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Roberto Cannata – Sentieri della Persuasione
Il breve percorso espositivo riassume un lungo periodo di attività dell’artista e ne ricostruisce i passaggi fondamentali, seguendo una progressione antologica, sia attraverso opere storiche già presentate in personali e collettive (delle quali Roberto Cannata è stato negli anni protagonista) sia inedite, risalenti all’ultimo periodo o realizzate per l’occasione.
Comunicato stampa
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Segnoperenne, in collaborazione con Spazio Illimitè di Mestre, presenta venerdì 11 febbraio 2011, alle ore 18.30, presso lo spazio espositivo di Via Ospedale 53, Sentieri della Persuasione, personale dell’artista veneziano Roberto Cannata, a cura di Gaetano Salerno e Giacomo Malatrasi.
Il breve percorso espositivo riassume un lungo periodo di attività dell’artista e ne ricostruisce i passaggi fondamentali, seguendo una progressione antologica, sia attraverso opere storiche già presentate in personali e collettive (delle quali Roberto Cannata è stato negli anni protagonista) sia inedite, risalenti all’ultimo periodo o realizzate per l’occasione.
L’artista, da sempre interessato alle sperimentazioni tecniche e linguistiche, utilizza il medium pittorico per compiere incursioni nel campo della figurazione e per scandagliare, attraverso la pratica dell’osservazione del presente e della registrazione dei dati sensoriali che da esso emergono, le sottili dinamiche e i risvolti psicologici attuati dagli attori che popolano gli infiniti palcoscenici del mondo; nasce così un lavoro fortemente eloquente di una condizione umana sofferente e generalizzata, scioccante e inattesa, la cui natura inquieta è tradotta dalla desolazione di lande spettrali, dal silenzio permeante, dalla profanazione e perdita definitiva della bellezza.
I lunghi e ripetuti fermo-immagine su trame biologiche sempre più fittamente intersecate tra loro eppure lineari e indipendenti nel loro incedere, vittime di una clausura intimista che inibisce l’osmosi dei sentimenti, assumono i contorni di flusso narrativo continuo e a-temporale che dal passato storico dell’uomo, il logos (l’unione di legge e armonia) attraversa il presente di esistenze illusorie per proiettarsi rapido verso un futuro prossimo decadente e disilludente, l’antitetico polemos, in una battaglia archetipica di contrari in cui ogni immagine vibra di tensioni inconsce collettive, improvvisamente sopraffatta da incongruenze - divenute la norma - di un progetto autodistruttivo di massa ormai imminente.
Roberto Cannata struttura universi-altri, governati da leggi fisiche alternative che prescindono dalle regole prospettiche della tridimensionalità analitica e scientifica, libere da gabbie esecutive e da appigli mimetici, per dare sfogo a digressioni psicologiche nelle quali, seguendo linee fluide e morbide simili a percorsi mentali di retaggio freudiano e aumentando iperbolicamente ora la nitidezza dei colori ora le loro sfumature, trovano origine figure biologicamente distorte, abitanti di un mondo post-atomico sopravvissuto (ma irrimediabilmente compromesso) alle reiterate catastrofi perpetrate illogicamente dalle sub-culture odierne.
Se nei “mondi reali” nei quali trova rifugio il pensiero di Roberto Cannata è il logos a regolamentarne gli sviluppi secondo ragione e necessità, nei “mondi utopici”che invece la tela svela – frutto di indagini condotte ben al di là della sfera visiva - è l’irrazionalità a governare; l’armonia creatrice è così minata da metamorfismi e da zoomorfismi ipertrofici dei quali diveniamo impotenti osservatori e dalla inquietante perdita progressiva di euritmia che governa questi costrutti scenici così matericamente tangibili.
Nell’accezione allora in cui il logos allude alla parola – e alla comunicazione in senso lato, per quanto qui tradotta in immagini – è il non-essere a generare l’essere, il mutabile a scardinare la perfezione dell’immutabile (ignorando l’incorruttibilità della sua origine divina), come attestano i corpi e i volti de-umanizzati da manipolazioni genetiche terribili eppure seducenti nella loro grottesca tragicità visionaria perché affioranti dai nostri più oscuri intelletti.
La parola allora può accompagnarci solamente lungo i sentieri della persuasione (“che tien dietro la verità”, secondo Parmenide), allontanandoci però dall’inconfutabilità della certezza, riducendo il tutto a idee prive di dinamismo, a scene immobili il cui unico richiamo alla vita è conferito dall’energia racchiusa nel gesto pittorico.
La verità sembra così introdurre una visione strutturalista del divenire; ogni figura ed ogni passaggio dell’opera di Roberto Cannata è riconducibile ad un funzionamento sincronico e meccanico che riconosce le grammatiche di base universali ma si oppone al loro utilizzo, procedendo per paradossi nei quali l’uso eccessivo di costrutti simbolici apparirebbe fuori luogo; da qui la scelta di dichiarazioni evidenti ed il ricorso ad un linguaggio limpido e accademico – cifra stilistica dell’artista - in cui la pienezza della pennellata è atta a svelare piuttosto che a occludere, al di là dell’ermetismo che potrebbe invece suggerire una veloce analisi di superficie.
L’agire dell’artista onnisciente non conosce perciò altri fini se non la rivelazione della trama - come in un romanzo avvincente del quale però si intuisce fin dai primi capitoli la tragedia dell’epilogo - e la messa in guardia da un annullamento totale della cultura profetizzato da credi arcaici ma procrastinato dalla paura ancestrale della oggettività; il ritmo imposto dai colori vividi e lucenti delle pitture, evocativi di una spiritualità animista, ricercano ancora stralci di umanità, armonizzando con gesto pietoso le disarmonie del mondo o almeno cercando di renderle meno stridenti, ennesimo richiamo alla nostra inattitudine alla comprensione dell’errore e alla sua correzione e al dubbio atavico dell’esistenza o meno di una remissione delle nostre colpevolezze.
Il super-mondo dell’intelletto a cui guarda l’elegante pittura di Roberto Cannata traduce il bisogno di scientismi efficaci e rassicuranti in alternativa a dogmi rivelatisi fasulli; le lunghe prospettive sul nulla, le figure stanti e abbandonate in realtà molli e prive di riferimenti spaziali, le ombre incombenti, la forza centrifuga ed espressionista delle figure realizza un gioco pittorico che sapientemente pesca elementi dominanti e colti nel bacino delle Avanguardie Storiche dei primi del Novecento, strutturando una forma di comunicazione visiva che si realizza nella piena conoscenza dei propri debiti culturale.
La lucida oggettività scenica, surrealista, metafisica e cubista al tempo, è alterata, a livello sensoriale, dall’inquietudine suggerita dall’apocalisse appena conclusa e dalla vuotezza che si concretizza in sfondi monocromatici o bicromatici sui quali i volumi si stagliano netti e rigorosi.
L’uso ragionato della metafora spinge il lavoro di Roberto Cannata da un primo livello figurativo e narrativo verso universi concettuali ricchi di riferimenti intimi, di virtuosismi mai gratuiti e di visioni immediate che si riscoprono invece essere, ad una lettura più attenta e approfondita, pre-visioni di una biografia che nell’esperienza intuisce il proprio avvenire e le cui tensioni emotive, celate da sapienti accordi cromatici e chiaroscurali, trasformano (o trasformeranno, o stanno trasformando) il migliore dei mondi nel più profondo e inquietante incubo: un corridoio claustrofobico dalle cui buie e labirintiche profondità nemmeno la cultura sarà in grado di salvarci, incapaci sia di percepirne i tranelli sia di scorgervi rassicuranti vie di fuga.
L’artista sarà presente durante la vernice.
Il breve percorso espositivo riassume un lungo periodo di attività dell’artista e ne ricostruisce i passaggi fondamentali, seguendo una progressione antologica, sia attraverso opere storiche già presentate in personali e collettive (delle quali Roberto Cannata è stato negli anni protagonista) sia inedite, risalenti all’ultimo periodo o realizzate per l’occasione.
L’artista, da sempre interessato alle sperimentazioni tecniche e linguistiche, utilizza il medium pittorico per compiere incursioni nel campo della figurazione e per scandagliare, attraverso la pratica dell’osservazione del presente e della registrazione dei dati sensoriali che da esso emergono, le sottili dinamiche e i risvolti psicologici attuati dagli attori che popolano gli infiniti palcoscenici del mondo; nasce così un lavoro fortemente eloquente di una condizione umana sofferente e generalizzata, scioccante e inattesa, la cui natura inquieta è tradotta dalla desolazione di lande spettrali, dal silenzio permeante, dalla profanazione e perdita definitiva della bellezza.
I lunghi e ripetuti fermo-immagine su trame biologiche sempre più fittamente intersecate tra loro eppure lineari e indipendenti nel loro incedere, vittime di una clausura intimista che inibisce l’osmosi dei sentimenti, assumono i contorni di flusso narrativo continuo e a-temporale che dal passato storico dell’uomo, il logos (l’unione di legge e armonia) attraversa il presente di esistenze illusorie per proiettarsi rapido verso un futuro prossimo decadente e disilludente, l’antitetico polemos, in una battaglia archetipica di contrari in cui ogni immagine vibra di tensioni inconsce collettive, improvvisamente sopraffatta da incongruenze - divenute la norma - di un progetto autodistruttivo di massa ormai imminente.
Roberto Cannata struttura universi-altri, governati da leggi fisiche alternative che prescindono dalle regole prospettiche della tridimensionalità analitica e scientifica, libere da gabbie esecutive e da appigli mimetici, per dare sfogo a digressioni psicologiche nelle quali, seguendo linee fluide e morbide simili a percorsi mentali di retaggio freudiano e aumentando iperbolicamente ora la nitidezza dei colori ora le loro sfumature, trovano origine figure biologicamente distorte, abitanti di un mondo post-atomico sopravvissuto (ma irrimediabilmente compromesso) alle reiterate catastrofi perpetrate illogicamente dalle sub-culture odierne.
Se nei “mondi reali” nei quali trova rifugio il pensiero di Roberto Cannata è il logos a regolamentarne gli sviluppi secondo ragione e necessità, nei “mondi utopici”che invece la tela svela – frutto di indagini condotte ben al di là della sfera visiva - è l’irrazionalità a governare; l’armonia creatrice è così minata da metamorfismi e da zoomorfismi ipertrofici dei quali diveniamo impotenti osservatori e dalla inquietante perdita progressiva di euritmia che governa questi costrutti scenici così matericamente tangibili.
Nell’accezione allora in cui il logos allude alla parola – e alla comunicazione in senso lato, per quanto qui tradotta in immagini – è il non-essere a generare l’essere, il mutabile a scardinare la perfezione dell’immutabile (ignorando l’incorruttibilità della sua origine divina), come attestano i corpi e i volti de-umanizzati da manipolazioni genetiche terribili eppure seducenti nella loro grottesca tragicità visionaria perché affioranti dai nostri più oscuri intelletti.
La parola allora può accompagnarci solamente lungo i sentieri della persuasione (“che tien dietro la verità”, secondo Parmenide), allontanandoci però dall’inconfutabilità della certezza, riducendo il tutto a idee prive di dinamismo, a scene immobili il cui unico richiamo alla vita è conferito dall’energia racchiusa nel gesto pittorico.
La verità sembra così introdurre una visione strutturalista del divenire; ogni figura ed ogni passaggio dell’opera di Roberto Cannata è riconducibile ad un funzionamento sincronico e meccanico che riconosce le grammatiche di base universali ma si oppone al loro utilizzo, procedendo per paradossi nei quali l’uso eccessivo di costrutti simbolici apparirebbe fuori luogo; da qui la scelta di dichiarazioni evidenti ed il ricorso ad un linguaggio limpido e accademico – cifra stilistica dell’artista - in cui la pienezza della pennellata è atta a svelare piuttosto che a occludere, al di là dell’ermetismo che potrebbe invece suggerire una veloce analisi di superficie.
L’agire dell’artista onnisciente non conosce perciò altri fini se non la rivelazione della trama - come in un romanzo avvincente del quale però si intuisce fin dai primi capitoli la tragedia dell’epilogo - e la messa in guardia da un annullamento totale della cultura profetizzato da credi arcaici ma procrastinato dalla paura ancestrale della oggettività; il ritmo imposto dai colori vividi e lucenti delle pitture, evocativi di una spiritualità animista, ricercano ancora stralci di umanità, armonizzando con gesto pietoso le disarmonie del mondo o almeno cercando di renderle meno stridenti, ennesimo richiamo alla nostra inattitudine alla comprensione dell’errore e alla sua correzione e al dubbio atavico dell’esistenza o meno di una remissione delle nostre colpevolezze.
Il super-mondo dell’intelletto a cui guarda l’elegante pittura di Roberto Cannata traduce il bisogno di scientismi efficaci e rassicuranti in alternativa a dogmi rivelatisi fasulli; le lunghe prospettive sul nulla, le figure stanti e abbandonate in realtà molli e prive di riferimenti spaziali, le ombre incombenti, la forza centrifuga ed espressionista delle figure realizza un gioco pittorico che sapientemente pesca elementi dominanti e colti nel bacino delle Avanguardie Storiche dei primi del Novecento, strutturando una forma di comunicazione visiva che si realizza nella piena conoscenza dei propri debiti culturale.
La lucida oggettività scenica, surrealista, metafisica e cubista al tempo, è alterata, a livello sensoriale, dall’inquietudine suggerita dall’apocalisse appena conclusa e dalla vuotezza che si concretizza in sfondi monocromatici o bicromatici sui quali i volumi si stagliano netti e rigorosi.
L’uso ragionato della metafora spinge il lavoro di Roberto Cannata da un primo livello figurativo e narrativo verso universi concettuali ricchi di riferimenti intimi, di virtuosismi mai gratuiti e di visioni immediate che si riscoprono invece essere, ad una lettura più attenta e approfondita, pre-visioni di una biografia che nell’esperienza intuisce il proprio avvenire e le cui tensioni emotive, celate da sapienti accordi cromatici e chiaroscurali, trasformano (o trasformeranno, o stanno trasformando) il migliore dei mondi nel più profondo e inquietante incubo: un corridoio claustrofobico dalle cui buie e labirintiche profondità nemmeno la cultura sarà in grado di salvarci, incapaci sia di percepirne i tranelli sia di scorgervi rassicuranti vie di fuga.
L’artista sarà presente durante la vernice.
11
febbraio 2011
Roberto Cannata – Sentieri della Persuasione
Dall'undici febbraio al 10 marzo 2011
arte contemporanea
Location
SPAZIO ILLIMITE’
Venezia, Via Ospedale, 53, (Venezia)
Venezia, Via Ospedale, 53, (Venezia)
Orario di apertura
da lunedì a sabato, ore 9.30 -12.30 e 16.00 – 19.00
Vernissage
11 Febbraio 2011, ore 18.30
Sito web
www.segnoperenne.it
Autore
Curatore