono ispirato - racconta l’artista - alle maschere di varie culture ,dall’arte precolombiana ai guardiani di pietra adorati
e ingraziati dagli animisti balinesi ma nella cerchia della tribù sono entrati anche i fumetti dell’immaginario barbarico materializzati attraverso la sua esperienza di modellatore di personaggi di Walt Disney, Warner Bros e Mattel
La terza dimensione del fantasy: chi è d’accordo con hegel converrà che è più saggio rappresentare ciò che non esiste. I risultati che si raggiungono imitando la natura - insegnava il filosofo - restano sempre al di sotto di ciò che essa ci offre.
Tanto vale affrontare l’enigma della magia, il verosimile sovrumano, le fantasmagoriche forme del pensiero. Lo scultore contemporaneo gioca con ironia tra visibilia e invisibilia i suoi guerrieri sono già familiari ai bambini.
Gli adulti li espongono all’ingresso, per dire al nemico come gli assediati di Condè di non aver tempo di arrendersi perché
occupati a fare le faccende domestiche..
La serie dei "custodi" di Matteo Pugliese (per i quali l'artista ha creato anche una sorta di poesia-preghiera dal carattere
magico-rituale,), appaiano straordinariamente carichi di riferimenti formali e cul-turali tra i più vari, dall'iconografia
orientale, a quella africana, a quella delle grandi saghe fantasy, senza alcuno iato, sbalzo o contraddizione apparente nel
mescolare in un unico contenitore formale armature prelevate dai guerrieri di terracotta cinesi e maschere tribali africane,
le spade delle saghe medievali o delle chanson de geste e gli elmi o le corazze dei cavalieri e dei soldati presi in prestito dai
giochi di ruolo che pullulano nelle camere dei ragazzi di tutto il mondo, l'iconografia dei samurai e quella gotico fantastica.?
Con questi eroi contemporanei, con i suoi custodi arcaici e pop, con i suoi personaggi insieme vivissimi e più che mai
solidificati nella materia classica del bronzo,
Matteo Pugliese torna come alcuni suoi compagni di strada oggi, a dare vitalità, nerbo e quotidiana espressività al linguaggio
insieme antico e modernissimo della scultura.
Alfredo Rapetti
E’ come un pittore-scriba le cui parole incise nell'acrilico sono come ideogrammi cinesi, "gesti-segni" sacri ispirati da una logica che attinge alla natura profonda dell'uomo e cerca nuove strade per raggiungere il divino. Come nella calligrafia cinese, egli diviene mediante il gesto creativo parte attiva di una serie continue e potenzialmente infinita di eventi che rievocano il processo cosmico della nascita e della rigenerazione. La tecnica e il colore rafforzano l'immediatezza di questo linguaggio dei segni creando un supporto pittorico in continuo divenire, cangiante e fotosensibile come un ologramma, che assume le sembianze di uno specchio magico e dunque parlante.
Non il pennello, bensì le mani, gli stracci, la carta a creare quel senso straordinario di movimento. La tavolozza si alterna con uguale disinvoltura tra i colori dell'umano e dell'ultra terreno, i bianchi, i neri, i rosa, i grigi
da un lato. l'oro dall'altro: la purezza, l'amore, la morte e la paura, Dio e l'infinito.
L'artista racconta con la stessa foga ed armonia le opposte vicende del bene e del male, abbracciando con straordinaria
sensibilità l'intero panorama dei sentimenti e delle situazioni. I suoi quadri sono finestre sull'anima, palcoscenici infiniti dove esorcizzare le paure, sfogare l'inconscio, ammaliare lo spettatore in un vortice di parole incise a punta secca.
Nelle "Lettere", quadrati o doppi quadrati, bianchissimi, incorniciati da brandelli di carta vetrata, l'artista affonda con
impeto nella pittura e negli strati di acrilico una calligrafia affilata e graffiante, scandisce í battiti della propria anima
secondo un'insolita quanto armoniosa partitura musicale, mentre il bianco dello sfondo si carica di luce chiarissima quasi
surreale. Straordinario l'effetto materico d'insieme e la scelta della carta vetrata, ruvida, persino bruciata ma resistente,
incollata a quelle parole, a quei sentimenti come l'uomo alla sua vita. Fragilità e caducità, lotta e sopravvivenza, ma anche amore, passione, speranza e bellezza ,quadri di un misticismo
magnifico dove predomina il dinamismo del fuoco mediante la forza dell'oro, ove il potere delle emozioni prevale finalmente e assolutamente sulla ragione e appare inesorabile un barlume di fede.
Le parole abbandonano il significato letterale per rifluire nell'universale linguaggio dei sentimenti. Lo spettatore è avvolto
e risucchiato dai gorghi di questa pittura in continuo movimento, commosso e alleviato dai suoi squarci di luce. II richiamo alla poetica della materia è fortissimo e con esso la consapevolezza di un'arte che basti a se stessa mediante il
potere visivo del proprio messaggio.
Un nuovo silenzio scende sullo spettatore, un silenzio che rinnova la sete di assoluto ed il bisogno inevitabile di spiritualità.
Sono in molti a credere oggi che una fiducia eccessiva nella concezione razionalista di modernità e progresso abbia prodotto forme di vita impoverite di significato e una disintegrazione catastrofica della nostra civilizzazione. Terminato il secolo della tecnologia e della socializzazione, si apre per l'uomo una nuova era tesa al riscatto del mondo materiale e alla riconquista dell'identità perduta, mediante una rinnovata comunicazione con l'assoluto. Come la quiete dopo la tempesta, alle parole del pittore, alle note del poeta, alla sacralità dei gesti dello scriba, segue
E resta incisa sulla tela la certezza che .Dio non è morto, e l'arte è più viva che mai.
Matteo Pugliese nasce a Milano nel 1969. Dopo un lungo periodo passato in Sardegna nel 1996 si laurea all’Università di Milano in Letteratura Moderna. Scultore autodidatta. Ha tenuto personali in diverse città tra cui: Milano, Bruxelles, l'Aja, Maastricht, San
Giminiano, Taormina, Bologna, Cagliari e, prossimamente, Londra e Hong Kong.
Le sue opere sono state battute presso Christie's e Sotheby's.
Vive e lavora a Milano.
TRAPASSATO FUTURO – A cura di Luca Beatrice
La miscela è quanto mai insolita e il mix sembrerebbe, sulla carta, un’alchimia letale.
Tradizione e classicismo di forme e corpi michelangioleschi revisionati, secondo il metodo cartesiano che guarda a
tutte le cose senza scinderne una in particolare, in chiave lowbrow dove guerrieri, nuotatrici e nudi maschili si permeano di un sentore fantasy e neomanga. Giusto Quentin Tarantino ha saputo – e potuto – osare tanto. Nel cinema, di solito poco propenso alle contaminazioni linguistiche interne al “genere” perché corrotto alla fonte del
suo carattere multidisciplinare, pareva impossibile vedere convivere la tradizione degli Spaghetti Western (in particolaredi Sergio Leone) e l'arte nazionale kung fu degli anni '60-'70, con lo spirito metaironico dell'animazione
giapponese, da sempre bistratta dal cinema cosiddetto “tradizionale”. Eppure la “killer della Yakuza”, che in Kill Bill è la strabica Lucy Liu, diventa nel primo episodio del dittico tarantino sequenza animata dal raro spessore emotivo. Incredibile anche solo da pensare, ecco farsi strada l'idea di demandare al
genere cartoon il ruolo del dramma.
Detto fatto. Ora, paradossalmente, sarebbe come investire la regina dei generi accademici, la scultura figurativa, di un sapore
anime, facendo ricorso all'estetica kawaii (dal giapponese, ciò che è “crino” e nulla più) che contraddistingue tutta la cultura manga e la natura del cartone animato in generale. Paradossale ma reale.
Takashi Murakami è artista giapponese e del Giappone si può promettere di importare il gusto plastificato della nuova era consumistica che dimentica i samurai per dedicarsi all'usa e getta, realizzando sculture pop-surrealiste e
coloratissime. Matteo Pugliese no. Lui è italiano, e la lezione dei “Maestri” nostrani non può ridursi in icone di gomma e nomadismi
fumettistici. Eppure,la contaminazione formale e linguistica è il sapiente pastiche che rende la sua scultura assolutamente figurativa e allo stesso tempo assolutamente contemporanea. Aggettivi difficili all'apparenza da far
convivere. Pugliese ha adottato la via di un pop rinnovato, originale e ipercontemporaneo, che scorpora i detami statuari antichi
in frammenti espressivi dai connotati forti e di nuova generazione.
Ildna resta quello dei pardri: senza cercare adozioni forzate, nei nervi tesi e negli arti imponenti delle sue sculture si intravedono i muscoli corposi dei giganti della Cappella dei Medici, gli studi anatomici cinquecenteschi di Leonardo e qualche accenno posturale di baccanali, santi (Sebastiano, in particolare), giudizi universali.
Rifugge però il rischio di una scultura così prettamente classica da risultare anacromistica.
Assimiliato lo studio dell'anatomia da manuale artistico (da Giovanni Civardi, disponibile in ogni Accademia, a William Hogarh), i nudi di Pugliese vivono autonomamente di una modellazione rinnovata non tanto nella tecnica e
nei materiali – sono questa volta Medardo Rosso e Rodin a impartire l'insegnamento della tradizione – quanto nell'ibridazione iconica di high & low. In uno sfoggio di potenza titanica, i suoi moderni telamoni non sorreggono il peso dell'architettura che li accoglie, ma
sono parte integrante di un tutto da cui cercano di liberarsi. Le violenze corporee imposte dalla materia si emancipano nei dettagli scultorei, dalle mani di Puglies, drammaticamente espressivi.
Un uomo che seppur divincolandosi da costrizioni e obblighi, nell'atto evidente di mostrare e dimostrare virilità e forza, rimane intrappolato nel suo status emotivo. Un eroe marveliano, prototipo reale di Xmen o di Mister Devil, che
cerca la sua rivincita nel mondo reale. Le porzioni di corpo che cercano evasione dal muro, componente installativa delle opere pensate da Pugliese, mettono a nudo l'atto ultimo dell'uomo di autofidarsi in un corpo a corpo alla pari.
I busti imponenti, le articolazioni contratte, le teste importanti compongono figure di odierne incarnazioni del mito di Sisifo, che interpretano metaforicamente l'assurdità del senso della vita. Il muro è origine e fine, ostacolo da infrangere
e ragione di essere. La contaminazione di Pugliese è “exploitation”, come è stato detto dalla critica cinematografa per il capolavoro di
Tarantino, ed è quello che fu il detournement dei Situazionisti prima e qui grossolanamente traducibile in iper-utilizzo
di icone, gusti, stili. La sfida è l'oggetto e il soggetto: fare della scultura il medium per veicolare la possibilità di una felice coesistenza tra classico e contemporaneo. È la tradizione che continua a farsi scrivere, non iniziando un nuovo libro, ma semplicemente aprendo un nuovo capitolo.
Come controllare all'edonismo sprigionato dalla virilità esplicita dei busti maschili, le donne di Pugliese sono nuotatrici abbandonate in una sospensione gravitazionale.
L'argilla lascia il posto al fluido riflesso dello stampo in alluminio. Padrone di una manualità da artigiano, Pugliese sperimenta materiali e tecniche per formulare linguaggi estetici che trascendono la pura dimostrazione di abilità. Più vicine alla metamorfosi tridimensionale di renderdizzazioni 3D, il cielo “Nuotatrici” si svuota di peso e galleggia
in una meta-spazio utopico. Jeff Koons aveva trasformato icone di personaggi famosi in statuette luccicanti e ironiche, mentre il quid di Pugliese è il superamento del sarcasmo degli anni '80: può la scultura smaterializzarsi, nella veste di un ologramma di un personaggio eroico-fumettistico, e diventare forma non ravitazionale?
Come il blob di mercurio liquido che trasforma l'androide Terminator in lama brancusiana o in manichino metallico, così le sinuose rotondità femminili si sciolgono in volumi orizzontali, a stravolgere secoli di slancio verticale, nel
tentativo di restituire un'immagine di esclusiva leggerezza. La coscienza dell'universo virutale cerca soluzione nella tradizione scultorea, in barba alla materia.
Altalenando riferimenti colti e popolari, tra ideali classici e illustrazione grafica, e a coronamento della consapevolezza di una stagione che consente l'ibridazione ed esige il confronto, c'è poi il ciclo dei “Custodi”. Queste
miniature (le dimensioni ricordano per certi versi l'oggettistica americana e nipponica conservata in musei d'archeologia o i modellini in scala da collezionista) di lottatori di sumo mascherati con armature di ogni genere e
foggia, sono l'altra faccia dell'esercito di terracotta dell'imperatore Quin.
Curati nei minimi dettali i piccolo guardiani di Pugliese riproducono nella fisiognomica e nelle loro corazze e uniformi, diverse provenienze e collocazioni geografiche: assiri, italici, saraceni, barbari, tutti dall'aria solenne e
minacciosa, tutti usciti da una storia personale di qualche cartoon di nuova e vecchia annata. Il mesto silensio dell'”ottava meravigli” del mausole composto dai 500 guerrieri di terracotta ritrovati a Xian, in Cina, è l'ennesima
traslazione concettuale e stilistica che con i suoi “Custodi” Matteo Pugliese arrischia, metafora di un tempo che deve
guardare al passato, misurarsi con il presente e saper evocare qualcosa che risiede, forse, nel futuro. Un gioco di rimandi che permette all'opera d'arte di assurgere a una dimensione atemporale, universale.
Gli eroi di oggi si confondono con quelli di ieri, protettori adesso come allora dello stesso antico tesorom che fu la tomba dell'imperatore a Xian e sono oggi tutti i mausolei personali rappresentanti dalle quattro mura di casa. Questi
custodi consapevoli e minacciosi sono le controfigure dei guerrieri, grevi, saldamente ancorati a terra, investiti del ruolo, seppur anacronistico, di protettori sacralli della realtà domestica. Ci sono poi gli animali di Pugliese: la tigre, la formica, la zebra, il cavallo. Queste sculture, al limite tra iperverismo e pop culutre, sono dirette secondo l'iconografia dei cartoon (è da ricordare che l'artista ha collaborato con società
licenziatarie dei personaggi della Walt Disney e della Warner Bros), e sono colme di una straordinaria carica autoironica che si mischia con l'austerità derivata dall'abc formale della statuaria equestre. La scultura contemporanea ha da fare i conti con la zattera della tradizione e con l'avvento di nuove tendenze che l'era
post-mediale ha inevitabilmente portato con sé. Aperta la strada della contaminazione lowbrow, il confronto con il passato deve erigersi su nuovi parametri che garantiscono alla sperimentazione il podio del successo. Prendendo in
prestito le parole di Michelangelo Pistoletto, “la scultura è discendenza, è l'anima moderna concettuale di una sostanza antica e spirituale, è il centro che assicura ogni frammento contro la dispersione totale”.
Nato a Milano nel 1961, la formazione artistica di Alfredo Rapetti risente del clima famigliare, dove da generazioni si respirano musica, letteratura, poesia. Giovanissimo, Rapetti è introdotto dal nonno materno, Alfredo De Pedrini, Presidente dell'Associazione Arti Grafiche, nell’ambiente artistico milanese, arrivando a maturare la passione per la pittura, alla quale si uniscono la formazione presso la scuola del Fumetto a Milano, le collaborazioni in ambito editoriale, mentre l'esercizio pittorico viene
sperimentato in diverse direzioni, destinate a confluire, nel 1996, nello studio degli artisti Alessandro Algardi e Mario Arlati che invitano Rapetti a condividere con loro la ricerca pittorica. Nell'atelier di Via Nota Rapetti lavora quattro intensi anni, arrivando a maturare l’esigenza di coniugare le sue due più grandi passioni: la scrittura e la pittura, intendendole quali visualizzazioni del processo mentale e
psicologico. Grazie ad una tecnica particolare, detta impuntura, l'azione del dipingere si fonde così con l'atto dello scrivere, e le parole iniziano ad essere segnate non solamente su fogli ma anche nelle tele. Segni, tracce, graffiti di un’umanità creativa e consapevole, le opere di Rapetti proseguono quell'ideale tragitto di una scrittura pittorica che tanto più è universale, quanto più sa frantumarsi e confrontarsi con
i secoli della storia dell'arte, dalle avanguardie storiche al concettuale, passando per le esperienze spazialiste di Lucio Fontana e le grafie astratte degli anni Cinquanta.
Trovata la forma espressiva congeniale alla sua poetica, fra la fine degli anni Novanta ed oggi è
davvero notevole l'attività espositiva, sia personale che collettiva, conseguita dall'artista, instancabile come la sua opera sempre in viaggio fra l'Italia e il resto del mondo: universale, appunto. Se tra le sedi
delle mostre collettive sono allora da ricordare il Museo della Permanente di Milano, nel 2002, il
Salon d'Automne Paris, Espace Charenton, nel mese di novembre 2004, nel solo 2006 sono da annoverare il Mosca Mar’s contemporary art museum, Palazzo Strozzi a Firenze, il Riga Foreign
Art Museum ed il Grand Palais di Parigi per la mostra “Comparaisons”; tra le personali sono da
citare la Galleria Cà d’Oro a Roma, nel 2003, la Fondazione KPMG di Berlino, nello stesso anno, la
Galleria Maretti Arte Monaco a Montecarlo e Villa Olmo a Como, nel 2004, L’Albergo delle Povere di Palermo, nel 2005, e l'anno successivo la Certosa di San Lorenzo a Padula, Salerno. Nel 2009
espone 80 opere al Palazzo della Ragione di Mantova. Nel 2010 con la Fondazione De Chirico
espone in tre prestigiosi Musei e Università Statunitensi, come la N.Y. University e il Museo di scultura di Santa Monica L.A. e tiene una personale alla Fondazione Mudima a Milano.
Docente presso il Centro Europeo di Toscolano e nelle Università dell’immagine di Milano e New
York, Rapetti è stato invitato a numerose conferenze e workshop: ricordiamo la sua relazione tenuta alla fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano, e l'insegnamento in occasione di Master dell’Università Cattolica di Milano.
Dal 2004 entra a far parte del gruppo internazionale “Signes et Traces”, fondato da Riccardo Licata; fra i premi, ricordiamo l'“Etoile” per la pittura della Provincia di Roma.
la sua opera sempre più coinvolge e suscita interessi e dibattiti, da Duccio Trombadori a Gianluca Ranzi, da Luciano Caprile a Maurizio Vanni, la critica più attenta ha saputo leggere in Alfredo Rapetti quella tensione costante ad una ricerca tesa fra Oriente e Occidente, fra preghiera e mantra, poesia e prosa; "naturale" punto di arrivo, o meglio di nuova partenza, è nel 2007 l'invito ad esporre alla 52° Biennale di Venezia, nel Padiglione della Repubblica Araba Siriana, in occasione della mostra "Sulle vie di Damasco" curata da Duccio Trombadori.
23
luglio 2011
Matteo Pugliese / Alfredo Rapetti – I Custodi della Serenità
Dal 23 luglio al 20 agosto 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA STUDIO’
Anacapri, Via San Nicola, 4, (Napoli)
Anacapri, Via San Nicola, 4, (Napoli)
Vernissage
23 Luglio 2011, h 19
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