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Dario Pecoraro – Human Nature
Prima mostra personale di Dario Pecoraro alla galleria upp. Quante cose ancora vengono quotidianamente attribuite a quella “irrisolvibile” condizione che chiamiamo “Natura Umana” – comoda formula che ormai fa parte del genoma (linguistico-filosofico) occidentale….
Comunicato stampa
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Siamo lieti di annunciare la prima mostra personale di Dario Pecoraro alla galleria upp.
Quante cose ancora vengono quotidianamente attribuite a quella “irrisolvibile” condizione che chiamiamo “Natura Umana” – comoda formula che ormai fa parte del genoma (linguistico-filosofico) occidentale. Già dai tempi di Socrate, questo concetto è stato definito, modellato e rimodellato, ha trovato i suoi sbocchi tramite il cristianesimo, umanesimo, diversi regimi, ideologie e scuole di pensiero. E’ stato azzerato e ridefinito con le parole di Bacon, Hobbes, Cartesio, Locke, Rousseau, Freud e numerosi altri, fino all’accesa discussione tra Chomsky e Foucault, nonché teorici contemporanei. Nonostante ciò questa “condizione” rimane una delle domande irrisolte che permette ancora di ragionare sui comportamenti bizzarri dell’animale razionale, mimetico, mediatico, politico, linguistico e quant’altro senza un esito definitivo.
La mostra di Pecoraro affronta questa presunta condizione da un punto di vista singolare. L’innovazione o slittamento linguistico che rivelano le sue tele sta nella loro capacità di farla finita con una semplice imitazione o riproduzione della realtà. Riescono invece, nella loro complessità a rivelare un ricco immaginario.
Nella pittura di Pecoraro le solite categorie e coordinate dello spazio, tempo, sequenza sono investite da una nuova temporalità, quasi filmica o addirittura messianica, se vogliamo riferirsi a Benjamin. In questo spazio messianico, quasi orizzontale, che come lo schermo cinematografico o una fotografia errata mostra una sovraesposizione dei piani alterati sta la forza di rivelare la duplice, triplice o quadrupla natura della così detta “natura umana”. Quella che nella sua unione diabolica riesce a contenere sotto una presunta innocenza della facciata, i segreti più desueti così come una violenza senza confini, un’inspiegabile portata all’autodistruzione, insincerità e ipocrisia.
I paesaggi esotici inesistenti, che non sono altro che un gioco di ombre e colori che stranamente assomigliano a un immaginario dell’esotico occidentale quasi dall’epoca coloniale. Una grande tela con la testa di bufalo, che sembra involontariamente alludere allo sterminio di quei popoli che ancora vivevano in un’armonia con la natura nelle praterie dell’America del nord. Un ritratto con una tigre in secondo piano che allude a questa duplice natura umana di un umano con l’istinto di un predatore selvatico. E le figure-donne con delle serpi, bagliori che come dall’inconscio sorgono come fantasmi in una continua orgia del quotidiano.
Sono dei quadri silenziosi ma potenti ed espliciti nello stesso tempo. Il loro autore descrivendo la mostra parla della misteriosa aria dell’alba mattutina prima della scomparsa di Pompei. Aria densa di paura, di luce acida che incanta, di un avvenire tutto da scoprire.
Anche la mostra veneziana sembra di raggiungere la sua culminazione nella tela “astratta” e strappata dallo stesso autore quasi come sotto l’eruzione di quella parte oscura della condizione umana – che nella cultura occidentale viene ancora romantizzata o al contrario vista come un pericolo da contenere e sottomettere.
Nel passaggio della sua Repubblica Platone descrive gli effetti dell’ingiustizia e della giustizia sull’uomo usando la triplice descrizione allegorica dell’anima - dell’uomo composto di tre esseri diversi: un mostro policefalo, un leone e un uomo. Secondo questa visione la giustizia si realizza quando l’uomo, con l’aiuto del leone, tiene a freno il mostro policefalo (Repubblica, Libro Nono, XII 588b-590a). Nella riflessione lucida di Pecoraro invece tutte queste contraddizioni che la natura umana contiene vengono esposte come tali, senza alcun giudizio finale.
Davanti a una tale sincerità di “spogliare la propria anima” a uno non rimane altro che accettare l’invito di Pecoraro e continuare l’inesauribile richiesta e ricerca del “Santo Graal” della vera Natura Umana, che anche se esiste non può trovare miglior rappresentazione come quella fatta tramite dispositivo artistico, che oggi, magari mai come prima, permette di portare le cose inesistenti (invisibili) alla loro esistenza, o almeno visibilità.
Andris Brinkmanis
Dario Pecoraro (1984) vive e lavora a Milano dove è professore assistente alla Naba, Nuova Accademia di Belle Arti.
Quante cose ancora vengono quotidianamente attribuite a quella “irrisolvibile” condizione che chiamiamo “Natura Umana” – comoda formula che ormai fa parte del genoma (linguistico-filosofico) occidentale. Già dai tempi di Socrate, questo concetto è stato definito, modellato e rimodellato, ha trovato i suoi sbocchi tramite il cristianesimo, umanesimo, diversi regimi, ideologie e scuole di pensiero. E’ stato azzerato e ridefinito con le parole di Bacon, Hobbes, Cartesio, Locke, Rousseau, Freud e numerosi altri, fino all’accesa discussione tra Chomsky e Foucault, nonché teorici contemporanei. Nonostante ciò questa “condizione” rimane una delle domande irrisolte che permette ancora di ragionare sui comportamenti bizzarri dell’animale razionale, mimetico, mediatico, politico, linguistico e quant’altro senza un esito definitivo.
La mostra di Pecoraro affronta questa presunta condizione da un punto di vista singolare. L’innovazione o slittamento linguistico che rivelano le sue tele sta nella loro capacità di farla finita con una semplice imitazione o riproduzione della realtà. Riescono invece, nella loro complessità a rivelare un ricco immaginario.
Nella pittura di Pecoraro le solite categorie e coordinate dello spazio, tempo, sequenza sono investite da una nuova temporalità, quasi filmica o addirittura messianica, se vogliamo riferirsi a Benjamin. In questo spazio messianico, quasi orizzontale, che come lo schermo cinematografico o una fotografia errata mostra una sovraesposizione dei piani alterati sta la forza di rivelare la duplice, triplice o quadrupla natura della così detta “natura umana”. Quella che nella sua unione diabolica riesce a contenere sotto una presunta innocenza della facciata, i segreti più desueti così come una violenza senza confini, un’inspiegabile portata all’autodistruzione, insincerità e ipocrisia.
I paesaggi esotici inesistenti, che non sono altro che un gioco di ombre e colori che stranamente assomigliano a un immaginario dell’esotico occidentale quasi dall’epoca coloniale. Una grande tela con la testa di bufalo, che sembra involontariamente alludere allo sterminio di quei popoli che ancora vivevano in un’armonia con la natura nelle praterie dell’America del nord. Un ritratto con una tigre in secondo piano che allude a questa duplice natura umana di un umano con l’istinto di un predatore selvatico. E le figure-donne con delle serpi, bagliori che come dall’inconscio sorgono come fantasmi in una continua orgia del quotidiano.
Sono dei quadri silenziosi ma potenti ed espliciti nello stesso tempo. Il loro autore descrivendo la mostra parla della misteriosa aria dell’alba mattutina prima della scomparsa di Pompei. Aria densa di paura, di luce acida che incanta, di un avvenire tutto da scoprire.
Anche la mostra veneziana sembra di raggiungere la sua culminazione nella tela “astratta” e strappata dallo stesso autore quasi come sotto l’eruzione di quella parte oscura della condizione umana – che nella cultura occidentale viene ancora romantizzata o al contrario vista come un pericolo da contenere e sottomettere.
Nel passaggio della sua Repubblica Platone descrive gli effetti dell’ingiustizia e della giustizia sull’uomo usando la triplice descrizione allegorica dell’anima - dell’uomo composto di tre esseri diversi: un mostro policefalo, un leone e un uomo. Secondo questa visione la giustizia si realizza quando l’uomo, con l’aiuto del leone, tiene a freno il mostro policefalo (Repubblica, Libro Nono, XII 588b-590a). Nella riflessione lucida di Pecoraro invece tutte queste contraddizioni che la natura umana contiene vengono esposte come tali, senza alcun giudizio finale.
Davanti a una tale sincerità di “spogliare la propria anima” a uno non rimane altro che accettare l’invito di Pecoraro e continuare l’inesauribile richiesta e ricerca del “Santo Graal” della vera Natura Umana, che anche se esiste non può trovare miglior rappresentazione come quella fatta tramite dispositivo artistico, che oggi, magari mai come prima, permette di portare le cose inesistenti (invisibili) alla loro esistenza, o almeno visibilità.
Andris Brinkmanis
Dario Pecoraro (1984) vive e lavora a Milano dove è professore assistente alla Naba, Nuova Accademia di Belle Arti.
18
febbraio 2011
Dario Pecoraro – Human Nature
Dal 18 febbraio al 02 aprile 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA UPP
Venezia, Giudecca, 282, (Venezia)
Venezia, Giudecca, 282, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15-19
Vernissage
18 Febbraio 2011, ore 18.30
Autore