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Annabel Daou / Marco Maggi – Fuori dal caos tra intelligenza e bellezza
La Galleria OSART presenta, a Milano, il lavoro di due artisti cittadini del mondo, la libanese – americana Annabel Daou (Beirut, 1967) e l’uruguaiano di origini italiane, Marco Maggi (Montevideo, 1957).
Comunicato stampa
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FUORI DAL CAOS
TRA INTELLIGENZA E BELLEZZA
ANNABEL DAOU E MARCO MAGGI
a cura di Daniela Palazzoli
E la strada dov’è?
La strada la fai tu mentre cammini
I due artisti - la libanese americana Annabel Daou (Beirut, 1967) e l’uruguaiano, di origini italiane, Marco Maggi (Montevideo, 1957) - che l’Osart Gallery presenta a Milano con la mostra FUORI DAL CAOS fra intelligenza e bellezza sono entrambi cittadini del mondo abituati a vivere e a lavorare in molte nazioni ed in più di un continente. Questa consuetudine al nomadismo operativo e non turistico ha, fra le altre cose, affinato il loro orecchio a cogliere alcuni aspetti sostanziali degli sconvolgimenti in atto prodotti dalla globalizzazione. E la loro creatività è stata sollecitata in direzioni nuove, tese a fare fronte ad alcune delle storture – ed anche a potenziare alcune delle promesse di armonia e bellezza – implicite nelle dinamiche attuali. Questo fa di entrambi, ognuno a modo proprio, anche dei pionieri che esplorano, e cominciano a comunicarci creativamente, delle situazioni ancora inedite e poco studiate su alcuni degli effetti conseguenti alla ricerca di potere, di stabilità e di controllo messe in atto dai protagonisti dei nuovi sistemi. Poiché a modo nostro anche ognuno di noi è soggetto a queste pressioni, la possibilità di sporgersi sui risvolti di un presente futuro, in atto, ma non ancora percepibile in modo evidente, rende questi sprazzi di consapevolezza delle strategie prossime a venire – e dei loro antidoti - molto utile, oltre che affascinante.
Marco Maggi è ossessionato dalle tattiche utilizzate negli ultimi decenni dall’informazione dei mass media per sedare ed arginare emotivamente il susseguirsi di eventi, spesso drammatici, che ci vengono quotidianamente ammanniti. I media hanno infatti scoperto che delle dosi massicce di interpretazioni fast and furious sono sistemi assai più efficaci della censura e del silenzio stampa per anestetizzarci verso degli eventi reali che, al confronto, risultano assai meno sconvolgenti ed interessanti. E’ anche per questo che sia lui che Daou hanno infatti riscoperto il disegno, in contesti e stili nuovi. Infatti essi non lo intendono più come un progetto privato, quasi segreto, preliminare alla realizzazione di opere maggiori come accadeva in passato. Nel sempre più vasto panorama dei media a cui un artista ha accesso, esso viene praticato come un veicolo duttile e leggero, a cui un artista può accedere per esprimersi compiutamente, senza strafare né esagerare, ma rapidamente e con un forte impatto. Le opere di Maggi sono il prodotto della combinazione delle sue ormai celebri scritture indecifrabili – composte da stratificazioni di microsegni bi e tridimensionali – sopra materiali ed oggetti, dozzinali e di uso comune, da cui il suo sguardo e la sua mano da conoscitore fanno emergere sensazioni e finezze imprevedibili. Ce ne accorgiamo entrando in Osart Gallery dove, emergendo dal pavimento, ci accoglie subito un’installazione composta da novantotto risme di normale carta in formato A4, Hotbed 2011 (Blue, Red and Yellow shadows). Si tratta di uno dei suoi Hotbed (Focolaio), un termine che indica il ruolo strategico di questa piattaforma di carta nel diffondere il contagio destinato a coinvolgere le altre opere esposte. Nel nostro Hotbed 2011 (Blue, Red, and Yellow Shadows) il piano superiore è disseminato dall’incisione di piccoli tagli, intorno a cui la carta, emergendo verso l’esterno, forma delle piccole escrescenze plastiche tridimensionali. I filamenti che si alzano dal piano a montagnola, con la loro capricciosa delicatezza, ci fanno prendere coscienza del potenziale di piacere tattile di questa carta di uso comune, mentre nel contempo arricchiscono la superficie di imprevedibili giochi di ombre colorate. È così che finiamo per indugiare e dedicarci all’esplorazione delle forme che incontriamo. Ed è proprio questo che Maggi vuole, perché è da qui che scatta l’antidoto, vale a dire la ragion d’essere del suo operare, dal momento che queste forme e sensazioni attraenti “hanno lo scopo di allenare la nostra empatia per l’indecifrabile” (“training our empathy for the indeciphrable”) . L’attenzione per queste sorprese da scoprire e interpretare ci riscatta dagli effetti dello shock mediatico. Dai materiali industriali quotidiani ma dotati di qualità segrete che egli scova attraverso l’esplorazione dei negozi di tipo Wallmart nascono altre opere. Qui vediamo Aluminum, un foglio di alluminio da cui il gioco dei segni sa trarre bagliori ed animazione grafico luminose, sottolineate da cornicette da diapositive, sottratte da Maggi dal dimenticatoio degli oggetti ormai in disuso, per regalarci un ulteriore colpo di scena di super-low-raffinatezza fra l’ironico e il minimal. Drop e Plexi Line mettono a profitto le caratteristiche preziose del plexiglass, a cominciare dal suo potere di mantenimento della trasparenza anche quando si combina con spessori tridimensionali. Con Global Myopia, Maggi pratica in modo elegante il sabotaggio di uno specchio convesso, che permette di vedere immagini a grandangolo, rendendolo appunto miope al gioco ottico globale che esso pratica. Complete Coverage on Fontana rivela un altro aspetto importante delle strategie di Maggi: e cioè quello della parificazione oggettiva di base fra mass media e comunicazione artistica. Il ‘Fontana piece’ nasce infatti nell’ambito di una serie iniziata da Maggi a partire da capolavori – fra cui appunto un Fontana - della collezione di Ted Turner, il creatore della CNN. Giocando sul duplice significato della parola ‘cover’ - che in gergo giornalistico definisce ‘coprire’ come ‘rendere conto di un evento’, mentre in altro senso significa ‘nascondere’ – Maggi gioca a nascondino coi tagli di Fontana, su cui interviene con suoi tagli. Questi interventi micro-aggressivi ci ricordano che “lo scopo principale della informazione disfunzionale - mediatica - è nascondere sempre di nuovo la realtà dietro la scena” (The main goal of dysfunctional information is to withhold again and again reality behind the scene). Sul retro dell’opera possiamo però riscoprire la vera natura dei tagli di Maggi : con l’arte noi possiamo talvolta girare le carte e riscoprire le differenze fra i mass media e la reale natura delle cose.
Annabel Daou, da parte sua allude spesso al ‘Chaos’ – che è anche il titolo di una delle opere qui esposte - che lei simbolicamente identifica con vicende ed immagini legate alla costruzione della Torre di Babele. La costruzione della torre infatti segna il momento in cui gli esseri umani perdono l’intesa della comunione costituita da un’unica lingua, mentre la formazione di lingue diverse ci rende incapaci di comunicare gli uni con gli altri. Da lì si diramano gli spazi del fraintendimento prodotto dalla separazione dei linguaggi. Contemporaneamente, col moltiplicarsi delle lingue, si crea anche l’idea di un significato più delimitato ma più preciso, quello che presiede alla formazione degli stati nazionali. Essa è anche consapevole che non si tratta di un processo concluso. Anzi. A causa degli effetti della globalizzazione, e delle migrazioni diffuse che ne sono una delle concause, si dà il caso che oggi ci troviamo coinvolti nel processo opposto: le lingue mirano a ridursi e a ritornare – sia pure lentamente e con fatica - nell’alveo di un’unica lingua capace di accelerare i processi di interdipendenza e di assimilazione globale fra popoli e nazioni. Annabel Daou è ben consapevole della duplicità di questo lungo processo verso il futuro, di cui fra dubbi ed emozioni registra con tenacia gli esitanti sviluppi da libanese, nata a Beirut, e rimasta nella città durante la terribile guerra civile (“non c’erano rifugi a Beirut” ricorda sempre), mentre si emancipa dal passato. Per esempio nelle sue opere dedicate a ‘Babele’ Daou declina il nome in inglese, segnalando che ‘bab el’ pronunciato in arabico suona come la “porta di”. Quando lei scrive la ‘porta di’ (invece di babele), noi leggiamo un inglese scritto in arabo fonetico il che non ci dice niente, e l’inizio di un processo di scambio di scritture intraculturale e transnazionale risulta bloccato. Memory Hole fa parte di una serie di opere in cui lei voleva scrivere ma evitando ogni somiglianza con la poesia concreta che non c’entrava niente. Per farlo ogni volta che scriveva sul foglio una riga poi lo spostava, facendo ruotare la carta in modo da cambiare la forma, creando così un ‘buco di memoria’ che obnubilava tutto ciò che non era immediatamente visibile. In Wartorn, che significa distrutta dalla guerra (destroyed by war), sono le spiegazzature della carta stessa a definire e nascondere la parola ‘guerra’ attraverso la confusione fra la lingua scritta (il caos) e le ombre create dagli accartocciamenti del foglio. Jalousie/gelosia si riferisce al fatto di cercare di leggere fra le righe, di capire l’indecifrabile, ed anche, riferendosi all’ansia della gelosia, alla tantaliche contorsioni di chi ne soffre perché non riesce a vedere chiaramente, proprio mentre cerca di controllare gli eventi a fondo. In You killed me/ Tu mi hai ucciso nel rimettere insieme i frammenti di carta, Daou ha posto particolare attenzione agli spazi fra i pezzi di carta strappati e ricomposti, dal momento che le righe nere che separano i bianchi le evocano non solo la distanza fra l’artista e la carta, ma anche gli spazi che dividono le persone. Chiudiamo con i Repaired landscapes/Paesaggi riparati e cioè con paesaggi in cui la distruzione è parte sostanziale del processo di costruzione. Questo termine, che evoca anche l’idea di rifugio, di punto di riferimento a cui aggrapparsi per ritrovare la retta via, è un sostegno nella fatica creativa di rimettere costantemente assieme le cose, individuando i percorsi verso nuovi positivi dialoghi globali.
TRA INTELLIGENZA E BELLEZZA
ANNABEL DAOU E MARCO MAGGI
a cura di Daniela Palazzoli
E la strada dov’è?
La strada la fai tu mentre cammini
I due artisti - la libanese americana Annabel Daou (Beirut, 1967) e l’uruguaiano, di origini italiane, Marco Maggi (Montevideo, 1957) - che l’Osart Gallery presenta a Milano con la mostra FUORI DAL CAOS fra intelligenza e bellezza sono entrambi cittadini del mondo abituati a vivere e a lavorare in molte nazioni ed in più di un continente. Questa consuetudine al nomadismo operativo e non turistico ha, fra le altre cose, affinato il loro orecchio a cogliere alcuni aspetti sostanziali degli sconvolgimenti in atto prodotti dalla globalizzazione. E la loro creatività è stata sollecitata in direzioni nuove, tese a fare fronte ad alcune delle storture – ed anche a potenziare alcune delle promesse di armonia e bellezza – implicite nelle dinamiche attuali. Questo fa di entrambi, ognuno a modo proprio, anche dei pionieri che esplorano, e cominciano a comunicarci creativamente, delle situazioni ancora inedite e poco studiate su alcuni degli effetti conseguenti alla ricerca di potere, di stabilità e di controllo messe in atto dai protagonisti dei nuovi sistemi. Poiché a modo nostro anche ognuno di noi è soggetto a queste pressioni, la possibilità di sporgersi sui risvolti di un presente futuro, in atto, ma non ancora percepibile in modo evidente, rende questi sprazzi di consapevolezza delle strategie prossime a venire – e dei loro antidoti - molto utile, oltre che affascinante.
Marco Maggi è ossessionato dalle tattiche utilizzate negli ultimi decenni dall’informazione dei mass media per sedare ed arginare emotivamente il susseguirsi di eventi, spesso drammatici, che ci vengono quotidianamente ammanniti. I media hanno infatti scoperto che delle dosi massicce di interpretazioni fast and furious sono sistemi assai più efficaci della censura e del silenzio stampa per anestetizzarci verso degli eventi reali che, al confronto, risultano assai meno sconvolgenti ed interessanti. E’ anche per questo che sia lui che Daou hanno infatti riscoperto il disegno, in contesti e stili nuovi. Infatti essi non lo intendono più come un progetto privato, quasi segreto, preliminare alla realizzazione di opere maggiori come accadeva in passato. Nel sempre più vasto panorama dei media a cui un artista ha accesso, esso viene praticato come un veicolo duttile e leggero, a cui un artista può accedere per esprimersi compiutamente, senza strafare né esagerare, ma rapidamente e con un forte impatto. Le opere di Maggi sono il prodotto della combinazione delle sue ormai celebri scritture indecifrabili – composte da stratificazioni di microsegni bi e tridimensionali – sopra materiali ed oggetti, dozzinali e di uso comune, da cui il suo sguardo e la sua mano da conoscitore fanno emergere sensazioni e finezze imprevedibili. Ce ne accorgiamo entrando in Osart Gallery dove, emergendo dal pavimento, ci accoglie subito un’installazione composta da novantotto risme di normale carta in formato A4, Hotbed 2011 (Blue, Red and Yellow shadows). Si tratta di uno dei suoi Hotbed (Focolaio), un termine che indica il ruolo strategico di questa piattaforma di carta nel diffondere il contagio destinato a coinvolgere le altre opere esposte. Nel nostro Hotbed 2011 (Blue, Red, and Yellow Shadows) il piano superiore è disseminato dall’incisione di piccoli tagli, intorno a cui la carta, emergendo verso l’esterno, forma delle piccole escrescenze plastiche tridimensionali. I filamenti che si alzano dal piano a montagnola, con la loro capricciosa delicatezza, ci fanno prendere coscienza del potenziale di piacere tattile di questa carta di uso comune, mentre nel contempo arricchiscono la superficie di imprevedibili giochi di ombre colorate. È così che finiamo per indugiare e dedicarci all’esplorazione delle forme che incontriamo. Ed è proprio questo che Maggi vuole, perché è da qui che scatta l’antidoto, vale a dire la ragion d’essere del suo operare, dal momento che queste forme e sensazioni attraenti “hanno lo scopo di allenare la nostra empatia per l’indecifrabile” (“training our empathy for the indeciphrable”) . L’attenzione per queste sorprese da scoprire e interpretare ci riscatta dagli effetti dello shock mediatico. Dai materiali industriali quotidiani ma dotati di qualità segrete che egli scova attraverso l’esplorazione dei negozi di tipo Wallmart nascono altre opere. Qui vediamo Aluminum, un foglio di alluminio da cui il gioco dei segni sa trarre bagliori ed animazione grafico luminose, sottolineate da cornicette da diapositive, sottratte da Maggi dal dimenticatoio degli oggetti ormai in disuso, per regalarci un ulteriore colpo di scena di super-low-raffinatezza fra l’ironico e il minimal. Drop e Plexi Line mettono a profitto le caratteristiche preziose del plexiglass, a cominciare dal suo potere di mantenimento della trasparenza anche quando si combina con spessori tridimensionali. Con Global Myopia, Maggi pratica in modo elegante il sabotaggio di uno specchio convesso, che permette di vedere immagini a grandangolo, rendendolo appunto miope al gioco ottico globale che esso pratica. Complete Coverage on Fontana rivela un altro aspetto importante delle strategie di Maggi: e cioè quello della parificazione oggettiva di base fra mass media e comunicazione artistica. Il ‘Fontana piece’ nasce infatti nell’ambito di una serie iniziata da Maggi a partire da capolavori – fra cui appunto un Fontana - della collezione di Ted Turner, il creatore della CNN. Giocando sul duplice significato della parola ‘cover’ - che in gergo giornalistico definisce ‘coprire’ come ‘rendere conto di un evento’, mentre in altro senso significa ‘nascondere’ – Maggi gioca a nascondino coi tagli di Fontana, su cui interviene con suoi tagli. Questi interventi micro-aggressivi ci ricordano che “lo scopo principale della informazione disfunzionale - mediatica - è nascondere sempre di nuovo la realtà dietro la scena” (The main goal of dysfunctional information is to withhold again and again reality behind the scene). Sul retro dell’opera possiamo però riscoprire la vera natura dei tagli di Maggi : con l’arte noi possiamo talvolta girare le carte e riscoprire le differenze fra i mass media e la reale natura delle cose.
Annabel Daou, da parte sua allude spesso al ‘Chaos’ – che è anche il titolo di una delle opere qui esposte - che lei simbolicamente identifica con vicende ed immagini legate alla costruzione della Torre di Babele. La costruzione della torre infatti segna il momento in cui gli esseri umani perdono l’intesa della comunione costituita da un’unica lingua, mentre la formazione di lingue diverse ci rende incapaci di comunicare gli uni con gli altri. Da lì si diramano gli spazi del fraintendimento prodotto dalla separazione dei linguaggi. Contemporaneamente, col moltiplicarsi delle lingue, si crea anche l’idea di un significato più delimitato ma più preciso, quello che presiede alla formazione degli stati nazionali. Essa è anche consapevole che non si tratta di un processo concluso. Anzi. A causa degli effetti della globalizzazione, e delle migrazioni diffuse che ne sono una delle concause, si dà il caso che oggi ci troviamo coinvolti nel processo opposto: le lingue mirano a ridursi e a ritornare – sia pure lentamente e con fatica - nell’alveo di un’unica lingua capace di accelerare i processi di interdipendenza e di assimilazione globale fra popoli e nazioni. Annabel Daou è ben consapevole della duplicità di questo lungo processo verso il futuro, di cui fra dubbi ed emozioni registra con tenacia gli esitanti sviluppi da libanese, nata a Beirut, e rimasta nella città durante la terribile guerra civile (“non c’erano rifugi a Beirut” ricorda sempre), mentre si emancipa dal passato. Per esempio nelle sue opere dedicate a ‘Babele’ Daou declina il nome in inglese, segnalando che ‘bab el’ pronunciato in arabico suona come la “porta di”. Quando lei scrive la ‘porta di’ (invece di babele), noi leggiamo un inglese scritto in arabo fonetico il che non ci dice niente, e l’inizio di un processo di scambio di scritture intraculturale e transnazionale risulta bloccato. Memory Hole fa parte di una serie di opere in cui lei voleva scrivere ma evitando ogni somiglianza con la poesia concreta che non c’entrava niente. Per farlo ogni volta che scriveva sul foglio una riga poi lo spostava, facendo ruotare la carta in modo da cambiare la forma, creando così un ‘buco di memoria’ che obnubilava tutto ciò che non era immediatamente visibile. In Wartorn, che significa distrutta dalla guerra (destroyed by war), sono le spiegazzature della carta stessa a definire e nascondere la parola ‘guerra’ attraverso la confusione fra la lingua scritta (il caos) e le ombre create dagli accartocciamenti del foglio. Jalousie/gelosia si riferisce al fatto di cercare di leggere fra le righe, di capire l’indecifrabile, ed anche, riferendosi all’ansia della gelosia, alla tantaliche contorsioni di chi ne soffre perché non riesce a vedere chiaramente, proprio mentre cerca di controllare gli eventi a fondo. In You killed me/ Tu mi hai ucciso nel rimettere insieme i frammenti di carta, Daou ha posto particolare attenzione agli spazi fra i pezzi di carta strappati e ricomposti, dal momento che le righe nere che separano i bianchi le evocano non solo la distanza fra l’artista e la carta, ma anche gli spazi che dividono le persone. Chiudiamo con i Repaired landscapes/Paesaggi riparati e cioè con paesaggi in cui la distruzione è parte sostanziale del processo di costruzione. Questo termine, che evoca anche l’idea di rifugio, di punto di riferimento a cui aggrapparsi per ritrovare la retta via, è un sostegno nella fatica creativa di rimettere costantemente assieme le cose, individuando i percorsi verso nuovi positivi dialoghi globali.
26
maggio 2011
Annabel Daou / Marco Maggi – Fuori dal caos tra intelligenza e bellezza
Dal 26 maggio all'otto luglio 2011
arte contemporanea
Location
OSART GALLERY
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Milano, Corso Plebisciti, 12, (Milano)
Orario di apertura
Da lunedì a venerdì: h 14:30 - 19:00
Sabato e domenica su appuntamento.
Vernissage
26 Maggio 2011, h 18:30
Autore
Curatore