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MANIFESTA, RITORNO IN IBERIA
Progetti e iniziative
Tre gruppi curatoriali, 100 giorni di apertura, 90% delle opere site specific, quindici sedi. Ecco i numeri di Manifesta, che per l’ottava edizione guarda all'Africa e al Mediterraneo. Dal punto d’osservazione della Murcia. Appuntamento giovedì per l’apertura delle danze...
di Santa Nastro
Murcia è il luogo ideale per ospitare l’ottava edizione di Manifesta, la biennale itinerante europea,
al suo 15esimo anno di vita e reduce dalla tappa italiana svoltasi nel 2008 in
Trentino Alto Adige.
Le città di Murcia e Cartagena, sedi dell’evento, con il
loro background storico e una stratificazione architettonica e culturale in cui
si incontrano cristianesimo, islam ed ebraismo, diventano la base concettuale
da cui far partire una riflessione trans-regionale che individua nel sud della
Spagna il punto di connessione tra Mediterraneo e Nordafrica, con un’attenzione
particolare al Maghreb.
Se poi buttiamo l’occhio più lontano e includiamo nel
ragionamento il continente intero, vedremo che l’oggetto della discussione è la
relazione tra Europa e Africa, non senza qualche ammiccamento al Medio Oriente
(e con l’aspirazione, non tanto recondita, di creare una biennale panafricana).
In un momento di grande introversione e di preoccupante chiusura culturale, ma
anche di imponenti flussi migratori e di una violenta crisi economica, che
attanaglia il mondo intero incoraggiando la ricerca di “terre promesse”, la
mission di Manifesta – che da sempre “cerca di abbattere le barriere e di
creare, invece, dei ponti” – assume un valore ancora più significativo, soprattutto quando pone
sotto la lente aree critiche di dibattito storico-politico, come in questo
caso.
Per la realizzazione di un concept così complesso, la
Fondazione Internazionale Manifesta, presieduta da Hedwig Fijen, ha scelto di
avvalersi di un team d’attacco, proponendo l’idea della “curatela collettiva” e
coinvolgendo un board misto, formato da tre gruppi di professionisti che
lavorano tra l’Europa dell’Est, l’Italia, la Scandinavia e l’Egitto, costruendo
una fervida torre di Babele di spunti, progetti e possibili sviluppi.
Primi in ordine alfabetico sono gli egiziani Alexandria
Contemporary Arts Forum, sodalizio nato tra i curatori Bassam El Baroni e
Jeremy Beaudry nel 2005 per esplorare i confini tra globale e locale,
attraverso i liguaggi remixati della new media art e del dibattito; secondi i
Chamber of Public Secrets, duo libanese-italiano, formato da Khaled Ramadan e
Alfredo Cramerotti, insieme dal 2003 come un’unità indipendente che si adopera
per la realizzazione di documentari, festival, video, momenti di discussione,
mostre. Completano la brigata i tranzit.org (Vít Havránek, Zbynek Baladrán,
Dóra Hegyi, Boris Ondreicka e Georg Schöllhammer), promotori di un network di
associazioni autonome esistente dal 2002, provenienti da Austria, Repubblica
Ceca, Ungheria, Svezia e Slovacchia. Ogni gruppo opera in maniera indipendente
rispetto agli altri, usando format e metodi di lavoro compositi.
Tre poetiche differenti, accomunate dall’intento di
indagare le trasformazioni sociali a livello globale, anche se in relazione a
uno specifico territorio, attraverso i temi della migrazione, del colonialismo,
delle criticità di confine, con pratiche di condivisione, magari incoraggiate
dall’utilizzo delle nuove tecnologie.
Il percorso espositivo si snoda attraverso 15 sedi diffuse
nelle due città, con il preciso obiettivo di “abitarne” le vie, le piazze, le
strade. Tra i necessari Musei di Arte Moderna e Contemporanea di Murcia e
Cartagena, fanno capolino alcuni luoghi inediti, come l’Ufficio di Poste e
Telecomunicazioni, architettura spagnola pre-franchista ormai in disuso, l’ex
prigione di Sant’Antonio, flagello dei dissidenti di Franco, il Casinò di Cartagena,
di sapore modernista, la caffetteria-ristorante El Parque, il Centro Sociale de
Santa Lucia, tra gli altri. Certamente, però, il luogo più inusitato e
suggestivo è l’antico Padiglione per le Autopsie, costruito nel 1768 per
l’Ospedale della Marina Reale e attualmente utilizzato come centro espositivo.
Lo spazio e il territorio giocano un ruolo da
protagonista, proprio in virtù della natura itinerante di Manifesta; non è un
caso, infatti, che il 90% delle opere in mostra siano site specific e vedano
luce in seguito a un confronto diretto e intenso tra l’artista e il luogo in
cui è chiamato a lavorare. La grande novità dei tre percorsi progettati da
ACAF, CPS e tranzit.org all’interno del main concept sta, inoltre, nell’aver
coinvolto non solo artisti visivi, ma anche produttori cinematografici,
scrittori, filosofi, attivisti (Suhail Malik, Simon Fujiwara, Gonzalo
Ballester, Sergio Leone…) con l’intento di offrire un caleidoscopio di idee e
riflessioni attorno a uno stesso tema.
Intitolato Overscore, il progetto degli ACAF cerca di restituire la
complessità dell’arte e del mondo attraverso una strategia concettuale e
curatoriale che agisce su un doppio livello: da una parte illumina i modelli di
semplificazione che regolano la vita pubblica e privata, dall’altra funziona un
po’ come l’editing in corso di un testo, rivelando i collegamenti tra il
passato e il futuro. Si svolge attraverso tre sedi, presentando 27 opere
inedite di artisti come Ryan Gander, da sempre interessato a promuovere il dialogo, creando
una dimensione estetica che mina ogni aspettativa, o Alexander Singh, che per Manifesta ha creato una
serie di disegni e xerox collage. I Common Culture, collettivo britannico composto
da David Campbell,
Mark Durden e
Ian Brown,
presentano un discorso sul consumo culturale più un video, ispirato al concetto
classico di Grand Tour. I Take to the Sea (Lina Attalah, Laura Cugusi, Nida Ghouse) portano avanti dal 2008 un progetto di ricerca sul tema
dell’immigrazione irregolare dall’Egitto all’Italia, attraverso il Mar
Mediterraneo, con tutto ciò che ne consegue. Non mancano i progetti speciali,
come l’incubatore per la Pan-African Roaming Biennial, che coinvolge soggetti
provenienti da Kenya, Egitto, Sudafrica tra gli altri, e al quale durante
Manifesta sarà dedicato all’interno di Overscore un simposio con Bili Bidjoka, N’Goné Fall, Hassan Khan e Senam Okudzeto.
I CPS presentano The Rest is History?, una mostra che mira a definire e
analizzare le mappe geografiche e le strutture socio-politiche del nostro
tempo, la nostra storia, la nostra realtà. Per farlo, abbandonano le strategie
convenzionali e invadono le dimensioni del giornalismo, della produzione
televisiva e documentaristica, grazie al lavoro di artisti come il gruppo
danese Wooloo,
fondato da Sixten Kai Nielsen & Martin Rosengard, al cui progetto partecipano per Manifesta Matthias
Neumann,
Clarinda Mac Low,
Helidon Gjergji,
Pedro Guirao y Gema Alava. La
portoghese Filipa César scova le dinamiche della finzione all’interno del genere
documentaristico. Fay Nicolson si interroga sul gap che esiste tra produzione di massa e
produzione artistica, Thierry Geoffroy utilizza i mass media nel suo lavoro per rimettere
al centro il ruolo dell’artista in senso critico, prima che la crisi che
attanaglia il presente ci travolga, prima che sia troppo tardi. Helidon
Gjergji sfida i
sensi con la sua installazione olfattiva.
I tranzit.org, infine, coinvolgono 27
artisti e 2 gruppi nel progetto C.T.D. – Constitution for Temporary Display.
A
partire dal concept di base – l’esplorazione delle connessioni tra la regione
di Murcia e il Nordafrica – lanciano un’interpretazione in senso “conflittuale”
del dialogo sul tema, in cui la mostra diventa uno spazio autonomo, con
specifiche condizioni estetiche, politiche e sociali, in cui gli artisti e i
curatori conducano il proprio lavoro attraverso le parole chiave di critica,
rielaborazione, immaginazione, anche grazie alla collaborazione del pubblico.
Saranno Emily Roysdon, Heman Chong, Lou Lou Cherinet, Pedro G.
Romero/Archivo F.X., Catarina Simao, Cristina David, Darius Miksys, Erick Beltran, tra gli altri, a condividere
questa appassionante sfida dialettica.
Ricapitolare
(a) a Manifesta 07
Manifesta
07 a Bolzano
Manifesta
07 a Trento e Rovereto
santa nastro
dal 7 ottobre 2010 al 9 gennaio 2011
Manifesta8
a cura di Alexandria Contemporary Arts Forum, Chamber
of Public Secrets, tranzit.org
Sedi varie – Murcia e Cartagena
Info: contact@manifesta8.es; www.manifesta8.com
[exibart]
Fra i partecipanti non c’è alcun italiano. Non so se sia una scelta dei curatori o un caso. Non è neanche bello sottolineare visioni nazionalistiche e dal sapore anacronistico. In ogni caso mi sembra un dato rilevante nel momento in cui gli operatori italiani giocano a “fare sistema” rimpallandosi le medesime scelte all’interno dei confini nazionali. Questo sistema forse non funziona? Domanda.
Questo ennesimo dato è complementare al mio articolo che uscirà questo mese su flash art.
Francamente non so se sia un problema di linguaggio proposto o di un sistema italiano incapace di comunicare con l’esterno. Certamente la posta in gioco in italia è molto bassa e questo disincentiva tutti. Critici e curatori non hanno stimoli per approfondire e supportare adeguatamente. Gli artisti, riprendendo un recente dibattito legato ad un articolo di Anton Vidokle, subiscono una sorta di censura (troppe energie per le PR, artisti come sfumature del film del curatore, curatori e critici troppo ripiegati sulla propria carriera e sul proprio percorso autoriale, necessità di adeguarsi ad una standard mainstream per via di specifici complessi di inferiorità). Se i curatori non possono comunque essere definiti artisti e gli artisti subiscono una sorta di censura assistiamo da un vuoto autoriale. Ad un vuoto.
E la scena italiana in questo momento è un vuoto. A volte questo vuoto viene colmato da una vetrina dove vengono presentati valori consolidati fuori. A volte assistiamo al proliferare di progetti e spazi no profit, tendenza assolutamente positiva ma che rischia di nascondersi dietro una facile “retorica del fare” senza proporre alcun reale scarto linguistico.
L’unica legittimità che può avere questa mia visione critica è quella di proporre contemporaneamente una via alternativa. Se no si ricade in una lamento fine a se stesso, cosa peggiore della situazione che si critica. Se non ci fosse alternativa sarebbe meglio il silenzio.
Caro Luca, troppi artisti come strumento di promozione per le aziende (si vedano i premi e cosa ne esce), mecenatismo furbo, vincono artisti che non danno pensieri sono bravi giusti, pazzerelli quel tanto che basta, per non creare complicazioni. Tutto questo è giustificato per la strategia aziendale, ma inutile per l’arte. Tutti dietro alla movida artistica, non ci si può stupire se poi nell’internazionale, passa solo un triste dito da 2 milioni di euro.
@ rossi: c’è danilo correale, d’italiano.
Invidio il fatto che scrivi su flash art, decostruendo il sistema con questa tua superficialità livellante. Sei sempre così attento ai contenuti. Continua così
quello sotto non so chi sia, immagino sia il correale che si autostima. non mi interessa se scrive su flash art lo avevo già capito che fosse una spia, e sono arrivato sul suo blog per caso e senza doppi fini. chiedilo a copialan vedrai che te lo conferma visto che è un amichetto segreto di luca rossi, anzi no è troppo codardo e scapperebbe via su un piede solo mentre urla abbasso la sqola cose così
Sì, nello scorrere gli artisti non avevo visto Danilo Correale e Sergio Leone. Anche perchè Correale sviluppa una lavoro più che dignitoso ma fuori dal circolo dei soliti noti. E Sergio Leone è italiano ma è fuori categoria perchè storico.
Ma non è questo il punto, non siamo allo scambio delle figurine. Non si tratta di quantità ma di qualità. E il problema non è solo italiano per quanto all’estero ci siano alcune scintille; per fare due nomi che compiaiono anche in questa manifesta: tris vonna e il solito fujiwara.
Ho la sensazione che in questa fase, in italia, anche se ci fossero lavori interessanti nessuno ha la voglia di approfondirli e supportarli. Anche se ci sarebbero alcuni artisti italiani che potrebbero comparire nella lista di manifesta (mi vengono in mente i fratelli De Serio): difronte ad una certa interscambiabilità di artisti c’è una dittatura-preponderanza del curatore. Perchè Correale? Evidentemente ci sono a monte delle relazioni, degli scambi che hanno portato alla sua partecipazione. C’è un certo appiattimento del linguaggio (e questo si vede anche all’estero) che rende le relazioni pubbliche e private parte integrante dell’opera. Questo c’è sempre stato (forse) ma da qualche anno più di ieri. Propio perchè il 900 c’ha lasciato una saturazione linguistica unica.
Molti snobbano il confronto sul sistema italiano e le sue beghe, però allo stesso tempo viene dato credito allo stesso sistema nel momento in cui,annualmente, crea alcuni piccoli idoli nazionali. E quindi c’è una contraddizione: perchè se le beghe del sistema italiano non sono rilevanti in ottica internazionale, allora, non lo sono nemmeno gli idoli che esso propone.
@ luca rossi: non capisco se il sistema italiano sia o meno incapace di comunicare con l’estero secondo la tua analisi (i tuoi due commenti a questa notizia sono contraddittori _ anche se comprendo la tua efficace e confusa operatività nel approssimare e distorcere informazioni). Spero che il tuo articolo su flash art sia più esaustivo a riguardo.
è possibile sapere qualcosa a riguardo il tuo ritorno sulle pagine di flash art? (pareva che il tuo “lavoro/analisi” non si conciliasse con la linea editoriale del magazine). Trovi che sia utile per la decostruzione delle dinamiche amicali/professionali del “sistema italia” rendere pubblico chi e perchè ti “invita” a scrivere su flash art? grazie. buon lavoro
MA vi pare che lasciavo i commenti anonimi?
Scusatemi se non lascio la mia “vera” mail, ma per chi volesse i miei contatti si reperiscono abbastanza facilmente.
I..I
danilo, non è mica grave lasciare commenti anonimi… complimenti per essere riuscito a farti includere a manifesta… complimenti sinceri!
Da alcune inchieste sul sistema internazionale emerge che da alcuni anni neanche i migliori master in arti visive riescono ad assicurare la “carriera” al giovane artista. Quindi a livello internazionale, livello con cui l’italia vorrebbe interagire, vediamo una grande competizione e sovraproduzione di artisti. In questo è quasi fisiologico che tendano a prevalere le relazioni pubbliche e private. Recentemente Anton Vidokle su e-flux ha sollevato il problema del curatore che in questa fase ,come fosse un artista o un addetto alle PR, agisce come filtro sul lavoro degli artisti stessi. Questa tendenza non la vedo come un invasione di campo ma come la necessità per gli artisti di mettersi in discussione, e di mettere in discussione il proprio ruolo.
L’italia cosa fa? Innanzitutto non riesce a formare linguaggi originali, e quando ci sono scintille interessanti vengono sistematicamente affossate e ignorate. Tutti vivono un discreto complesso di inferiorità verso l’estero (in parte motivato ma gestito malissimo) e questo non aiuta lo sviluppo di linguaggi originali. Soprattutto non aiuta il coraggio di sostenere e approfondire il lavoro dell’artista di turno.
Gli artisti italiani sulla scena internazionale hanno un ruolo da comparse e da comprimari. A mio parere la responsabilità di questo va addossata al 60% ad una classe di critici e curatori svogliata e poco incentivata. Operatori attivi e volenterorsi come Andrea Bruciati, per fare un esempio, tendono a inseguire standard che li rassicurino sul loro grado di “coolismo” e internazionalità. Costoro sono stati formati professionalmente in un clima che osteggia il contemporaneo. Per loro non è accettabile mettersi nuovamente in discussione.
Quindi arriviamo sempre in ritardo e proponiamo (nel migliore dei casi) buone copie degli originali. Questo clima ,protratto negli anni, mortifica e disincentiva ogni azzardo. Anzi l’azzardo e la novità vengono subito osteggiati: i mediocri preferiscono mantenere tutti nella mediocrità. Tutti la pensano come luca rossi ma non fanno nulla per motivazioni “politiche” e strategiche. Senza pensare che questo segnerà la loro condanna.
L’alternativa, a mio parere, è un sistema che sintetizzi ogni ruolo del sistema reale e possa permettere libertà di manovra.
Ma mi pongo anche domande sul reale interesse del pubblico, e quindi questo sistema che è reale (non virtuale) e fruibile, prevede anche il ruolo di spettatore. Un’autosostenibilità totale ma non chiusa al confronto e alla cooperazione con l’esterno.
@ luca rossi: Grazie per la risposta. Non pensi che l’autosostenibilità di whitehouse è in qualche modo compromessa ed invalidata da questo tuo confronto/collaborazione ostinato/a con taluni operatori “affermati” (curatori/magazines) mentre avanzi una critica programmatica ai tuoi colleghi/competitors. Il tuo agire pare assai poco cretino e molto smart, o meglio, furbo: non abbiamo letto analisi/critiche sulla biennale di carrara (come format) o sulla linea editoriale di flashart (che contribuisce, in parte a …).
[appare poi singolare che il tuo stesso linguaggio (il tuo “lavoro”) risulti singolarmente livellato su codici rassicuranti non solo dell’arte cont. ma pure dei media: “la crisi economica come opportunità”, o il “be stupid” che fa sia spot della DISEL sia motto cattelaniano anni novanta (poetica/prassi “lancio il sasso e nascondo la mano”), ecc.]
-Non pensi che l’autosostenibilità di whitehouse è in qualche modo compromessa ed invalidata da questo tuo confronto/collaborazione ostinato/a con taluni operatori “affermati” (curatori/magazines) mentre avanzi una critica programmatica ai tuoi colleghi/competitors.-
noto che mi stanno usurpando il nome impunemente per i loro loschi fini .
rispondo io per il caro luchetto visto che qualcuno risponde per me : SI’ E’ INVALIDATA .
e in ogni caso virtuale non sottintende mancanza di fruibilità e chiusura verso l’esterno . è solo un livello diverso di realtà e ha un nome proprio che a te fa paura usare
@hm: l’autosostenibilità di Whitehouse non è un fine ma un mezzo. Cosa anche abbastanza banale: non vedo i tanti spazi e progetti no profit, che nascono ogni giorno, molto diversi da Whitehouse; anche in questi casi poche persone rivestono tutti i ruoli. Io radicalizzo e rendo manifesto quella che è una tendenza che è già nella realtà. Ma non è questo il punto e la mia finalità. Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. Quindi non vedo contraddizione con il fatto di relazionarsi con operatori “affermati”. Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla, il suo budget è zero. Io non sto ottenendo nulla rispetto ai parametri inseguiti dai soliti noti (e loro sì che sono “furbi”).
lol la disel, beh ma la disel è una marca inutile da sempre cioè chi si veste disel è stupido a priori, meglio vestirsi arena o lotto a quel punto, arena poi è la marca da nerd per eccellenza non so se avete mai beccato degli studenti di informatica in treno col loro portatile la forfora e la tutina arena in acetato, l’arena è sempre lì a 9,90 euro non torna subito come cattelan
@ luca rossi: – Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. Quindi non vedo contraddizione con il fatto di relazionarsi con operatori “affermati”. Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla […]-
Una delle debolezze della tua analisi e del tuo lavoro è individuare una generalizzata crisi dei contenuti ed appiattimento del linguaggio (rassicurante/standard) utilizzando quello stesso linguaggio abusato e logoro: scrivi CERCO IL CONFRONTO ED IL DIALOGO (?), ma perché? perchè questa riflusso democristiano, perché sbattersi per essere radicali (sic) per finalità così
morigerate, modeste.
Individuare una discreta sudditanza verso l’estero e una scarsa competitività del sistema italiano, proponendo la libertà di manovra e di sintesi di whitehouse come proficua prassi per bypassare la situazione stagnante nostrana risulta una spiacevole commistione tra un anacronistico e “progressista” manifesto novecentesco ed il grintoso spirito modernizzatore di un goffo manager glocal.
È “retorica del fare” pure l’affannarsi nella costruzione di una piattaforma autonoma (il blog/altro) che si basa sul nulla e non sulle relazioni. Questa argomentazione, tra l’altro, non pare credibile: non è casuale la tua distrazione verso “operatori amici”:
a. la tua (non) partecipazione a carrara allineata con la reiterazione delocalizzata del modello curatoriale trussardi
b. il porsi in maniera dialettica con sacco su flash art risulta prevedibile/rassicurante, non criticabile (sic), come lo è trevisani con il suo articolo su …
Adesso ti stai pure accanendo con questi lavori con le email: dai cazzo: mi critichi mars ( – perché fanno mostre su mostre e/o per la mancanza d’urgenza -) e tu mi mandi l’email a gioni, a de carlo, ecc. cerchi la dimensione uno a uno … uff,, ti sei forse perso uno dei lavori di presicce, anch’egli attratto da questo rapporto uno a uno con lo spettatore (entrambi usate una costruzione retorica inquietantemente simile).
La cosa buffa, ma credo sia pateticamente positiva, il tuo allinearti pure alla “penultima tendenza vintage/citazionista”, come l’ennesimo monk italiano: mi citi e riciti U., che negli anni ’60 ‘70 inviava lettere a collezionisti, galleristi e a soggetti random (il bottegaio, il carcerato, ecc.) contenenti improvvisate preghiere, testimonianze di sforzi telepatici per alterare la programmazioni nei musei e nelle gallerie, piani per organizzare eventi (scambi di coppia, cene, mostre complementari, altro) durante inaugurazioni, vaghi indizi su un oscuro accadimento presso noti (per il tempo) luoghi deputati all’arte cont.(ed altre suggestive amenità). La cosa divertente è che U., nelle sue dichiarazioni ANNI ’60, ha sempre affermato di essere uno “spettatoreguardiasalagalleristacriticoartistaspettaore”….
rossi, siamo nel 2010
buon lavoro
@hm: confondi in continuazione i metodi con i contenuti. Come se tutti quelli che bevono da un bicchiere dovessero bere tutti la stessa bevanda.Però direi di finirla stiamo uscendo dal tema dell’articolo.
ma chi sarebbe U. ?
– Io radicalizzo e rendo manifesto quella che è una tendenza che è già nella realtà. Ma non è questo il punto e la mia finalità. Una delle mie finalità è invece il confronto e il dialogo. –
il dialogo puoi anche cercarlo senza spedire mail agli artisti che non ti piacciono, e senza nominare le gallerie con cui vorresti collaborare (e che forse conosci anche già di persona). tanto quegli artisti che nomini e non apprezzi non cambieranno quello che stanno facendo perchè a te non piace .
o forse fai finta di disprezzarli e in realtà li nomini per sostenerli non ho ancora capito bene come ragioni, se non li apprezzi parlare di loro non serve a nulla, magari nominali ogni tanto ma dedicargli post su post è sospetto, inoltre ogni tanto scrivi qualcosa poi ti penti e sparisce tutto oppure tornano articoli precedenti, stai diventando un loop vivente.
se ti autosostieni come dici allora devi organizzare qualcosa sul blog non parlare solo degli altri, loro si autosostengono ma non parlano di te . per autosostenerti devi organizzare qualcosa sul blog che non abbia bisogno di gallerie o mail a direttori di musei, usi un luogo virtuale per una fruizione reale ma rimani nel virtuale, altrimenti non vedo altri modi per autosostenerti su un blog sorry .
-Il blog non si sostiene su queste relazioni ma si sostiene sul nulla, il suo budget è zero.-
sì ma non c’è solo il budget, c’è anche il senso del tuo blog che non ha molto senso se continui a cercare dialoghi con gente che non ne vuole mezza, per ora secondo me lo stai sostenendo su relazioni inutili, e che fosse sostenuto sul nulla lo avevi già ampiamente dimostrato mostrando sale vuote e cancellando le opere di tutte le gallerie
@ luca rossi: con luca rossi mezzi e contenuti coincidono
Il logorio dell’operazione luca rossi/whitehouse si manifesta nel riproporre acriticamente atteggiamenti superficiali (e smart) del sistema che analizza e critica:
non rispondere nel merito ad osservazioni/critiche (argomentate) su whitehouse, con la banale scusante del off topic, equivale a reiterare il “silenzio colto” di certi operatori nei confronti di whitehouse stessa: è palese che il CERCARE IL CONFRONTO ED IL DIALOGO di rossi è strumentale ai consueti meccanismi di riconoscimento e ricerca di autorevolezza del ennesimo artista del cazzo [sic] (come il riciclare strategie e tattiche d’indefinita occupazione e presenzialismo degli e negli spazi mutuate da artisti degli anni ’70 e ’90)
whitehouse sarebbe realmente incisiva se scomparisse, senza rumore, senza roboanti email e dichiarazioni programmatiche
luca rossi sarebbe veramente e proficuamente cretino se, dopo aver letto un ambiguo suggerimento su exibart, si suicidasse, per divenire hm, l’ennesimo anonimo commentatore, abbandonando l’operatività, i risultati ed il “riconoscimento” di quest’anno e mezzo di lavoro
non c’è niente da distruggere
né da costruire
VINCE Luca Rossi!
Per avere compreso, per primo, che avete rotto le balle. Scambiatevi i numeri di telefono se volete discutere dei vostri problemi!
@barba
scusa ma io pensavo avesse vinto la tua barba, ma te la tagli o no? non ti dà fastidio? pensa quanta noia sopporti pur di sfoggiare la barbetta. in ogni caso concordo con l’ultimo commento del fake hm .