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talent hunter Marco Salvetti
parola d'artista
Dipinge figure misteriose in scenari post-atomici. Ha un immaginario visionario, una passione per la science-fiction e per la produzione dei B-movie, realizza clip dal sapore vintage con derive trash. È Marco Salvetti, classe 1983...
Gelo di Thomas Bernhard, Post-punk di Reynolds, I racconti di Guy de Maupassant, Neuromante
di William
Gibson.
Che musica ascolti?
Durante l’adolescenza mi sono
fatto l’orecchio con i grandi classici: Jimi Hendrix, Pink Floyd, Queen.
Crescendo mi sono avvicinato alla musica elettronica e alla New Wave. Sono
partito dall’Industrial di Sheffield e sono arrivato fino alla House di NY e
Chicago, passando nel frattempo per i Suicide, P.I.L., CAN e Joy Division.
L’epoca del peer-to-peer, un’età dell’oro.
Città che consiglieresti di visitare e perché.
Finora ho viaggiato soprattutto per motivi artistici. La necessità di
stare dietro agli eventi. Comunque per la scena musicale elettronica, per
alcuni scorci della S-Bahn e per i bassi costi di vita consiglierei Berlino.
Oppure Parigi, per le notti d’autunno dopo un temporale, quando non ci sono più
mezzi pubblici e devi rincasare a piedi. Toccasana per le anime crepuscolari e
meditative.
I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato.
Le cave di marmo di Carrara con la luna piena; qui vicino a casa mia,
una vasta zona paludosa, il lago di Massaciuccoli, dove a volte trascorro
qualche ora solitaria. Infine, il tratto di spiaggia tra Viareggio e Torre del
Lago, in un ventoso pomeriggio primaverile.
Le pellicole che hai amato di più.
Il Volto
di Bergmann, L’avventura di Antonioni, Assassinio di un Allibratore Cinese di Cassavetes, Il Lungo Addio e poi il “generazionale” Trainspotting. Ma anche Woody Allen, Jim
Jarmusch, Pasolini e il cinema italiano in genere. Provo una particolare
fascinazione per i film la cui trama si sviluppa lungo 24 ore, come Buffalo
’66 di Vincent
Gallo o Fuori Orario di Scorsese.
Le mostre visitate che ti hanno lasciato un segno.
Daniel Spoerri, al Centro Pecci di Prato, pochi anni fa; l’anno scorso
Anish Kapoor alla Royal Art Academy di Londra e un’installazione di Andro Wekua
ad Art Basel.
Gli artisti del passato per i quali nutri interesse.
L’Espressionismo tedesco (cinema e pittura), Munch, Cézanne, Martin
Kippenberger, il fotografo Joseph Koudelka, Jan Svankmajer e Lorenzo Viani.
E i giovani a cui ti senti vicino, artisticamente parlando?
In particolar modo al lavoro di Andro Wekua, Nathalie Djurberg, Marcel
Dzama e Neal Tait.
Che formazione hai?
Liceo linguistico, un anno di Università a Pisa e Accademia di Belle
Arti di Carrara.
Vivi a Massarosa, un comune tra Viareggio e Lucca. Quanto pesa
l’essere periferico rispetto ai centri del sistema dell’arte?
Dipende dalle ambizioni di un artista. È vero che oggi si viaggia con
molta facilità ma, se si vuole crescere, il poter vivere stabilmente la realtà
e la comunità artistica di città come Berlino o New York è oggettivamente un
vantaggio, purché si riesca a farne parte sul serio. Sto facendo domanda per
alcune residenze all’estero, tuttavia anche se rimanessi qua non starei certo a
flagellarmi. Continuerò a lavorare sodo per far crescere il mio lavoro e la mia
personalità.
Hai seguito un workshop con Flavio Favelli. Cosa ricordi di
quell’esperienza?
Siamo stati ospiti nel paese di Caprarola, vicino Viterbo. È stata una
settimana davvero utile e divertente. Tra noi ragazzi e Flavio c’è stato un
rapporto simpatico, quasi cameratesco. Ha un gran senso dell’ironia. Sono
rimasto affascinato dalla storia dietro al suo lavoro; ha saputo darmi alcuni
buoni consigli per il mio.
I tuoi quadri sono messinscene di figure misteriose che assumono
forme ambigue. Il tutto senza alcun schizzo preparatorio. Da dove escono quei
personaggi?
È il comporre un immaginario che mi domina, che quasi mi ossessiona.
Figure ambigue e grottesche che scaturiscono da un particolare rapporto di
analisi e tensione con la realtà. Il confluire simultaneo dei piani, delle
possibilità, personaggi magici, da altre dimensioni. In fondo una pittura assai
cerebrale. Non riesco a lavorare dai bozzetti, preferisco affrontare la tela un
passo alla volta, alla cieca.
Science-fiction, cinema horror, B-movie sembrano essere le tue
fonti d’ispirazione. Da cosa nasce l’interesse per quei generi?
È la produzione dei B-movie nel suo complesso che m’interessa. Da un
lato è il fascino un po’ feticista per l’estetica “low”, dall’altro è il fatto
che trovo così interessante che delle persone abbiano impegnato tempo ed
energie per prodotti così poco professionali, ma al tempo stesso ricchi di spontaneità
e di trovate tutto sommato accattivanti. Tra i B-movie e il cinema d’autore c’è
uno scarto, io cerco quella zona d’ombra dove il legame tra fiction, realtà e
aspettative dello spettatore viene meno.
Ti interessa la mitologia?
Man mano che il mio corpus pittorico cresce, noto il dipanarsi di una
certa sintassi, il riaffiorare di certe figure, situazioni, personaggi. Sembra
che tutto ciò si stia sviluppando attorno a una certa mitologia “autodefinita”,
appartenente a un pantheon ludico e surreale, oscuro e magico. Tuttavia è un
fenomeno aleatorio, poiché ciò deriva dal soppesare la nostra realtà secondo
una diversa logica.
Ti sei cimentato anche col video, realizzando uno studio ipotetico
per un clip del brano Night Clubbing di Iggy Pop reinterpretato dal duo francese
Zombie-Zombie, che presenti al festival Suoni e Visioni di Lucca a luglio. Di che si
tratta?
Sì, da un anno ascoltavo questo brano e da subito ho avuto l’idea per
un videoclip. Nel frattempo, con alcuni amici abbiamo cominciato a visionare
valanghe di film di Fulci, Mattei, Fragasso. Una domenica ci è venuto in mente
di girare un nostro cortometraggio, o un trailer. Ecco che ho rispolverato
l’idea del video musicale: un piccolo tributo al cinema di serie B e al Super
8. Io che non avevo mai girato niente, mi sono preso qualche giorno per
imparare a maneggiare la handycam. Ho lavorato amplificando il lato amatoriale
piuttosto che cercando un improbabile taglio professionale. Il risultato è
questo studio, che in realtà è un video a tutti gli effetti, ma non ufficiale. Night
Clubbing a sua
volta è una cover: insomma, sarebbe pane per Walter Benjamin. Invece il concept
album è la storia di un vago personaggio esiliato in una città di Le Mille e
una Notte. Lavoro
sia in studio sia live con amici musicisti e mi arrangio a cantare: la latenza
professionale, altra dimensione del mio lavoro.
L’artista
finalista al Premio Italian Factory 2006
talent hunter è una rubrica diretta da daniele
perra
*articolo pubblicato
su Exibart.onpaper n. 67. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]