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Raffaella Campolieti – Icone
Segnoperenne, in collaborazione con Spazio Illimitè di Mestre, presenta la personale della pittrice Raffaella Campolieti, a cura di Gaetano Salerno.
Comunicato stampa
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Segnoperenne, in collaborazione con Spazio Illimitè di Mestre, presenta venerdì 15 aprile 2011, alle ore 18.30, presso lo spazio espositivo di Via Ospedale 53, Icone, personale della pittrice Raffaella Campolieti, a cura di Gaetano Salerno.
Verrà presentata in occasione dell’appuntamento mestrino una serie di sedici ritratti recenti, alcuni inediti, realizzati dalla pittrice di origine napoletana ma da anni residente nel veneziano, dedicati a personaggi passati e presenti, gay dichiarati, divenuti – nel solco di quell’establishement socio-culturale che assicura, attraverso il potere conferito dalla trasversalità della comunicazione, la gloria atemporale dell’immortalità mass-mediatica – icone dello spettacolo, del cinema, della musica, della cultura ed espressioni del bel vivere in genere.
Apparentemente omaggio a simboli “sacri” dell’era del voyeurismo esasperato e del popolo della mondanità celebrato dai rotocalchi rosa, i lavori di Raffaella Campolieti si rivelano invece, ad un’analisi più accorta, profonde digressioni concettuali ed emozionali nei risvolti psicologici della sfera umana, alla ricerca di inquietudini gelosamente serbate dall’imperturbabilità di volti superficialmente sereni ma più realisticamente scalfite da latenti pregiudizi di una società ancora profondamente omofoba, puritana e colpevolizzatrice.
Con l’approccio informale e asciutto, privo di debordanti decorativismi e leziosità descrittive, divenuto ormai cifra stilistica dell’artista, Raffaella Campolieti isola, dei personaggi invitati a popolare questa inusuale, monotematica e accattivante galleria, gli occhi e gli sguardi, elevandoli al ruolo di punctum narrativo di ogni singolo lavoro e circoscrivendo porzioni di mondo al perimetro del loro guardare e del loro scrutare.
Fedele all’idea che gli occhi siano lo specchio di anime sempre più massificate ed annullate dalla cultura contemporanea del presenzialismo esasperato nel quale ci occultiamo piuttosto che evidenziarci, nel quale la nostra consistenza si estingue con rassegnazione, nel quale attraverso la condivisione della nostra immagine moltiplicata esponenzialmente cerchiamo approvazione rivelando invece, con sempre maggiore difficoltà, le vere peculiarità delle nostre essenze incapaci di attimi introspettivi di redenzione, l’opera della pittrice ben svela, attraverso il gioco panottico del vedere per essere visti, le peculiarità e le sfaccettature della nostra realtà odierna.
Incrociamo il nostro intenso guardare con quello altrettanto intenso di questi personaggi dai tratti familiari intuendo l’essere gay come dato accidentale e logico di un vivere animato dal super-io che tutti vorremmo possedere, evitando così di scomodare clandestinamente presunti parossismi di personalità eccessive desiderose di plasmare il mondo o di esserne guida, aggirando gli stereotipi sociali, per finire col trovare il dato terreno e sentirci a loro prossimi e complici, per quanto separati da una rispettosa distanza imposta dall’artista che struttura atmosfere ombreggiate e sfuma figure tangibili, lasciando solo supporre inquietudini e fragilità intellettuali.
Sguardi appoggiati, sfuggenti e distolti che accettano con rassegnazione il loro divenire fulcro delle nostre attenzioni e, colti di sorpresa, negano con consapevole leggerezza la regola prima del ritratto (soggetto, giammai oggetto) che guarda sapendo di essere guardato.
Sembra qui venir meno anche l’intento celebrativo insito nel topos pittorico del ritratto, in virtù di una nuova forma di azione indagativa che evidenzia le assenze, le discese inesorabili nel dedalo infinito di scelte esistenziali non ridotte qui ad una mera mercificazione di carne e di ossa quanto piuttosto alla riscoperta dell’ essere e dell’ idea (o piuttosto al passaggio dell’ essere a idea) che si inverano accidentalmente in strutture umane; ribaltando il punto di vista comune con la sola evocazione del loro rapido e discreto passaggio, forniscono all’occhio pittorico l’energia radiante della visione, la cui schiettezza riabilita la loro e la nostra natura.
I personaggi lineari ed essenziali, tracciati a mezzobusto, talvolta frontali, raramente rappresentati di tre-quarti, posti al centro del palco, si palesano a noi con sguardo leggero e distante, evocativo di parole che mai intenderemo pronunciare, concedendoci soltanto la pura essenza della loro concretezza, prima di diventare ricordo ed abbandonare la tela; si percepisce così l’umana comprensione e l’interesse alla conoscenza di una dimensione privata mai villipesa, mai violata, anche quando è la loro diversità (rispetto ai canoni di una società eterosessuale che ancora oggi, con arroganza, si appella a inesistenti principi di normalità spacciati per assiomi) ad essere illuminata dai riflettori.
I volti resi immobili eppure così eloquenti dal tocco di pennello di Raffaella Campolieti, sono accesi da colori acrilici mai eccessivi, individuati e sottolineati da linee tenui che delimitano senza imprigionare i loro animi nobili e ne sottolinaneno le preziosità fisiognomiche con decisione senza mai tuttavia tendere alla rappresentazione mimetica, rifuggendo così la freddezza dell’oggettività fotografica.
Figure isolate da sfondi monocrome, valorizzate dal tono minimale del supporto cartaceo sul quale si stagliano nitide, narrano con intuizioni mimiche fatti concreti la cui vitalità è dichiarata dalla saldezza dei loro contorni, dai contenuti nei quali possiamo intravedere noi stessi, riverberati da superfici riflettenti non appannate, anzi esaltate, dalla materia pittorica che amplifica e approfondisce il loro intersecare, almeno per un momento, le nostre vite.
Raffaella Campolieti riscrive una storia dell’occhio evitando sia di sconfinare nella citazione di genere sia di perdere vigore affrontando lo stereotipo; prescinde da peculiarità fisiognomiche, rinuncia ad elementi intrinsechi dello status portrait e colloca i soggetti sul baratro esistenziale in cui l’eccessività dell’icona si contrappone fortemente al suo dissolvimento; le sembianze si configurano per apparire e per costituire un lungo filo narrativo in cui ogni costrutto si interseca al successivo, compensando nell’insieme la soggettiva avarizia di dettagli, le ritrosie espositive, fino a tessere un romanzo musivo - tassello dopo tassello - più credibile delle immagini distorte che il mondo, al di fuori della pittura, continua a produrre.
Nell’impulso di non sottrarsi agli sguardi si individua la primigenia attitudine umana all’autoaffermazione e all’autoidentificazione (attestazione di presenza) come compensazione alla pochezza di un Io martoriato dai luoghi comuni, svilito dal punto di vista pregiudiziale.
Volti evocati da nomi ingombranti si offrono qui a nuove interpretazioni; stanchi di passare di mano in mano alla stregua di oggetti in mostra, instaurano scambi dialettici proprio nella migrazione psicologica che si stabilisce tra occhio e occhio e che, riversandosi poi con la stessa virulenza nelle profondità dell’animo collettivo, dimentica la fonte iniziale di questo sentimentalismo empatico, sostituisce l’immagine all’immaginazione e deforma l’origine dell’ispirazione senza tuttavia abbandonarla, finendo con il ritrovare nella pittura, nella dimensione protetta e delimitante della cornice, l’individuale spinta ad esistere.
L’artista sarà presente durante la vernice, introdotta da Sergio Frigo (Il Gazzettino).
Intervento critico a cura di Gaetano Salerno.
Verrà presentata in occasione dell’appuntamento mestrino una serie di sedici ritratti recenti, alcuni inediti, realizzati dalla pittrice di origine napoletana ma da anni residente nel veneziano, dedicati a personaggi passati e presenti, gay dichiarati, divenuti – nel solco di quell’establishement socio-culturale che assicura, attraverso il potere conferito dalla trasversalità della comunicazione, la gloria atemporale dell’immortalità mass-mediatica – icone dello spettacolo, del cinema, della musica, della cultura ed espressioni del bel vivere in genere.
Apparentemente omaggio a simboli “sacri” dell’era del voyeurismo esasperato e del popolo della mondanità celebrato dai rotocalchi rosa, i lavori di Raffaella Campolieti si rivelano invece, ad un’analisi più accorta, profonde digressioni concettuali ed emozionali nei risvolti psicologici della sfera umana, alla ricerca di inquietudini gelosamente serbate dall’imperturbabilità di volti superficialmente sereni ma più realisticamente scalfite da latenti pregiudizi di una società ancora profondamente omofoba, puritana e colpevolizzatrice.
Con l’approccio informale e asciutto, privo di debordanti decorativismi e leziosità descrittive, divenuto ormai cifra stilistica dell’artista, Raffaella Campolieti isola, dei personaggi invitati a popolare questa inusuale, monotematica e accattivante galleria, gli occhi e gli sguardi, elevandoli al ruolo di punctum narrativo di ogni singolo lavoro e circoscrivendo porzioni di mondo al perimetro del loro guardare e del loro scrutare.
Fedele all’idea che gli occhi siano lo specchio di anime sempre più massificate ed annullate dalla cultura contemporanea del presenzialismo esasperato nel quale ci occultiamo piuttosto che evidenziarci, nel quale la nostra consistenza si estingue con rassegnazione, nel quale attraverso la condivisione della nostra immagine moltiplicata esponenzialmente cerchiamo approvazione rivelando invece, con sempre maggiore difficoltà, le vere peculiarità delle nostre essenze incapaci di attimi introspettivi di redenzione, l’opera della pittrice ben svela, attraverso il gioco panottico del vedere per essere visti, le peculiarità e le sfaccettature della nostra realtà odierna.
Incrociamo il nostro intenso guardare con quello altrettanto intenso di questi personaggi dai tratti familiari intuendo l’essere gay come dato accidentale e logico di un vivere animato dal super-io che tutti vorremmo possedere, evitando così di scomodare clandestinamente presunti parossismi di personalità eccessive desiderose di plasmare il mondo o di esserne guida, aggirando gli stereotipi sociali, per finire col trovare il dato terreno e sentirci a loro prossimi e complici, per quanto separati da una rispettosa distanza imposta dall’artista che struttura atmosfere ombreggiate e sfuma figure tangibili, lasciando solo supporre inquietudini e fragilità intellettuali.
Sguardi appoggiati, sfuggenti e distolti che accettano con rassegnazione il loro divenire fulcro delle nostre attenzioni e, colti di sorpresa, negano con consapevole leggerezza la regola prima del ritratto (soggetto, giammai oggetto) che guarda sapendo di essere guardato.
Sembra qui venir meno anche l’intento celebrativo insito nel topos pittorico del ritratto, in virtù di una nuova forma di azione indagativa che evidenzia le assenze, le discese inesorabili nel dedalo infinito di scelte esistenziali non ridotte qui ad una mera mercificazione di carne e di ossa quanto piuttosto alla riscoperta dell’ essere e dell’ idea (o piuttosto al passaggio dell’ essere a idea) che si inverano accidentalmente in strutture umane; ribaltando il punto di vista comune con la sola evocazione del loro rapido e discreto passaggio, forniscono all’occhio pittorico l’energia radiante della visione, la cui schiettezza riabilita la loro e la nostra natura.
I personaggi lineari ed essenziali, tracciati a mezzobusto, talvolta frontali, raramente rappresentati di tre-quarti, posti al centro del palco, si palesano a noi con sguardo leggero e distante, evocativo di parole che mai intenderemo pronunciare, concedendoci soltanto la pura essenza della loro concretezza, prima di diventare ricordo ed abbandonare la tela; si percepisce così l’umana comprensione e l’interesse alla conoscenza di una dimensione privata mai villipesa, mai violata, anche quando è la loro diversità (rispetto ai canoni di una società eterosessuale che ancora oggi, con arroganza, si appella a inesistenti principi di normalità spacciati per assiomi) ad essere illuminata dai riflettori.
I volti resi immobili eppure così eloquenti dal tocco di pennello di Raffaella Campolieti, sono accesi da colori acrilici mai eccessivi, individuati e sottolineati da linee tenui che delimitano senza imprigionare i loro animi nobili e ne sottolinaneno le preziosità fisiognomiche con decisione senza mai tuttavia tendere alla rappresentazione mimetica, rifuggendo così la freddezza dell’oggettività fotografica.
Figure isolate da sfondi monocrome, valorizzate dal tono minimale del supporto cartaceo sul quale si stagliano nitide, narrano con intuizioni mimiche fatti concreti la cui vitalità è dichiarata dalla saldezza dei loro contorni, dai contenuti nei quali possiamo intravedere noi stessi, riverberati da superfici riflettenti non appannate, anzi esaltate, dalla materia pittorica che amplifica e approfondisce il loro intersecare, almeno per un momento, le nostre vite.
Raffaella Campolieti riscrive una storia dell’occhio evitando sia di sconfinare nella citazione di genere sia di perdere vigore affrontando lo stereotipo; prescinde da peculiarità fisiognomiche, rinuncia ad elementi intrinsechi dello status portrait e colloca i soggetti sul baratro esistenziale in cui l’eccessività dell’icona si contrappone fortemente al suo dissolvimento; le sembianze si configurano per apparire e per costituire un lungo filo narrativo in cui ogni costrutto si interseca al successivo, compensando nell’insieme la soggettiva avarizia di dettagli, le ritrosie espositive, fino a tessere un romanzo musivo - tassello dopo tassello - più credibile delle immagini distorte che il mondo, al di fuori della pittura, continua a produrre.
Nell’impulso di non sottrarsi agli sguardi si individua la primigenia attitudine umana all’autoaffermazione e all’autoidentificazione (attestazione di presenza) come compensazione alla pochezza di un Io martoriato dai luoghi comuni, svilito dal punto di vista pregiudiziale.
Volti evocati da nomi ingombranti si offrono qui a nuove interpretazioni; stanchi di passare di mano in mano alla stregua di oggetti in mostra, instaurano scambi dialettici proprio nella migrazione psicologica che si stabilisce tra occhio e occhio e che, riversandosi poi con la stessa virulenza nelle profondità dell’animo collettivo, dimentica la fonte iniziale di questo sentimentalismo empatico, sostituisce l’immagine all’immaginazione e deforma l’origine dell’ispirazione senza tuttavia abbandonarla, finendo con il ritrovare nella pittura, nella dimensione protetta e delimitante della cornice, l’individuale spinta ad esistere.
L’artista sarà presente durante la vernice, introdotta da Sergio Frigo (Il Gazzettino).
Intervento critico a cura di Gaetano Salerno.
15
aprile 2011
Raffaella Campolieti – Icone
Dal 15 aprile al 12 maggio 2011
arte contemporanea
Location
SPAZIO ILLIMITE’
Venezia, Via Ospedale, 53, (Venezia)
Venezia, Via Ospedale, 53, (Venezia)
Orario di apertura
da lunedì a sabato, ore 9.30 -12.30 e 16.00 – 19.00
Vernissage
15 Aprile 2011, ore 18.30
Sito web
www.segnoperenne.it
Autore
Curatore