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Marco Lavagetto – I posti che ho visto laggiù
Di grande correttezza formale, le foto di Lavagetto sono da inquadrarsi nel filone dell’indagine sul territorio, dall’ immensa provincia americana del mitico Walker Evans sino ai lavori sull’area urbana industriale di Gabriele Basilico degli anni ’80
Comunicato stampa
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A partire dagli ultimi decenni dell’ottocento, i paesaggisti inseriscono realisticamente nelle loro opere elementi dei primi insediamenti industriali, visti entusiasticamente come segni del trionfante progresso moderno. Ma nel novecento le vedute si frantumano e riducono lo spazio della percezione, a causa della dilagante intrusione del cemento che accompagna lo sviluppo delle fabbriche. Il paesaggio da cui i pittori traevano ispirazione non esiste più. Provate ad andare ad Arles e trovare un campo come quello dipinto da Van Gogh! Ritrarre il paesaggio contemporaneo, magari con i colori ad olio, diventa un’impresa impossibile anche psicologicamente. Resta la fotografia, che al di là di ogni pretesa di oggettività e di documentazione, può comunicarci qualcosa d’altro, un complesso miscuglio di impotenza rabbiosa e nostalgia di fronte a cose che avrebbero potuto aver sbocchi maggiormente controllati.
Di grande correttezza formale, le foto di Lavagetto sono da inquadrarsi nel filone dell’indagine sul territorio, dall’ immensa provincia americana del mitico Walker Evans sino ai lavori sull’area urbana industriale di Gabriele Basilico degli anni ’80. Le immagini di Lavagetto sono la presa di posizione di un genovese che ama la sua città e che si sente moralmente spinto a registrare il cambiamento drammatico provocato dallo scempio edilizio del novecento. La Genova delle fabbriche, isolate dal sistema abitativo che le circonda, tra blocchi di case e distributori in disuso, ciminiere e gasometri, diventa l’unico paesaggio contemporaneo su cui valga la pena di riflettere. Da un primo approccio di denuncia fotografica su alcuni edifici che, come lui stesso dice, “non riescono a farsi amare dalla gente o per un eccessivo grigiore o per una eccessiva invadenza concreta”, passa ad evidenziare i dati di fatto dello sviluppo architettonico-urbanistico di Genova, per approdare ad una dolente e poetica testimonianza delle periferie marcate dal degrado, dove non è più possibile ripristinare un qualsiasi aspetto del tessuto sociale preesistente. Non sono foto di catalogo archeologico della società industriale bensì vedute di strade desolate dove la prospettiva geometrica assume valenza metaforica, non facendo intravedere alcuna via di uscita, alcuna soluzione di continuità dello scempio. L’assenza di figure umane sottolinea l’odierno paesaggio urbano, fatto di ambienti abbandonati e spazi impossibili, dove abitano solitudine e rinuncia a qualsiasi riabilitazione.
L’intervento dell’artista sulle foto è minimo, limitato a coloriture bituminose, quasi a rendere le sensazioni tattili e corporee che ci possono provenire soltanto dalla percorrenza fisica di simili spazi, che la foto come mezzo meccanico non è in grado di restituire.
Di grande correttezza formale, le foto di Lavagetto sono da inquadrarsi nel filone dell’indagine sul territorio, dall’ immensa provincia americana del mitico Walker Evans sino ai lavori sull’area urbana industriale di Gabriele Basilico degli anni ’80. Le immagini di Lavagetto sono la presa di posizione di un genovese che ama la sua città e che si sente moralmente spinto a registrare il cambiamento drammatico provocato dallo scempio edilizio del novecento. La Genova delle fabbriche, isolate dal sistema abitativo che le circonda, tra blocchi di case e distributori in disuso, ciminiere e gasometri, diventa l’unico paesaggio contemporaneo su cui valga la pena di riflettere. Da un primo approccio di denuncia fotografica su alcuni edifici che, come lui stesso dice, “non riescono a farsi amare dalla gente o per un eccessivo grigiore o per una eccessiva invadenza concreta”, passa ad evidenziare i dati di fatto dello sviluppo architettonico-urbanistico di Genova, per approdare ad una dolente e poetica testimonianza delle periferie marcate dal degrado, dove non è più possibile ripristinare un qualsiasi aspetto del tessuto sociale preesistente. Non sono foto di catalogo archeologico della società industriale bensì vedute di strade desolate dove la prospettiva geometrica assume valenza metaforica, non facendo intravedere alcuna via di uscita, alcuna soluzione di continuità dello scempio. L’assenza di figure umane sottolinea l’odierno paesaggio urbano, fatto di ambienti abbandonati e spazi impossibili, dove abitano solitudine e rinuncia a qualsiasi riabilitazione.
L’intervento dell’artista sulle foto è minimo, limitato a coloriture bituminose, quasi a rendere le sensazioni tattili e corporee che ci possono provenire soltanto dalla percorrenza fisica di simili spazi, che la foto come mezzo meccanico non è in grado di restituire.
28
maggio 2011
Marco Lavagetto – I posti che ho visto laggiù
Dal 28 maggio all'undici giugno 2011
fotografia
Location
SATURA – PALAZZO STELLA
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Genova, Piazza Stella, 5/1, (Genova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 15.30 – 19
Vernissage
28 Maggio 2011, ore 17
Autore
Curatore