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12
luglio 2010
fino al 18.VII.2010 Eroi eroine Rivalta (to), Castello
torino
Segni che non lasciano traccia. Nella società delle icone-fast food e degli eroi per un giorno, l’arte prova a fare il punto della situazione. Chiedendosi se esista ancora il potere dell’immagine...
di Anita Pepe
Quando
un progetto è in rodaggio, la prudenza non è mai troppa. Accade così che a
Rivalta si ripeta l’impostazione con la quale, lo scorso autunno, l’articolato
castello locale entrava nella partita culturale della cinta torinese.
Collettiva bis, e trait d’union col passato la “riconvocata” Maura Banfo, che si sdoppia facendo da
madrina all’apertura delle scuderie col video-pendant di una serie fotografica,
in cui un vecchio libro di fiabe sfogliato da mani rugose pare invitare lo
spettatore a varcare lo specchio, come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Perché
le proposte sono tante, se non per quantità per varietà, in una mostra avvolta
intorno a un enunciato complesso, ma a rischio dispersione nella sua traduzione
espositiva. Una riflessione sulla bulimia di immagini, che oggi assurgono
facilmente a simulacro e altrettanto in fretta, dopo uno sfruttamento
intensivo, si sgretolano, fino – per dirla con Baudrillard – alla “sparizione
dell’arte”.
Ed
è proprio al punto di svolta del XX secolo secondo il teorico francese – la Pop
Art – che afferisce uno dei filoni del percorso. Pop è Mary Sue, che bamboleggia equivoca con un
enorme bon-bon, ironizzando sui cliché femminili. Pop è il lightbox di Hung
Tung-Lu, opportunamente collocato
sull’altare della piccola cappella, dove Sailor Moon si staglia contro una pala
gotica. Pop è Roxy In The Box, che ridipinge statue devozionali con i panni dei
supereroi dei comics non per contraffazione blasfema, bensì per glorificarne e
attualizzarne i Pow!-ers. Dissacrante è invece Diego Scroppo, cui basta rovesciare l’insegna di
una farmacia per capovolgere contemporaneamente simbolo e senso.
Le
icone sono dei fari? L’artista allora può spegnerle, modificarle, riaccenderle.
Lo fa Anne Schneider, che rigenera in un ossimoro la ballerina di Degas, preservandone solo l’anima e il
nastro azzurro: sottile come un Giacometti, distorta come un Bacon, e tuttavia elegante come
l’originale. E se Andrea Massaioli sostanzialmente rispetta lo spirito del Tuffatore di Paestum, nasconde un certo
cinismo la megalomania di Oleg Kulik, il cui ritratto equestre sullo sfondo della Piazza Rossa
riprende il Napoleone di David, ma in quel Paese che per il generale segnò l’inizio
della fine (e, guarda caso, proprio di fronte s’impongono i monumentali Vinti
di Francesco
Sena).
Ma
chi giganteggia davvero è Jan Fabre, nel video proiettato contro i nudi mattoni
dell’appartato torrione, ad aumentarne l’intensità e a risarcire l’opera d’arte
della sua aura
svanita. Qui il fiammingo veste l’armatura di un maturo e tormentato
Lancillotto, impegnato a mulinare lo spadone contro i fantasmi del passato, del
mito e della mente. Emblema potente della sfida più terribile: quella con se
stessi.
un progetto è in rodaggio, la prudenza non è mai troppa. Accade così che a
Rivalta si ripeta l’impostazione con la quale, lo scorso autunno, l’articolato
castello locale entrava nella partita culturale della cinta torinese.
Collettiva bis, e trait d’union col passato la “riconvocata” Maura Banfo, che si sdoppia facendo da
madrina all’apertura delle scuderie col video-pendant di una serie fotografica,
in cui un vecchio libro di fiabe sfogliato da mani rugose pare invitare lo
spettatore a varcare lo specchio, come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Perché
le proposte sono tante, se non per quantità per varietà, in una mostra avvolta
intorno a un enunciato complesso, ma a rischio dispersione nella sua traduzione
espositiva. Una riflessione sulla bulimia di immagini, che oggi assurgono
facilmente a simulacro e altrettanto in fretta, dopo uno sfruttamento
intensivo, si sgretolano, fino – per dirla con Baudrillard – alla “sparizione
dell’arte”.
Ed
è proprio al punto di svolta del XX secolo secondo il teorico francese – la Pop
Art – che afferisce uno dei filoni del percorso. Pop è Mary Sue, che bamboleggia equivoca con un
enorme bon-bon, ironizzando sui cliché femminili. Pop è il lightbox di Hung
Tung-Lu, opportunamente collocato
sull’altare della piccola cappella, dove Sailor Moon si staglia contro una pala
gotica. Pop è Roxy In The Box, che ridipinge statue devozionali con i panni dei
supereroi dei comics non per contraffazione blasfema, bensì per glorificarne e
attualizzarne i Pow!-ers. Dissacrante è invece Diego Scroppo, cui basta rovesciare l’insegna di
una farmacia per capovolgere contemporaneamente simbolo e senso.
Le
icone sono dei fari? L’artista allora può spegnerle, modificarle, riaccenderle.
Lo fa Anne Schneider, che rigenera in un ossimoro la ballerina di Degas, preservandone solo l’anima e il
nastro azzurro: sottile come un Giacometti, distorta come un Bacon, e tuttavia elegante come
l’originale. E se Andrea Massaioli sostanzialmente rispetta lo spirito del Tuffatore di Paestum, nasconde un certo
cinismo la megalomania di Oleg Kulik, il cui ritratto equestre sullo sfondo della Piazza Rossa
riprende il Napoleone di David, ma in quel Paese che per il generale segnò l’inizio
della fine (e, guarda caso, proprio di fronte s’impongono i monumentali Vinti
di Francesco
Sena).
Ma
chi giganteggia davvero è Jan Fabre, nel video proiettato contro i nudi mattoni
dell’appartato torrione, ad aumentarne l’intensità e a risarcire l’opera d’arte
della sua aura
svanita. Qui il fiammingo veste l’armatura di un maturo e tormentato
Lancillotto, impegnato a mulinare lo spadone contro i fantasmi del passato, del
mito e della mente. Emblema potente della sfida più terribile: quella con se
stessi.
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a cura di Alessandro Demma e Luca Bradamante
Castello
Via Orsini, 7
– 10040 Rivalta (TO)
Orario: da
mercoledì a venerdì ore 15-19; sabato e domenica ore 10-19
Ingresso
libero
Catalogo Skira
Info: tel. +39
011904555; comunicazione@comune.rivalta.to.it
[exibart]