Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
05
luglio 2010
libri_fotografia La misura dello spazio (contrasto 2010)
Libri ed editoria
Il dibattito sui modi di esprimere la nozione di architettura attraverso la fotografia. La presentazione del libro alla Festa dell’Architettura romana. Uno spaccato della professione di comunicare lo spazio...
Comunicare
l’architettura attraverso la fotografia equivale all’espressione di un’arte
attraverso un’arte. Questo temerario spingersi in un intricato labirinto di
linguaggi costituisce il soggetto del volume La misura dello spazio: un ampio dibattito a distanza fra alcuni
protagonisti della fotografia italiana tessuto lungo il filo conduttore degli
interrogativi posti da Maria Letizia Gagliardi, docente presso la facoltà d’ingegneria
all’Università di Udine.
Il libro si presenta nella forma di una raccolta d’interviste,
una discussione potenziale, latente come un’immagine su pellicola. Durante la
lettura si può immaginare il dialogo tra i protagonisti prestando attenzione ai
differenti atteggiamenti manifestati da ogni interlocutore in ordine a temi
comuni. Ed è un confronto che si esplicita in occasione della presentazione
dell’opera in seno alla Festa dell’Architettura, prendendo vita attraverso le
parole di Marco Introini, Moreno Maggi e Marco Zanta, tre dei protagonisti interpellati. È la riprova di come non sia
possibile proporre una soluzione definitiva a problematiche che sfuggono ogni
tentativo di stabile collocazione in una struttura condivisa.
Il taglio dato da ciascuno al proprio lavoro è determinato
da approcci assolutamente individuali e legati alle singole personalità,
esperienze e formazioni. A questa variabilità nell’impostazione della
fotografia, che riserva l’ampio margine di movimento proprio dei sistemi
labili, si contrappone il progetto editoriale di Contrasto: solido, geometrico,
isostatico, che si manifesta come un organismo architettonico perfettamente
strutturato in tre sezioni in cui sono ospitate 26 interviste di 18 domande
ciascuna.
Maria
Letizia Gagliardi vuole sgombrare subito il campo da ogni tassonomia di genere
e si sbarazza già nell’introduzione della categoria “fotografia di architettura”,
binomio che assembla in effetti entità interdipendenti in cui l’architettura ha
bisogno della fotografia per comunicare se stessa e la fotografia usa l’architettura
per comunicare il proprio messaggio.
Non è più dunque “fotografia di architettura”, ma
piuttosto forse “fotografia nell’architettura” per definirne l’influenza e il
ruolo. Tanto che Giò Ponti nel ’32 arriverà a scrivere su Domus: “L’aberrazione fotografica è
gran parte del nostro apprendere visivo”.
Ecco allora che al cospetto dell’architettura la
fotografia assume alternativamente il compito di documentazione o di
interpretazione. La discriminante, secondo Maggi, è insita nella destinazione
funzionale della fotografia, laddove essa diventa strumento essenziale all’architetto
o al committente per mostrare al meglio un’opera. Lorenzo Mussi ricorda lo “stile documentario” già teorizzato da Walker
Evans negli anni ’30,
mentre altri intervistati scompaginano i termini di questa dicotomia
introducendo definizioni autonome: secondo Francesco Jodice la fotografia è “narrazione”, secondo Italo Zannier “trascrizione”, “traduzione”.
Definizioni diverse che non possono tuttavia sfuggire al
valore ultimo della fotografia d’architettura: la relazione instaurata con il
suo referente, con l’opera dell’ingegno. Relazione d’impatto culturale e
comunicativo: “Senza la fotografia, l’architettura moderna non sarebbe mai
stata accettata”,
scrive l’architetto Philip Morton
Shand nel ’34.
Impossibile allora non richiamare alla mente anche Walter Benjamin quando nel ‘35
definisce la ricezione dell’opera d’arte attraverso il duplice aspetto del suo
valore culturale ed espositivo.
Quando l’uomo scompare del tutto nella fotografia,
lasciando vuoto lo scenario architettonico, il valore espositivo diventa
nettamente superiore a quello culturale. Le strade deserte di Parigi riprese da
Eugene Atget agli inizi del secolo scorso
sembrano il luogo di un delitto che viene fotografato per cercare degli indizi.
Queste immagini sono attestazioni del processo storico e costituiscono la
conferma tangibile del noema enunciato da Roland Barthes: “È stato. Ciò che
io vedo si trovava lì, in quel luogo che si estende tra l’infinito ed il
soggetto”.
l’architettura attraverso la fotografia equivale all’espressione di un’arte
attraverso un’arte. Questo temerario spingersi in un intricato labirinto di
linguaggi costituisce il soggetto del volume La misura dello spazio: un ampio dibattito a distanza fra alcuni
protagonisti della fotografia italiana tessuto lungo il filo conduttore degli
interrogativi posti da Maria Letizia Gagliardi, docente presso la facoltà d’ingegneria
all’Università di Udine.
Il libro si presenta nella forma di una raccolta d’interviste,
una discussione potenziale, latente come un’immagine su pellicola. Durante la
lettura si può immaginare il dialogo tra i protagonisti prestando attenzione ai
differenti atteggiamenti manifestati da ogni interlocutore in ordine a temi
comuni. Ed è un confronto che si esplicita in occasione della presentazione
dell’opera in seno alla Festa dell’Architettura, prendendo vita attraverso le
parole di Marco Introini, Moreno Maggi e Marco Zanta, tre dei protagonisti interpellati. È la riprova di come non sia
possibile proporre una soluzione definitiva a problematiche che sfuggono ogni
tentativo di stabile collocazione in una struttura condivisa.
Il taglio dato da ciascuno al proprio lavoro è determinato
da approcci assolutamente individuali e legati alle singole personalità,
esperienze e formazioni. A questa variabilità nell’impostazione della
fotografia, che riserva l’ampio margine di movimento proprio dei sistemi
labili, si contrappone il progetto editoriale di Contrasto: solido, geometrico,
isostatico, che si manifesta come un organismo architettonico perfettamente
strutturato in tre sezioni in cui sono ospitate 26 interviste di 18 domande
ciascuna.
Maria
Letizia Gagliardi vuole sgombrare subito il campo da ogni tassonomia di genere
e si sbarazza già nell’introduzione della categoria “fotografia di architettura”,
binomio che assembla in effetti entità interdipendenti in cui l’architettura ha
bisogno della fotografia per comunicare se stessa e la fotografia usa l’architettura
per comunicare il proprio messaggio.
Non è più dunque “fotografia di architettura”, ma
piuttosto forse “fotografia nell’architettura” per definirne l’influenza e il
ruolo. Tanto che Giò Ponti nel ’32 arriverà a scrivere su Domus: “L’aberrazione fotografica è
gran parte del nostro apprendere visivo”.
Ecco allora che al cospetto dell’architettura la
fotografia assume alternativamente il compito di documentazione o di
interpretazione. La discriminante, secondo Maggi, è insita nella destinazione
funzionale della fotografia, laddove essa diventa strumento essenziale all’architetto
o al committente per mostrare al meglio un’opera. Lorenzo Mussi ricorda lo “stile documentario” già teorizzato da Walker
Evans negli anni ’30,
mentre altri intervistati scompaginano i termini di questa dicotomia
introducendo definizioni autonome: secondo Francesco Jodice la fotografia è “narrazione”, secondo Italo Zannier “trascrizione”, “traduzione”.
Definizioni diverse che non possono tuttavia sfuggire al
valore ultimo della fotografia d’architettura: la relazione instaurata con il
suo referente, con l’opera dell’ingegno. Relazione d’impatto culturale e
comunicativo: “Senza la fotografia, l’architettura moderna non sarebbe mai
stata accettata”,
scrive l’architetto Philip Morton
Shand nel ’34.
Impossibile allora non richiamare alla mente anche Walter Benjamin quando nel ‘35
definisce la ricezione dell’opera d’arte attraverso il duplice aspetto del suo
valore culturale ed espositivo.
Quando l’uomo scompare del tutto nella fotografia,
lasciando vuoto lo scenario architettonico, il valore espositivo diventa
nettamente superiore a quello culturale. Le strade deserte di Parigi riprese da
Eugene Atget agli inizi del secolo scorso
sembrano il luogo di un delitto che viene fotografato per cercare degli indizi.
Queste immagini sono attestazioni del processo storico e costituiscono la
conferma tangibile del noema enunciato da Roland Barthes: “È stato. Ciò che
io vedo si trovava lì, in quel luogo che si estende tra l’infinito ed il
soggetto”.
articoli correlati
A Roma la festa continua con l’architettura:
Index Urbis
Fotografia
e Bauhaus
Luigi
Ghirri a Napoli
alessandro iazeolla
la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli
Maria Letizia Gagliardi – La misura dello spazio. Fotografia
e architettura: conversazioni con i protagonisti
Contrasto, Roma 2010
Pagg. 303, € 21,90
ISBN 9788869652240
Info: la scheda dell’editore
[exibart]