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Gaspard De Missolz – Senza titolo
Il film che è una fiction ed è prodotto da White Rabbit, nasce da 30 fotografie della Woodman che amava mettersi in scena generalmente nuda, in luoghi andati in rovina o nella natura intricata di boschi, quasi un fantasma a testimoniare la fugacità della vita per poi sparire confondendo la propria immagine dietro un muro.
Comunicato stampa
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Martedì 28 settembre ore21
CINEMA & FOTOGRAFIA - prima visione
PROIEZIONE DLE FILM: SENZA TITOLO (Sans titre, 2006)
di Gaspard De Missolz
con Florence Denou, Lou Castel, Gaspard De Missilz, Caroline Baehr, Julien Collet.
Francia/ b/n / dur.72’, edizione originale.
Molto raramente il cinema ha incontrato la fotografia e viceversa come in questo incantevole film su una delle protagoniste più drammaticamente “sfortunate” della scena fototografica internazionale. In questo caso regia e attori hanno contribuito in maniera quasi magica a dare vita e corpo a FRANCESCA WOODMAN, fotografa americana, nata a Denver il 3 aprile 1958, scomparsa a New York il 19 gennaio 1981, una fine, forse, annunciata a soli 22 anni, e un patrimonio fotografico tenero e drammatico ad un tempo, come un diario, come un testamento.
Il film che è una fiction ed è prodotto da White Rabbit, nasce da 30 fotografie della Woodman che amava mettersi in scena generalmente nuda, in luoghi andati in rovina o nella natura intricata di boschi, quasi un fantasma a testimoniare la fugacità della vita per poi sparire confondendo la propria immagine dietro un muro. Fotografie inquietanti come quando si attacca ai capezzoli mollette della biancheria o quando gioca pericolosamente con un coltello e lascia trace di sangue sulla parete.
Prima della fine ha scritto: “Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anzichè cancellare confusamente tutte queste cose delicate”. E così fu.
Francesca Woodman: libertinaggio fotografico.
Di Barbara Codogno
“Il mio tempo non è ancora venuto, alcuni nascono postumi”. F. Nietzsche
“Sans Titre” di Jérôme de Missolz è un piccolo grande capolavoro: un docu-film che riesce a coinvolgere fisicamente lo spettatore e a trasportarlo nell'universo artistico ed esistenziale di Francesca Woodman. Colonna sonora ineccepibile, perfezione scenica della macchina da presa, de Missolz riesce a spiegare non solo il processo creativo della celebre fotografa ma, senza diventare mai didascalico, introduce lo spettatore nei procedimenti tecnici scelti dall'artista che usava lunghe o doppie esposizioni per poter entrare essa stessa nell'immagine fotografica. Immagine da lei organizzata quasi pittoricamente, come se ogni volta si trattasse di allestire una natura morta.
Francesca Woodman fotografa un fuori da sé che comprende un sé onnipresente.
Da questa duplice visione -strizzando l'occhiolino a Velázquez?- in questo morboso gioco degli specchi – il fotografo che fotografando si fotografa - si fa largo l'illuminante saggio “Il freddo e il crudele” scritto dal francese Gilles Deleuze. Saggio filosofico che può guidarci verso un'interpretazione critica dell'operare che non distingua più il processo creativo dell'artista dalla vita stessa, vita intesa come manifestazione esistenziale dell'essere.
Perché questo è il nocciolo della questione.
Francesca Woodman è un indiscusso astro della fotografia, un genio anticipatore, sfavillante espressione dell'arte contemporanea. Francesca Woodman si è suicidata a 23 anni.
Spendersi in pedisseque interpretazioni sulla decisione, sua, di porre fine alla vita non è l'unico sentiero che si dovrebbe percorrere per avvicinarsi a Francesca e, conseguentemente, alla sua produzione artistica.
Di lei si sono dette e scritte molte cose, investigando sul suo presunto rapporto malato con la vita, analizzando il suo desiderio di morte, il bisogno suo di dissiparsi. Speculazioni critiche che servono al pubblico interdetto un veloce antidoto retorico. Ma la velenosa grafia immaginifica di Francesca Woodman non si fa imbavagliare e combatte il suo tutto per tutto, fino in fondo.
Nel lungometraggio di De Missolz, una bravissima Florence Denou dà il suo volto a Francesca Woodman per un riuscito docu- film. Una ricostruzione storica che il regista francese tesse sullo schermo a partire da alcuni frammenti privati: lettere, fotografie, diari.
Francesca scriveva: io sono...Ofelia, io sono un albero, io sono la gente, io sono una crepa nel muro, io sono una radice, io sono un albero, io sono un'arpia, io sono ... e cesellava la sua definizione dell'essere con una costellazione di oggetti, personaggi, circostanze.
Recitando come mantra tutte le infinite possibilità dell'essere, Woodman realizza immagini fotografiche che attuano il suo pervasivo desiderio di aderire ad ogni possibile.
Francesca è corpo tra gli alberi, corpo tra i muri, corpo che sbuca da sotto la carta da parati, corpo come interstizio, corpo tra due crepe, corpo nell'acqua, corpo nei prati, corpo nella città.
In questo suo essere tutto ed essere ovunque si staglia gloriosa la figura del libertino così come delineata da Gilles Deleuze nel suo “Il Freddo e il crudele”.
Tutto in Francesca Woodman è erotismo. La sua è una copula continua ed inarrestabile con ogni singola parte del sé che l'artista reifica ed espande quasi cosmicamente, in un surplus egoico che tracima, declina e pervade ogni tempo ed ogni spazio.
Francesca scopa con tutto e con tutti.
Anche con la morte. Proprio come il libertino, la cui massima soddisfazione, una volta adempiuto sistemicamente al presupposto soddisfacimento del suo precipuo piacere deve necessariamente porvi fine.
Perché la fine è la sconfitta, il precipizio, la vertigine: massimamente piacevole proprio perché procura un dolore irreparabile.
Nel film, così come nelle fotografie di Francesca Woodman, non è pertanto estranea la componente legata alla nevrosi, all'angoscia.
Il vero libertino usa infatti duplice codice linguistico e perciò esistenziale: da una parte Masoch e dall'altra De Sade.
In questo Francesca Woodman è sintesi assoluta: da una parte la sospensione estetica e drammatica, l'assenza, la privazione, la drammaticità che si recita addosso impersonando il ruolo della vittima: Masoch; dall'altra la reiterazione meccanica ed accumulatrice, la ripetizione, il perpetuarsi metodico dell'esperienza erotica che contraddistingue il carnefice: De Sade.
Per chiarire il concetto dinamico che interviene tra le due componenti: il masochista fissa la scena, il sadico la ripete ossessivamente. Lunga o doppia esposizione. Sempre dentro la natura morta fotografata.
Queste due componenti, massimante estetizzanti, nell'iconografia artistica di Francesca Woodman ci parlano quindi di un erotismo dispiegato fin nei suoi ultimi recessi dell'anima. Un'anima che è sempre, fino alla fine, un tutt'uno con il suo corpo e che unita al corpo nello spasmo del piacere estremo - quindi mortale - esprime tutta la sua potenza creatrice fatta di opposti proprio perché da pulsioni opposte de-generata.
Se per Woodman quindi ha senso parlare di un malessere esistenziale, lo ha nella misura in cui la società -e qui ha ragione Bataille con la sua feroce critica sociale espressa nel suo “L'erotismo”- censura, elimina, proibisce, condanna e giudica l'erotismo. Lo abolisce e lo bandisce tanto più, quando a parlarne, praticandolo, è una donna.
CINEMA & FOTOGRAFIA - prima visione
PROIEZIONE DLE FILM: SENZA TITOLO (Sans titre, 2006)
di Gaspard De Missolz
con Florence Denou, Lou Castel, Gaspard De Missilz, Caroline Baehr, Julien Collet.
Francia/ b/n / dur.72’, edizione originale.
Molto raramente il cinema ha incontrato la fotografia e viceversa come in questo incantevole film su una delle protagoniste più drammaticamente “sfortunate” della scena fototografica internazionale. In questo caso regia e attori hanno contribuito in maniera quasi magica a dare vita e corpo a FRANCESCA WOODMAN, fotografa americana, nata a Denver il 3 aprile 1958, scomparsa a New York il 19 gennaio 1981, una fine, forse, annunciata a soli 22 anni, e un patrimonio fotografico tenero e drammatico ad un tempo, come un diario, come un testamento.
Il film che è una fiction ed è prodotto da White Rabbit, nasce da 30 fotografie della Woodman che amava mettersi in scena generalmente nuda, in luoghi andati in rovina o nella natura intricata di boschi, quasi un fantasma a testimoniare la fugacità della vita per poi sparire confondendo la propria immagine dietro un muro. Fotografie inquietanti come quando si attacca ai capezzoli mollette della biancheria o quando gioca pericolosamente con un coltello e lascia trace di sangue sulla parete.
Prima della fine ha scritto: “Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anzichè cancellare confusamente tutte queste cose delicate”. E così fu.
Francesca Woodman: libertinaggio fotografico.
Di Barbara Codogno
“Il mio tempo non è ancora venuto, alcuni nascono postumi”. F. Nietzsche
“Sans Titre” di Jérôme de Missolz è un piccolo grande capolavoro: un docu-film che riesce a coinvolgere fisicamente lo spettatore e a trasportarlo nell'universo artistico ed esistenziale di Francesca Woodman. Colonna sonora ineccepibile, perfezione scenica della macchina da presa, de Missolz riesce a spiegare non solo il processo creativo della celebre fotografa ma, senza diventare mai didascalico, introduce lo spettatore nei procedimenti tecnici scelti dall'artista che usava lunghe o doppie esposizioni per poter entrare essa stessa nell'immagine fotografica. Immagine da lei organizzata quasi pittoricamente, come se ogni volta si trattasse di allestire una natura morta.
Francesca Woodman fotografa un fuori da sé che comprende un sé onnipresente.
Da questa duplice visione -strizzando l'occhiolino a Velázquez?- in questo morboso gioco degli specchi – il fotografo che fotografando si fotografa - si fa largo l'illuminante saggio “Il freddo e il crudele” scritto dal francese Gilles Deleuze. Saggio filosofico che può guidarci verso un'interpretazione critica dell'operare che non distingua più il processo creativo dell'artista dalla vita stessa, vita intesa come manifestazione esistenziale dell'essere.
Perché questo è il nocciolo della questione.
Francesca Woodman è un indiscusso astro della fotografia, un genio anticipatore, sfavillante espressione dell'arte contemporanea. Francesca Woodman si è suicidata a 23 anni.
Spendersi in pedisseque interpretazioni sulla decisione, sua, di porre fine alla vita non è l'unico sentiero che si dovrebbe percorrere per avvicinarsi a Francesca e, conseguentemente, alla sua produzione artistica.
Di lei si sono dette e scritte molte cose, investigando sul suo presunto rapporto malato con la vita, analizzando il suo desiderio di morte, il bisogno suo di dissiparsi. Speculazioni critiche che servono al pubblico interdetto un veloce antidoto retorico. Ma la velenosa grafia immaginifica di Francesca Woodman non si fa imbavagliare e combatte il suo tutto per tutto, fino in fondo.
Nel lungometraggio di De Missolz, una bravissima Florence Denou dà il suo volto a Francesca Woodman per un riuscito docu- film. Una ricostruzione storica che il regista francese tesse sullo schermo a partire da alcuni frammenti privati: lettere, fotografie, diari.
Francesca scriveva: io sono...Ofelia, io sono un albero, io sono la gente, io sono una crepa nel muro, io sono una radice, io sono un albero, io sono un'arpia, io sono ... e cesellava la sua definizione dell'essere con una costellazione di oggetti, personaggi, circostanze.
Recitando come mantra tutte le infinite possibilità dell'essere, Woodman realizza immagini fotografiche che attuano il suo pervasivo desiderio di aderire ad ogni possibile.
Francesca è corpo tra gli alberi, corpo tra i muri, corpo che sbuca da sotto la carta da parati, corpo come interstizio, corpo tra due crepe, corpo nell'acqua, corpo nei prati, corpo nella città.
In questo suo essere tutto ed essere ovunque si staglia gloriosa la figura del libertino così come delineata da Gilles Deleuze nel suo “Il Freddo e il crudele”.
Tutto in Francesca Woodman è erotismo. La sua è una copula continua ed inarrestabile con ogni singola parte del sé che l'artista reifica ed espande quasi cosmicamente, in un surplus egoico che tracima, declina e pervade ogni tempo ed ogni spazio.
Francesca scopa con tutto e con tutti.
Anche con la morte. Proprio come il libertino, la cui massima soddisfazione, una volta adempiuto sistemicamente al presupposto soddisfacimento del suo precipuo piacere deve necessariamente porvi fine.
Perché la fine è la sconfitta, il precipizio, la vertigine: massimamente piacevole proprio perché procura un dolore irreparabile.
Nel film, così come nelle fotografie di Francesca Woodman, non è pertanto estranea la componente legata alla nevrosi, all'angoscia.
Il vero libertino usa infatti duplice codice linguistico e perciò esistenziale: da una parte Masoch e dall'altra De Sade.
In questo Francesca Woodman è sintesi assoluta: da una parte la sospensione estetica e drammatica, l'assenza, la privazione, la drammaticità che si recita addosso impersonando il ruolo della vittima: Masoch; dall'altra la reiterazione meccanica ed accumulatrice, la ripetizione, il perpetuarsi metodico dell'esperienza erotica che contraddistingue il carnefice: De Sade.
Per chiarire il concetto dinamico che interviene tra le due componenti: il masochista fissa la scena, il sadico la ripete ossessivamente. Lunga o doppia esposizione. Sempre dentro la natura morta fotografata.
Queste due componenti, massimante estetizzanti, nell'iconografia artistica di Francesca Woodman ci parlano quindi di un erotismo dispiegato fin nei suoi ultimi recessi dell'anima. Un'anima che è sempre, fino alla fine, un tutt'uno con il suo corpo e che unita al corpo nello spasmo del piacere estremo - quindi mortale - esprime tutta la sua potenza creatrice fatta di opposti proprio perché da pulsioni opposte de-generata.
Se per Woodman quindi ha senso parlare di un malessere esistenziale, lo ha nella misura in cui la società -e qui ha ragione Bataille con la sua feroce critica sociale espressa nel suo “L'erotismo”- censura, elimina, proibisce, condanna e giudica l'erotismo. Lo abolisce e lo bandisce tanto più, quando a parlarne, praticandolo, è una donna.
28
settembre 2010
Gaspard De Missolz – Senza titolo
28 settembre 2010
presentazione
serata - evento
serata - evento
Location
MULTISALA PORTO ASTRA
Padova, Via Santa Maria Assunta, 204, (Padova)
Padova, Via Santa Maria Assunta, 204, (Padova)
Vernissage
28 Settembre 2010, ore 21 La serata verrà presentata e commentata dalla giornalista e artista Barbara Codogno.
Autore