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Dai Campi alle Officine-Dopoguerra e Boom Economico / Beni Archeologici
Due mostre fotografiche: La prima, dal titolo “Dai Campi alle Officine-Dopoguerra e Boom Economico: Vent’anni di Immagini di Lavoro nella Maremma Toscana tratte dall’Archivio dei Fratelli Gori” consisterà in una selezione di 43 ingrandimenti fotografici in bianco e nero tratti dalla omonima pubblicazione. La seconda, che avrà ad oggetto “Beni Archeologici – Immagini della Maremma etrusca e romana tratte dall’archivio dei Fratelli Gori”, consisterà in 20 ingrandimenti fotografici in bianco e nero che raffigurano i principali siti archeologici della Maremma
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Anche la Maremma, un po’, è perduta. Ma anche se la Maremma evocata dalle fotografie dell'Archivio Gori non esiste più, sarebbe comunque ingeneroso denunciarne la totale scomparsa. Ancora oggi, come evidenziano i più importanti giornali internazionali, la nostra terra conserva scorci incontaminati e paesaggi di pura bellezza. La sua purezza, però, è oggi minacciata dalla modernità devastatrice e dalle speculazioni, e la sua bellezza è fragile come il volto di una giovane donna. E' necessario che tutti, soprattutto i maremmani, prendano coscienza del patrimonio che gli appartiene, e di cui devono disporre condividendo diritti di fruizione e responsabilità di conservazione. Un giorno, difatti, questo patrimonio farà parte della loro eredità alle generazioni future.
Per concludere, ringrazio di cuore i fratelli Gori che hanno messo a disposizione questo materiale fotografico accumulato in tanti anni di lavoro appassionato e sapiente, gli altri organizzatori della mostra che hanno realizzato un allestimento molto suggestivo e meditato, il Sindaco di Grosseto e la Direttrice del Museo che hanno reso possibile questa ulteriore ed encomiabile iniziativa in tempi difficili per la promozione della cultura e dell'arte.
Gianfranco Luzzetti
Introduzione
Terra, fango, acqua.
La strada che si allarga, sotto nubi cariche di pioggia
L'orizzonte è un campo aperto, uno sguardo che si perde.
Il lavoro è fatica di tanti, insieme.
Uomini con badili, uomini con zappe, uomini con carriole.
Poi vecchi camion, rimorchi, strumenti dimenticati.
Nascita di una città.
Lo spazio è dilatato.
Oltre i grigi – i pieni e i vuoti dell'immagine fotografica – indovini altro spazio.
Terra a perdita d'occhio.
Libertà di fare, di immaginare.
Impresa da pionieri.
La città cresce.
Un punto che si estende sulla mappa.
Il resto è: campi, pascoli, altri campi.
E, sui campi, un diverso lavoro.
Più antico: coltivazioni, la trebbiatura, la vendemmia.
Lavoro come fatica.
E fatica portata fin dentro la terra.
Miniere.
La gabbia che scende.
I carrelli che caricano pietre, pirite, pietre.
La memoria di venti anni.
Una dopo l’altra, parole in forma di immagini.
Ma è solo memoria?
Queste foto ci mostrano l’impasto, la tessitura interna di una storia di formazione.
Formazione economica, formazione sociale, per dirla con i maestri della nostra giovinezza.
Il discorso della storia si organizza a partire da questo materiale.
Materiale povero: spazi, terre, mattoni, utensili.
Le lotte contadine nascono dall’aia e dalla trebbiatrice.
Divisione dei prodotti, degli strumenti, delle terre.
Per passi successivi si arriva alle bandiere, alle idee, alle forze contrapposte dello Stato e della contestazione sociale, sindacale e politica.
Vediamo in queste immagini come il ministro di turno osserva, vigila, controlla, inaugura.
L’obiettivo coglie il “grado zero” della scena.
Ragazze sorridenti impegnate nella vendemmia, raccoglitori nei campi di tabacco, squadre di badilanti alla periferia della città.
Come si indovina uno spazio fisico al di là dei confini dell’immagine, così si indovina uno spazio storico (di storie collettive) che non si esaurisce nel gesto dei personaggi.
La storia ha poi il compito di raccontare.
Racconterà la tragedia di Ribolla, le battaglie dei minatori ed il progressivo insterilimento delle miniere.
Il lavoro, l’organizzazione, e la disoccupazione.
Racconterà le lotte contadine, che si intrecciano con la vicenda politica italiana: guerra fredda e riforma – stralcio, “legge truffa” e “contratti capestro”.
I nostri padri vengono da lì.
O contadini sulle terre e i campi aperti.
O minatori nelle gallerie.
O figli di una piccola, orgogliosa, borghesia, che vede crescere la città oltre le vecchie mura. Mattone su mattone, bottega su bottega, strada su strada.
Noi veniamo da lì.
Su queste vie abbiamo camminato.
E con noi gli eroi, i campioni immaginari della nostra infanzia.
Oggi, riconoscere un angolo, un particolare minimo, è esercizio difficile.
In pochi anni, è come se la storia avesse accumulato rocciose stratificazioni geologiche.
La memoria è dispersa.
Le connessioni interne, scomparse.
La città è cresciuta su se stessa. Il nuovo procede per distruzioni successive.
Così deve essere, così è dovunque, nel mondo.
Ma se la nostra storia non si perde, se non viene espulsa una volta per tutte come insignificante, è anche perché resta ben stretta a queste semplici immagini che sopravvivono al tempo.
Flavio Fusi
Campi
La Maremma di quasi cinquant'anni fa, un paesaggio agrario sconfinato, dominante su tutto e su tutti.
In tante immagini di quel tempo gli uomini, le macchine, il bestiame, sembrano come avviati a una sfida, un po' dispersi, in quella campagna così vasta e priva di elementi a noi oggi consueti, come le case, le strade, le linee elettriche e telefoniche, le alberature e i campi regolari...
La Maremma del dopoguerra era sì latifondo, ma quasi mai un latifondo totalmente passivo, anche se purtroppo immerso in una situazione di “anomalia” strutturale, infrastrutturale e sociale che non eva elementi di paragone con le realtà agricole della restante parte della Toscana.
Su queste condizioni di anomalia si innesta con forza l'azione della Riforma fondiaria, azione durata oltre venti anni.
La Riforma fondiaria ha portato gente a una terra poco popolata quando ancora si correva il rischio di contrarre la malaria, ha portato mezzi di produzione, soprattutto macchine operatrici, quando i pochi trattori erano posseduti solo dalle più grandi aziende di pianura, mentre in collina era impiegato solo il bestiame da lavoro, e la trebbiatura si effettuava “da fermo”, nell'aia dei poderi mezzadrili.
In questo periodo si concludono anche le ultime opere di bonifica, con la costruzione di altre idrovore e il completamento della rete dei canali e strade nelle aree appoderate di pianura, mentre in collina si procede con la sistemazione di molti versanti e si migliora la regimazione idrica.
Grandi e piccole aziende ins ieme formeranno un comparto dotato di notevoli potenzialità, ma è questo il momento in cui la forza lavoro giovane, i figli degli assegnatari della Riforma, approda in larga parte agli altri settori produttivi emergenti nel territorio, in particolare artigianato, piccola industria e, successivamente, commercio. Si ha cioè il travaso, con il crescere del benessere, “dai campi alle officine” di quella parte della popolazione attiva di cui forse la Riforma fondiaria aveva maggiormente bis ogno affinchè la trasformazione agricola del territorio maremmano avesse pieno successo.
Finiva proprio allora un periodo sotto tanti aspetti irripetibile.
Marco Mencagli
Cave e Miniere
Le due aree minerarie della Provincia di Grosseto erano fin dai tempi più remoti le Colline Metallifere e l'Amiata, la prima produceva pirite e, a Ribolla, lignite, la seconda mercurio. Esse, in una provincia tradizionalmente agricola che nel 1951 occupava il 51% della popolazione attiva in campagna e ancora nel 1961 quasi il 40%, erano le aree industriali, seppure di una industria assai peculiare e anch'essa legata alla terra. Il grado di industrializzazione calcolato come rapporto tra numero di addetti su 1000 abitanti presenti poneva Grosseto all'ultimo posto della Toscana e al 51° tra le province italiane, ma questo risultato veniva raggiunto solo grazie ai Comuni minerari di Massa Marittima, Montieri, Gavorrano. Se l'industria era la miniera con le sue gallerie, l'operaio era il minatore; se la Società Montecatini era il capitalismo in Maremma, i minatori rappresentavano il socialismo prima, il comunismo poi.
Il minatore, costretto a lavorare come una talpa e, nato contadino, piegato ad una disciplina industriale del tutto estranea ai tempi della natura, sembrava inevitabilmente “rivoluzionario”.
Eppure non era sempre così. Padre Ernesto Balducci, figlio di un minatore di Santa Fiora ha scritto più volte che conservando un posto fisso per molti anni, i minatori erano gli “aristocratici” del paese rispetto ai tanti che vivevano alla giornata ed erano costretti a precari lavori agricoli e all'emigrazione stagionale in Maremma.
I cavatori invece erano vicini alla città in tutti i sensi. Marmo, pomice, pozzolana, sabbie e ghiaie servivano per quell'industria edilizia che raccoglieva nel 1961 il 25% degli addetti all'industria della provincia.
Servivano, in sostanza(togliere), per la costruzione di quei due-tremila vani che ogni anno sorgevano in provincia, in parte a Grosseto e nelle centinaia di opere pubbliche del “miracolo economico” maremmano. La modernità di Grosseto, la Kansas City della Maremma dipendeva anche da questi lavoratori che erano appesi alle oscillazioni del mercato delle case e agli impegni dei Governi e delle Amministrazioni locali.
Maurizio Ruffini
Edilizia e Lavori Pubblici
Come ovunque in Italia, anche a Grosseto la seconda metà degli anni quaranta è soprattutto ricostruzione.
Ricostruire: cancellare la memoria della guerra e dei bombardamenti, che Grosseto e provincia conobbero nel '43 e '44, ma soprattutto riprendere od avviare quel mestiere che negli anni '50 e '60 avrebbe conosciuto in tutta Italia una espansione senza eguali. In provincia di Grosseto nel periodo 1919 – 1945 si erano censite 11700 nuove abitazioni, mentre nel periodo 1946 – 1971 ne venivano censite altre 60000 ed il numero degli addetti al settore delle costruzioni raddoppiava tra il 1951 e il 1971.
Nei primi anni cinquanta gli ingegneri iscritti all'Albo professionale provinciale erano poche decine tra dipendenti e liberi professionisti; gli architetti tre o quattro, i geometri una cinquantina. Nell'immediato dopoguerra metodi e tecnologie restavano prevalentemente artigianali: ponteggi in legno, murature tradizionali in pietra o in laterizio, materiali facilmente reperibili grazie alla disponibilità di risorse che consentiva una fiorente attività estrattiva in tutta la provincia;; il cemento armato veniva usato ancora sporadicamente e anche per questo, oltre che per oggettiva carenza di progettisti con competenze tecniche specifiche, le altezze dei fabbricati si mantenevano contenute. Negli anni cinquanta iniziava a diffondersi l'uso dei ponteggi e fra questi i tubi del Cavalier Innocenti, noto produttore degli stessinonchè dello scooter Lambretta, più tardi munifico donatore alla città di Grosseto di un finanziamento per la costruzione del nuovo Ospedale. Con i ponteggi metallici si costruiva la Chiesa del Sacro Cuore in Grosseto, e le imprese che lavoravano per l'Ente Maremma iniziavano ad usarli nelle centinaia di case che si costruivano per gli assegnatari della Riforma fondiaria. Solo negli anni settanta si inizierà a pecepire gli effetti di una modesta industrializzazione del settore.
Cecilia Luzzetti
Officine
Proprio negli anni '50, nell'immediato dopoguerra, si instaurarono nella Provincia di Grosseto le così dette “Officine”, quasi come le “Botteghe” del XIV secolo, come i “Laboratori” del XVI secolo, ma logicamente assunsero, ben presto, il significato di “Stabilimenti Industriali” dove, per lo più, si attuavano lavori meccanici con diversi operai.
Industria del Laterizio, quale la Fornace di San Martino, che sfruttava la creta dell'Ombrone per i mattoni e altri manufatti, con vasto impiego di operai. Ma le Officine risultavano soprattutto inerenti agli ambienti peculiari del territorio e legate, quindi, ad istituzioni quali il Consorzio Agrario, il Centro di Rifornimento Quadrupedi, la varie Aziende agricole, per cui si sviluppavano, appunto quale necessario supporto alle particolari richieste di ogni impianto. Sorsero, perciò, sellerie, falegnamerie, officine meccaniche, cantine, frantoi ed oleifici, pomodorifici, caseifici, salumifici, molini, il tutto per sfruttare gli abbondanti e validi prodotti agricoli, creando una fiorente industrializzazione agro-alimentare, importantissima per la nostra provincia. Il Molino Morelli potè approvvigionare di farina i forni locali, anche durante l'ultimo conflitto mondiale e nel dopoguerra.
Fra le “Officine” più degne di nota possono ricordarsi senz'altro l'Officina Cosimini - già fondata nel 1856 e poi ricostruita come “Meccanico-Agricola Grossetana” fino agli anni cinquanta attiva nella costruzione di macchine trebbiatrici di alta qualità e famose in tutta Italia – e lo Stabilimento ILVA di Follonica, i cui operai, veri artisti del ferro, hanno produttivamente lavorato, ma anche creato opere d'arte conosciute in tutta Italia e parte delle quali costituisce, oggi, un patrimonio socio-culturale-artistico notevole, che può essere ammirato nella cittadina balneare dove questo complesso si è sviluppato.
Giuseppina Scotti
Beni Archeologici
Immagini della Maremma Etrusca e Romana tratte dall'archivio dei Fratelli Gori
Roselle, Augusteo - ritrovamento della statua di Livia (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento delle statue acefale di ragazzi della famiglia giulio-claudia (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della testa di Helios (1966)
Roselle, strada basolata di età romana (c.d. "decumano massimo") all'altezza della basilica (1962)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della statua di Livia (1966)
Cosa-Ansedonia - muro perimetrale del Capitolium sull'arx (1952)
Ansedonia, loc. la Tagliata - il Portus Cosanus con la Torre Puccini sullo sfondo (1962)
Sovana - via cava etrusca (1963)
Vetulonia - tomba della Pietrera , dromos d'ingresso (1952)
Cosa-Ansedonia - arco di accesso al foro da sud-ovest (1967)
Vetulonia - tomba della Pietrera, interno (1952)
Sovana - necropoli di Sopraripa, tomba della Sirena (1963)
Vetulonia - Poggiarello Renzetti, strada basolata romana (1952)
Vetulonia - Tomba del Diavolino II o di Pozzo dell'Abate (1966)
Isola di Giannutri - villa romana, peristilio (1957)
Isola di Giannutri - villa romana, pavimento in opus sectile (1950)
Roselle - Anfiteatro, archi di accesso all'arena (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della testa di Helios, particolare (1966)
Per concludere, ringrazio di cuore i fratelli Gori che hanno messo a disposizione questo materiale fotografico accumulato in tanti anni di lavoro appassionato e sapiente, gli altri organizzatori della mostra che hanno realizzato un allestimento molto suggestivo e meditato, il Sindaco di Grosseto e la Direttrice del Museo che hanno reso possibile questa ulteriore ed encomiabile iniziativa in tempi difficili per la promozione della cultura e dell'arte.
Gianfranco Luzzetti
Introduzione
Terra, fango, acqua.
La strada che si allarga, sotto nubi cariche di pioggia
L'orizzonte è un campo aperto, uno sguardo che si perde.
Il lavoro è fatica di tanti, insieme.
Uomini con badili, uomini con zappe, uomini con carriole.
Poi vecchi camion, rimorchi, strumenti dimenticati.
Nascita di una città.
Lo spazio è dilatato.
Oltre i grigi – i pieni e i vuoti dell'immagine fotografica – indovini altro spazio.
Terra a perdita d'occhio.
Libertà di fare, di immaginare.
Impresa da pionieri.
La città cresce.
Un punto che si estende sulla mappa.
Il resto è: campi, pascoli, altri campi.
E, sui campi, un diverso lavoro.
Più antico: coltivazioni, la trebbiatura, la vendemmia.
Lavoro come fatica.
E fatica portata fin dentro la terra.
Miniere.
La gabbia che scende.
I carrelli che caricano pietre, pirite, pietre.
La memoria di venti anni.
Una dopo l’altra, parole in forma di immagini.
Ma è solo memoria?
Queste foto ci mostrano l’impasto, la tessitura interna di una storia di formazione.
Formazione economica, formazione sociale, per dirla con i maestri della nostra giovinezza.
Il discorso della storia si organizza a partire da questo materiale.
Materiale povero: spazi, terre, mattoni, utensili.
Le lotte contadine nascono dall’aia e dalla trebbiatrice.
Divisione dei prodotti, degli strumenti, delle terre.
Per passi successivi si arriva alle bandiere, alle idee, alle forze contrapposte dello Stato e della contestazione sociale, sindacale e politica.
Vediamo in queste immagini come il ministro di turno osserva, vigila, controlla, inaugura.
L’obiettivo coglie il “grado zero” della scena.
Ragazze sorridenti impegnate nella vendemmia, raccoglitori nei campi di tabacco, squadre di badilanti alla periferia della città.
Come si indovina uno spazio fisico al di là dei confini dell’immagine, così si indovina uno spazio storico (di storie collettive) che non si esaurisce nel gesto dei personaggi.
La storia ha poi il compito di raccontare.
Racconterà la tragedia di Ribolla, le battaglie dei minatori ed il progressivo insterilimento delle miniere.
Il lavoro, l’organizzazione, e la disoccupazione.
Racconterà le lotte contadine, che si intrecciano con la vicenda politica italiana: guerra fredda e riforma – stralcio, “legge truffa” e “contratti capestro”.
I nostri padri vengono da lì.
O contadini sulle terre e i campi aperti.
O minatori nelle gallerie.
O figli di una piccola, orgogliosa, borghesia, che vede crescere la città oltre le vecchie mura. Mattone su mattone, bottega su bottega, strada su strada.
Noi veniamo da lì.
Su queste vie abbiamo camminato.
E con noi gli eroi, i campioni immaginari della nostra infanzia.
Oggi, riconoscere un angolo, un particolare minimo, è esercizio difficile.
In pochi anni, è come se la storia avesse accumulato rocciose stratificazioni geologiche.
La memoria è dispersa.
Le connessioni interne, scomparse.
La città è cresciuta su se stessa. Il nuovo procede per distruzioni successive.
Così deve essere, così è dovunque, nel mondo.
Ma se la nostra storia non si perde, se non viene espulsa una volta per tutte come insignificante, è anche perché resta ben stretta a queste semplici immagini che sopravvivono al tempo.
Flavio Fusi
Campi
La Maremma di quasi cinquant'anni fa, un paesaggio agrario sconfinato, dominante su tutto e su tutti.
In tante immagini di quel tempo gli uomini, le macchine, il bestiame, sembrano come avviati a una sfida, un po' dispersi, in quella campagna così vasta e priva di elementi a noi oggi consueti, come le case, le strade, le linee elettriche e telefoniche, le alberature e i campi regolari...
La Maremma del dopoguerra era sì latifondo, ma quasi mai un latifondo totalmente passivo, anche se purtroppo immerso in una situazione di “anomalia” strutturale, infrastrutturale e sociale che non eva elementi di paragone con le realtà agricole della restante parte della Toscana.
Su queste condizioni di anomalia si innesta con forza l'azione della Riforma fondiaria, azione durata oltre venti anni.
La Riforma fondiaria ha portato gente a una terra poco popolata quando ancora si correva il rischio di contrarre la malaria, ha portato mezzi di produzione, soprattutto macchine operatrici, quando i pochi trattori erano posseduti solo dalle più grandi aziende di pianura, mentre in collina era impiegato solo il bestiame da lavoro, e la trebbiatura si effettuava “da fermo”, nell'aia dei poderi mezzadrili.
In questo periodo si concludono anche le ultime opere di bonifica, con la costruzione di altre idrovore e il completamento della rete dei canali e strade nelle aree appoderate di pianura, mentre in collina si procede con la sistemazione di molti versanti e si migliora la regimazione idrica.
Grandi e piccole aziende ins ieme formeranno un comparto dotato di notevoli potenzialità, ma è questo il momento in cui la forza lavoro giovane, i figli degli assegnatari della Riforma, approda in larga parte agli altri settori produttivi emergenti nel territorio, in particolare artigianato, piccola industria e, successivamente, commercio. Si ha cioè il travaso, con il crescere del benessere, “dai campi alle officine” di quella parte della popolazione attiva di cui forse la Riforma fondiaria aveva maggiormente bis ogno affinchè la trasformazione agricola del territorio maremmano avesse pieno successo.
Finiva proprio allora un periodo sotto tanti aspetti irripetibile.
Marco Mencagli
Cave e Miniere
Le due aree minerarie della Provincia di Grosseto erano fin dai tempi più remoti le Colline Metallifere e l'Amiata, la prima produceva pirite e, a Ribolla, lignite, la seconda mercurio. Esse, in una provincia tradizionalmente agricola che nel 1951 occupava il 51% della popolazione attiva in campagna e ancora nel 1961 quasi il 40%, erano le aree industriali, seppure di una industria assai peculiare e anch'essa legata alla terra. Il grado di industrializzazione calcolato come rapporto tra numero di addetti su 1000 abitanti presenti poneva Grosseto all'ultimo posto della Toscana e al 51° tra le province italiane, ma questo risultato veniva raggiunto solo grazie ai Comuni minerari di Massa Marittima, Montieri, Gavorrano. Se l'industria era la miniera con le sue gallerie, l'operaio era il minatore; se la Società Montecatini era il capitalismo in Maremma, i minatori rappresentavano il socialismo prima, il comunismo poi.
Il minatore, costretto a lavorare come una talpa e, nato contadino, piegato ad una disciplina industriale del tutto estranea ai tempi della natura, sembrava inevitabilmente “rivoluzionario”.
Eppure non era sempre così. Padre Ernesto Balducci, figlio di un minatore di Santa Fiora ha scritto più volte che conservando un posto fisso per molti anni, i minatori erano gli “aristocratici” del paese rispetto ai tanti che vivevano alla giornata ed erano costretti a precari lavori agricoli e all'emigrazione stagionale in Maremma.
I cavatori invece erano vicini alla città in tutti i sensi. Marmo, pomice, pozzolana, sabbie e ghiaie servivano per quell'industria edilizia che raccoglieva nel 1961 il 25% degli addetti all'industria della provincia.
Servivano, in sostanza(togliere), per la costruzione di quei due-tremila vani che ogni anno sorgevano in provincia, in parte a Grosseto e nelle centinaia di opere pubbliche del “miracolo economico” maremmano. La modernità di Grosseto, la Kansas City della Maremma dipendeva anche da questi lavoratori che erano appesi alle oscillazioni del mercato delle case e agli impegni dei Governi e delle Amministrazioni locali.
Maurizio Ruffini
Edilizia e Lavori Pubblici
Come ovunque in Italia, anche a Grosseto la seconda metà degli anni quaranta è soprattutto ricostruzione.
Ricostruire: cancellare la memoria della guerra e dei bombardamenti, che Grosseto e provincia conobbero nel '43 e '44, ma soprattutto riprendere od avviare quel mestiere che negli anni '50 e '60 avrebbe conosciuto in tutta Italia una espansione senza eguali. In provincia di Grosseto nel periodo 1919 – 1945 si erano censite 11700 nuove abitazioni, mentre nel periodo 1946 – 1971 ne venivano censite altre 60000 ed il numero degli addetti al settore delle costruzioni raddoppiava tra il 1951 e il 1971.
Nei primi anni cinquanta gli ingegneri iscritti all'Albo professionale provinciale erano poche decine tra dipendenti e liberi professionisti; gli architetti tre o quattro, i geometri una cinquantina. Nell'immediato dopoguerra metodi e tecnologie restavano prevalentemente artigianali: ponteggi in legno, murature tradizionali in pietra o in laterizio, materiali facilmente reperibili grazie alla disponibilità di risorse che consentiva una fiorente attività estrattiva in tutta la provincia;; il cemento armato veniva usato ancora sporadicamente e anche per questo, oltre che per oggettiva carenza di progettisti con competenze tecniche specifiche, le altezze dei fabbricati si mantenevano contenute. Negli anni cinquanta iniziava a diffondersi l'uso dei ponteggi e fra questi i tubi del Cavalier Innocenti, noto produttore degli stessinonchè dello scooter Lambretta, più tardi munifico donatore alla città di Grosseto di un finanziamento per la costruzione del nuovo Ospedale. Con i ponteggi metallici si costruiva la Chiesa del Sacro Cuore in Grosseto, e le imprese che lavoravano per l'Ente Maremma iniziavano ad usarli nelle centinaia di case che si costruivano per gli assegnatari della Riforma fondiaria. Solo negli anni settanta si inizierà a pecepire gli effetti di una modesta industrializzazione del settore.
Cecilia Luzzetti
Officine
Proprio negli anni '50, nell'immediato dopoguerra, si instaurarono nella Provincia di Grosseto le così dette “Officine”, quasi come le “Botteghe” del XIV secolo, come i “Laboratori” del XVI secolo, ma logicamente assunsero, ben presto, il significato di “Stabilimenti Industriali” dove, per lo più, si attuavano lavori meccanici con diversi operai.
Industria del Laterizio, quale la Fornace di San Martino, che sfruttava la creta dell'Ombrone per i mattoni e altri manufatti, con vasto impiego di operai. Ma le Officine risultavano soprattutto inerenti agli ambienti peculiari del territorio e legate, quindi, ad istituzioni quali il Consorzio Agrario, il Centro di Rifornimento Quadrupedi, la varie Aziende agricole, per cui si sviluppavano, appunto quale necessario supporto alle particolari richieste di ogni impianto. Sorsero, perciò, sellerie, falegnamerie, officine meccaniche, cantine, frantoi ed oleifici, pomodorifici, caseifici, salumifici, molini, il tutto per sfruttare gli abbondanti e validi prodotti agricoli, creando una fiorente industrializzazione agro-alimentare, importantissima per la nostra provincia. Il Molino Morelli potè approvvigionare di farina i forni locali, anche durante l'ultimo conflitto mondiale e nel dopoguerra.
Fra le “Officine” più degne di nota possono ricordarsi senz'altro l'Officina Cosimini - già fondata nel 1856 e poi ricostruita come “Meccanico-Agricola Grossetana” fino agli anni cinquanta attiva nella costruzione di macchine trebbiatrici di alta qualità e famose in tutta Italia – e lo Stabilimento ILVA di Follonica, i cui operai, veri artisti del ferro, hanno produttivamente lavorato, ma anche creato opere d'arte conosciute in tutta Italia e parte delle quali costituisce, oggi, un patrimonio socio-culturale-artistico notevole, che può essere ammirato nella cittadina balneare dove questo complesso si è sviluppato.
Giuseppina Scotti
Beni Archeologici
Immagini della Maremma Etrusca e Romana tratte dall'archivio dei Fratelli Gori
Roselle, Augusteo - ritrovamento della statua di Livia (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento delle statue acefale di ragazzi della famiglia giulio-claudia (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della testa di Helios (1966)
Roselle, strada basolata di età romana (c.d. "decumano massimo") all'altezza della basilica (1962)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della statua di Livia (1966)
Cosa-Ansedonia - muro perimetrale del Capitolium sull'arx (1952)
Ansedonia, loc. la Tagliata - il Portus Cosanus con la Torre Puccini sullo sfondo (1962)
Sovana - via cava etrusca (1963)
Vetulonia - tomba della Pietrera , dromos d'ingresso (1952)
Cosa-Ansedonia - arco di accesso al foro da sud-ovest (1967)
Vetulonia - tomba della Pietrera, interno (1952)
Sovana - necropoli di Sopraripa, tomba della Sirena (1963)
Vetulonia - Poggiarello Renzetti, strada basolata romana (1952)
Vetulonia - Tomba del Diavolino II o di Pozzo dell'Abate (1966)
Isola di Giannutri - villa romana, peristilio (1957)
Isola di Giannutri - villa romana, pavimento in opus sectile (1950)
Roselle - Anfiteatro, archi di accesso all'arena (1966)
Roselle, Augusteo - ritrovamento della testa di Helios, particolare (1966)
10
dicembre 2010
Dai Campi alle Officine-Dopoguerra e Boom Economico / Beni Archeologici
Dal 10 dicembre 2010 al 13 marzo 2011
fotografia
Location
MUSEO ARCHEOLOGICO E D’ARTE DELLA MAREMMA
Grosseto, Piazza Alfredo Baccarini, 3, (Grosseto)
Grosseto, Piazza Alfredo Baccarini, 3, (Grosseto)
Orario di apertura
ore 10-13; 17-20
Vernissage
10 Dicembre 2010, ore 17.30