Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Giorgio Laveri – Silent movie
Mac Mazzucchelli Art Consulting inaugura un progetto espositivo dedicato alle opere di uno dei protagonisti della scultura ceramica contemporanea.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sabato 14 maggio 2011 alle ore 18.00, nella suggestiva sede di via Luigi Riva 8 in Gallarate, con la mostra GIORGIO LAVERI. SILENT MOVIE, Mac Mazzucchelli Art Consulting inaugura un progetto espositivo dedicato alle opere di uno dei protagonisti della scultura ceramica contemporanea.
Una riflessione sull’esperienza plastica, che si sviluppa in un percorso di circa trenta opere, tutti pezzi unici, ordinata da Paolo Mazzucchelli, che vuole documentare un omaggio al cinema di Francis Ford Coppola e nell’occasione al celebre film “Il Padrino” con protagonisti Marlon Brando e un giovane Al Pacino.
Fulcro dell’evento una serie di fotogrammi, tratti dal film, impressi su lastre di ceramica a forma di pellicola e una ironica rivisitazione dell’oggetto cult del film stesso: la pistola.
Nel giorno del vernissage un gruppo di giovani amici del curatore “aggiungerà” alla mostra un tocco di revival con una spiritosa performance in abiti anni ’30. Un evento nell’evento!
Infine sarà presentato il catalogo che accompagna la mostra, con un testo di Mario Gerosa, caporedattore della rivista “AD Architectural Digest” e autore di monografie su registi come Terence Young e Robert Fuest.
Giorgio Laveri si occupa da anni di progetti legati al mondo del cinema. Ceramista ludico e irriverente, dissacratore dell’estetica plastificata, ha creato per questa circostanza alcune opere “giganti”, filo conduttore del suo lavoro.
Da qualche tempo Giorgio Laveri ferma la sua attenzione su oggetti comuni e commerciali appartenenti alla realtà urbana che lo circonda e, attraverso un’operazione di riproduzione ingrandita e impreziosita dal fascino degli smalti ceramici a gran fuoco, fornisce loro una nuova dignità. Oggetti defunzionalizzati, gonfiati, assemblati, reinterpretati che permettono all’artista di attraversare la barriera del quotidiano e di inneggiare a ciò che è talmente conosciuto da passare inosservato. In tal senso la provocazione significante degli oggetti ingigantiti, che sembra, in prima analisi, derivare da riferimenti al dadaismo duchampiano piuttosto che all’extraterritorialità scultorea di Claes Oldenburg o alle diverse declinazioni dei nouveaux realistes, per Giorgio Laveri diventa il tentativo di congiungere due opposti: da un lato porre la lente di ingrandimento sul quotidiano nella sua più comune e scontata accezione, dall’altro renderlo non convenzionale, porlo al centro dell’attenzione, restituirlo protagonista di una trasfigurazione artistica. Ogni oggetto preso in considerazione diventa per Laveri uno strumento di comunicazione e più precisamente di comunicazione sensuale: il soggetto, più che qualcosa di importante in sé, è un mezzo per coinvolgere e avvicinare chi guarda. E’ il desiderio di toccare e di essere toccato che interessa all’artista ligure, il quale enfatizza la presenza degli oggetti di consumo banale per renderli eccezionali attraverso l’uso di una materia estremamente sensoriale qual è la ceramica. Glamour, seduzione, tattilità sono tutti elementi che ben si sposano alle opere ceramiche di Laveri che non perde occasione per irridere e provocare lo spettatore.
“Silent Movie” è l’evento che porta a Gallarate per la seconda volta le opere di Giorgio Laveri, dopo l’esposizione del 2003 presso la GAM Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate nella mostra “Albisola Futurista”. Accanto alla nuova produzione si potrà infatti ammirare anche una selezione di importanti opere storiche che testimoniano il lungo percorso dell’artista.
E’ questo il primo di una serie di incontri curati dal marchio MAC, creato da Paolo Mazzucchelli, che lo vedrà impegnato in prima persona nella ricerca e promozione artistica sul territorio.
Ceramiche di celluloide
Le sculture di Giorgio Laveri raccontano la sua passione per il cinema, e lo fanno in diversi modi. C’è il modo più esplicito, quello della definizione di un mondo glamour e hollywoodiano, che si rappresenta in tante rilucenti ceramiche evocatrici- rossetti, penne stilografiche, pellicole-, dove a ogni oggetto corrisponde un ideale personaggio, dove a ogni rossetto corrisponde una diva, come quelle dei film di Fellini e di von Sternberg, a ogni stilografica un produttore, come quelli dei film degli anni ’40, e dove a ogni pellicola corrisponde una storia da inventare, come quelle che cercano quotidianamente tutti i sognatori.
Questa porzione dell’immaginario di Laveri riguarda più l’industria del cinema che il cinema come arte: osservando le lucenti stilografiche fuori scala ci si immagina subito potenti tycoon che firmano contratti miliardari seduti dietro le loro scrivanie infinite negli studios dell’epoca d’oro della settima arte. Passando in rassegna i rossetti da maliarde e da vamp, tutti diversi, tutti rilucenti nei loro smalti policromi, tutti statuari e idealmente profumati, pare di veder sfilare su un’immaginaria passerella tutte le dive di ieri e di oggi, presenze gigantesche, imponenti, che sovrastano il cinefilo seduto a bocca aperta sulla poltrona di velluto, estasiato a rimirare quelle labbra inarrivabili che ripassano una volta e un’altra ancora quei rossetti prima di andare in scena.
Sono scenari fantastici quelli evocati da Laveri con le sue ceramiche: mondi un po’ virtuali e molto glamour che fanno istantaneamente rimpicciolire lo spettatore, che, assunta una dimensione lillipuziana davanti alle ceramiche fuori scala, può finalmente rendersi conto di quanto piacere possa provocare un rinnovato stupore, lo stesso sincero stupore infantile che avevano gli spettatori più ingenui e più sinceri (anche verso loro stessi), che un tempo sognavano sfogliando Novelle Film, Grand Hotel e i tanti cineromanzi illustrati.
Laveri è un mago, o un prestigiatore, come preferite. Senza strani incantesimi, con una tecnica essenziale che rifugge da qualsiasi tipo di barocchismo, provoca immediati cambi di prospettive a scena aperta, senza mai ricorrere a trucchi artificiosi. Tutto avviene sotto ai vostri occhi, senza alcun inganno: basta un attimo perché si accetti di entrare nella dimensione che Laveri ha scelto preventivamente, che si accetti di entrare in quello spazio da Paese delle meraviglie, et voilà, il gioco è fatto, siete dall’altra parte, siete entrati nel gioco.
E’ stato detto che le ceramiche di Laveri sono ludiche, e in parte è vero. Ma soprattutto, ancor più che una dimensione giocosa, Giorgio Laveri mette in campo una dimensione coinvolgente, capace di strapparvi momentaneamente alle coordinate spazio-temporali della vita vera, e di trasportarvi per qualche istante nel suo mondo, facendovi accettare di buon grado le sue regole e le sue geometrie. In definitiva è un po’ quello che accade al cinema, dove tutto funziona in virtù di un patto stretto ad ogni proiezione tra il regista e lo spettatore. Quando si guarda un film, bisogna accettare di vivere la finzione, crederci, buttarsi a capofitto in quel mondo, lasciarsi andare senza rete e senza pregiudizi. La stessa fiducia richiedono le ceramiche di Laveri, che per attivare la loro carica immaginifica e innescare le memorie, e talvolta le nostalgie, di chi le guarda, hanno bisogno di una fiducia incondizionata nella forza del loro immaginario.
Quelle sculture sono lì per raccontare, per risvegliare la voglia di sognare, il desiderio di credere ancora alle favole da grandi, e non basta soltanto farsi piccoli piccoli per guardarle dal basso in alto e farsi stupire, bisogna anche crederci.
Sono sculture in cui si rinnova ogni volta la magia del cinema e quella dell’arte. Quella magia si replica negli statuari rossetti che possono aver accarezzato la bocca della Garbo di Grand Hotel come di Gene Tierney dei Misteri di Shanghai, che nulla hanno perso del loro smalto, e che non stonerebbero nei camerini delle dive del XXI secolo, a testimoniare la loro essenza fuori dal tempo, a dimostrare che non possono essere incasellati in alcuna categoria, che non sia quella della libera immaginazione.
La stessa alchimia prende forma con le penne stilografiche, con le pellicole, e con la pistola del Padrino, anch’essa proposta in un’esuberante versione fuori scala, come si conviene a un oggetto che nel ricordo, nella memoria affascinata, ha mutato le dimensioni, visto con gli occhi sgranati dell’entusiasmo degli esploratori delle grandi finzioni.
Ma dicevamo dei diversi modi con cui gli oggetti creati da Giorgio Laveri raccontano l’amore incondizionato per il cinema e i suoi miti. Un modo consiste nello straniamento, nel provocare ad arte lo stupore, un altro nell’entrare direttamente nelle dinamiche del fare cinema, non del cinema da vedere, ma in quello da realizzare.
Giorgio Laveri ha una lunga pratica in ambito cinematografico: è anche regista e conosce tutti i trucchi del mestiere. Soprattutto ha buona dimestichezza con i movimenti di macchina e con le ottiche, e questa padronanza del mestiere di regista l’ha trasferita ancora una volta alle sue ceramiche, per creare un ulteriore incantesimo.
Le stesse sculture che ci hanno fatto sognare nelle vesti di spettatori attoniti di fronte allo spettacolo degli immarcescibili miti hollywoodiani, ora le possiamo vivere come se facessero parte di un film, e noi con loro. I repentini cambi di scala delle ceramiche di Laveri, i rossetti piccoli, quelli grandi, quelli enormi, fanno pensare a un carrello, o forse anche a un dolly, la pistola del Padrino ora appare come deformata da un grandangolo, le pellicole impressionate sembrano vivere esse stesse nel laboratorio della truka, in un continuo e irresistibile gioco di specchi, dove alla fine non si sa più dove ci si trovi, se dentro o fuori, se in un mondo o nell’altro, se si guardi il film da spettatori o se invece si sia guardati.
L’incantesimo di Laveri ancora una volta ha preso forma. E la cosa più straordinaria è che si è realizzato con semplicità, quella che solo i più abili manipolatori dell’immaginario sanno raggiungere.
Mario Gerosa
Una riflessione sull’esperienza plastica, che si sviluppa in un percorso di circa trenta opere, tutti pezzi unici, ordinata da Paolo Mazzucchelli, che vuole documentare un omaggio al cinema di Francis Ford Coppola e nell’occasione al celebre film “Il Padrino” con protagonisti Marlon Brando e un giovane Al Pacino.
Fulcro dell’evento una serie di fotogrammi, tratti dal film, impressi su lastre di ceramica a forma di pellicola e una ironica rivisitazione dell’oggetto cult del film stesso: la pistola.
Nel giorno del vernissage un gruppo di giovani amici del curatore “aggiungerà” alla mostra un tocco di revival con una spiritosa performance in abiti anni ’30. Un evento nell’evento!
Infine sarà presentato il catalogo che accompagna la mostra, con un testo di Mario Gerosa, caporedattore della rivista “AD Architectural Digest” e autore di monografie su registi come Terence Young e Robert Fuest.
Giorgio Laveri si occupa da anni di progetti legati al mondo del cinema. Ceramista ludico e irriverente, dissacratore dell’estetica plastificata, ha creato per questa circostanza alcune opere “giganti”, filo conduttore del suo lavoro.
Da qualche tempo Giorgio Laveri ferma la sua attenzione su oggetti comuni e commerciali appartenenti alla realtà urbana che lo circonda e, attraverso un’operazione di riproduzione ingrandita e impreziosita dal fascino degli smalti ceramici a gran fuoco, fornisce loro una nuova dignità. Oggetti defunzionalizzati, gonfiati, assemblati, reinterpretati che permettono all’artista di attraversare la barriera del quotidiano e di inneggiare a ciò che è talmente conosciuto da passare inosservato. In tal senso la provocazione significante degli oggetti ingigantiti, che sembra, in prima analisi, derivare da riferimenti al dadaismo duchampiano piuttosto che all’extraterritorialità scultorea di Claes Oldenburg o alle diverse declinazioni dei nouveaux realistes, per Giorgio Laveri diventa il tentativo di congiungere due opposti: da un lato porre la lente di ingrandimento sul quotidiano nella sua più comune e scontata accezione, dall’altro renderlo non convenzionale, porlo al centro dell’attenzione, restituirlo protagonista di una trasfigurazione artistica. Ogni oggetto preso in considerazione diventa per Laveri uno strumento di comunicazione e più precisamente di comunicazione sensuale: il soggetto, più che qualcosa di importante in sé, è un mezzo per coinvolgere e avvicinare chi guarda. E’ il desiderio di toccare e di essere toccato che interessa all’artista ligure, il quale enfatizza la presenza degli oggetti di consumo banale per renderli eccezionali attraverso l’uso di una materia estremamente sensoriale qual è la ceramica. Glamour, seduzione, tattilità sono tutti elementi che ben si sposano alle opere ceramiche di Laveri che non perde occasione per irridere e provocare lo spettatore.
“Silent Movie” è l’evento che porta a Gallarate per la seconda volta le opere di Giorgio Laveri, dopo l’esposizione del 2003 presso la GAM Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate nella mostra “Albisola Futurista”. Accanto alla nuova produzione si potrà infatti ammirare anche una selezione di importanti opere storiche che testimoniano il lungo percorso dell’artista.
E’ questo il primo di una serie di incontri curati dal marchio MAC, creato da Paolo Mazzucchelli, che lo vedrà impegnato in prima persona nella ricerca e promozione artistica sul territorio.
Ceramiche di celluloide
Le sculture di Giorgio Laveri raccontano la sua passione per il cinema, e lo fanno in diversi modi. C’è il modo più esplicito, quello della definizione di un mondo glamour e hollywoodiano, che si rappresenta in tante rilucenti ceramiche evocatrici- rossetti, penne stilografiche, pellicole-, dove a ogni oggetto corrisponde un ideale personaggio, dove a ogni rossetto corrisponde una diva, come quelle dei film di Fellini e di von Sternberg, a ogni stilografica un produttore, come quelli dei film degli anni ’40, e dove a ogni pellicola corrisponde una storia da inventare, come quelle che cercano quotidianamente tutti i sognatori.
Questa porzione dell’immaginario di Laveri riguarda più l’industria del cinema che il cinema come arte: osservando le lucenti stilografiche fuori scala ci si immagina subito potenti tycoon che firmano contratti miliardari seduti dietro le loro scrivanie infinite negli studios dell’epoca d’oro della settima arte. Passando in rassegna i rossetti da maliarde e da vamp, tutti diversi, tutti rilucenti nei loro smalti policromi, tutti statuari e idealmente profumati, pare di veder sfilare su un’immaginaria passerella tutte le dive di ieri e di oggi, presenze gigantesche, imponenti, che sovrastano il cinefilo seduto a bocca aperta sulla poltrona di velluto, estasiato a rimirare quelle labbra inarrivabili che ripassano una volta e un’altra ancora quei rossetti prima di andare in scena.
Sono scenari fantastici quelli evocati da Laveri con le sue ceramiche: mondi un po’ virtuali e molto glamour che fanno istantaneamente rimpicciolire lo spettatore, che, assunta una dimensione lillipuziana davanti alle ceramiche fuori scala, può finalmente rendersi conto di quanto piacere possa provocare un rinnovato stupore, lo stesso sincero stupore infantile che avevano gli spettatori più ingenui e più sinceri (anche verso loro stessi), che un tempo sognavano sfogliando Novelle Film, Grand Hotel e i tanti cineromanzi illustrati.
Laveri è un mago, o un prestigiatore, come preferite. Senza strani incantesimi, con una tecnica essenziale che rifugge da qualsiasi tipo di barocchismo, provoca immediati cambi di prospettive a scena aperta, senza mai ricorrere a trucchi artificiosi. Tutto avviene sotto ai vostri occhi, senza alcun inganno: basta un attimo perché si accetti di entrare nella dimensione che Laveri ha scelto preventivamente, che si accetti di entrare in quello spazio da Paese delle meraviglie, et voilà, il gioco è fatto, siete dall’altra parte, siete entrati nel gioco.
E’ stato detto che le ceramiche di Laveri sono ludiche, e in parte è vero. Ma soprattutto, ancor più che una dimensione giocosa, Giorgio Laveri mette in campo una dimensione coinvolgente, capace di strapparvi momentaneamente alle coordinate spazio-temporali della vita vera, e di trasportarvi per qualche istante nel suo mondo, facendovi accettare di buon grado le sue regole e le sue geometrie. In definitiva è un po’ quello che accade al cinema, dove tutto funziona in virtù di un patto stretto ad ogni proiezione tra il regista e lo spettatore. Quando si guarda un film, bisogna accettare di vivere la finzione, crederci, buttarsi a capofitto in quel mondo, lasciarsi andare senza rete e senza pregiudizi. La stessa fiducia richiedono le ceramiche di Laveri, che per attivare la loro carica immaginifica e innescare le memorie, e talvolta le nostalgie, di chi le guarda, hanno bisogno di una fiducia incondizionata nella forza del loro immaginario.
Quelle sculture sono lì per raccontare, per risvegliare la voglia di sognare, il desiderio di credere ancora alle favole da grandi, e non basta soltanto farsi piccoli piccoli per guardarle dal basso in alto e farsi stupire, bisogna anche crederci.
Sono sculture in cui si rinnova ogni volta la magia del cinema e quella dell’arte. Quella magia si replica negli statuari rossetti che possono aver accarezzato la bocca della Garbo di Grand Hotel come di Gene Tierney dei Misteri di Shanghai, che nulla hanno perso del loro smalto, e che non stonerebbero nei camerini delle dive del XXI secolo, a testimoniare la loro essenza fuori dal tempo, a dimostrare che non possono essere incasellati in alcuna categoria, che non sia quella della libera immaginazione.
La stessa alchimia prende forma con le penne stilografiche, con le pellicole, e con la pistola del Padrino, anch’essa proposta in un’esuberante versione fuori scala, come si conviene a un oggetto che nel ricordo, nella memoria affascinata, ha mutato le dimensioni, visto con gli occhi sgranati dell’entusiasmo degli esploratori delle grandi finzioni.
Ma dicevamo dei diversi modi con cui gli oggetti creati da Giorgio Laveri raccontano l’amore incondizionato per il cinema e i suoi miti. Un modo consiste nello straniamento, nel provocare ad arte lo stupore, un altro nell’entrare direttamente nelle dinamiche del fare cinema, non del cinema da vedere, ma in quello da realizzare.
Giorgio Laveri ha una lunga pratica in ambito cinematografico: è anche regista e conosce tutti i trucchi del mestiere. Soprattutto ha buona dimestichezza con i movimenti di macchina e con le ottiche, e questa padronanza del mestiere di regista l’ha trasferita ancora una volta alle sue ceramiche, per creare un ulteriore incantesimo.
Le stesse sculture che ci hanno fatto sognare nelle vesti di spettatori attoniti di fronte allo spettacolo degli immarcescibili miti hollywoodiani, ora le possiamo vivere come se facessero parte di un film, e noi con loro. I repentini cambi di scala delle ceramiche di Laveri, i rossetti piccoli, quelli grandi, quelli enormi, fanno pensare a un carrello, o forse anche a un dolly, la pistola del Padrino ora appare come deformata da un grandangolo, le pellicole impressionate sembrano vivere esse stesse nel laboratorio della truka, in un continuo e irresistibile gioco di specchi, dove alla fine non si sa più dove ci si trovi, se dentro o fuori, se in un mondo o nell’altro, se si guardi il film da spettatori o se invece si sia guardati.
L’incantesimo di Laveri ancora una volta ha preso forma. E la cosa più straordinaria è che si è realizzato con semplicità, quella che solo i più abili manipolatori dell’immaginario sanno raggiungere.
Mario Gerosa
14
maggio 2011
Giorgio Laveri – Silent movie
Dal 14 maggio al 04 giugno 2011
arti decorative e industriali
Location
MAC TEMPORARY GALLERY
Gallarate, Via Luigi Riva, 8, (Varese)
Gallarate, Via Luigi Riva, 8, (Varese)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì 14,30-19,30; sabato 10,00-19,30
Vernissage
14 Maggio 2011, ore 18
Autore
Curatore