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Daniela Chionna / Francesca Testa
Esposizione delle opere delle artist-designers Daniela Chionna da Francavilla Fontana (Brindisi) e Francesca Testa da Tuglie (Lecce)
Comunicato stampa
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Nell’operazione di assemblaggio dei pensamenti e nel codificante movimento che compone la strutturazione della Mostra, L’Ombra della Luce si configura come l’energia cinetica che motiva l’espressione d’arte di Daniela Chionna da Francavilla Fontana (Brindisi); con Francesca Testa da Tuglie (Lecce) si evolve nell’espressione di una Utopia Possibile il parlar d’artista in quanto congerie di segni da interpretare secondo spazi intimi mai saturi.
Due nomi giovani, due stili di ricerca già acclamati nel mondo dell’arte e in continua partenza per approfondire un’indagine infinita. Artiste in casuale nascita in un luogo - il Salento - che è ovunque e sempre altrove: Daniela insegue gli scarti dell’esistere per rintracciare le orme della costruzione operata dall’uomo contemporaneo e farne confluire l’immagine in una koinè di luminosa mescolanza prospettica. Francesca si adagia lungo camminamenti di una contemplazione che prende forma nell’audace ambientazione di luci e sinuosità cromatica, che modula e modifica lo spazio d’azione, trasformato in un viaggio che è perenne “andare”
Carmen De Stasio
Presidente Ass. Cult. VIA MEDIA
Brindisi
Venerdì 1 ottobre, ore 18,00 all’interno della Mostra è previsto un incontro con la cultura letteraria, con la PRESENTAZIONE UFFICIALE del libro
Ti amerò
Fino ad addormentarmi
Nel rosso del tuo meriggio
CSR “Francesco Grisi” Ed.
Sarà presente l’autore - lo scrittore, saggista e poeta Pierfranco Bruni (Responsabile Minoranze Etno-linguistiche del MiBAC - Ministero dei Beni Culturali)
RIFLESSIONE
Considero l’arte come la configurazione dell’energia che si cela dietro e all’interno dell’“immaginazione” quale espressione della capacità di penetrare realtà conosciute, di percepirne la pulsione e farsi portavoce di un messaggio intelligibile solo a quanti scalfiscono la crosta della realtà materica per scoprire sorprendenti segni indistinguibili, che possano conciliare nell’immediata proiezione una visione e la consacrazione di una realtà permeata di una distintiva velocità.
L’arte è un urlo lancinante nel silenzio che esplode unicamente in una rappresentazione sinestetica e antidiegetica. E’ un linguaggio segnico che stigmatizza l’elaborazione in un’interpretazione sempre nuova. Anello simbolico tra il qui, il sempre e l’altrove; luogo dell’essere; sintesi storica che scavalca le confinazioni materiche e si realizza in quanto espressione di tempi e spazi confluenti; in quanto mosaico complesso che parla la voce del proprio tempo e nel proprio spazio con i quali l’artista dialoga, si immedesima, sollecitato da ritmi che gli consentono di squarciare i veli del distinguibile-descrivibile con la parola limite e divenendo segno di libertà.
Di quale materia è fatto l’uomo? Composto dagli elementi di cui si circonda, nel tempo egli diviene cose, oggetti creati per assolvere al suo desiderio di confortevole agio per migliorarsi, per sedimentare la compiacenza di essere mente, corpo, pensiero, confluenza di tempi. Sovente, scalfito il ricordo, l’uomo cancella e getta via anche la memoria del luogo e nulla resta affinché egli possa riprendere il filo e rimettersi in cammino verso un futuro, distrutto o, quantomeno, disturbato dall’assenza di punti di riferimento.
Nell’operazione di assemblaggio dei pensamenti e nel codificante movimento che compone la strutturazione della Mostra, L’Ombra della Luce si configura come l’energia cinetica che motiva l’espressione d’arte di Daniela Chionna da Francavilla Fontana (Brindisi); con Francesca Testa da Tuglie (Lecce) si evolve nell’espressione di una Utopia Possibile il parlar d’artista in quanto congerie di segni da interpretare secondo spazi intimi mai saturi.
Due nomi giovani, due stili di ricerca già acclamati nel mondo dell’arte e in continua partenza per approfondire un’indagine infinita. Artiste in casuale nascita in un luogo, il Salento, che è ovunque e sempre altrove: Daniela insegue gli scarti dell’esistere per rintracciare le orme della costruzione operata dall’uomo contemporaneo e farne confluire l’immagine in una koinè di luminosa mescolanza prospettica. Francesca si adagia lungo camminamenti di una contemplazione che prende forma nell’audace ambientazione di luci e sinuosità cromatica, che modula e modifica lo spazio d’azione, trasformato in un viaggio che è perenne “andare”
Carmen De Stasio
L’OMBRA DELLA LUCE
Daniela Chionna, designer di Francavilla Fontana (Brindisi), scruta nell’oltre-minimo nucleo delle cose, riavvolgendole in una luce che è condensazione di ombra.
Nelle costruzioni olografiche l’artista incide percorsi che sfoggiano un’esemplarità di fasci luminosi che si evolvono dall’interno, permeano l’ambiente e ne riformulano l’onda visiva in una tridimensionalità inquieta.
Le criptiche composizioni - installazioni animate da una concettualizzazione calibrata su pieni e vuoti in accordo mutevole su piani sospesi - visualizzano l’attrazione verso il silenzio urlante e sopraggiungente dall’oscurità attraverso geometrie che si dilatano oltre la forma chiusa.
Necessaria per lo sviluppo di questo tipo di espressione artistica, in costante oscillazione tra pittura e scultura, è la rimodulazione di materiali che si dilatano, investono l’ambiente, disperdono la frammentarietà e formulano una nuova, unica architettura dai ritmi metaforici, idiosincratici, duettanti in costante frenesia.
La destrutturazione della luce e delle ombre contribuisce a creare un’atmosfera di intimismo motivata da una ricchezza sinestetica che permette all’impianto di trasformarsi in una performance di forme, di proiezione, di storia, nella sequenza di statole magiche che si intrecciano con le architetture circostanti, attribuendo loro una nuova pelle dai toni dinamici, morbidi, trasparenti, mediante una tecnica di accumulazione, recupero e frottage.
Affascinata dalle possibilità della luce di sconvolgere gli spazi, Daniela Chionna stabilisce una sintesi versatile di strutture complesse risultanti dalla scomposizione di raggi che attraversano la materia, si insinuano nei pertugi e si dilatano in giochi visivi ingannatori, lasciando nel mistero la definizione del punto di vista. Le installazioni diventano situazioni in costante variabilità alla ricerca di una misura e di un nuovo equilibrio, in cui la luce appare sontuosa e silente, densa e pizzicata come le corde di un violino di una sonata bartokiana che segna la rinascita là dove l’uomo aveva decretato l’inutilizzabilità della materia. L’opera si pone dunque come centrale punto di attenzione, con effetti scenici simbolici di un’estetica personalissima e complessa operazione di segno linguistico, che disperde la severità nella composizione dei vari elementi assemblati secondo un ordine dell’artista, che dà voce agli oggetti incuneandoli in uno spazio di nuova generazione e affida all’ombra il respiro di un’atmosfera in cui la luce vince sul buio mutismo del non-pensiero, giacché la povertà o il valore dell’oggetto sono sempre nella prospettiva di chi guarda.
La sensazione che si riceve è in tal senso di complessa unità, nella quale i colori si adagiano sugli elementi, ne movimentano l’azione, ne esaltano il valore perduto; si insinuano nella materia, resa plasmabile e creatrice essa stessa di ombre che esistono perché esaltate come presenza da una fonte di luce interna.
Dall’ipotesi della struttura cromatica della luce, Daniela passa dunque a costruire una nuova narrazione del tempo: le opere, acme di una ricerca nel substrato esistenziale nelle sue disparate formulazioni, recuperano passaggi esistenziali perduti e la vorticosità di un ritmo esistenziale in continua innovazione; parlano del tessuto urbano, sono condensazioni di una civiltà che mantiene il suo ruolo protagonista che comprende anche ciò che, pur inventato dall’uomo, è infine accantonato come elemento da rifiutare e da rimpiazzare.
Il cuore della città, nella mescolanza bustrofedica di elementi dalle tonalità accese, fluorescenti, visionarie viene rappresentato nella sua completezza e nei suoi movimenti dall’artista, la quale destruttura quella realtà condivisa sovente solo nell’apparenza e la completa con essenze vitali invisibili, tali che ogni elemento nella sua identificazione individuale diviene tassello di memoria
Carmen De Stasio
UTOPIA POSSIBILE
Un senso di misticismo pervade le opere di Francesca Testa, artista e designer di Tuglie (Lecce) e ravviva quella significazione di incontro con l’elemento spirituale che è anche motivo di congiunzione con un universo distante e vicinissimo al contempo; vissuto, solcato come un mare di quiete in cui il silenzio veicola la meditazione con un distacco deciso, evocativo di una sottile congiunzione tra le parti, per mezzo della quale l’artista dipana il suo sogno, ne è partecipe sebbene lasci in sospensione qualcosa appena intuibile nelle trasparenze oltre-terrene.
Nell’ordine atemporale, entro il quale il quadro assume la sua naturale espressione, la dimensione astrale si appropria dello spazio mentale per costruire una realtà di efficace simbolismo, nella cui algida luce i soggetti sono figure umane cristallizzate in una staticità apparente, in equilibrio con gli spazi circostanti.
Osservatrice pacata del mondo che si realizza intorno, Francesca Testa recupera le idee e le prospettive per incanalarsi nella rarefatta, pungente, sfuggente versatilità della proiezione della materia; decodifica un viaggio nella metafora di una neo impressiva visione della natura delle cose, cui dà voce scalfendo le impalcature che sorreggono la percezione condizionata dallo sguardo. Metafisica e visionaria, la sua scrittura artistica si basa sulla costruzione di scenari che si dilatano e si dissolvono oltre il confine della tela, sulla quale le cromie danzano come essenze condensate di intenzione e riflessione, permettendo alla materia di divenire tensione, elevazione, attimo di meditazione.
L’indagine sui linguaggi adeguati a rappresentare la propria identità artistica procede dagli esordi della sua carriera di pittrice, quando intesse con fragore la materia grezza con la densità di colori dal tocco tenace ed evocativo e dalle increspature ricorrenti e confluenti, sulle quali campeggia il colore rosso dalla duttilità espressiva fortemente incisa. Nel tempo la macchia rossa va ammorbidendosi, adagiandosi tra le pieghe di un drappeggio dalla linea docile. I volumi, precedentemente esplosivi e violenti, si dilatano in spazi surreali, orfici ed indefinibili, in cui la commistione del colore a olio detiene la forza del verbo parlante. Sebbene vada a confondersi con il dedalo delle concrete emozioni in una matericità che si permea delle tensioni ambientali, lo stile di Francesca Testa subisce una variazione che allevia le rigidità di un astratto plasticismo e si diffonde in una dimensione di ampio respiro che si solleva a codificare in una simbologia silenziosa spazi siderali, in cui la firma autografa dell’artista resta nella soavità di un filo rosso che supera i limiti della fisicità: la rabbiosa, emergente macchia purpurea, increspata tra le pieghe di una materia ruvida, diviene ora l’elemento che unisce la cromosfera con un tempo infinito, con l’aspirazione di un luogo in cui vagare per conoscere il significato intimo dell’esistere. Un ossimoro di continuità e di rinvio, come se pur viaggiando e rappresentandosi ella stessa in quel filo, non intenda raggiungere mai lo spazio di realizzazione. Le sue idee, le sue intenzioni di artista poggiano sulla confortevole comodità di un ambiente nel quale la storia si adagia in sospensione perenne, condensando un percorso che non ha limiti e che si nutre di evanescente visionarietà.
Nelle opere di Francesca Testa va dunque in scena la mimesi e la significazione profonda, la condensazione di elementi frutto dell’elaborazione nella visione contemporanea di situazioni riconoscibili traslate in una dimensione eterea, oltre lunare, in una utopia possibile, definibile come luogo dove la materia dei sogni, delle illusioni si configura in un’atmosfera che unisce il silenzio della contemplazione e il mutismo di un’immagine che sollecita la riflessione
Carmen De Stasio
Due nomi giovani, due stili di ricerca già acclamati nel mondo dell’arte e in continua partenza per approfondire un’indagine infinita. Artiste in casuale nascita in un luogo - il Salento - che è ovunque e sempre altrove: Daniela insegue gli scarti dell’esistere per rintracciare le orme della costruzione operata dall’uomo contemporaneo e farne confluire l’immagine in una koinè di luminosa mescolanza prospettica. Francesca si adagia lungo camminamenti di una contemplazione che prende forma nell’audace ambientazione di luci e sinuosità cromatica, che modula e modifica lo spazio d’azione, trasformato in un viaggio che è perenne “andare”
Carmen De Stasio
Presidente Ass. Cult. VIA MEDIA
Brindisi
Venerdì 1 ottobre, ore 18,00 all’interno della Mostra è previsto un incontro con la cultura letteraria, con la PRESENTAZIONE UFFICIALE del libro
Ti amerò
Fino ad addormentarmi
Nel rosso del tuo meriggio
CSR “Francesco Grisi” Ed.
Sarà presente l’autore - lo scrittore, saggista e poeta Pierfranco Bruni (Responsabile Minoranze Etno-linguistiche del MiBAC - Ministero dei Beni Culturali)
RIFLESSIONE
Considero l’arte come la configurazione dell’energia che si cela dietro e all’interno dell’“immaginazione” quale espressione della capacità di penetrare realtà conosciute, di percepirne la pulsione e farsi portavoce di un messaggio intelligibile solo a quanti scalfiscono la crosta della realtà materica per scoprire sorprendenti segni indistinguibili, che possano conciliare nell’immediata proiezione una visione e la consacrazione di una realtà permeata di una distintiva velocità.
L’arte è un urlo lancinante nel silenzio che esplode unicamente in una rappresentazione sinestetica e antidiegetica. E’ un linguaggio segnico che stigmatizza l’elaborazione in un’interpretazione sempre nuova. Anello simbolico tra il qui, il sempre e l’altrove; luogo dell’essere; sintesi storica che scavalca le confinazioni materiche e si realizza in quanto espressione di tempi e spazi confluenti; in quanto mosaico complesso che parla la voce del proprio tempo e nel proprio spazio con i quali l’artista dialoga, si immedesima, sollecitato da ritmi che gli consentono di squarciare i veli del distinguibile-descrivibile con la parola limite e divenendo segno di libertà.
Di quale materia è fatto l’uomo? Composto dagli elementi di cui si circonda, nel tempo egli diviene cose, oggetti creati per assolvere al suo desiderio di confortevole agio per migliorarsi, per sedimentare la compiacenza di essere mente, corpo, pensiero, confluenza di tempi. Sovente, scalfito il ricordo, l’uomo cancella e getta via anche la memoria del luogo e nulla resta affinché egli possa riprendere il filo e rimettersi in cammino verso un futuro, distrutto o, quantomeno, disturbato dall’assenza di punti di riferimento.
Nell’operazione di assemblaggio dei pensamenti e nel codificante movimento che compone la strutturazione della Mostra, L’Ombra della Luce si configura come l’energia cinetica che motiva l’espressione d’arte di Daniela Chionna da Francavilla Fontana (Brindisi); con Francesca Testa da Tuglie (Lecce) si evolve nell’espressione di una Utopia Possibile il parlar d’artista in quanto congerie di segni da interpretare secondo spazi intimi mai saturi.
Due nomi giovani, due stili di ricerca già acclamati nel mondo dell’arte e in continua partenza per approfondire un’indagine infinita. Artiste in casuale nascita in un luogo, il Salento, che è ovunque e sempre altrove: Daniela insegue gli scarti dell’esistere per rintracciare le orme della costruzione operata dall’uomo contemporaneo e farne confluire l’immagine in una koinè di luminosa mescolanza prospettica. Francesca si adagia lungo camminamenti di una contemplazione che prende forma nell’audace ambientazione di luci e sinuosità cromatica, che modula e modifica lo spazio d’azione, trasformato in un viaggio che è perenne “andare”
Carmen De Stasio
L’OMBRA DELLA LUCE
Daniela Chionna, designer di Francavilla Fontana (Brindisi), scruta nell’oltre-minimo nucleo delle cose, riavvolgendole in una luce che è condensazione di ombra.
Nelle costruzioni olografiche l’artista incide percorsi che sfoggiano un’esemplarità di fasci luminosi che si evolvono dall’interno, permeano l’ambiente e ne riformulano l’onda visiva in una tridimensionalità inquieta.
Le criptiche composizioni - installazioni animate da una concettualizzazione calibrata su pieni e vuoti in accordo mutevole su piani sospesi - visualizzano l’attrazione verso il silenzio urlante e sopraggiungente dall’oscurità attraverso geometrie che si dilatano oltre la forma chiusa.
Necessaria per lo sviluppo di questo tipo di espressione artistica, in costante oscillazione tra pittura e scultura, è la rimodulazione di materiali che si dilatano, investono l’ambiente, disperdono la frammentarietà e formulano una nuova, unica architettura dai ritmi metaforici, idiosincratici, duettanti in costante frenesia.
La destrutturazione della luce e delle ombre contribuisce a creare un’atmosfera di intimismo motivata da una ricchezza sinestetica che permette all’impianto di trasformarsi in una performance di forme, di proiezione, di storia, nella sequenza di statole magiche che si intrecciano con le architetture circostanti, attribuendo loro una nuova pelle dai toni dinamici, morbidi, trasparenti, mediante una tecnica di accumulazione, recupero e frottage.
Affascinata dalle possibilità della luce di sconvolgere gli spazi, Daniela Chionna stabilisce una sintesi versatile di strutture complesse risultanti dalla scomposizione di raggi che attraversano la materia, si insinuano nei pertugi e si dilatano in giochi visivi ingannatori, lasciando nel mistero la definizione del punto di vista. Le installazioni diventano situazioni in costante variabilità alla ricerca di una misura e di un nuovo equilibrio, in cui la luce appare sontuosa e silente, densa e pizzicata come le corde di un violino di una sonata bartokiana che segna la rinascita là dove l’uomo aveva decretato l’inutilizzabilità della materia. L’opera si pone dunque come centrale punto di attenzione, con effetti scenici simbolici di un’estetica personalissima e complessa operazione di segno linguistico, che disperde la severità nella composizione dei vari elementi assemblati secondo un ordine dell’artista, che dà voce agli oggetti incuneandoli in uno spazio di nuova generazione e affida all’ombra il respiro di un’atmosfera in cui la luce vince sul buio mutismo del non-pensiero, giacché la povertà o il valore dell’oggetto sono sempre nella prospettiva di chi guarda.
La sensazione che si riceve è in tal senso di complessa unità, nella quale i colori si adagiano sugli elementi, ne movimentano l’azione, ne esaltano il valore perduto; si insinuano nella materia, resa plasmabile e creatrice essa stessa di ombre che esistono perché esaltate come presenza da una fonte di luce interna.
Dall’ipotesi della struttura cromatica della luce, Daniela passa dunque a costruire una nuova narrazione del tempo: le opere, acme di una ricerca nel substrato esistenziale nelle sue disparate formulazioni, recuperano passaggi esistenziali perduti e la vorticosità di un ritmo esistenziale in continua innovazione; parlano del tessuto urbano, sono condensazioni di una civiltà che mantiene il suo ruolo protagonista che comprende anche ciò che, pur inventato dall’uomo, è infine accantonato come elemento da rifiutare e da rimpiazzare.
Il cuore della città, nella mescolanza bustrofedica di elementi dalle tonalità accese, fluorescenti, visionarie viene rappresentato nella sua completezza e nei suoi movimenti dall’artista, la quale destruttura quella realtà condivisa sovente solo nell’apparenza e la completa con essenze vitali invisibili, tali che ogni elemento nella sua identificazione individuale diviene tassello di memoria
Carmen De Stasio
UTOPIA POSSIBILE
Un senso di misticismo pervade le opere di Francesca Testa, artista e designer di Tuglie (Lecce) e ravviva quella significazione di incontro con l’elemento spirituale che è anche motivo di congiunzione con un universo distante e vicinissimo al contempo; vissuto, solcato come un mare di quiete in cui il silenzio veicola la meditazione con un distacco deciso, evocativo di una sottile congiunzione tra le parti, per mezzo della quale l’artista dipana il suo sogno, ne è partecipe sebbene lasci in sospensione qualcosa appena intuibile nelle trasparenze oltre-terrene.
Nell’ordine atemporale, entro il quale il quadro assume la sua naturale espressione, la dimensione astrale si appropria dello spazio mentale per costruire una realtà di efficace simbolismo, nella cui algida luce i soggetti sono figure umane cristallizzate in una staticità apparente, in equilibrio con gli spazi circostanti.
Osservatrice pacata del mondo che si realizza intorno, Francesca Testa recupera le idee e le prospettive per incanalarsi nella rarefatta, pungente, sfuggente versatilità della proiezione della materia; decodifica un viaggio nella metafora di una neo impressiva visione della natura delle cose, cui dà voce scalfendo le impalcature che sorreggono la percezione condizionata dallo sguardo. Metafisica e visionaria, la sua scrittura artistica si basa sulla costruzione di scenari che si dilatano e si dissolvono oltre il confine della tela, sulla quale le cromie danzano come essenze condensate di intenzione e riflessione, permettendo alla materia di divenire tensione, elevazione, attimo di meditazione.
L’indagine sui linguaggi adeguati a rappresentare la propria identità artistica procede dagli esordi della sua carriera di pittrice, quando intesse con fragore la materia grezza con la densità di colori dal tocco tenace ed evocativo e dalle increspature ricorrenti e confluenti, sulle quali campeggia il colore rosso dalla duttilità espressiva fortemente incisa. Nel tempo la macchia rossa va ammorbidendosi, adagiandosi tra le pieghe di un drappeggio dalla linea docile. I volumi, precedentemente esplosivi e violenti, si dilatano in spazi surreali, orfici ed indefinibili, in cui la commistione del colore a olio detiene la forza del verbo parlante. Sebbene vada a confondersi con il dedalo delle concrete emozioni in una matericità che si permea delle tensioni ambientali, lo stile di Francesca Testa subisce una variazione che allevia le rigidità di un astratto plasticismo e si diffonde in una dimensione di ampio respiro che si solleva a codificare in una simbologia silenziosa spazi siderali, in cui la firma autografa dell’artista resta nella soavità di un filo rosso che supera i limiti della fisicità: la rabbiosa, emergente macchia purpurea, increspata tra le pieghe di una materia ruvida, diviene ora l’elemento che unisce la cromosfera con un tempo infinito, con l’aspirazione di un luogo in cui vagare per conoscere il significato intimo dell’esistere. Un ossimoro di continuità e di rinvio, come se pur viaggiando e rappresentandosi ella stessa in quel filo, non intenda raggiungere mai lo spazio di realizzazione. Le sue idee, le sue intenzioni di artista poggiano sulla confortevole comodità di un ambiente nel quale la storia si adagia in sospensione perenne, condensando un percorso che non ha limiti e che si nutre di evanescente visionarietà.
Nelle opere di Francesca Testa va dunque in scena la mimesi e la significazione profonda, la condensazione di elementi frutto dell’elaborazione nella visione contemporanea di situazioni riconoscibili traslate in una dimensione eterea, oltre lunare, in una utopia possibile, definibile come luogo dove la materia dei sogni, delle illusioni si configura in un’atmosfera che unisce il silenzio della contemplazione e il mutismo di un’immagine che sollecita la riflessione
Carmen De Stasio
25
settembre 2010
Daniela Chionna / Francesca Testa
Dal 25 settembre al 10 ottobre 2010
design
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
BASTIONE S. GIACOMO
Brindisi, Via Nazario Sauro, (Brindisi)
Brindisi, Via Nazario Sauro, (Brindisi)
Orario di apertura
con esclusione del lunedì, dalle ore 18,00 alle ore 20,30
Vernissage
25 Settembre 2010, ore 18.30
Autore