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Stefano Bruschi – Vivente
I lavori di Stefano Bruschi hanno alcuni titoli esplicativi. La denominazione di un’opera, come affermava Marcel Duchamp, richiama in un certo modo, lo spettatore a riflettere sul contenuto e contesto in cui si colloca.
Comunicato stampa
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I lavori di Stefano Bruschi hanno alcuni titoli esplicativi. La denominazione di un’opera, come affermava Marcel Duchamp, richiama in un certo modo, lo spettatore a riflettere sul contenuto e contesto in cui si colloca. Stefano Bruschi, artista toscano, tenta di stabilire un collegamento tra significato verbale, linguaggio dell’arte e impegno interpretativo della realtà. In quest’ installazione dal titolo emblematico: “VIVENTE”, l’artista prova ad esplorare la scultura nel suo divenire spazio-temporale. L’opera è concepita come una sorta di “organismo vivente” che si sviluppa nel tempo e nello spazio, in una continua metamorfosi. L’artista, realizza un basamento rettangolare, lungo più di quattro metri e alto uno, su cui ha raffigurato un corpo femminile. Il materiale usato è gesso, argilla, polvere di marmo, legno e altri materiali. Appare, al pubblico come un’ enorme calco informe, eroso, solcato e lacerato dal flusso lento, ma continuo dell’acqua. Risultato, dell’azione naturale del tempo sulla materia inanimata. Ciò, ci riporta alla mente, l’idea di “tempo” che aveva il filosofo greco, Eraclito di Efeso: (Panta rhei) “tutto passa, tutto scorre, tutto si trasforma - tra “essere e divenire”, tra “presenza e assenza”. L’installazione si sviluppa nello spazio, come un tracciato plastico di sequenze di parti modulari, i quali a loro volta, non esisterebbero al di fuori del principio unitario imposto dall’artista all’opera. I materiali si compattano uniformi e l’immagine raffigurata, si distingue nell’insieme. Possiamo interpretare questo lavoro, come un (tropo) sulla forma-immagine, destinata al flusso temporale della trasformazione della materia e al processo inevitabile di disfacimento di corpo e mente. Lo spettatore viene ammesso alla presenza dell’opera al contegno di un rituale, quasi “religioso”- a ricordare i momenti belli e dolorosi della vita. L’opera, collocata al centro della cantina, appare come un solenne altare liturgico. Risalta nello spazio, in tutta la sua suggestiva presenza: con chiari riferimenti che attingono a quel repertorio visuale, che spazia dall’architettura monumentale all’arte funeraria. Metabolizzato e interpretato dall’artista, in un linguaggio originale e ben riconoscibile. Questi riferimenti all’arte funeraria, aumentano man mano che ci si avvicina ad essa. A contatto, lo spettatore percepisce la presenza di qualcosa di trascendentale. L’opera, sembra, dotata di una forza attrattiva: bisogna osservare attentamente i dettagli scultorei per comprendere se si tratta, semplicemente, di un altare liturgico o di un corpo di una donna ancora vivo o in punto di morte. Le candele accese, collocate intorno all’opera, (in ceramica patinata), coperta di colore bianco, producono continue oscillazioni di luminosità, determinate dal movimento dell’aria: attraverso un gioco sottile di ombre e di riflessi luminosi, che accentuano le superfici concave e convesse. Anche il variare continuo della luce sulla superficie plastica, crea l’illusione di una scultura in continua “trasformazione”. L’impressione che se ne riceve, è quella di una massa plastica, costellata di tracce e di solchi; come testimoni silenziosi di una presenza umana che non c’è più. Un modo soggettivo dell’artista di interpretare la presenza, attraverso l’assenza: Da una parte, la fisicità della materia (presenza) dall’altro la sua continua trasformazione (assenza). Le tecniche di questo singolare artista sono tante e di generi diversi; sempre a voler rappresentare qualcosa di innovativo. Proprio della sua prima produzione degl’ anni novanta è possibile notare la caratteristica di lavori ideativi semplici, ma raffinati; con materiali poveri e deperibili, quali: sabbia, argilla, legno. In cui il tema del metamorfosi della materia inanimata, (riconoscibile nelle forme della scultura), era stato, profondamente indagato e studiato dall’artista. Ogni opera, sembra nascere dalla precedente, cresce, si sviluppa e si trasforma come un “organismo vivente”, arricchita di moduli plastici nuovi, in contrasto di quelli precedenti; ma sempre in stretto rapporto con lo spazio che l’ha contiene e la percezione di chi la guarda. Nella pura semplicità ed essenzialità di questi lavori, possiamo condividere messaggi e valori, sempre attuali; laddove si affrontano temi quali la vita la morte e la spiritualità dell’esistenza umana. Sculture a forma antropomorfa, o sviluppate a spirale, colorate da pigmenti bianchi o blu. Un chiaro richiamo all’immaginario cromatico dell’ inimitabile scuola toscana dei fratelli Della Robbia. Proprio al riguardo di quest’ultima opera di colore bianco, dobbiamo anche osservare che in oriente il bianco è il colore del lutto e come tale era usato nell’antica Grecia e nell’antica Roma; mentre nella cultura cristiana ha il significato della nascita, della purezza, del sublime, spirituale- trascendente. L’artista, in questa fase di elaborazione creativa, cerca di trovare soluzioni plastiche e spaziali, capaci di dilatare gli ambiti della scultura, dentro i molteplici orizzonti di nuovi linguaggi e significati.
(Savino Marseglia)
(Savino Marseglia)
19
marzo 2011
Stefano Bruschi – Vivente
Dal 19 marzo al 19 aprile 2011
arte contemporanea
Location
FATTORIA DI BACCHERETO
Carmignano, Via Fontemorana, 179, (Prato)
Carmignano, Via Fontemorana, 179, (Prato)
Vernissage
19 Marzo 2011, ore 17
Autore
Curatore