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Fabrizio (Fabi) Bandini – Sale
Fabi. Nel grande gioco delle cose.
Comunicato stampa
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Da anni convivo con una gigantesca camicia, una presenza apparentemente ingombrante, da cui tuttavia a fatica riuscirei a separarmi. Veleggia nel mio studio, bianca sul suo fondo blu; mi tiene compagnia. Ogni volta che apro la porta non manca di accogliermi con tutta la sua vitale allegria, sembra sempre in procinto di prendere il volo, ma la ritrovo solidamente inchiodata alla parete. Ha l’evidenza plastica e l’energia espressiva dei manifesti per Noveltex di Sepo, l’ha dipinta Fabi. Non sto suggerendo una possibile fonte, né dando inizio ad una interminabile sequela di confronti figurativi, ma cercando di capire il motivo per cui quella immagine così quotidiana non si “usura”, tentando di cogliere grazie a quali strategie Fabi riesca a conciliare la freschezza, potrei dire quasi l’innocenza infantile del segno, con la forza, la ricchezza comunicativa delle sue invenzioni.
Ho visto in azione per la prima volta Fabi dieci anni fa, in un’impresa folle, di quelle che a lui riescono così bene. Del resto all’epoca si favoleggiava ancora della sua T-Shirt più grande del mondo, un vero e proprio fondale che avrebbe potuto servire a chissà quanti spettacoli teatrali. Fino al giorno dell’inaugurazione siamo rimasti con il fiato sospeso, non capivamo con quali magici attrezzi sarebbe stata issata la Croce rossa dipinta su cartone che avrebbe dovuto coprire l’intera abside del S.Ludovico e come sarebbe stato percepito dal pubblico l’accorato appello di soccorso all’arte contemporanea giocosamente, ma non per questo meno perentoriamente lanciato dalla rossa matita-gigante a testa in giù, fragilmente in bilico sulla sua punta. E’ stato proprio in quella occasione che ho capito quanta sapienza tecnica e consapevolezza culturale si nascondesse dietro l’apparenza entusiasticamente ingenua di Fabi; ma anche come quel suo restare abbarbicato al microcosmo infantile lo preservasse dalla banalità di giochi concettuali usurati. Perché quell’immensa croce, al di là degli evidentissimi riferimenti iconografici, al gioco della visualizzazione verbale, aveva una vita propria, era un oggetto animato di cui l’osservatore coglieva l’impaccio, con le sue braccia spalancate quasi in segno di resa: un personaggio uscito da un fumetto o da un libro illustrato, fuori scala e fuori posto nello spazio equilibrato della chiesa.
L’anno seguente, in una performance al Teatro 2 di Parma, Sponsor Life, il cartone era servito a coprire l’intero pavimento dello Spazio Minimo, trasformato in un coloratissimo racconto-recensione di Les Aiguilles et l’Opium di Lepage, messo in scena in quegli stessi giorni. Gli spettatori scalzi si ritrovavano a ripercorrere la narrazione, a sperimentare con i piedi una dimensione tattile del dipinto, facendo riaffiorare memorie di giochi infantili, mentre dilatate sagome di mani definivano artigianali quinte teatrali. A chiusura della mostra, la fila di persone soddisfatte e divertite con sottobraccio un pezzo del gigantesco puzzle dipinto resta ancora un memorabile ricordo ( a noi è toccata la camicia!).
Non è tuttavia la dimensione dell’opera o lo spazio di intervento che danno energia agli oggetti di Fabi, né necessariamente la scelta del materiale. Anche quando dipinge su tela, anche quando usa l’acrilico e non i gessetti colorati, anche quando disegna su piccoli foglietti di carta riesce a infondere una irrefrenabile carica vitale alle sue figure. Il punto è che Fabi non conosce l’ “accademia”, o meglio non cede mai alla trappola della ricerca puramente formale. Questo naturalmente non vuol dire che non sia perfettamente consapevole e sicuro dello strumento linguistico che utilizza. Anzi il suo new-pop imparato all’Istituto d’arte e perfezionato tra New York e Los Angeles segue correttamente, con qualche ricercatezza, le regole sintattiche e retoriche consolidate: iperboli visuali, sostituzioni metaforiche e metonimiche, stretto rapporto parola-immagine, grafia semplificata ed incisiva, colore a campitura piatta, repertorio di icone fisse, recupero, analisi, contaminazione sistematica dei linguaggi di riferimento ( foto, fumetto, grafica pubblicitaria, ecc.). Ma chi lo conosce sa quanto questa grammatica si trasformi nelle sue mani, perché è appunto attraverso il gesto del disegnare, in tutta la sua concretezza, che Fabi si esprime in racconti che parlano di un continuo, altalenante passaggio tra due realtà che non riescono a trovare un punto di tangenza: l’universo multimediatico della civiltà contemporanea nel quale vuole sentirsi pienamente immerso e il microcosmo infantile in cui continuano a valere altre logiche, altri percorsi di pensiero, in cui i sogni prendono corpo e vita e non si lasciano scomporre e vivisezionare.
Quasi inevitabile quindi negli ultimi anni un approfondimento delle radici surrealiste, ma con letture molto selettive che evitano ogni versante concettuale e ogni morbosità psicanalitica. Così il progetto per il nuovo “Monumento al prosciutto” all’entrata di Parma evoca Arp, mentre gli interventi sulle tavole didattiche della Società Editrice Nazionale guardano alla lezione di Max Ernst, e questo solo per fare qualche esempio.
Allo stesso tempo si fa più attenta la ricerca cromatica; Fabi abbandona le campiture piatte, il colore industriale appena uscito dal barattolo per una evidente riflessione sull’eredità fauve e sulle ricerche del Cavaliere Azzurro: ora certi suoi monti, certe scomposizioni luminescenti fanno pensare a Macke e al primissimo Kandinsky, ma sempre con la stessa voglia di arginare con il sorriso ogni deriva spiritualista. Ancora si avverte una nuova voglia di “scultura”, di plasticità, senza che tuttavia il segno perda la sua autonoma valenza espressiva.
Non so cosa bolla in pentola, ma certo Fabi ci sta preparando qualche sorpresa. Credo sia pronto ad aprire le pagine di un nuovo romanzo, speriamo intenso ed affascinante come il suo Libro itinerante, il grande codice miniato in cui ha saputo raccogliere il suo alfabeto di ideogrammi colorati. Certamente la storia, sia quella individuale che quella collettiva è entrata in scena, le memorie con le loro stratificazioni danno un diverso spessore ai suoi interventi…ma non temete, il nostro Fabi per questo non smetterà di contagiarci con la sua melanconica allegria, sarà ancora sempre pronto a coinvolgere anche noi nel “grande gioco delle cose”.
Ho visto in azione per la prima volta Fabi dieci anni fa, in un’impresa folle, di quelle che a lui riescono così bene. Del resto all’epoca si favoleggiava ancora della sua T-Shirt più grande del mondo, un vero e proprio fondale che avrebbe potuto servire a chissà quanti spettacoli teatrali. Fino al giorno dell’inaugurazione siamo rimasti con il fiato sospeso, non capivamo con quali magici attrezzi sarebbe stata issata la Croce rossa dipinta su cartone che avrebbe dovuto coprire l’intera abside del S.Ludovico e come sarebbe stato percepito dal pubblico l’accorato appello di soccorso all’arte contemporanea giocosamente, ma non per questo meno perentoriamente lanciato dalla rossa matita-gigante a testa in giù, fragilmente in bilico sulla sua punta. E’ stato proprio in quella occasione che ho capito quanta sapienza tecnica e consapevolezza culturale si nascondesse dietro l’apparenza entusiasticamente ingenua di Fabi; ma anche come quel suo restare abbarbicato al microcosmo infantile lo preservasse dalla banalità di giochi concettuali usurati. Perché quell’immensa croce, al di là degli evidentissimi riferimenti iconografici, al gioco della visualizzazione verbale, aveva una vita propria, era un oggetto animato di cui l’osservatore coglieva l’impaccio, con le sue braccia spalancate quasi in segno di resa: un personaggio uscito da un fumetto o da un libro illustrato, fuori scala e fuori posto nello spazio equilibrato della chiesa.
L’anno seguente, in una performance al Teatro 2 di Parma, Sponsor Life, il cartone era servito a coprire l’intero pavimento dello Spazio Minimo, trasformato in un coloratissimo racconto-recensione di Les Aiguilles et l’Opium di Lepage, messo in scena in quegli stessi giorni. Gli spettatori scalzi si ritrovavano a ripercorrere la narrazione, a sperimentare con i piedi una dimensione tattile del dipinto, facendo riaffiorare memorie di giochi infantili, mentre dilatate sagome di mani definivano artigianali quinte teatrali. A chiusura della mostra, la fila di persone soddisfatte e divertite con sottobraccio un pezzo del gigantesco puzzle dipinto resta ancora un memorabile ricordo ( a noi è toccata la camicia!).
Non è tuttavia la dimensione dell’opera o lo spazio di intervento che danno energia agli oggetti di Fabi, né necessariamente la scelta del materiale. Anche quando dipinge su tela, anche quando usa l’acrilico e non i gessetti colorati, anche quando disegna su piccoli foglietti di carta riesce a infondere una irrefrenabile carica vitale alle sue figure. Il punto è che Fabi non conosce l’ “accademia”, o meglio non cede mai alla trappola della ricerca puramente formale. Questo naturalmente non vuol dire che non sia perfettamente consapevole e sicuro dello strumento linguistico che utilizza. Anzi il suo new-pop imparato all’Istituto d’arte e perfezionato tra New York e Los Angeles segue correttamente, con qualche ricercatezza, le regole sintattiche e retoriche consolidate: iperboli visuali, sostituzioni metaforiche e metonimiche, stretto rapporto parola-immagine, grafia semplificata ed incisiva, colore a campitura piatta, repertorio di icone fisse, recupero, analisi, contaminazione sistematica dei linguaggi di riferimento ( foto, fumetto, grafica pubblicitaria, ecc.). Ma chi lo conosce sa quanto questa grammatica si trasformi nelle sue mani, perché è appunto attraverso il gesto del disegnare, in tutta la sua concretezza, che Fabi si esprime in racconti che parlano di un continuo, altalenante passaggio tra due realtà che non riescono a trovare un punto di tangenza: l’universo multimediatico della civiltà contemporanea nel quale vuole sentirsi pienamente immerso e il microcosmo infantile in cui continuano a valere altre logiche, altri percorsi di pensiero, in cui i sogni prendono corpo e vita e non si lasciano scomporre e vivisezionare.
Quasi inevitabile quindi negli ultimi anni un approfondimento delle radici surrealiste, ma con letture molto selettive che evitano ogni versante concettuale e ogni morbosità psicanalitica. Così il progetto per il nuovo “Monumento al prosciutto” all’entrata di Parma evoca Arp, mentre gli interventi sulle tavole didattiche della Società Editrice Nazionale guardano alla lezione di Max Ernst, e questo solo per fare qualche esempio.
Allo stesso tempo si fa più attenta la ricerca cromatica; Fabi abbandona le campiture piatte, il colore industriale appena uscito dal barattolo per una evidente riflessione sull’eredità fauve e sulle ricerche del Cavaliere Azzurro: ora certi suoi monti, certe scomposizioni luminescenti fanno pensare a Macke e al primissimo Kandinsky, ma sempre con la stessa voglia di arginare con il sorriso ogni deriva spiritualista. Ancora si avverte una nuova voglia di “scultura”, di plasticità, senza che tuttavia il segno perda la sua autonoma valenza espressiva.
Non so cosa bolla in pentola, ma certo Fabi ci sta preparando qualche sorpresa. Credo sia pronto ad aprire le pagine di un nuovo romanzo, speriamo intenso ed affascinante come il suo Libro itinerante, il grande codice miniato in cui ha saputo raccogliere il suo alfabeto di ideogrammi colorati. Certamente la storia, sia quella individuale che quella collettiva è entrata in scena, le memorie con le loro stratificazioni danno un diverso spessore ai suoi interventi…ma non temete, il nostro Fabi per questo non smetterà di contagiarci con la sua melanconica allegria, sarà ancora sempre pronto a coinvolgere anche noi nel “grande gioco delle cose”.
13
ottobre 2010
Fabrizio (Fabi) Bandini – Sale
Dal 13 al 30 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
LODI ARTE
Parma, Strada Giuseppe Garibaldi, 36/a, (Parma)
Parma, Strada Giuseppe Garibaldi, 36/a, (Parma)
Orario di apertura
10:00 - 13:00 e 16:00 - 19:30
Domenica, Lunedì e Giovedì Chiuso
Vernissage
13 Ottobre 2010, ore 17.00
Autore
Curatore