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Passione civile arte e politica. Artisti a Valenza tra gli anni Cinquanta e Ottanta
La mostra ripercorre l’incontro degli artisti del Realismo con il P.C.I. di Valenza e del loro contributo all’affermazione di principi di umanesimo sociale, di lotta, di critica sociale e anche più semplicemente di ammirazione nei confronti della “Città dell’oro“.
Comunicato stampa
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La mostra dal titolo PASSIONE CIVILE, ARTE e POLITICA. Artisti a Valenza tra gli anni Cinquanta e Ottanta, promossa dalla Fondazione Luigi Longo di Alessandria in collaborazione con la Provincia di Alessandria, posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha l’intento di far conoscere ad un pubblico vasto le opere di artisti quali Aligi Sassu, Giuseppe Motti, Ernesto Treccani, Toni Nicolini, Giuseppe Scalvini, Antonia Ramponi, Eugenio Pardini, Aurelio Ceccarelli (detto Aurelio C.), Mirko Gualerzi e molti altri, donate alla Casa del Popolo Valentia di Valenza Po (AL). La mostra vuole sottolineare la singolarità culturale e artistica di Valenza Po, capitale del gioiello e dell'arte orafa, attraverso la lettura di un periodo storico ben definito, e come la passione civile, l’arte, la politica e l’associazionismo democratico qui si siano incontrati dando vita ad un sodalizio durato trent'anni. La mostra ripercorre l’incontro degli artisti del Realismo con il P.C.I. di Valenza e del loro contributo all'affermazione di principi di umanesimo sociale, di lotta, di critica sociale e anche più semplicemente di ammirazione nei confronti della “Città dell’oro“.
Curatrice della mostra è Lia Lenti che si è avvalsa di un Comitato scientifico composto, fra gli altri, da Giorgio Seveso e Toni Nicolini. A Palazzo Monferrato di Alessandria dal 15 gennaio fino al 6 marzo 2011, verranno esposte circa centoventi opere pittoriche, grafiche, scultoree, medaglie e oggetti d'arte in metalli preziosi, di proprietà della Fondazione Luigi Longo di Alessandria e provenienti da raccolte e collezioni private, collocabili tra gli anni Cinquanta e Ottanta del XX secolo.
La mostra, il cui allestimento è curato dall’architetto Armanda Tasso, è articolata in cinque sezioni: Valenza – Città dell'oro, Le estemporanee pittoriche 1956-59, La Casa del Popolo Valentia (dove avranno spazio le grandi opere murali di Aligi Sassu, Giuseppe Motti, Ernesto Treccani e Toni Nicolini, insieme al vasto dipinto parietale di Aurelio C. di ben 20 metri di lunghezza per 3 di altezza), Festival de l'Unità, Circolo Culturale Rinascita.
In catalogo, curato da Lia Lenti ed edito da Mazzotta, vi sono oltre a quello della curatrice, contributi di Fiorella Mattio, Silvia Campese, Toni Nicolini, Giorgio Seveso, Matilde Pisani Lenti, Delmo Maestri.
Dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale fino ai primi anni 70, così come avviene in Europa, anche la cultura artistica italiana è in varia misura caratterizzata dal confronto tra le ricerche che si richiamano in pittura e scultura al realismo (linguaggi iconici o comunque figurativi) da una parte e, dall’altra, quelle che esplorano le dimensioni dell’astrattismo (linguaggi non iconici, informali, astratto-geometrici, astratto-espressionistici e altro).
Il dibattito tra astrazione e figurazione rappresenta, in quei decenni, una temperie culturale di grande momento, che molto spesso si identifica con posizionamenti ideologici e politici. Da un lato gli artisti figurativi-realisti, schierati dalla parte del popolo e di un’arte “comprensibile” per tutti, a descrivere la realtà, le sue condizioni e contraddizioni; dall’altro gli astratti-formalisti, dalla parte di una sorta di “arte per l’arte” autosufficiente e autoreferenziale. Tra questi due estremi una serie di posizioni intermedie, costituite da diverse declinazioni di questo o quell’altro campo e da essi più o meno autonome.
Attorno al Fronte Nuovo delle Arti e alle posizioni espresse dal Gruppo degli Otto, dal proseguimento dell’esperienza di Corrente allo scontro tra Vittorini e Togliatti sulle pagine de Il Politecnico e di Rinascita, fino alle accese polemiche sulle tesi di Roger Garaudy in “Artisti senza uniforme”, tutto il dibattito culturale e artistico di allora ruota attorno al concetto di arte “impegnata” contrapposta a quello di arte “fine a se stessa”.
Dopo gli anni 60 e l’affacciarsi sulla scena di una nuova generazione di artisti, con l’aprirsi della situazione culturale del Paese verso altre realtà internazionali, il confronto si stempererà e si articolerà in altro modo.
L’esperienza di rapporto tra la Casa del Popolo Valentia e l’arte, che in questa mostra viene testimoniata, ci dice che ci fu senza dubbio una scelta prevalente di tipo figurativo, in cui tuttavia si manifestarono segni e momenti di confronto più largo.
La volontà di diffondere in questa città, votata al fare artistico, alla gioielleria, la nuova cultura artistica emersa alla fine della guerra indusse il P.C.I. di Valenza Po ad organizzare Estemporanee pittoriche.
A cadenza annuale le estemporanee pittoriche si tennero in città dal 1956 al 1959, duravano un giorno ed erano una opportunità di ludica socializzazione, un modo semplice per avvicinare all'arte un pubblico vario. Artisti giovani e meno giovani, già affermati o alle prime armi, cercavano di cogliere visivamente aspetti significativi della città, dei luoghi di lavoro, della campagna circostante, del Po, interpretandoli con tecniche veloci, matite colorate, pastelli, chine su carta ma anche colori ad olio su tele di piccolo e medio formato. Al termine della giornata le opere venivano esposte, giudicate e premiate ed il pubblico aveva la possibilità di acquistare a “prezzo politico” cioè modico. A queste kermesse di provincia dove era scontato incontrare artisti poco conosciuti o poco più che dilettanti, non si sottraevano i pittori professionisti già affermati. Infatti per la buona riuscita dell'iniziativa venne coinvolta la Galleria “La Colonna” di Milano, una delle gallerie di primissimo piano nel panorama del capoluogo lombardo e punto di riferimento per gli artisti più coerenti del movimento neorealista. L'edizione più importante fu la prima alla cui premiazione intervenne Renato Guttuso mentre il critico d'arte Raffaele De Grada tenne una conferenza sull'arte realista.
Il 29 agosto 1958 venne aperta la sala della Casa del Popolo “Valentia”. I lavori di costruzione della erano iniziati due anni prima sul sedime dell'ex calzaturificio Valentia. Il progetto per la cittadina di Valenza era ambizioso ma necessario a contenere la vistosa e crescente adesione della popolazione alle idee propugnate dal Partito comunista. L'edificazione avvenne in un clima generale di mobilitazione delle forze volontarie e le risorse finanziarie reperite furono utilizzate nell'acquisto di materiali da costruzione. Alla dirigenza politica di allora parve comunque necessario abbellire le pareti spoglie della grande sala con opere d'arte di grande formato. Il desiderio era quello di rappresentare, secondo l'antica tradizione italiana, sui muri degli edifici pubblici, cicli figurativi che narrassero, esaltassero le gesta, gli ideali, le utopie delle genti e dei popoli.
Giuseppe Motti, Aligi Sassu, Ernesto Treccani furono gli artisti che per primi, facendo proprio lo spirito dei committenti politici, accolsero l'invito a partecipare alla costruzione del nuovo “tempio del popolo” donando il loro lavoro, la loro arte. Presero forma i tre cicli: “Genti del Po” di Giuseppe Motti nel 1957, “La Pace” di Aligi Sassu nel 1958, “La Danza” di Ernesto Treccani nel 1962. A questi artisti ne seguirono altri. All'ingresso della sala furono collocate: “No alla guerra – La madre” scultura di Giuseppe Scalvini, la grande tela “Amstrong - I suonatori di jazz” di Ernesto Treccani. Negli uffici del partito presero posto il grande disegno di Giuseppe Motti “I costruttori” e il dipinto di Antonia Ramponi, “Bandiere rosse – Corteo a Roma, 25/08/1964”. Nel 1965 arrivò il grande racconto per immagini sull'immigrazione di Ernesto Treccani e Toni Nicolini, “Da Melissa a Valenza”, composto da fotografie e dipinti.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo venne deciso di costruire nella Casa del Popolo una seconda grande sala assembleare. Nella Sala della Cultura, inaugurata nel 1972, prese posto il murale La via italiana al Socialismo di Aurelio C., appositamente commissionato dai comunisti di Valenza al pittore marchigiano, e venne ricollocata l’opera “Da Melissa a Valenza”. Lì trovarono spazio anche i due grandi affreschi su tavola di Eugenio Pardini dal titolo “Partigiano caduto” e “Omaggio ai martiri di S. Anna – Versilia”.
Per tutti gli anni Sessanta e Settanta vennero organizzate nella Sala della Cultura e ai Festival de l'Unità mostre d'arte personali e collettive, sollecitando o chiedendo esplicitamente agli artisti invitati un “dono” che, come i passato, erano liberi di scegliere a chi il loro dono dovesse andare: alcuni sceglievano il PCI, altri la Casa del Popolo, altri il Circolo Culturale Rinascita. Mirko Gualerzi donerà il ciclo “Della tortura” e il disegno “Uomo e pistola - Brigate Rosse”. Sui temi della denuncia civile e dell'impegno politico vanno ricordati anche i doni di Luciano Bianchi, “Uomo e topo. I due roditori” e quelli di Rosanna Cavallini, “Kurt, lo studente” e “Studente e donna”, ambedue artisti della cosiddetta “nuova generazione“ di pittori realisti.
L'edificazione della Casa del Popolo Valentia, frutto di un grande sforzo collettivo, venne celebrata con la coniazione di tre medaglie realizzate da orafi di Valenza: nel 1958 quella de “I costruttori” di Giuseppe Motti; nel 1972 “La via italiana al Socialismo” di Aurelio C.; nel 1979, su disegno originale di Mirko Gualerzi, quella con falce e martello.
La Pace di Aligi Sassu.
In perfetta sintonia con gli intenti del luogo di destinazione La Pace è un affresco della società nuova, fiorente, illuminata dal sole del socialismo. Nell’esecuzione Sassu adotta una impostazione paesistica, l’ambientazione della scena nelle campagne valenzane, lungo la riva del Po. Domina la composizione la grande figura allegorica della Pace, quasi una Madonna laica, vestita di un abito azzurro: nella mano destra tiene una colomba dalle ali spiegate mentre con la sinistra sorregge un bambino fra le spighe di grano. Altre due donne riprendono il movimento della figura principale e guardano alla loro destra: una madre con il bimbo al seno, emblema di rinascita della vita nell’Italia del dopoguerra e una donna nuda che spezza le catene, allegoria della Ragione, che rende l’uomo libero dalla schiavitù dell’ignoranza, o piuttosto della Libertà, che rompe il vincolo della tirannia e dello sfruttamento.
Al centro della scena, rivolte verso la Pace, si muovono nove figure, che richiamano immagini tipiche dell’estetica socialista: una giovane coppia sorridente, un ragazzo che acclama a braccia alzate la nuova situazione sociale, un lavoratore e una donna con il pugno teso nell’atto di manifestare le proprie idee, accanto a un volto che rivolge il proprio sguardo allo spettatore per coinvolgerlo nel corteo, una donna dai tratti orientali, due uomini a torso nudo che mietono il grano con un falcetto. Nei volti di queste figure si possono riconoscere i ritratti di alcuni cittadini valenzani, ma come nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo – a cui il murale di Sassu si ispira sia per l’impostazione generale della composizione, con una folla di manifestanti che si staglia sul paesaggio fluviale padano, sia per la citazione della donna in primo piano con il bambino in braccio – i personaggi reali sono trasfigurati in una celebrazione allegorica del socialismo. Compromessa l'integrità di questa grande opera dall'abbattimento della Casa del Popolo Valentia avvenuto nel 2006, sono sopravvissuti i particolari dell'angelo con colomba, esposto in mostra, la madre con il bambino, la donna che si libera dalle catene, il gruppo di amanti e volti con pugno chiuso alzato che rimangono in attesa di una collocazione definitiva.
Genti del Po di Giuseppe Motti
Nel 1957, con l’aiuto di artisti locali, con i quali aveva stretto un legame di amicizia negli anni precedenti, Giuseppe Motti realizzava una grande composizione dedicata alla gente del Po. In lontananza si scorge la riva sabbiosa del fiume, evocata con pochi tratti e ampie zone non dipinte, lasciate “a risparmio”, sulla quale cresce la vegetazione, dipinta in modo rapido, stenografico, a larghe campiture. Il cielo plumbeo è schiacciato in una stretta fascia ai margini superiori della composizione e riflette i colori dell’ampia superficie d’acqua che domina il centro della scena. I personaggi ritratti rappresentano le figure archetipiche dell’epopea del Po secondo Motti, “della gente che sul fiume fatica, si incontra, ama, ride, soffre, gioisce”.
Il pittore evoca così, attraverso la storia del fiume, il senso dell’esistenza umana e del suo fluire. Le acque calme che permeano di umidità l’atmosfera sono testimoni della vita che scorre, delle fatiche dei lavoratori, come dei giochi dei bambini. Gli arbusti che crescono lungo la riva sono riparo per il riposo del ragazzo che gusta una grande fetta di anguria e fonte di legna per riscaldare le case.
Il paesaggio è il vero protagonista del murale di Giuseppe Motti, con le sue luci e i suoi bagliori. Le figure, ritratte in controluce, ne vivono il riflesso, sono immobili presenze, strettamente legate al fiume, del quale sembrano emanazioni antropomorfe.
Con l'abbattimento della Casa del Popolo di Valenza (2006) e di “Genti del Po”, che occupava una superficie di circa 60 mq., sono stati risparmiati solo il bambino che mangia l'anguria, il mezzo busto femminile, il barcaiolo, esposti in mostra, e il mietitore che invece rimane in attesa di una collocazione definitiva.
Da Melissa a Valenza. Racconto per immagini di Ernesto Treccani e Toni Nicolini.
L’opera è un racconto per immagini, composto da dodici fotografie di Toni Nicolini e quattro dipinti di Ernesto Treccani, dove si narra il massiccio fenomeno di immigrazione dei contadini meridionali mossi verso il Nord attraverso un episodio specifico che ebbe per protagoniste Melissa, il borgo calabro caro al pittore, simbolo del drammatico riscatto del Mezzogiorno contadino, e Valenza, miraggio di benessere per la gente del Sud. I due linguaggi utilizzati, la pittura e la fotografia, sono accostati senza reciproche contaminazioni per narrare, attraverso le immagini, un racconto che si articola su più piani: “dalla fotografia il massimo di descrizione, dalla mia pittura il massimo di evocazione”, come scrive lo stesso Treccani. Il passaggio dalla vita rurale a quella cittadina dei contadini di Melissa nell'allestimento originale del 1965 era raccontato in tre strisce. Nella prima le immagini fotografiche descrivono la vita dell’uomo nei campi calabri e nella dimensione privata: l’uomo a cavallo nei terreni, il taglio del grano, un momento di riflessione guardando la propria terra e poi gli affetti, rappresentati dalla donna amata, dai simboli religiosi appesi a una parete spoglia, dai figli. Nella seconda striscia il contrasto cromatico delle opere pittoriche evidenzia il dramma della separazione: “Il coro del distacco”, che descrive il momento della partenza, “La città”, fredda, e grigia, “La nuova stanza”, del tutto spoglia. Nella terza striscia il racconto fotografico della nuova vita dell’immigrato contrasta con il grande dipinto centrale, “Il sogno dell’emigrante”, dove il ricordo di Melissa prende corpo in una sorta di Eden idealizzato. A sinistra, nelle foto, i simboli della vita a Valenza e del benessere conquistato: la camicia bianca e le tendine eleganti, il nuovo lavoro, le spille d’oro. A destra, l’inverno a Valenza, un momento di divertimento artificiale al luna park, e il volto dell’immigrato, impegnato nella lotta politica, smarrito, alla ricerca di se stesso.
La via italiana al Socialismo di Aurelio C.
Aurelio Ceccarelli in arte Aurelio C., ha concepito e progettato questo dipinto si può dire collettivamente, cioè consultando i cittadini di Valenza e dialogando con loro. Nel giugno 1971, infatti, da una prima assemblea pubblica del Circolo Valentia, parte la richiesta al pittore di “un lavoro chiaro e comprensibile su un tema politico e civile”. Dopo altre assemblee e incontri il progetto si precisa: dovrà rappresentare “il nostro oggi e il nostro domani”, cioè, come chiedono i cittadini di Valenza, “lo sfruttamento dell’uomo e le contraddizioni insite nella società capitalistica, i problemi e la condizione dell’infanzia e della vecchiaia in questa società, la bomba atomica, la necessità della pace, l’ecologia e la difesa dell’ambiente, il volto umano e libero del Socialismo”. Con l’aiuto dei suoi collaboratori Leonardo Giulietti e Giorgio Cardarelli, Aurelio realizza il murale in un anno di lavoro, vivendo a Valenza pagato “a libretto” come operaio edile. Inaugurato il 19 novembre 1972, lungo 20 metri e alto 3, con questo dipinto l’artista ha messo in pratica, come farà ancora in molte occasioni in Italia e all’estero, il programma di uno dei suoi maestri, il grande pittore muralista messicano David Alfaro Siqueiros, che aveva scritto: “La nostra meta estetica fondamentale è di socializzare l’espressione artistica”.
Festival de l'Unità
Le mostre di pittura iniziano al essere allestite con regolarità all'interno dei Festival de l'Unità di Valenz dall'inizio degli anni 70. Fu formata una apposita commissione con un suo responsabile e ogni anno venivano presentati artisti diversi e nuove iniziative. Nel 1975 fu realizzata la cartella di grafica con opere di Aurelio C., Remo Pasetto, Antonia Ramponi, Ernesto Treccani, tirata in 100 esemplari numerati e firmati. Nel 1977 si realizzò un’altra cartella di grafica “al femminile” con opere di Rosanna Cavallini, Isabella Miozzo e Mariarosa Mutti, tirata in 50 esemplari numerati e firmati. Nel 1980 l’artista Mirko Gualerzi ripropose la pittura estemporanea con deliziosi disegni “impressionisti” eseguiti con matite colorate che riprendevano tutti gli stand della Festa. L’anno successivo Gualerzi ripeteva l’iniziativa proponendo il ritratto su commissione, dei partecipanti, dei volontari del Festival, dei visitatori in genere. Nello stand dei quadri, anche con la collaborazione della Galleria Ciovasso di Milano, sono stati presentate e vendute decine e decine di opere d'arte di svariati artisti. In questa sede è stata riunita una piccola selezione di quelle opere, tesa a ricostruire l'atmosfera artistica, sobria ma di qualità, di cui i visitatori dei Festival, che più di una volta raggiunsero le cinquemila unità, potevano godere.
Circolo Culturale Rinascita
Il primo Circolo Ricreativo fu fondato a Valenza nel 1945, la sua sede era il bar della Sezione del Partito Comunista Italiano a Palazzo dei Pellizzari. Successivamente la denominazione divenne Circolo Culturale Ricreativo Sportivo “Rinascita”; fu chiamato Rinascita per evidenziare il legame con la rivista fondata a Salerno nel 1944 da Palmiro Togliatti.
Tra i fondatori e promotori del Circolo Culturale Rinascita di Valenza vi fu un gruppo di pittori dilettanti locali, provenienti dal ”Gruppo Amici dell’Arte”: Mario Borio, Fernando Dabene, Antonio Panelli, Piero Porta, Luigi Spinolo, Romeo Gallone, erano tutti valenti orafi. Nei primi anni Settanta si unirono al gruppo Fortunato Andreose e Piero Prandi, Paolo Spalla.
Le iniziative del Rinascita nel corso dei decenni furono molte: mostre d’arte e di politica, conferenze, convegni, dibattiti, tornei internazionali di scacchi, pubblicazioni.
Nel 1971, con la decisione presa dal PCI di Valenza di commissionare per la Sala della Cultura un murale al pittore Aurelio C., si rese necessario riorganizzare l'attività del Circolo Culturale Rinascita: in quella nuova sala si allestirono mostre a vendere con i disegni preparatori e i bozzetti elaborati dal pittore Aurelio; a cadenza annuale, soprattutto nel periodo natalizio, vennero allestite mostre d’arte invitando pittori e scultori provenienti da varie parti d'Italia e, concordemente con la commissione cultura del Partito, nel 1974 iniziarono le mostre personali dei pittori valenzani.
Curatrice della mostra è Lia Lenti che si è avvalsa di un Comitato scientifico composto, fra gli altri, da Giorgio Seveso e Toni Nicolini. A Palazzo Monferrato di Alessandria dal 15 gennaio fino al 6 marzo 2011, verranno esposte circa centoventi opere pittoriche, grafiche, scultoree, medaglie e oggetti d'arte in metalli preziosi, di proprietà della Fondazione Luigi Longo di Alessandria e provenienti da raccolte e collezioni private, collocabili tra gli anni Cinquanta e Ottanta del XX secolo.
La mostra, il cui allestimento è curato dall’architetto Armanda Tasso, è articolata in cinque sezioni: Valenza – Città dell'oro, Le estemporanee pittoriche 1956-59, La Casa del Popolo Valentia (dove avranno spazio le grandi opere murali di Aligi Sassu, Giuseppe Motti, Ernesto Treccani e Toni Nicolini, insieme al vasto dipinto parietale di Aurelio C. di ben 20 metri di lunghezza per 3 di altezza), Festival de l'Unità, Circolo Culturale Rinascita.
In catalogo, curato da Lia Lenti ed edito da Mazzotta, vi sono oltre a quello della curatrice, contributi di Fiorella Mattio, Silvia Campese, Toni Nicolini, Giorgio Seveso, Matilde Pisani Lenti, Delmo Maestri.
Dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale fino ai primi anni 70, così come avviene in Europa, anche la cultura artistica italiana è in varia misura caratterizzata dal confronto tra le ricerche che si richiamano in pittura e scultura al realismo (linguaggi iconici o comunque figurativi) da una parte e, dall’altra, quelle che esplorano le dimensioni dell’astrattismo (linguaggi non iconici, informali, astratto-geometrici, astratto-espressionistici e altro).
Il dibattito tra astrazione e figurazione rappresenta, in quei decenni, una temperie culturale di grande momento, che molto spesso si identifica con posizionamenti ideologici e politici. Da un lato gli artisti figurativi-realisti, schierati dalla parte del popolo e di un’arte “comprensibile” per tutti, a descrivere la realtà, le sue condizioni e contraddizioni; dall’altro gli astratti-formalisti, dalla parte di una sorta di “arte per l’arte” autosufficiente e autoreferenziale. Tra questi due estremi una serie di posizioni intermedie, costituite da diverse declinazioni di questo o quell’altro campo e da essi più o meno autonome.
Attorno al Fronte Nuovo delle Arti e alle posizioni espresse dal Gruppo degli Otto, dal proseguimento dell’esperienza di Corrente allo scontro tra Vittorini e Togliatti sulle pagine de Il Politecnico e di Rinascita, fino alle accese polemiche sulle tesi di Roger Garaudy in “Artisti senza uniforme”, tutto il dibattito culturale e artistico di allora ruota attorno al concetto di arte “impegnata” contrapposta a quello di arte “fine a se stessa”.
Dopo gli anni 60 e l’affacciarsi sulla scena di una nuova generazione di artisti, con l’aprirsi della situazione culturale del Paese verso altre realtà internazionali, il confronto si stempererà e si articolerà in altro modo.
L’esperienza di rapporto tra la Casa del Popolo Valentia e l’arte, che in questa mostra viene testimoniata, ci dice che ci fu senza dubbio una scelta prevalente di tipo figurativo, in cui tuttavia si manifestarono segni e momenti di confronto più largo.
La volontà di diffondere in questa città, votata al fare artistico, alla gioielleria, la nuova cultura artistica emersa alla fine della guerra indusse il P.C.I. di Valenza Po ad organizzare Estemporanee pittoriche.
A cadenza annuale le estemporanee pittoriche si tennero in città dal 1956 al 1959, duravano un giorno ed erano una opportunità di ludica socializzazione, un modo semplice per avvicinare all'arte un pubblico vario. Artisti giovani e meno giovani, già affermati o alle prime armi, cercavano di cogliere visivamente aspetti significativi della città, dei luoghi di lavoro, della campagna circostante, del Po, interpretandoli con tecniche veloci, matite colorate, pastelli, chine su carta ma anche colori ad olio su tele di piccolo e medio formato. Al termine della giornata le opere venivano esposte, giudicate e premiate ed il pubblico aveva la possibilità di acquistare a “prezzo politico” cioè modico. A queste kermesse di provincia dove era scontato incontrare artisti poco conosciuti o poco più che dilettanti, non si sottraevano i pittori professionisti già affermati. Infatti per la buona riuscita dell'iniziativa venne coinvolta la Galleria “La Colonna” di Milano, una delle gallerie di primissimo piano nel panorama del capoluogo lombardo e punto di riferimento per gli artisti più coerenti del movimento neorealista. L'edizione più importante fu la prima alla cui premiazione intervenne Renato Guttuso mentre il critico d'arte Raffaele De Grada tenne una conferenza sull'arte realista.
Il 29 agosto 1958 venne aperta la sala della Casa del Popolo “Valentia”. I lavori di costruzione della erano iniziati due anni prima sul sedime dell'ex calzaturificio Valentia. Il progetto per la cittadina di Valenza era ambizioso ma necessario a contenere la vistosa e crescente adesione della popolazione alle idee propugnate dal Partito comunista. L'edificazione avvenne in un clima generale di mobilitazione delle forze volontarie e le risorse finanziarie reperite furono utilizzate nell'acquisto di materiali da costruzione. Alla dirigenza politica di allora parve comunque necessario abbellire le pareti spoglie della grande sala con opere d'arte di grande formato. Il desiderio era quello di rappresentare, secondo l'antica tradizione italiana, sui muri degli edifici pubblici, cicli figurativi che narrassero, esaltassero le gesta, gli ideali, le utopie delle genti e dei popoli.
Giuseppe Motti, Aligi Sassu, Ernesto Treccani furono gli artisti che per primi, facendo proprio lo spirito dei committenti politici, accolsero l'invito a partecipare alla costruzione del nuovo “tempio del popolo” donando il loro lavoro, la loro arte. Presero forma i tre cicli: “Genti del Po” di Giuseppe Motti nel 1957, “La Pace” di Aligi Sassu nel 1958, “La Danza” di Ernesto Treccani nel 1962. A questi artisti ne seguirono altri. All'ingresso della sala furono collocate: “No alla guerra – La madre” scultura di Giuseppe Scalvini, la grande tela “Amstrong - I suonatori di jazz” di Ernesto Treccani. Negli uffici del partito presero posto il grande disegno di Giuseppe Motti “I costruttori” e il dipinto di Antonia Ramponi, “Bandiere rosse – Corteo a Roma, 25/08/1964”. Nel 1965 arrivò il grande racconto per immagini sull'immigrazione di Ernesto Treccani e Toni Nicolini, “Da Melissa a Valenza”, composto da fotografie e dipinti.
Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo venne deciso di costruire nella Casa del Popolo una seconda grande sala assembleare. Nella Sala della Cultura, inaugurata nel 1972, prese posto il murale La via italiana al Socialismo di Aurelio C., appositamente commissionato dai comunisti di Valenza al pittore marchigiano, e venne ricollocata l’opera “Da Melissa a Valenza”. Lì trovarono spazio anche i due grandi affreschi su tavola di Eugenio Pardini dal titolo “Partigiano caduto” e “Omaggio ai martiri di S. Anna – Versilia”.
Per tutti gli anni Sessanta e Settanta vennero organizzate nella Sala della Cultura e ai Festival de l'Unità mostre d'arte personali e collettive, sollecitando o chiedendo esplicitamente agli artisti invitati un “dono” che, come i passato, erano liberi di scegliere a chi il loro dono dovesse andare: alcuni sceglievano il PCI, altri la Casa del Popolo, altri il Circolo Culturale Rinascita. Mirko Gualerzi donerà il ciclo “Della tortura” e il disegno “Uomo e pistola - Brigate Rosse”. Sui temi della denuncia civile e dell'impegno politico vanno ricordati anche i doni di Luciano Bianchi, “Uomo e topo. I due roditori” e quelli di Rosanna Cavallini, “Kurt, lo studente” e “Studente e donna”, ambedue artisti della cosiddetta “nuova generazione“ di pittori realisti.
L'edificazione della Casa del Popolo Valentia, frutto di un grande sforzo collettivo, venne celebrata con la coniazione di tre medaglie realizzate da orafi di Valenza: nel 1958 quella de “I costruttori” di Giuseppe Motti; nel 1972 “La via italiana al Socialismo” di Aurelio C.; nel 1979, su disegno originale di Mirko Gualerzi, quella con falce e martello.
La Pace di Aligi Sassu.
In perfetta sintonia con gli intenti del luogo di destinazione La Pace è un affresco della società nuova, fiorente, illuminata dal sole del socialismo. Nell’esecuzione Sassu adotta una impostazione paesistica, l’ambientazione della scena nelle campagne valenzane, lungo la riva del Po. Domina la composizione la grande figura allegorica della Pace, quasi una Madonna laica, vestita di un abito azzurro: nella mano destra tiene una colomba dalle ali spiegate mentre con la sinistra sorregge un bambino fra le spighe di grano. Altre due donne riprendono il movimento della figura principale e guardano alla loro destra: una madre con il bimbo al seno, emblema di rinascita della vita nell’Italia del dopoguerra e una donna nuda che spezza le catene, allegoria della Ragione, che rende l’uomo libero dalla schiavitù dell’ignoranza, o piuttosto della Libertà, che rompe il vincolo della tirannia e dello sfruttamento.
Al centro della scena, rivolte verso la Pace, si muovono nove figure, che richiamano immagini tipiche dell’estetica socialista: una giovane coppia sorridente, un ragazzo che acclama a braccia alzate la nuova situazione sociale, un lavoratore e una donna con il pugno teso nell’atto di manifestare le proprie idee, accanto a un volto che rivolge il proprio sguardo allo spettatore per coinvolgerlo nel corteo, una donna dai tratti orientali, due uomini a torso nudo che mietono il grano con un falcetto. Nei volti di queste figure si possono riconoscere i ritratti di alcuni cittadini valenzani, ma come nel Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo – a cui il murale di Sassu si ispira sia per l’impostazione generale della composizione, con una folla di manifestanti che si staglia sul paesaggio fluviale padano, sia per la citazione della donna in primo piano con il bambino in braccio – i personaggi reali sono trasfigurati in una celebrazione allegorica del socialismo. Compromessa l'integrità di questa grande opera dall'abbattimento della Casa del Popolo Valentia avvenuto nel 2006, sono sopravvissuti i particolari dell'angelo con colomba, esposto in mostra, la madre con il bambino, la donna che si libera dalle catene, il gruppo di amanti e volti con pugno chiuso alzato che rimangono in attesa di una collocazione definitiva.
Genti del Po di Giuseppe Motti
Nel 1957, con l’aiuto di artisti locali, con i quali aveva stretto un legame di amicizia negli anni precedenti, Giuseppe Motti realizzava una grande composizione dedicata alla gente del Po. In lontananza si scorge la riva sabbiosa del fiume, evocata con pochi tratti e ampie zone non dipinte, lasciate “a risparmio”, sulla quale cresce la vegetazione, dipinta in modo rapido, stenografico, a larghe campiture. Il cielo plumbeo è schiacciato in una stretta fascia ai margini superiori della composizione e riflette i colori dell’ampia superficie d’acqua che domina il centro della scena. I personaggi ritratti rappresentano le figure archetipiche dell’epopea del Po secondo Motti, “della gente che sul fiume fatica, si incontra, ama, ride, soffre, gioisce”.
Il pittore evoca così, attraverso la storia del fiume, il senso dell’esistenza umana e del suo fluire. Le acque calme che permeano di umidità l’atmosfera sono testimoni della vita che scorre, delle fatiche dei lavoratori, come dei giochi dei bambini. Gli arbusti che crescono lungo la riva sono riparo per il riposo del ragazzo che gusta una grande fetta di anguria e fonte di legna per riscaldare le case.
Il paesaggio è il vero protagonista del murale di Giuseppe Motti, con le sue luci e i suoi bagliori. Le figure, ritratte in controluce, ne vivono il riflesso, sono immobili presenze, strettamente legate al fiume, del quale sembrano emanazioni antropomorfe.
Con l'abbattimento della Casa del Popolo di Valenza (2006) e di “Genti del Po”, che occupava una superficie di circa 60 mq., sono stati risparmiati solo il bambino che mangia l'anguria, il mezzo busto femminile, il barcaiolo, esposti in mostra, e il mietitore che invece rimane in attesa di una collocazione definitiva.
Da Melissa a Valenza. Racconto per immagini di Ernesto Treccani e Toni Nicolini.
L’opera è un racconto per immagini, composto da dodici fotografie di Toni Nicolini e quattro dipinti di Ernesto Treccani, dove si narra il massiccio fenomeno di immigrazione dei contadini meridionali mossi verso il Nord attraverso un episodio specifico che ebbe per protagoniste Melissa, il borgo calabro caro al pittore, simbolo del drammatico riscatto del Mezzogiorno contadino, e Valenza, miraggio di benessere per la gente del Sud. I due linguaggi utilizzati, la pittura e la fotografia, sono accostati senza reciproche contaminazioni per narrare, attraverso le immagini, un racconto che si articola su più piani: “dalla fotografia il massimo di descrizione, dalla mia pittura il massimo di evocazione”, come scrive lo stesso Treccani. Il passaggio dalla vita rurale a quella cittadina dei contadini di Melissa nell'allestimento originale del 1965 era raccontato in tre strisce. Nella prima le immagini fotografiche descrivono la vita dell’uomo nei campi calabri e nella dimensione privata: l’uomo a cavallo nei terreni, il taglio del grano, un momento di riflessione guardando la propria terra e poi gli affetti, rappresentati dalla donna amata, dai simboli religiosi appesi a una parete spoglia, dai figli. Nella seconda striscia il contrasto cromatico delle opere pittoriche evidenzia il dramma della separazione: “Il coro del distacco”, che descrive il momento della partenza, “La città”, fredda, e grigia, “La nuova stanza”, del tutto spoglia. Nella terza striscia il racconto fotografico della nuova vita dell’immigrato contrasta con il grande dipinto centrale, “Il sogno dell’emigrante”, dove il ricordo di Melissa prende corpo in una sorta di Eden idealizzato. A sinistra, nelle foto, i simboli della vita a Valenza e del benessere conquistato: la camicia bianca e le tendine eleganti, il nuovo lavoro, le spille d’oro. A destra, l’inverno a Valenza, un momento di divertimento artificiale al luna park, e il volto dell’immigrato, impegnato nella lotta politica, smarrito, alla ricerca di se stesso.
La via italiana al Socialismo di Aurelio C.
Aurelio Ceccarelli in arte Aurelio C., ha concepito e progettato questo dipinto si può dire collettivamente, cioè consultando i cittadini di Valenza e dialogando con loro. Nel giugno 1971, infatti, da una prima assemblea pubblica del Circolo Valentia, parte la richiesta al pittore di “un lavoro chiaro e comprensibile su un tema politico e civile”. Dopo altre assemblee e incontri il progetto si precisa: dovrà rappresentare “il nostro oggi e il nostro domani”, cioè, come chiedono i cittadini di Valenza, “lo sfruttamento dell’uomo e le contraddizioni insite nella società capitalistica, i problemi e la condizione dell’infanzia e della vecchiaia in questa società, la bomba atomica, la necessità della pace, l’ecologia e la difesa dell’ambiente, il volto umano e libero del Socialismo”. Con l’aiuto dei suoi collaboratori Leonardo Giulietti e Giorgio Cardarelli, Aurelio realizza il murale in un anno di lavoro, vivendo a Valenza pagato “a libretto” come operaio edile. Inaugurato il 19 novembre 1972, lungo 20 metri e alto 3, con questo dipinto l’artista ha messo in pratica, come farà ancora in molte occasioni in Italia e all’estero, il programma di uno dei suoi maestri, il grande pittore muralista messicano David Alfaro Siqueiros, che aveva scritto: “La nostra meta estetica fondamentale è di socializzare l’espressione artistica”.
Festival de l'Unità
Le mostre di pittura iniziano al essere allestite con regolarità all'interno dei Festival de l'Unità di Valenz dall'inizio degli anni 70. Fu formata una apposita commissione con un suo responsabile e ogni anno venivano presentati artisti diversi e nuove iniziative. Nel 1975 fu realizzata la cartella di grafica con opere di Aurelio C., Remo Pasetto, Antonia Ramponi, Ernesto Treccani, tirata in 100 esemplari numerati e firmati. Nel 1977 si realizzò un’altra cartella di grafica “al femminile” con opere di Rosanna Cavallini, Isabella Miozzo e Mariarosa Mutti, tirata in 50 esemplari numerati e firmati. Nel 1980 l’artista Mirko Gualerzi ripropose la pittura estemporanea con deliziosi disegni “impressionisti” eseguiti con matite colorate che riprendevano tutti gli stand della Festa. L’anno successivo Gualerzi ripeteva l’iniziativa proponendo il ritratto su commissione, dei partecipanti, dei volontari del Festival, dei visitatori in genere. Nello stand dei quadri, anche con la collaborazione della Galleria Ciovasso di Milano, sono stati presentate e vendute decine e decine di opere d'arte di svariati artisti. In questa sede è stata riunita una piccola selezione di quelle opere, tesa a ricostruire l'atmosfera artistica, sobria ma di qualità, di cui i visitatori dei Festival, che più di una volta raggiunsero le cinquemila unità, potevano godere.
Circolo Culturale Rinascita
Il primo Circolo Ricreativo fu fondato a Valenza nel 1945, la sua sede era il bar della Sezione del Partito Comunista Italiano a Palazzo dei Pellizzari. Successivamente la denominazione divenne Circolo Culturale Ricreativo Sportivo “Rinascita”; fu chiamato Rinascita per evidenziare il legame con la rivista fondata a Salerno nel 1944 da Palmiro Togliatti.
Tra i fondatori e promotori del Circolo Culturale Rinascita di Valenza vi fu un gruppo di pittori dilettanti locali, provenienti dal ”Gruppo Amici dell’Arte”: Mario Borio, Fernando Dabene, Antonio Panelli, Piero Porta, Luigi Spinolo, Romeo Gallone, erano tutti valenti orafi. Nei primi anni Settanta si unirono al gruppo Fortunato Andreose e Piero Prandi, Paolo Spalla.
Le iniziative del Rinascita nel corso dei decenni furono molte: mostre d’arte e di politica, conferenze, convegni, dibattiti, tornei internazionali di scacchi, pubblicazioni.
Nel 1971, con la decisione presa dal PCI di Valenza di commissionare per la Sala della Cultura un murale al pittore Aurelio C., si rese necessario riorganizzare l'attività del Circolo Culturale Rinascita: in quella nuova sala si allestirono mostre a vendere con i disegni preparatori e i bozzetti elaborati dal pittore Aurelio; a cadenza annuale, soprattutto nel periodo natalizio, vennero allestite mostre d’arte invitando pittori e scultori provenienti da varie parti d'Italia e, concordemente con la commissione cultura del Partito, nel 1974 iniziarono le mostre personali dei pittori valenzani.
15
gennaio 2011
Passione civile arte e politica. Artisti a Valenza tra gli anni Cinquanta e Ottanta
Dal 15 gennaio al 15 marzo 2011
arte contemporanea
Location
PALAZZO MONFERRATO
Alessandria, Via San Lorenzo, 21, (Alessandria)
Alessandria, Via San Lorenzo, 21, (Alessandria)
Orario di apertura
ore 16-19; domenica 10-12/16-19.
Vernissage
15 Gennaio 2011, ore 18
Editore
MAZZOTTA
Ufficio stampa
MAZZOTTA
Curatore