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Five Easy Pieces #2
‘La mostra Five Easy Pieces si sviluppa attorno a cinque opere ‘visive’ con una forte narrativa, il cui contenuto si sviluppa in una prospettiva temporale e dove lo spazio presenta ciascun elemento come parte di una narrazione. In questo modo, ogni opera esposta racconta una storia, ogni lavoro è arricchito da una serie di singoli ‘momenti’. Queste cinque opere offrono dunque un’esperienza visiva immediata, trasportandoci al tempo stesso all’interno di una temporalità narrativa’ (Patrick Charpenel).
Comunicato stampa
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Five Easy Pieces è un progetto espositivo il cui titolo è ispirato all’omonimo film del 1970 di Bob
Rafelson in cui, in una scena memorabile, Jack Nicholson suona al pianoforte 'cinque pezzi facili' di Chopin.
Pensato per il Project Space della Galleria Franco Noero, il progetto si articola in cinque mostre collettive
affidate ad altrettanti curatori che sceglieranno i 'cinque pezzi facili', cinque opere di cinque artisti, su un tema
ogni volta differente.
Il secondo appuntamento è curato da Vincenzo de Bellis:
“Quando mi hanno invitato a pensare una mostra correlata a Five Easy Pieces, ho iniziato a chiedermi cosa
avrei potuto fare. È infatti la prima volta che vengo invitato a dare forma a qualcosa che, in un certo qual modo,
è già stata decisa da qualcun altro.
Ho pensato che questo fosse un gran bel titolo, e che fosse possibile approcciare il tema in molti modi diversi
per poter esporre le mie posizioni curatoriali, il mio punto di vista, il mio pensiero.
Poi pero’ ho visto e rivisto il film da cui il titolo e’ tratto. nella scena centrale il protagonista Robert Dupea (Jack
Nicholson) si trova in compagnia di Catherine Van Ost (Susan Anspach), un’attraente studentessa di musica
classica la quale è a conoscenza del fatto che Robert è stato un tempo un talentuoso pianista. Catherine gli
chiede quindi di suonare per lei. Seppur controvoglia Robert si siede al piano e suona un breve pezzo: Il
Preludio in Mi minore (op.28 n.4) di Frédéric Chopin. Lei si commuove e gli chiede che cosa ha provato, e lui
risponde che non ha provato nulla. A questo punto lei si incuriosisce e gli chiede perché. Robert le risponde:
«Ho scelto il pezzo più facile a cui potessi pensare. L’ho suonato per la prima volta quando avevo 8 anni, e lo
suonavo meglio allora».
Tutto il film è qui, in queste poche battute, nel loro cinismo e nel loro nichilismo. La mostra nasce dallo stesso
assunto, dal non poter rispondere all'invito fattomi in altro modo se non "scegliendo" di presentare, letteralmente,
i cinque pezzi più facili a cui potessi pensare.
Le opere in mostra, pertanto, sono realizzate da artisti le cui pratiche hanno poco o quasi nulla in comune e non
sono state scelte per le loro possibili relazioni. Certo, da un punto di vista retrospettivo, esse sembrano
condividere una sorta di piacere nell’utilizzo di una certa economia di materiali e mezzi utilizzati, un senso di
understatement. In tutte il senso di 'facile' non si accosta a quello di ‘semplice’, ma piuttosto all’idea di agire
contro la complessità delle cose attraverso la discrezione del gesto artistico, e allo stesso tempo l’idea di 'pezzo'
sembra rappresentare per tutte la capacità di un’opera d’arte di essere autosufficiente ed esattamente un 'pezzo
finito'.
Certo ci sono echi e risonanze tra il modo giocoso e allo stesso tempo nostalgico che Mario Garcia Torres usa
nel trattare l’arte concettuale, svelandone le potenzialità narrative e gli eleganti arrangiamenti di oggetti di Tom
Burr il cui approccio è contemporaneamente di tipo romantico e celebrale; così come l'essenzialità di Helen
Mirra nel realizzare sculture incentrate sui rapporti di estensione e durata temporale, dialoga con gli
assemblaggi apparentemente incoerenti di Abraham Cruzvillegas che giustappongono materiali organici e
prodotti industriali, e con la pittura di Richard Aldrich che si muove sul crinale tra la visione giocosa di un
bambino e l’astrazione.
Ma tutto ciò, tutte queste possibili narrazioni e connessioni non sono nate a-priori e non vogliono portare ad una
lettura univoca ne’ generare una chissà quanto arguta regia curatoriale, se non quella che risponde al mero fatto
di essermi limitato empaticamente e istintivamente a scegliere i pezzi più facili a cui potessi pensare”. (Vincenzo
de Bellis)
Rafelson in cui, in una scena memorabile, Jack Nicholson suona al pianoforte 'cinque pezzi facili' di Chopin.
Pensato per il Project Space della Galleria Franco Noero, il progetto si articola in cinque mostre collettive
affidate ad altrettanti curatori che sceglieranno i 'cinque pezzi facili', cinque opere di cinque artisti, su un tema
ogni volta differente.
Il secondo appuntamento è curato da Vincenzo de Bellis:
“Quando mi hanno invitato a pensare una mostra correlata a Five Easy Pieces, ho iniziato a chiedermi cosa
avrei potuto fare. È infatti la prima volta che vengo invitato a dare forma a qualcosa che, in un certo qual modo,
è già stata decisa da qualcun altro.
Ho pensato che questo fosse un gran bel titolo, e che fosse possibile approcciare il tema in molti modi diversi
per poter esporre le mie posizioni curatoriali, il mio punto di vista, il mio pensiero.
Poi pero’ ho visto e rivisto il film da cui il titolo e’ tratto. nella scena centrale il protagonista Robert Dupea (Jack
Nicholson) si trova in compagnia di Catherine Van Ost (Susan Anspach), un’attraente studentessa di musica
classica la quale è a conoscenza del fatto che Robert è stato un tempo un talentuoso pianista. Catherine gli
chiede quindi di suonare per lei. Seppur controvoglia Robert si siede al piano e suona un breve pezzo: Il
Preludio in Mi minore (op.28 n.4) di Frédéric Chopin. Lei si commuove e gli chiede che cosa ha provato, e lui
risponde che non ha provato nulla. A questo punto lei si incuriosisce e gli chiede perché. Robert le risponde:
«Ho scelto il pezzo più facile a cui potessi pensare. L’ho suonato per la prima volta quando avevo 8 anni, e lo
suonavo meglio allora».
Tutto il film è qui, in queste poche battute, nel loro cinismo e nel loro nichilismo. La mostra nasce dallo stesso
assunto, dal non poter rispondere all'invito fattomi in altro modo se non "scegliendo" di presentare, letteralmente,
i cinque pezzi più facili a cui potessi pensare.
Le opere in mostra, pertanto, sono realizzate da artisti le cui pratiche hanno poco o quasi nulla in comune e non
sono state scelte per le loro possibili relazioni. Certo, da un punto di vista retrospettivo, esse sembrano
condividere una sorta di piacere nell’utilizzo di una certa economia di materiali e mezzi utilizzati, un senso di
understatement. In tutte il senso di 'facile' non si accosta a quello di ‘semplice’, ma piuttosto all’idea di agire
contro la complessità delle cose attraverso la discrezione del gesto artistico, e allo stesso tempo l’idea di 'pezzo'
sembra rappresentare per tutte la capacità di un’opera d’arte di essere autosufficiente ed esattamente un 'pezzo
finito'.
Certo ci sono echi e risonanze tra il modo giocoso e allo stesso tempo nostalgico che Mario Garcia Torres usa
nel trattare l’arte concettuale, svelandone le potenzialità narrative e gli eleganti arrangiamenti di oggetti di Tom
Burr il cui approccio è contemporaneamente di tipo romantico e celebrale; così come l'essenzialità di Helen
Mirra nel realizzare sculture incentrate sui rapporti di estensione e durata temporale, dialoga con gli
assemblaggi apparentemente incoerenti di Abraham Cruzvillegas che giustappongono materiali organici e
prodotti industriali, e con la pittura di Richard Aldrich che si muove sul crinale tra la visione giocosa di un
bambino e l’astrazione.
Ma tutto ciò, tutte queste possibili narrazioni e connessioni non sono nate a-priori e non vogliono portare ad una
lettura univoca ne’ generare una chissà quanto arguta regia curatoriale, se non quella che risponde al mero fatto
di essermi limitato empaticamente e istintivamente a scegliere i pezzi più facili a cui potessi pensare”. (Vincenzo
de Bellis)
24
febbraio 2011
Five Easy Pieces #2
Dal 24 febbraio al 02 aprile 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA FRANCO NOERO – PROJECT SPACE
Torino, Piazza Santa Giulia, 0/F, (Torino)
Torino, Piazza Santa Giulia, 0/F, (Torino)
Orario di apertura
da giovedì a sabato ore 15–19
Vernissage
24 Febbraio 2011, ore 18
Autore
Curatore