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Uliano Lucas – Grandi Autori della Fotografia Contemporanea
Mostra fotografica e presentazione della monografia edita dalla FIAF
Comunicato stampa
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Lucas si impone per una fotografia che affonda le sue radici nella consapevolezza dell’importanza del giornalismo come strumento democratico d’informazione, con una partecipe attenzione verso l'umanità delle persone ritratte, di cui restituisce la ricchezza di emozioni, aspirazioni, fantasie.
Nato a Milano nel 1942 da una famiglia operaia, Uliano Lucas cresce nel clima di ricostruzione civile e intellettuale che anima il capoluogo lombardo nel dopoguerra. Studia nei Convitti della rinascita, dove insegnanti come Luciano Raimondi, Albe Steiner o Guido Petter offrivano la possibilità di un’istruzione e di un sostegno ai figli dei partigiani e dei reduci con problemi familiari, poi, espulsone per troppa indisciplina, curioso e inquieto, prende a frequentare, ancora diciassettenne, l’ambiente di artisti, fotografi e giornalisti che vivevano allora nel quartiere di Brera. E qui, durante le interminabili discussioni ai bar Genis e Giamaica con grafici, disegnatori, intellettuali e artigiani della vecchia Milano, ma anche con i fotografi Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi, che ancora si ritrovavano nella ex latteria, decide di tentare la via del fotogiornalismo, ravvisandovi, come altri giovani della sua generazione, uno strumento di impegno civile e insieme una professione indipendente, libera dalle costrizioni, viatico per quella scoperta di mondi diversi che infatti caratterizza poi tutta la sua esistenza.
I primi anni lo vedono fotografare le atmosfere ancora popolari della sua città, la vita e i volti degli scrittori e pittori suoi amici - Enrico Castellani e Costantino Guenzi, Piero Manzoni e Arturo Vermi - ma anche fermare in immagini i nuovi fermenti nella musica e nello spettacolo, dal Cab '64 di Tinin Mantegazza ai gruppi rock degli Stormy Six e dei Ribelli. Poi arriva il coinvolgimento nelle riflessioni politiche sollecitate dalla nuova Italia degli anni ’60 e l’impegno in una lunga campagna di documentazione sui processi storici protagonisti del dibattito culturale del tempo: l’immigrazione in Italia e all’estero, la distruzione del territorio legata all’industrializzazione, il movimento studentesco e antiautoritario che attraversa l’Europa e l’Italia con le proteste di piazza degli anni ’68-’75, il movimento dei capitani in Portogallo e le guerre di liberazione in Angola, Eritrea, Guinea Bissau, seguite con i giornalisti Bruno Crimi ed Edgardo Pellegrini per riviste come Tempo, Vie Nuove, Jeune Afrique e Koncret o per iniziative editoriali diventate poi un punto di riferimento per la riflessione terzomondista di quegli anni.
Colto e visionario, lavora in quel giornalismo fatto di comuni passioni, forti amicizie e grandi slanci che negli anni ’60 e ’70 tenta di opporre una stampa d’inchiesta civile all’informazione consueta del tempo, poco attenta ad una valorizzazione della fotografia e imperniata sulle notizie di cronaca rosa e attualità politica. Trova preziosi interlocutori in direttori e caporedattori come Nicola Cattedra, Gianluigi Melega, Pasquale Prunas, Giovanni Valentini, Tino Azzini o ancora Nini Briglia, Giovanni Raboni e Anna Masucci, e in giornalisti, grafici e fotografi impegnati come lui in una densa indagine sulle realtà del paese. Con loro idea reportage, mostre, progetti editoriali, come la rivista sindacale della Fim Milano Azimut, il periodico L’illustrazione italiana o la collana Idea Editions “Il fatto, la foto”. E si impone per una fotografia che affonda le sue radici nell’indignazione tipica del suo tempo per i soprusi e le disuguaglianze sociali e nella consapevolezza dell’importanza del giornalismo come strumento democratico d’informazione e che unisce però alla durezza della denuncia e ad una testimonianza sempre documentata e ragionata sui fatti una partecipe attenzione verso l’umanità delle persone ritratte, verso le storie personali di sofferenza, di lotta o semplicemente di vita e di affetti dei singoli, di cui restituisce la ricchezza di emozioni, aspirazioni, fantasie.
Collabora dunque negli anni con testate come Il Mondo di Mario Pannunzio e poi di Arrigo Benedetti, Tempo, L’Espresso, L’Europeo, Vie nuove, che poi diventerà Giorni-Vie nuove, La Stampa, Il Manifesto, Il Giorno, o ancora con Tempi moderni di Fabrizio Onofri, Abitare di Piera Pieroni, Se – Scienza e Esperienza di Giovanni Cesareo e con tanti giornali del sindacato e della sinistra extraparlamentare, alternando a servizi sull’attualità del momento e sul mondo dell’arte e della cultura, di cui è sempre stato osservatore attento, reportage, spesso sfociati in libri, su temi che segue lungo i decenni, dalle trasformazioni del mondo del lavoro, in cui individua un angolo di visuale privilegiato per comprendere lo stato del paese, alla questione psichiatrica, che affronta documentando il lento passaggio dalla condizione manicomiale degli anni ’70 alla riconquista di una libertà e normalità di vita da parte dei pazienti negli anni ’80 e ’90. Per Tempo viaggia lungamente in Spagna e Portogallo ben esprimendo nelle sue immagini il clima asfittico della dittatura, per L’Espresso fotografa nel 1982 gli scrittori israeliani e marocchini e firma corrispondenze sulla mafia dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Calabria, per L’Europeo documenta il disastro di Seveso e racconta in diversi servizi le molte realtà del mondo cattolico e ancora attraverso Grazia Neri collabora con L’Express, Le Nouvel Observateur, Time con servizi di attualità, politica e costume. E poi via via racconta le nuove forme d’impegno del volontariato degli anni ’80 e ’90, le iniziative del Ciai in India e in Corea e le realtà della cooperazione in Africa. Durante la guerra jugoslava vive e restituisce in immagini le tragiche condizioni di esistenza della popolazione in assedio.
La chiusura della maggior parte dei giornali con cui collabora fra gli anni ’80 e i ’90 e i cambiamenti nel sistema dell’informazione e della distribuzione della notizia, lo portano a diradare nell’ultimo decennio le corrispondenze giornalistiche per dedicarsi a un’attività di studio e di ricerca intorno alla fotografia che del resto ha da sempre accompagnato la sua professione di reporter e a inchieste di ampio respiro condotte insieme a giornalisti, sociologici e storici, di cui sono esempio il racconto dei primi anni ’90 sui centri di recupero per tossicodipendenti a Torino, con Carlo De Giacomi, la documentazione degli stessi anni sulla difficile riconversione industriale nel ponente genovese con Leila Maiocco e il sindacalista Franco Sartori o il recente reportage sulle carceri di San Vittore e Bollate, realizzato per la Triennale di Milano con Franco Origoni, Marella Santangelo e Aldo Bonomi.
E tuttavia nei primi anni ’90 lavora ancora intensamente con la rivista King e con il Corriere della Sera e il suo supplemento Sette. E dal 1989 al 1995 è coinvolto da Guido Vergani e Paolo Mereghetti nelle inchieste sulla Grande Milano delle pagine cittadine di Repubblica. Interprete sottile oltre che testimone puntuale di oltre trent’anni di storia, pubblica quindi su questo giornale molti di quegli scatti realizzati in una quotidiana ricognizione sul territorio che offrono per gli anni ’80 e '90 e per il nuovo millennio, come era stato per i ’60 e ’70, una racconto a tutto tondo sulla società italiana, riflettendone anche in un nuovo stile i radicali cambiamenti di mentalità e di costume, e realizza reportage sulle architetture e gli spazi di Milano e del suo infinito hinterland che si inseriscono in un lavoro mai interrotto sul cambiamento del territorio come specchio delle trasformazioni nell’economia e nel tessuto socio-culturale che Lucas conduce fin dagli anni ’60 in tutta Italia e che rinnova l’impegno di conoscenza e analisi e la capacità narrativa ed evocativa che lo hanno da sempre contraddistinto.
Nato a Milano nel 1942 da una famiglia operaia, Uliano Lucas cresce nel clima di ricostruzione civile e intellettuale che anima il capoluogo lombardo nel dopoguerra. Studia nei Convitti della rinascita, dove insegnanti come Luciano Raimondi, Albe Steiner o Guido Petter offrivano la possibilità di un’istruzione e di un sostegno ai figli dei partigiani e dei reduci con problemi familiari, poi, espulsone per troppa indisciplina, curioso e inquieto, prende a frequentare, ancora diciassettenne, l’ambiente di artisti, fotografi e giornalisti che vivevano allora nel quartiere di Brera. E qui, durante le interminabili discussioni ai bar Genis e Giamaica con grafici, disegnatori, intellettuali e artigiani della vecchia Milano, ma anche con i fotografi Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi, che ancora si ritrovavano nella ex latteria, decide di tentare la via del fotogiornalismo, ravvisandovi, come altri giovani della sua generazione, uno strumento di impegno civile e insieme una professione indipendente, libera dalle costrizioni, viatico per quella scoperta di mondi diversi che infatti caratterizza poi tutta la sua esistenza.
I primi anni lo vedono fotografare le atmosfere ancora popolari della sua città, la vita e i volti degli scrittori e pittori suoi amici - Enrico Castellani e Costantino Guenzi, Piero Manzoni e Arturo Vermi - ma anche fermare in immagini i nuovi fermenti nella musica e nello spettacolo, dal Cab '64 di Tinin Mantegazza ai gruppi rock degli Stormy Six e dei Ribelli. Poi arriva il coinvolgimento nelle riflessioni politiche sollecitate dalla nuova Italia degli anni ’60 e l’impegno in una lunga campagna di documentazione sui processi storici protagonisti del dibattito culturale del tempo: l’immigrazione in Italia e all’estero, la distruzione del territorio legata all’industrializzazione, il movimento studentesco e antiautoritario che attraversa l’Europa e l’Italia con le proteste di piazza degli anni ’68-’75, il movimento dei capitani in Portogallo e le guerre di liberazione in Angola, Eritrea, Guinea Bissau, seguite con i giornalisti Bruno Crimi ed Edgardo Pellegrini per riviste come Tempo, Vie Nuove, Jeune Afrique e Koncret o per iniziative editoriali diventate poi un punto di riferimento per la riflessione terzomondista di quegli anni.
Colto e visionario, lavora in quel giornalismo fatto di comuni passioni, forti amicizie e grandi slanci che negli anni ’60 e ’70 tenta di opporre una stampa d’inchiesta civile all’informazione consueta del tempo, poco attenta ad una valorizzazione della fotografia e imperniata sulle notizie di cronaca rosa e attualità politica. Trova preziosi interlocutori in direttori e caporedattori come Nicola Cattedra, Gianluigi Melega, Pasquale Prunas, Giovanni Valentini, Tino Azzini o ancora Nini Briglia, Giovanni Raboni e Anna Masucci, e in giornalisti, grafici e fotografi impegnati come lui in una densa indagine sulle realtà del paese. Con loro idea reportage, mostre, progetti editoriali, come la rivista sindacale della Fim Milano Azimut, il periodico L’illustrazione italiana o la collana Idea Editions “Il fatto, la foto”. E si impone per una fotografia che affonda le sue radici nell’indignazione tipica del suo tempo per i soprusi e le disuguaglianze sociali e nella consapevolezza dell’importanza del giornalismo come strumento democratico d’informazione e che unisce però alla durezza della denuncia e ad una testimonianza sempre documentata e ragionata sui fatti una partecipe attenzione verso l’umanità delle persone ritratte, verso le storie personali di sofferenza, di lotta o semplicemente di vita e di affetti dei singoli, di cui restituisce la ricchezza di emozioni, aspirazioni, fantasie.
Collabora dunque negli anni con testate come Il Mondo di Mario Pannunzio e poi di Arrigo Benedetti, Tempo, L’Espresso, L’Europeo, Vie nuove, che poi diventerà Giorni-Vie nuove, La Stampa, Il Manifesto, Il Giorno, o ancora con Tempi moderni di Fabrizio Onofri, Abitare di Piera Pieroni, Se – Scienza e Esperienza di Giovanni Cesareo e con tanti giornali del sindacato e della sinistra extraparlamentare, alternando a servizi sull’attualità del momento e sul mondo dell’arte e della cultura, di cui è sempre stato osservatore attento, reportage, spesso sfociati in libri, su temi che segue lungo i decenni, dalle trasformazioni del mondo del lavoro, in cui individua un angolo di visuale privilegiato per comprendere lo stato del paese, alla questione psichiatrica, che affronta documentando il lento passaggio dalla condizione manicomiale degli anni ’70 alla riconquista di una libertà e normalità di vita da parte dei pazienti negli anni ’80 e ’90. Per Tempo viaggia lungamente in Spagna e Portogallo ben esprimendo nelle sue immagini il clima asfittico della dittatura, per L’Espresso fotografa nel 1982 gli scrittori israeliani e marocchini e firma corrispondenze sulla mafia dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Calabria, per L’Europeo documenta il disastro di Seveso e racconta in diversi servizi le molte realtà del mondo cattolico e ancora attraverso Grazia Neri collabora con L’Express, Le Nouvel Observateur, Time con servizi di attualità, politica e costume. E poi via via racconta le nuove forme d’impegno del volontariato degli anni ’80 e ’90, le iniziative del Ciai in India e in Corea e le realtà della cooperazione in Africa. Durante la guerra jugoslava vive e restituisce in immagini le tragiche condizioni di esistenza della popolazione in assedio.
La chiusura della maggior parte dei giornali con cui collabora fra gli anni ’80 e i ’90 e i cambiamenti nel sistema dell’informazione e della distribuzione della notizia, lo portano a diradare nell’ultimo decennio le corrispondenze giornalistiche per dedicarsi a un’attività di studio e di ricerca intorno alla fotografia che del resto ha da sempre accompagnato la sua professione di reporter e a inchieste di ampio respiro condotte insieme a giornalisti, sociologici e storici, di cui sono esempio il racconto dei primi anni ’90 sui centri di recupero per tossicodipendenti a Torino, con Carlo De Giacomi, la documentazione degli stessi anni sulla difficile riconversione industriale nel ponente genovese con Leila Maiocco e il sindacalista Franco Sartori o il recente reportage sulle carceri di San Vittore e Bollate, realizzato per la Triennale di Milano con Franco Origoni, Marella Santangelo e Aldo Bonomi.
E tuttavia nei primi anni ’90 lavora ancora intensamente con la rivista King e con il Corriere della Sera e il suo supplemento Sette. E dal 1989 al 1995 è coinvolto da Guido Vergani e Paolo Mereghetti nelle inchieste sulla Grande Milano delle pagine cittadine di Repubblica. Interprete sottile oltre che testimone puntuale di oltre trent’anni di storia, pubblica quindi su questo giornale molti di quegli scatti realizzati in una quotidiana ricognizione sul territorio che offrono per gli anni ’80 e '90 e per il nuovo millennio, come era stato per i ’60 e ’70, una racconto a tutto tondo sulla società italiana, riflettendone anche in un nuovo stile i radicali cambiamenti di mentalità e di costume, e realizza reportage sulle architetture e gli spazi di Milano e del suo infinito hinterland che si inseriscono in un lavoro mai interrotto sul cambiamento del territorio come specchio delle trasformazioni nell’economia e nel tessuto socio-culturale che Lucas conduce fin dagli anni ’60 in tutta Italia e che rinnova l’impegno di conoscenza e analisi e la capacità narrativa ed evocativa che lo hanno da sempre contraddistinto.
08
ottobre 2010
Uliano Lucas – Grandi Autori della Fotografia Contemporanea
Dall'otto al 29 ottobre 2010
fotografia
Location
GALLERIA FIAF
Torino, Via Pietro Santarosa, 7, (Torino)
Torino, Via Pietro Santarosa, 7, (Torino)
Orario di apertura
9,30-12,30 ; 14,30-17
dal lunedì al venerdì
Vernissage
8 Ottobre 2010, ore 21,00
Autore
Curatore