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Visioni Parallele. Venturino Venturi e il Novecento
La mostra ripercorre la vicenda artistica di Venturino Venturi (1918-2002) attraverso i molteplici rapporti che ebbe con artisti e uomini di cultura del proprio tempo. In mostra circa cento opere, in gran parte inedite, tra sculture, dipinti, disegni e fotografie di Venturino e alcuni dei maggiori artisti italiani del Novecento
Comunicato stampa
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Il Comune di Arezzo e l’Archivio Venturino Venturi in collaborazione con la Regione Toscana, la Provincia di Arezzo e il sostegno di Banca Etruria, presentano la mostra Visioni Parallele. Venturino Venturi e il Novecento presso gli spazi espositivi della Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Arezzo. La mostra, curata da Lucia Fiaschi con Antonio Caleca e Liletta Fornasari, ripercorre la vicenda artistica di Venturino Venturi (1918-2002) attraverso i molteplici rapporti che ebbe con artisti e uomini di cultura del proprio tempo. In mostra circa cento opere, in gran parte inedite, tra sculture, dipinti, disegni e fotografie di Venturino e alcuni dei maggiori artisti italiani del Novecento: Vinicio Berti, Antonio Bueno, Alberto Burri, Primo Conti, Roberto Crippa, Oscar Gallo, Enzo Faraoni, Lucio Fontana, Renzo Grazzini, Bruno Innocenti, Enzo Innocenti, Silvio Loffredo, Mino Maccari, Alberto Magnelli, Marino Marini, Quinto Martini, Fernando Melani, Francesco Messina, Henry Moore, Bruno Munari, Gualtiero Nativi, Mario Nigro, Ottone Rosai, Sergio Scatizzi e Lorenzo Viani. Le opere, esposte a confronto e in relazione tra di loro, provengono sia da istituzioni pubbliche (GAM di Firenze, GAMC di Viareggio, Casa Fernando Melani di Pistoia, Collezione permanente di Palazzo Fabroni di Pistoia, Museo Venturino Venturi e Archivio Venturino Venturi) che da alcune prestigiose collezioni private. In mostra capolavori di Venturino come le sculture Minatore e Ventre del 1949 e alcuni ritratti, tra cui quello di Fiamma Vigo del 1954; di Lucio Fontana un Concetto spaziale del 1967, di Ottone Rosai l’autoritratto del 1933, di Henry Moore un Modello per forma animale in bronzo del 1969 – 1971 e molti altri ancora.
Completa l’esposizione un film-documentario che ripercorre la vita di Venturino Venturi, interpretato da Massimo Tarducci, alla regia con Manuela Critelli, prodotto dall’Associazione La Terza Prattica.
Per l’Assessore alla Cultura del Comune di Arezzo, Camillo Brezzi: “la mostra odierna con L’Archivio Venturino Venturi è la tappa di un progetto più ampio sul Novecento che intende valorizzare e riscoprire gli artisti e i movimenti toscani dal 1945 ad oggi”.
Nato nel 1918 a Loro Ciuffenna (Ar), dove alla fine degli anni Settanta tornerà a vivere, Venturino Venturi seppe coniugare nel proprio lavoro l’attaccamento consapevole alle proprie origini con le aperture e le anticipazioni dei maggiori movimenti della metà del secolo scorso, superando ogni divisione tra astrattismo e figurazione. Nel 1921, il padre Attilio, scalpellino di professione, è costretto a lasciare l’Italia per le sue opinioni politiche riparando in Francia e poi in Lussemburgo con la famiglia. Anni difficili di estrema povertà. Finiti gli studi, Venturino decide di tornare in Toscana, affascinato dai racconti del padre, per vivere nei luoghi che avevano visto nascere e operare i grandi artisti del passato: Donatello, Masaccio, Michelangelo, tutti “nati a pochi passi da casa mia”, com’era solito dire. A Firenze, alla fine degli anni Trenta, Venturino studia presso l’Istituto d’Arte di Porta Romana, allora diretto da Libero Andreotti, e poi all’Accademia delle Belle Arti. E’ il tempo in cui Venturino si avvicina al Caffè delle Giubbe Rosse dove conosce e stringe amicizia con Piero Bigongiari, Romano Bilenchi, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Vasco Pratolini, Ottone Rosai e molti altri. Di Ottone Rosai, amava la passione inesauribile per la pittura, pur criticando aspramente la deriva dei suoi tanti epigoni. Volle ritrarlo, e questa sarà una sua costante: ritrarre coloro ai quali si sentiva vicino. Era il 1938 e nell’opera esposta in mostra, accanto ad un bellissimo autoritratto dello stesso Rosai del 1933, Venturino seppe liberare l’effige tormentata dell’amico dalle inquietudini che lo agitavano. Il 1945 fu per Venturino un anno di svolta: era stato in guerra ed era tornato gravemente ferito. Questa esperienza aveva in parte placato la sua esaltazione per l’arte e lo aveva avvicinato all’Umanità, da ora in poi al centro di ogni suo pensiero di uomo e di artista. E’ di quell’anno la sua prima personale alla Galleria La Porta che inaugura con i suoi lavori. Si riconosce nel gruppo Arte d’Oggi che, sotto la guida di Vinicio Berti e Gualtiero Nativi, inizia a muoversi verso sperimentazioni geometrizzanti sempre più vicine a soluzioni astratte. Venturino partecipa ai dibattiti fiorentini, ma dai suoi scritti traspare un’insofferenza per la cultura fiorentina, della quale avverte certe chiusure di matrice ideologica e la finitezza dei troppi proclami e manifesti.
Nel 1947 si trasferisce a Milano, affascinato dai fermenti di quella che allora era la capitale della cultura italiana, dove frequenta gli artisti della compagine di Lucio Fontana. Invitato ad aderire al Manifesto non volle schierarsi, pur mantenendo negli anni a venire molta attenzione ai temi dello spazialismo. Venturino elabora un proprio naturalismo astratto. Sono stati sufficienti due anni a Milano per mutarlo profondamente : le spirali di Crippa, gli spazi di Fontana divengono da ora in poi la sua grammatica.
A Firenze, nel frattempo, aveva aperto, per impulso di Giovanni Michelucci, la Galleria Vigna Nuova. Le prime mostre, con Cagli, De Pisis e Manzù, ebbero l’intento di avvicinare un pubblico quanto più vasto possibile, per suscitare l’attenzione per un’arte programmaticamente globale. Venturino pienamente in sintonia con il programma della galleria, nel 1951, espone una serie di disegni, sculture e ceramiche. Questo è anche il periodo delle Maternità dei primi anni ’50, anch’esse in mostra, “forme sintetiche, pure, lontane da qualsivoglia deriva sentimentale”. È anche il Venturino che oscilla tra opere di rigore geometrico come Minatore o Elan dans l’Espace - con quest’ultima partecipa alla Biennale di Venezia del 1950 - e opere come il Ventre di bronzo del 1949, anticipatore di più tarde soluzioni all’Alberto Viani.
Nel 1951, Fiamma Vigo da vita alla straordinaria avventura della Galleria Numero con una personale di Capogrossi. La Vigo chiama Venturino nel 1952. Alla Numero, Venturino trova quel fermento internazionale e quella libertà di dibattito a cui aveva aspirato per molti anni. Stringe con la Vigo un intenso patto di amicizia, sigillato dal bellissimo ritratto, in mostra, del 1954. Sempre nello stesso anno, espone alla Numero, con la mostra Costruzioni in bianco e nero – monotipi. Nel 1953, Venturino presenta per la Fondazione Nazionale Carlo Collodi, con gli amici architetti Renato Baldi e Leonello De Luigi, un progetto per una piazza circondata da un muro sagomato rivestito con 900 mq di superficie musiva. Al centro doveva ergersi un Pinocchio gnomone, l’ombra del cui braccio alzato, proiettandosi sulla parete istoriata, avrebbe indicato lo svolgersi della vicenda narrata. Vinsero, ma Venturino non poté eseguire la scultura di Pinocchio. Il premio fu viziato da un ex aequo con lo scultore Emilio Greco: a quest’ultimo la scultura, a loro la piazza. Venturino portò a compimento il progetto ma poi crollò sotto il peso della delusione e della fatica.
Seguono lunghi anni di malattia da cui scaturiscono le straordinarie carte a matita, tempera e cera del 1958 e i ritratti degli amici più cari che Venturino dipinge su grandi fogli, curvo sul pavimento dell’Ospedale di San Salvi dove era ricoverato. La piena maturità artistica di Venturino si incontra con la Galleria Quadrante, diretta da Matilde Giorgini, piccolo gioiello nella vita culturale di Firenze. Venturino vi espone nel 1963, presentato da Mario Luzi. Dagli anni Settanta, inizia quel suo vivere appartato, prima a Firenze e in seguito a Loro Ciuffenna, dove era nato, ma che prima di tutto era stata la terra dei suoi genitori, origine di quel suo essere antico e contemporaneo allo stesso tempo. Il catalogo della mostra è di Polistampa editore.
Completa l’esposizione un film-documentario che ripercorre la vita di Venturino Venturi, interpretato da Massimo Tarducci, alla regia con Manuela Critelli, prodotto dall’Associazione La Terza Prattica.
Per l’Assessore alla Cultura del Comune di Arezzo, Camillo Brezzi: “la mostra odierna con L’Archivio Venturino Venturi è la tappa di un progetto più ampio sul Novecento che intende valorizzare e riscoprire gli artisti e i movimenti toscani dal 1945 ad oggi”.
Nato nel 1918 a Loro Ciuffenna (Ar), dove alla fine degli anni Settanta tornerà a vivere, Venturino Venturi seppe coniugare nel proprio lavoro l’attaccamento consapevole alle proprie origini con le aperture e le anticipazioni dei maggiori movimenti della metà del secolo scorso, superando ogni divisione tra astrattismo e figurazione. Nel 1921, il padre Attilio, scalpellino di professione, è costretto a lasciare l’Italia per le sue opinioni politiche riparando in Francia e poi in Lussemburgo con la famiglia. Anni difficili di estrema povertà. Finiti gli studi, Venturino decide di tornare in Toscana, affascinato dai racconti del padre, per vivere nei luoghi che avevano visto nascere e operare i grandi artisti del passato: Donatello, Masaccio, Michelangelo, tutti “nati a pochi passi da casa mia”, com’era solito dire. A Firenze, alla fine degli anni Trenta, Venturino studia presso l’Istituto d’Arte di Porta Romana, allora diretto da Libero Andreotti, e poi all’Accademia delle Belle Arti. E’ il tempo in cui Venturino si avvicina al Caffè delle Giubbe Rosse dove conosce e stringe amicizia con Piero Bigongiari, Romano Bilenchi, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Vasco Pratolini, Ottone Rosai e molti altri. Di Ottone Rosai, amava la passione inesauribile per la pittura, pur criticando aspramente la deriva dei suoi tanti epigoni. Volle ritrarlo, e questa sarà una sua costante: ritrarre coloro ai quali si sentiva vicino. Era il 1938 e nell’opera esposta in mostra, accanto ad un bellissimo autoritratto dello stesso Rosai del 1933, Venturino seppe liberare l’effige tormentata dell’amico dalle inquietudini che lo agitavano. Il 1945 fu per Venturino un anno di svolta: era stato in guerra ed era tornato gravemente ferito. Questa esperienza aveva in parte placato la sua esaltazione per l’arte e lo aveva avvicinato all’Umanità, da ora in poi al centro di ogni suo pensiero di uomo e di artista. E’ di quell’anno la sua prima personale alla Galleria La Porta che inaugura con i suoi lavori. Si riconosce nel gruppo Arte d’Oggi che, sotto la guida di Vinicio Berti e Gualtiero Nativi, inizia a muoversi verso sperimentazioni geometrizzanti sempre più vicine a soluzioni astratte. Venturino partecipa ai dibattiti fiorentini, ma dai suoi scritti traspare un’insofferenza per la cultura fiorentina, della quale avverte certe chiusure di matrice ideologica e la finitezza dei troppi proclami e manifesti.
Nel 1947 si trasferisce a Milano, affascinato dai fermenti di quella che allora era la capitale della cultura italiana, dove frequenta gli artisti della compagine di Lucio Fontana. Invitato ad aderire al Manifesto non volle schierarsi, pur mantenendo negli anni a venire molta attenzione ai temi dello spazialismo. Venturino elabora un proprio naturalismo astratto. Sono stati sufficienti due anni a Milano per mutarlo profondamente : le spirali di Crippa, gli spazi di Fontana divengono da ora in poi la sua grammatica.
A Firenze, nel frattempo, aveva aperto, per impulso di Giovanni Michelucci, la Galleria Vigna Nuova. Le prime mostre, con Cagli, De Pisis e Manzù, ebbero l’intento di avvicinare un pubblico quanto più vasto possibile, per suscitare l’attenzione per un’arte programmaticamente globale. Venturino pienamente in sintonia con il programma della galleria, nel 1951, espone una serie di disegni, sculture e ceramiche. Questo è anche il periodo delle Maternità dei primi anni ’50, anch’esse in mostra, “forme sintetiche, pure, lontane da qualsivoglia deriva sentimentale”. È anche il Venturino che oscilla tra opere di rigore geometrico come Minatore o Elan dans l’Espace - con quest’ultima partecipa alla Biennale di Venezia del 1950 - e opere come il Ventre di bronzo del 1949, anticipatore di più tarde soluzioni all’Alberto Viani.
Nel 1951, Fiamma Vigo da vita alla straordinaria avventura della Galleria Numero con una personale di Capogrossi. La Vigo chiama Venturino nel 1952. Alla Numero, Venturino trova quel fermento internazionale e quella libertà di dibattito a cui aveva aspirato per molti anni. Stringe con la Vigo un intenso patto di amicizia, sigillato dal bellissimo ritratto, in mostra, del 1954. Sempre nello stesso anno, espone alla Numero, con la mostra Costruzioni in bianco e nero – monotipi. Nel 1953, Venturino presenta per la Fondazione Nazionale Carlo Collodi, con gli amici architetti Renato Baldi e Leonello De Luigi, un progetto per una piazza circondata da un muro sagomato rivestito con 900 mq di superficie musiva. Al centro doveva ergersi un Pinocchio gnomone, l’ombra del cui braccio alzato, proiettandosi sulla parete istoriata, avrebbe indicato lo svolgersi della vicenda narrata. Vinsero, ma Venturino non poté eseguire la scultura di Pinocchio. Il premio fu viziato da un ex aequo con lo scultore Emilio Greco: a quest’ultimo la scultura, a loro la piazza. Venturino portò a compimento il progetto ma poi crollò sotto il peso della delusione e della fatica.
Seguono lunghi anni di malattia da cui scaturiscono le straordinarie carte a matita, tempera e cera del 1958 e i ritratti degli amici più cari che Venturino dipinge su grandi fogli, curvo sul pavimento dell’Ospedale di San Salvi dove era ricoverato. La piena maturità artistica di Venturino si incontra con la Galleria Quadrante, diretta da Matilde Giorgini, piccolo gioiello nella vita culturale di Firenze. Venturino vi espone nel 1963, presentato da Mario Luzi. Dagli anni Settanta, inizia quel suo vivere appartato, prima a Firenze e in seguito a Loro Ciuffenna, dove era nato, ma che prima di tutto era stata la terra dei suoi genitori, origine di quel suo essere antico e contemporaneo allo stesso tempo. Il catalogo della mostra è di Polistampa editore.
27
novembre 2010
Visioni Parallele. Venturino Venturi e il Novecento
Dal 27 novembre 2010 al 09 gennaio 2011
arte contemporanea
Location
GCAC – GALLERIA COMUNALE DI ARTE CONTEMPORANEA
Arezzo, Piazza San Francesco, 4, (Arezzo)
Arezzo, Piazza San Francesco, 4, (Arezzo)
Orario di apertura
Da martedì a domenica ore 10-18 Lunedì chiuso, 25 dicembre e 1 gennaio chiuso
Vernissage
27 Novembre 2010, ore 17 Presentazione del film documentario sulla vita di Venturino Venturi Diretto da Massimo Tarducci e Manuela Critelli
Sito web
sites.google.com/site/venturinoventuri/
Editore
POLISTAMPA
Ufficio stampa
AMBRA NEPI
Autore
Curatore