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Francesco Lussana
mostra personale
Comunicato stampa
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COLLOQUIO DI FRANCESCO LUSSANA
CON GIORGIO BONOMI
F.L. 1 Sono curioso di sapere come è nato il tuo interesse per l’arte contemporanea, dopo la laurea
in fi losofi a.ofi a.
G.B. I miei studi di fi losofi a erano concentrati sulla fi losofi a politica, infatti la mia tesi di
laurea era sul pensiero di Antonio Gramsci e fu poi pubblicata dall’editore Feltrinelli (Partito
e rivoluzione in Gramsci, 1973) e tradotta anche in spagnolo. Erano gli anni caratterizzati dal
Sessantotto, dalle ideologie e dalle pratiche “rivoluzionarie”, che coinvolgevano tanti giovani,
studenti ed operai, e che contribuirono a cambiare l’Italia. Certo da qui venivano pure quei
maledetti “anni di piombo”, ma è un altro discorso.
Così, seguendo i dettami marxiani relativi all’unità di teoria e prassi, mi occupavo di teorie
politiche, con studi e scritti, e insieme facevo politica, ad un certo punto, essendo mosso
solo da ragioni ideali, vidi che la politica era solo un mezzo per acquisire potere e denaro,
quindi me ne allontanai e, siamo alla metà degli anni Ottanta, mi dedicai totalmente e
professionalmente all’arte contemporanea, disciplina che fi n da giovanissimo seguivo per
piacere.
Ho lavorato trentacinque anni in fabbrica. So che anche tu hai avuto, sebbene indirettamente,
un rapporto con la fabbrica, con gli operai.
Certo, quando facevo politica si andava alle sei del mattino davanti ai cancelli delle
fabbriche per distribuire i volantini, a parlare con i rappresentanti di quella classe che
avrebbe “cambiato il mondo”, così avevo parecchi amici e “compagni” operai.
Sarà per queste mie esperienze, ma quando ho visto il tuo lavoro, mi sono affi orati, nel
ricordo, tante idee e pensieri che avevo messo un po’ da parte: subito mi è venuto un
paragone tra Walter Benjamin e Antonio Gramsci.
Nella storia, le grandi idee e le grandi pratiche sono quasi sempre state poi smentite dalla
realtà fattuale. Penso alla teoria di Benjamin sull’aura e sulla “riproducibilità tecnica
dell’opera d’arte”2, la quale, ultima, avrebbe fatto perdere, al manufatto artistico, proprio
quell’aura data dalla sua unicità. Abbiamo visto, subito dopo, come le grafi che e le
fotografi e, stampate a numeri contenuti o elevati è lo stesso, dei “grandi” artisti non solo
hanno conservato l’aura ma, addirittura, l’hanno accresciuta.
Così, se dall’estetica passiamo alla sociologia, vediamo che le tesi sul taylorismo-fordi.Allora,
se l’artigiano mette parte di se stesso nel lavoro che crea, anche l’operaio, parcellizzato
e fordizzato, pensa e capisce, o cerca di capire, quello che sta facendo, ricavandone
maggiore o minore soddisfazione. Dice, sempre Gramsci: “[…] l’umanità e la spiritualità
non possono non realizzarsi che nel mondo della produzione e del lavoro, nella ‘creazione’
produttiva; essa era massima nell’artigiano, nel ‘demiurgo’, quando la personalità del
lavoratore si rifl etteva tutta nell’oggetto creato, quando era ancora molto forte il legame
tra arte e lavoro”4. Vediamo, così, che già Gramsci, in queste note poi intitolate Americanismo
e fordismo, metteva in dubbio gli eff etti dei nuovi sistemi di produzione, pur analizzandone
tutti i pericoli; come in tempi più recenti, quelli dell’operaio-massa, la massifi cazione
certamente ha tolto molto all’uomo ma non ha annullato le capacità creative dell’operaio.
Tu sei la prova concreta dell’operaio che non ha fatto studi specifi ci d’arte, ma che rifl ette e
pensa e quindi capisce quello che sta facendo e lo trova anche “bello”, cioè dai ad un
oggetto, che potrebbe sembrare insignifi cante, valore di opera da collocare nelle collezioni,
nelle gallerie, nei musei5.
Come ben sai sono autodidatta e la mia ricerca artistica ha origine o, meglio, non sarebbe
nemmeno iniziata se Duchamp non avesse esposto il suo famoso orinatoio dando vita al
movimento Dada e ai suoi ready- made.
Spesso ho l’impressione di essere un pesce fuor d’acqua: in poche parole, come si può collocare
la mia arte tecnologica in un movimento artistico. Ci sono artisti vicini al mio lavoro con i quali
confrontarmi ?
Certamente la poetica del “prelevamento” di un oggetto dalla realtà data e la trasformazione
di questo in opera d’arte solo perché così stabilisce l’artista, e il sistema dell’arte, con la
nuova collocazione, è l’innovazione più alta nella storia dell’arte, e non solo del Novecento.
Duchamp porta al grado zero il concetto di manualità e di creatività materiale nell’arte (anche
se era un ottimo pittore): dopo di lui ci sono stati molti suoi “discepoli”, questi a loro volta
possono essere diff erenziati tra i “nipotini scemi”, cioè semplici imitatori che prendono cose e
le portano in galleria, e “allievi geniali” che, nel prelevamento, aggiungono idee loro proprie.
Tu, per un verso, appartieni a questa seconda schiera e, per un altro, presenti un lavoro
unico ed originale. Mi spiego: a Duchamp interessava poco il valore estetico o simbolico
dell’oggetto prescelto come opera, bello o brutto che fosse, tu invece prelevi dalla fabbrica
oggetti di scarto, residui di lavorazione che hanno in sé un profondo signifi cato e un aspetto
in cui l’eleganza e la bellezza sono evidenti. Per questo sono convinto che il tuo lavoro – che,
appunto, dal lavoro va all’arte – abbia un’originalità individuale.
Tu lavori con il gusto dell’occhio e la rifl essione del cervello: la percezione visiva ti fa
scegliere la “bellezza” di un pezzo, nello stesso tempo “pensi” che possa diventare una tua
opera, e tale diventa, proprio per i concetti (storici, culturali, sociali, fi losofi ci e poetici) in
esso contenuti.smo
che avrebbero ridotto l’operaio ad un “gorilla ammaestrato” si sono dimostrate fallaci, e già
Gramsci, nel chiuso del carcere, notava che “[…] l’operaio rimane uomo e persino, durante
il lavoro, pensa di più o per lo meno ha molte maggiori possibilità di pensare”3.
Tratto dal testo di Giorgio Bonomi in catalogo
CON GIORGIO BONOMI
F.L. 1 Sono curioso di sapere come è nato il tuo interesse per l’arte contemporanea, dopo la laurea
in fi losofi a.ofi a.
G.B. I miei studi di fi losofi a erano concentrati sulla fi losofi a politica, infatti la mia tesi di
laurea era sul pensiero di Antonio Gramsci e fu poi pubblicata dall’editore Feltrinelli (Partito
e rivoluzione in Gramsci, 1973) e tradotta anche in spagnolo. Erano gli anni caratterizzati dal
Sessantotto, dalle ideologie e dalle pratiche “rivoluzionarie”, che coinvolgevano tanti giovani,
studenti ed operai, e che contribuirono a cambiare l’Italia. Certo da qui venivano pure quei
maledetti “anni di piombo”, ma è un altro discorso.
Così, seguendo i dettami marxiani relativi all’unità di teoria e prassi, mi occupavo di teorie
politiche, con studi e scritti, e insieme facevo politica, ad un certo punto, essendo mosso
solo da ragioni ideali, vidi che la politica era solo un mezzo per acquisire potere e denaro,
quindi me ne allontanai e, siamo alla metà degli anni Ottanta, mi dedicai totalmente e
professionalmente all’arte contemporanea, disciplina che fi n da giovanissimo seguivo per
piacere.
Ho lavorato trentacinque anni in fabbrica. So che anche tu hai avuto, sebbene indirettamente,
un rapporto con la fabbrica, con gli operai.
Certo, quando facevo politica si andava alle sei del mattino davanti ai cancelli delle
fabbriche per distribuire i volantini, a parlare con i rappresentanti di quella classe che
avrebbe “cambiato il mondo”, così avevo parecchi amici e “compagni” operai.
Sarà per queste mie esperienze, ma quando ho visto il tuo lavoro, mi sono affi orati, nel
ricordo, tante idee e pensieri che avevo messo un po’ da parte: subito mi è venuto un
paragone tra Walter Benjamin e Antonio Gramsci.
Nella storia, le grandi idee e le grandi pratiche sono quasi sempre state poi smentite dalla
realtà fattuale. Penso alla teoria di Benjamin sull’aura e sulla “riproducibilità tecnica
dell’opera d’arte”2, la quale, ultima, avrebbe fatto perdere, al manufatto artistico, proprio
quell’aura data dalla sua unicità. Abbiamo visto, subito dopo, come le grafi che e le
fotografi e, stampate a numeri contenuti o elevati è lo stesso, dei “grandi” artisti non solo
hanno conservato l’aura ma, addirittura, l’hanno accresciuta.
Così, se dall’estetica passiamo alla sociologia, vediamo che le tesi sul taylorismo-fordi.Allora,
se l’artigiano mette parte di se stesso nel lavoro che crea, anche l’operaio, parcellizzato
e fordizzato, pensa e capisce, o cerca di capire, quello che sta facendo, ricavandone
maggiore o minore soddisfazione. Dice, sempre Gramsci: “[…] l’umanità e la spiritualità
non possono non realizzarsi che nel mondo della produzione e del lavoro, nella ‘creazione’
produttiva; essa era massima nell’artigiano, nel ‘demiurgo’, quando la personalità del
lavoratore si rifl etteva tutta nell’oggetto creato, quando era ancora molto forte il legame
tra arte e lavoro”4. Vediamo, così, che già Gramsci, in queste note poi intitolate Americanismo
e fordismo, metteva in dubbio gli eff etti dei nuovi sistemi di produzione, pur analizzandone
tutti i pericoli; come in tempi più recenti, quelli dell’operaio-massa, la massifi cazione
certamente ha tolto molto all’uomo ma non ha annullato le capacità creative dell’operaio.
Tu sei la prova concreta dell’operaio che non ha fatto studi specifi ci d’arte, ma che rifl ette e
pensa e quindi capisce quello che sta facendo e lo trova anche “bello”, cioè dai ad un
oggetto, che potrebbe sembrare insignifi cante, valore di opera da collocare nelle collezioni,
nelle gallerie, nei musei5.
Come ben sai sono autodidatta e la mia ricerca artistica ha origine o, meglio, non sarebbe
nemmeno iniziata se Duchamp non avesse esposto il suo famoso orinatoio dando vita al
movimento Dada e ai suoi ready- made.
Spesso ho l’impressione di essere un pesce fuor d’acqua: in poche parole, come si può collocare
la mia arte tecnologica in un movimento artistico. Ci sono artisti vicini al mio lavoro con i quali
confrontarmi ?
Certamente la poetica del “prelevamento” di un oggetto dalla realtà data e la trasformazione
di questo in opera d’arte solo perché così stabilisce l’artista, e il sistema dell’arte, con la
nuova collocazione, è l’innovazione più alta nella storia dell’arte, e non solo del Novecento.
Duchamp porta al grado zero il concetto di manualità e di creatività materiale nell’arte (anche
se era un ottimo pittore): dopo di lui ci sono stati molti suoi “discepoli”, questi a loro volta
possono essere diff erenziati tra i “nipotini scemi”, cioè semplici imitatori che prendono cose e
le portano in galleria, e “allievi geniali” che, nel prelevamento, aggiungono idee loro proprie.
Tu, per un verso, appartieni a questa seconda schiera e, per un altro, presenti un lavoro
unico ed originale. Mi spiego: a Duchamp interessava poco il valore estetico o simbolico
dell’oggetto prescelto come opera, bello o brutto che fosse, tu invece prelevi dalla fabbrica
oggetti di scarto, residui di lavorazione che hanno in sé un profondo signifi cato e un aspetto
in cui l’eleganza e la bellezza sono evidenti. Per questo sono convinto che il tuo lavoro – che,
appunto, dal lavoro va all’arte – abbia un’originalità individuale.
Tu lavori con il gusto dell’occhio e la rifl essione del cervello: la percezione visiva ti fa
scegliere la “bellezza” di un pezzo, nello stesso tempo “pensi” che possa diventare una tua
opera, e tale diventa, proprio per i concetti (storici, culturali, sociali, fi losofi ci e poetici) in
esso contenuti.smo
che avrebbero ridotto l’operaio ad un “gorilla ammaestrato” si sono dimostrate fallaci, e già
Gramsci, nel chiuso del carcere, notava che “[…] l’operaio rimane uomo e persino, durante
il lavoro, pensa di più o per lo meno ha molte maggiori possibilità di pensare”3.
Tratto dal testo di Giorgio Bonomi in catalogo
08
novembre 2010
Francesco Lussana
Dall'otto al 26 novembre 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA SCOGLIO DI QUARTO
Milano, via Scoglio di Quarto, 4, (Milano)
Milano, via Scoglio di Quarto, 4, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì: dalle ore 17.00 alle 19.30. o per appuntamento
Vernissage
8 Novembre 2010, ore 18.30-21
Autore
Curatore