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Conceptual Art. The Panza Collection
Con la mostra “Conceptual Art. The Panza Collection”, il Mart rende omaggio ad uno dei più grandi collezionisti internazionali del secondo dopoguerra, di recente scomparso: Giuseppe Panza di Biumo, grande sostenitore del Mart fino dalla metà degli anni Novanta, e tra i primi collezionisti ad aver concesso parte del loro patrimonio in deposito a lungo termine al nostro Museo.
Comunicato stampa
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Con la mostra “Conceptual Art. The Panza Collection”, il Mart rende omaggio ad uno dei più grandi collezionisti internazionali del secondo dopoguerra, di recente scomparso: Giuseppe Panza di Biumo, grande sostenitore del Mart fino dalla metà degli anni Novanta, e tra i primi collezionisti ad aver concesso parte del loro patrimonio in deposito a lungo termine al nostro Museo.
La mostra, programmata e progettata da Gabriella Belli insieme a Giuseppe Panza nel 2008, vedrà la luce nella formulazione originale pensata dallo stesso collezionista, che, come è noto a coloro che hanno avuto l'onore di lavorare con lui, ha sempre progettato fin nei minimi dettagli tutte le esposizioni dedicate ai lavori della sua vastissima collezione. L’idea di una mostra che avesse come oggetto le opere di arte concettuale presenti nella sua collezione, è nata dall'esigenza – con lui condivisa – di ripensare al deposito a lungo termine attualmente presente in museo, selezionando alcune nuove opere, con particolare riferimento all'arte concettuale, tendenza più che mai attuale.
Il progetto è dunque maturato nell'arco di alcuni anni e oggi il Mart è in grado di presentare per la prima volta in Italia una selezione davvero straordinaria di lavori prodotti da autori di primaria importanza, tutti ordinati e selezionati dall'intuito profetico di Giuseppe Panza.
Saranno esposte circa sessanta opere di artisti di fama internazionale, come Robert Barry, Hanne Darboven, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Robert Irwin, Joseph Kosuth, Lawrence Weiner, Sol LeWitt, David Tremlett, Franco Vimercati, Ian Wilson, Peter Wegner.
Il conte Panza iniziò ad acquistare arte concettuale nel 1969, con una svolta rispetto al decennio precedente, in cui si era avvicinato all’espressionismo astratto e alla Pop Art. Giuseppe Panza fu attratto in modo totalizzante dalla “ricerca dell’essenziale” propria del Minimalismo e dei suoi esiti concettuali successivi.
“Non è un’arte ostica o scopertamente intellettualistica – scriveva Panza – riguarda la vita quotidiana”. Un’affermazione che, negli anni Sessanta, poteva lasciare sconcertati, ma che il collezionista ha difeso con grande coerenza.
Come nota acutamente Evelyn C. Hankins nel suo saggio in catalogo, “la predilezione minimalista per le forme ridotte e per la ripetizione derivava non da interessi puramente formali ma da un nuovo rispetto per il ruolo della matematica e della logica nella pratica creativa”. Un clima intellettuale, questo, perfettamente compreso da Panza, che giudicava il pensiero “la più alta delle attività umane.” Il suo fu un atto di coraggio che ha permesso non solo la conservazione, ma spesso anche la creazione di nuove opere da parte di artisti che, a quarant’anni di distanza, sono considerati protagonisti esemplari di una stagione di grande creatività e innovazione.
Gli artisti selezionati per “The Panza Collection. Conceptual Art”, pur tra notevoli differenze condividono una caratteristica fondamentale: si sono opposti alle categorie tradizionali di pittura e scultura e hanno proposto una definizione di arte molto più ampia; dalle opere concettuali che privilegiano l’idea rispetto alla creazione di oggetti, alle grandi installazioni che sfidavano le concezioni convenzionali sulla percezione, e mettevano in discussione il confine tra un’opera d’arte e l’ambiente che la circonda.
SEPT. 25, 2010
di Gabriella Belli
Giuseppe Panza è stato un vero, grande amico del nostro museo, uno dei suoi massimi sostenitori. Già nel 1996 condivide il nostro progetto scientifico e offre a noi la possibilità di esporre una selezione di opere dalla sua Collezione, tutti lavori di artisti americani attivi negli anni ‘80 e primi anni ‘90. E’ in quell’occasione che le opere da lui selezionate con particolare cura per l’inserimento nelle sale cinquecentesche di Palazzo delle Albere a Trento, diventano parte di un deposito a lungo termine, ancora oggi custodito nel nostro museo.
Ripetutamente esposti nel corso di quindici anni di fattiva collaborazione, questi importanti lavori hanno acquistato particolare valore in occasione della mostra Le stanze dell’arte, mostra con cui nel dicembre del 2002 s’inaugurava la nuova sede del Mart a Rovereto. Una ouverture d’eccezione, costituita dalla sinfonia cromatica Red and Violet over Red n.301 (1959) di Mark Rothko in dialogo serrato con l’esplorazione sensoriale bianca di un grande lavoro del ‘68 di Robert Ryman, apriva il percorso espositivo della sua Collezione, collocata nella galleria prospiciente il giardino, al primo piano.
Sono i suoi autori forse più amati: il quadro di Rothko aveva fatto parte in passato della sua Raccolta, nata, è ben noto, negli anni Cinquanta e concentrata all’inizio soprattutto attorno alle figure di Franz Kline, Robert Rauschenberg e, appunto, Mark Rothko, il cui grande dipinto esposto al Mart, è stato in seguito acquisito dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
Oggi, con la mostra Conceptual Art prende vita un nuovo progetto, che permetterà al nostro pubblico di conoscere, per la prima volta in Italia, una parte un po’ segreta della sua straordinaria Collezione, quella dedicata all’arte concettuale americana degli anni Sessanta e Settanta. I visitatori si troveranno a diretto confronto con l’opera di artisti di fama internazionale, come Robert Barry, Hanne Darboven, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Robert Irwin, Joseph Kosuth, Lawrence Weiner, Sol LeWitt, David Tremlett, Franco Vimercati, Ian Wilson, Peter Wegner. Eppure, quando i loro lavori entrarono nella Collezione Panza pochi li conoscevano. La mostra è nata nel corso del 2008 ed è un progetto esclusivo di Giuseppe Panza, che ha pensato l’esposizione proprio per gli spazi del Mart, dedicando a ogni artista una sua personale riflessione. Con questo progetto Giuseppe Panza ci lascia una straordinaria testimonianza di pensiero e azione, oggetto di meditazione nelle nostre riflessioni quotidiane sul significato dell’arte nella vita. Appassionato a tutte le forme d’arte, aperto a ogni tipo di sperimentazione, purché autentica e capace di trasmettere valori di assoluta originalità estetica ed etica, Giuseppe Panza ha percorso accanto ai più geniali artisti americani del secondo dopoguerra, la sua lunga strada d’iniziazione all’arte contemporanea, un cammino mai veramente finito (come tutti i percorsi autenticamente esistenziali), che l’ha portato a continue scoperte e a lunghi innamoramenti per alcuni dei massimi protagonisti della stagione post-formalista, a partire appunto da Franz Kline, Donald Judd, Mark Rothko, Rauschenberg e Lichtenstein, ma anche l’europeo Tàpies, quest’ultimo un’eccezione nella sua raccolta, tutta orientata verso l’arte statunitense.
Per Giuseppe Panza il collezionare è sempre stata un’azione che interessava direttamente la sua esistenza, che intratteneva con la sua vita giornaliera una relazione molto intima e appassionata, (anche per questo così profondamente condivisa con la moglie Rosa Giovanna) e non riguardava certo – come molto di frequente accade oggi – l’area dell’investimento economico.
Nella sua personale vicenda di collezionista nulla del resto potrebbe far pensare a interessi diversi da quelli puramente culturali ed esistenziali. Infatti, è in tempi davvero non sospetti, dunque molto prima che il mercato avvalorasse le sue scelte, che Giuseppe Panza inizia a collezionare opere dei maggiori artisti americani, all’epoca davvero poco noti e per lo più in giovane età. Agisce come un vero talent scout, mosso da un’autentica esigenza di scoprire e da un’assetata curiosità di conoscere. La coerenza della sua collezione rivela molto dello spirito con cui è stata costruita.
Come sopra ricordato, la prima stagione della sua Raccolta, oggi divisa tra il Guggenheim di New York e il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, coincide con la scelta di autori statunitensi del post-formalismo, dalla pop alla minimal, movimenti che mettono davvero a soqquadro ogni certezza dell’arte che li precede. E’ un periodo in cui la ricchezza degli stimoli visivi, espressivi e spirituali non ha forse uguali nel resto d’Europa. Un periodo in cui si tocca con mano il vigore creativo della giovane generazione artistica americana, che riesce a cogliere, in una nuova, originalissima partita espressiva, il senso profondo di quella società di massa, il cui apparire, nel secondo dopoguerra, mostra tutte le contraddizioni sociali e culturali derivanti dai nuovi modelli del consumismo imperante. Un periodo storico che apre, soprattutto con l’esperienza minimal, anche a più severe e composte riflessioni formali sul significato dell’arte in una civiltà appunto postmoderna, un filo rosso che declina la reazione pop in una pacata, ma altrettanto energica denuncia degli eccessi.
Nel 1969 si riapre una stagione nuovamente intensa per la sua Collezione. Il 1969 è un anno cruciale anche per la storia dell’arte, anno della prima mostra concettuale, “January 5-31, 1969”, un’esposizione che si tiene nella Seth Siegelaub Gallery di New York, dove sono presentati per la prima volta i lavori di Barry, Douglas Huebler, Joseph Kosuth e Lawrence Weiner.
Oggi vere e proprie icone della ricerca contemporanea, questi artisti si muovevano in un campo per così dire trasversale rispetto alle arti visive, un campo che incrociava scrittura, pensiero e forma, in una sorta di azione combinata dei vari linguaggi, al cui centro non stava più il prodotto finito, ovvero la materialità dell’opera d’arte, quanto piuttosto il processo di elaborazione del pensiero, il concetto filosofico di opera d’arte.
Come non cogliere la rivoluzione contenuta in un’opera di Weiner o di Robert Barry, là dove questi artisti non chiedevano più allo spettatore di ammirare un quadro, ma piuttosto di leggere e riflettere su un testo? Quale nuovo sforzo immaginativo richiedeva questo tipo di arte, tutta rivolta alla speculazione filosofica?
Anche su questo fronte, Giuseppe Panza è tra i primi collezionisti internazionali a cogliere il valore e la novità. E’ quella dell’arte concettuale una sperimentazione estrema, che ha però in comune con il suo cuore di esteta ma anche di uomo etico, molte riflessioni, come quel suo interrogarsi sul fine dell’essere, che è il vero leit-motiv di tutta la sua amorosa avventura collezionistica.
Nella bella e toccante presentazione della mostra The Panza Collection at The Hirshhorn (Washington, 23 ottobre 2008- 11 Gennaio 2009), il museo dove oggi si può ammirare un nucleo di altissima qualità di opere concettuali provenienti dalla sua Raccolta, Giuseppe Panza scrive: “Usiamo suoni, segni e immagini per esprimere la nostra volontà, i nostri pensieri e le nostre emozioni, nonché per comprendere quelli degli altri. È una condizione fondamentale per vivere e per costruire una società, ma come può esistere tutto questo in una società solo con un unico strumento, le PAROLE, siano esse scritte e pronunciate oralmente?
Siamo così abituati a usarle che dimentichiamo il loro enorme potere. Senza le parole, vivremmo come insetti. Dato che il linguaggio è un’attività intuitiva tanto quanto è logica, una parola può avere una gamma di significati che variano a seconda del contesto in cui è espressa. Per via di questa varietà, quando una parola è isolata diventa ambigua e può esprimere molte cose diverse. L’ambiguità può essere molto interessante per un artista e può generare vari pensieri, così come può portare all’esplorazione di un significato tra i molti possibili: una necessità fondamentale per qualunque opera d’arte. Questa è l’essenza dell’arte concettuale, e ha una rilevanza sostanziale per l’esistenza. Non è un’arte ostica o scopertamente intellettualistica; riguarda la nostra vita quotidiana. Quando guardiamo delle immagini o sentiamo dei suoni, noi pensiamo. Siamo HOMO SAPIENS solo perché abbiamo misteriosamente acquisito l’uso del linguaggio.”
Sono parole illuminanti nella loro didattica semplicità, parole che esplicitano almeno due delle ragioni che hanno spinto Giuseppe Panza ad acquistare, nel corso degli anni Settanta, un nucleo d’eccellenza di opere d’arte concettuale. La prima ragione è che queste opere hanno a suo dire tutto a che vedere con la quotidianità, intervengono cioè nel cuore della questione esistenziale, mostrano i molti volti possibili dell’interrogazione massima, quella che riguarda la ragione stessa del nostro vivere. La seconda motivazione appartiene alla sua idea dell’arte. Proprio grazie a questa parte della sua Collezione si scopre, infatti, che la sua ricerca non è solo rivolta alla Bellezza (intesa come valore etico ed estetico insieme), come si potrebbe per certi aspetti dedurre dalle scelte fatte nella sua estrema stagione collezionistica, pervase dalla ricerca dell’assoluto nella luce e nel colore, quanto piuttosto ambisce a un’idea di Ambiguità, intesa non come valore negativo, ma come pluralità: molteplici sono le strade che portano alla rivelazione della Verità. L’arte per Giuseppe Panza è tutto questo: un percorso mai finito d’iniziazione alla vita e dunque anche alla morte.
Mi sono interrogata spesso in questi anni, sul perché Giuseppe Panza avesse molta ritrosia a presentare in Italia, nonostante le mie sollecitazioni, una selezione di opere della sua ricchissima Raccolta d’arte concettuale. Era per me difficile dare una risposta. La ragione, mi spiegava Giuseppe Panza, stava tutta nel linguaggio così radicale di questa sperimentazione e dunque, a suo dire, nella difficoltà per il grande pubblico di capire.
Oggi credo che questa mostra, da lui completamente progettata nel 2008 proprio per le sale del Mart e commentata con preziose riflessioni personali, che accompagnano ogni singola opera, sia un regalo meraviglioso per tutti gli intellettuali e gli storici dell’arte che vogliono saperne di più, ma anche un omaggio a tutti gli uomini di buona volontà: che possano trarre dalla semplicità di parole, frasi, segni e colori, gli strumenti più consoni alla loro stessa interpretazione della vita. Che l’arte aiuti a conoscere.
La mostra, programmata e progettata da Gabriella Belli insieme a Giuseppe Panza nel 2008, vedrà la luce nella formulazione originale pensata dallo stesso collezionista, che, come è noto a coloro che hanno avuto l'onore di lavorare con lui, ha sempre progettato fin nei minimi dettagli tutte le esposizioni dedicate ai lavori della sua vastissima collezione. L’idea di una mostra che avesse come oggetto le opere di arte concettuale presenti nella sua collezione, è nata dall'esigenza – con lui condivisa – di ripensare al deposito a lungo termine attualmente presente in museo, selezionando alcune nuove opere, con particolare riferimento all'arte concettuale, tendenza più che mai attuale.
Il progetto è dunque maturato nell'arco di alcuni anni e oggi il Mart è in grado di presentare per la prima volta in Italia una selezione davvero straordinaria di lavori prodotti da autori di primaria importanza, tutti ordinati e selezionati dall'intuito profetico di Giuseppe Panza.
Saranno esposte circa sessanta opere di artisti di fama internazionale, come Robert Barry, Hanne Darboven, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Robert Irwin, Joseph Kosuth, Lawrence Weiner, Sol LeWitt, David Tremlett, Franco Vimercati, Ian Wilson, Peter Wegner.
Il conte Panza iniziò ad acquistare arte concettuale nel 1969, con una svolta rispetto al decennio precedente, in cui si era avvicinato all’espressionismo astratto e alla Pop Art. Giuseppe Panza fu attratto in modo totalizzante dalla “ricerca dell’essenziale” propria del Minimalismo e dei suoi esiti concettuali successivi.
“Non è un’arte ostica o scopertamente intellettualistica – scriveva Panza – riguarda la vita quotidiana”. Un’affermazione che, negli anni Sessanta, poteva lasciare sconcertati, ma che il collezionista ha difeso con grande coerenza.
Come nota acutamente Evelyn C. Hankins nel suo saggio in catalogo, “la predilezione minimalista per le forme ridotte e per la ripetizione derivava non da interessi puramente formali ma da un nuovo rispetto per il ruolo della matematica e della logica nella pratica creativa”. Un clima intellettuale, questo, perfettamente compreso da Panza, che giudicava il pensiero “la più alta delle attività umane.” Il suo fu un atto di coraggio che ha permesso non solo la conservazione, ma spesso anche la creazione di nuove opere da parte di artisti che, a quarant’anni di distanza, sono considerati protagonisti esemplari di una stagione di grande creatività e innovazione.
Gli artisti selezionati per “The Panza Collection. Conceptual Art”, pur tra notevoli differenze condividono una caratteristica fondamentale: si sono opposti alle categorie tradizionali di pittura e scultura e hanno proposto una definizione di arte molto più ampia; dalle opere concettuali che privilegiano l’idea rispetto alla creazione di oggetti, alle grandi installazioni che sfidavano le concezioni convenzionali sulla percezione, e mettevano in discussione il confine tra un’opera d’arte e l’ambiente che la circonda.
SEPT. 25, 2010
di Gabriella Belli
Giuseppe Panza è stato un vero, grande amico del nostro museo, uno dei suoi massimi sostenitori. Già nel 1996 condivide il nostro progetto scientifico e offre a noi la possibilità di esporre una selezione di opere dalla sua Collezione, tutti lavori di artisti americani attivi negli anni ‘80 e primi anni ‘90. E’ in quell’occasione che le opere da lui selezionate con particolare cura per l’inserimento nelle sale cinquecentesche di Palazzo delle Albere a Trento, diventano parte di un deposito a lungo termine, ancora oggi custodito nel nostro museo.
Ripetutamente esposti nel corso di quindici anni di fattiva collaborazione, questi importanti lavori hanno acquistato particolare valore in occasione della mostra Le stanze dell’arte, mostra con cui nel dicembre del 2002 s’inaugurava la nuova sede del Mart a Rovereto. Una ouverture d’eccezione, costituita dalla sinfonia cromatica Red and Violet over Red n.301 (1959) di Mark Rothko in dialogo serrato con l’esplorazione sensoriale bianca di un grande lavoro del ‘68 di Robert Ryman, apriva il percorso espositivo della sua Collezione, collocata nella galleria prospiciente il giardino, al primo piano.
Sono i suoi autori forse più amati: il quadro di Rothko aveva fatto parte in passato della sua Raccolta, nata, è ben noto, negli anni Cinquanta e concentrata all’inizio soprattutto attorno alle figure di Franz Kline, Robert Rauschenberg e, appunto, Mark Rothko, il cui grande dipinto esposto al Mart, è stato in seguito acquisito dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
Oggi, con la mostra Conceptual Art prende vita un nuovo progetto, che permetterà al nostro pubblico di conoscere, per la prima volta in Italia, una parte un po’ segreta della sua straordinaria Collezione, quella dedicata all’arte concettuale americana degli anni Sessanta e Settanta. I visitatori si troveranno a diretto confronto con l’opera di artisti di fama internazionale, come Robert Barry, Hanne Darboven, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Robert Irwin, Joseph Kosuth, Lawrence Weiner, Sol LeWitt, David Tremlett, Franco Vimercati, Ian Wilson, Peter Wegner. Eppure, quando i loro lavori entrarono nella Collezione Panza pochi li conoscevano. La mostra è nata nel corso del 2008 ed è un progetto esclusivo di Giuseppe Panza, che ha pensato l’esposizione proprio per gli spazi del Mart, dedicando a ogni artista una sua personale riflessione. Con questo progetto Giuseppe Panza ci lascia una straordinaria testimonianza di pensiero e azione, oggetto di meditazione nelle nostre riflessioni quotidiane sul significato dell’arte nella vita. Appassionato a tutte le forme d’arte, aperto a ogni tipo di sperimentazione, purché autentica e capace di trasmettere valori di assoluta originalità estetica ed etica, Giuseppe Panza ha percorso accanto ai più geniali artisti americani del secondo dopoguerra, la sua lunga strada d’iniziazione all’arte contemporanea, un cammino mai veramente finito (come tutti i percorsi autenticamente esistenziali), che l’ha portato a continue scoperte e a lunghi innamoramenti per alcuni dei massimi protagonisti della stagione post-formalista, a partire appunto da Franz Kline, Donald Judd, Mark Rothko, Rauschenberg e Lichtenstein, ma anche l’europeo Tàpies, quest’ultimo un’eccezione nella sua raccolta, tutta orientata verso l’arte statunitense.
Per Giuseppe Panza il collezionare è sempre stata un’azione che interessava direttamente la sua esistenza, che intratteneva con la sua vita giornaliera una relazione molto intima e appassionata, (anche per questo così profondamente condivisa con la moglie Rosa Giovanna) e non riguardava certo – come molto di frequente accade oggi – l’area dell’investimento economico.
Nella sua personale vicenda di collezionista nulla del resto potrebbe far pensare a interessi diversi da quelli puramente culturali ed esistenziali. Infatti, è in tempi davvero non sospetti, dunque molto prima che il mercato avvalorasse le sue scelte, che Giuseppe Panza inizia a collezionare opere dei maggiori artisti americani, all’epoca davvero poco noti e per lo più in giovane età. Agisce come un vero talent scout, mosso da un’autentica esigenza di scoprire e da un’assetata curiosità di conoscere. La coerenza della sua collezione rivela molto dello spirito con cui è stata costruita.
Come sopra ricordato, la prima stagione della sua Raccolta, oggi divisa tra il Guggenheim di New York e il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, coincide con la scelta di autori statunitensi del post-formalismo, dalla pop alla minimal, movimenti che mettono davvero a soqquadro ogni certezza dell’arte che li precede. E’ un periodo in cui la ricchezza degli stimoli visivi, espressivi e spirituali non ha forse uguali nel resto d’Europa. Un periodo in cui si tocca con mano il vigore creativo della giovane generazione artistica americana, che riesce a cogliere, in una nuova, originalissima partita espressiva, il senso profondo di quella società di massa, il cui apparire, nel secondo dopoguerra, mostra tutte le contraddizioni sociali e culturali derivanti dai nuovi modelli del consumismo imperante. Un periodo storico che apre, soprattutto con l’esperienza minimal, anche a più severe e composte riflessioni formali sul significato dell’arte in una civiltà appunto postmoderna, un filo rosso che declina la reazione pop in una pacata, ma altrettanto energica denuncia degli eccessi.
Nel 1969 si riapre una stagione nuovamente intensa per la sua Collezione. Il 1969 è un anno cruciale anche per la storia dell’arte, anno della prima mostra concettuale, “January 5-31, 1969”, un’esposizione che si tiene nella Seth Siegelaub Gallery di New York, dove sono presentati per la prima volta i lavori di Barry, Douglas Huebler, Joseph Kosuth e Lawrence Weiner.
Oggi vere e proprie icone della ricerca contemporanea, questi artisti si muovevano in un campo per così dire trasversale rispetto alle arti visive, un campo che incrociava scrittura, pensiero e forma, in una sorta di azione combinata dei vari linguaggi, al cui centro non stava più il prodotto finito, ovvero la materialità dell’opera d’arte, quanto piuttosto il processo di elaborazione del pensiero, il concetto filosofico di opera d’arte.
Come non cogliere la rivoluzione contenuta in un’opera di Weiner o di Robert Barry, là dove questi artisti non chiedevano più allo spettatore di ammirare un quadro, ma piuttosto di leggere e riflettere su un testo? Quale nuovo sforzo immaginativo richiedeva questo tipo di arte, tutta rivolta alla speculazione filosofica?
Anche su questo fronte, Giuseppe Panza è tra i primi collezionisti internazionali a cogliere il valore e la novità. E’ quella dell’arte concettuale una sperimentazione estrema, che ha però in comune con il suo cuore di esteta ma anche di uomo etico, molte riflessioni, come quel suo interrogarsi sul fine dell’essere, che è il vero leit-motiv di tutta la sua amorosa avventura collezionistica.
Nella bella e toccante presentazione della mostra The Panza Collection at The Hirshhorn (Washington, 23 ottobre 2008- 11 Gennaio 2009), il museo dove oggi si può ammirare un nucleo di altissima qualità di opere concettuali provenienti dalla sua Raccolta, Giuseppe Panza scrive: “Usiamo suoni, segni e immagini per esprimere la nostra volontà, i nostri pensieri e le nostre emozioni, nonché per comprendere quelli degli altri. È una condizione fondamentale per vivere e per costruire una società, ma come può esistere tutto questo in una società solo con un unico strumento, le PAROLE, siano esse scritte e pronunciate oralmente?
Siamo così abituati a usarle che dimentichiamo il loro enorme potere. Senza le parole, vivremmo come insetti. Dato che il linguaggio è un’attività intuitiva tanto quanto è logica, una parola può avere una gamma di significati che variano a seconda del contesto in cui è espressa. Per via di questa varietà, quando una parola è isolata diventa ambigua e può esprimere molte cose diverse. L’ambiguità può essere molto interessante per un artista e può generare vari pensieri, così come può portare all’esplorazione di un significato tra i molti possibili: una necessità fondamentale per qualunque opera d’arte. Questa è l’essenza dell’arte concettuale, e ha una rilevanza sostanziale per l’esistenza. Non è un’arte ostica o scopertamente intellettualistica; riguarda la nostra vita quotidiana. Quando guardiamo delle immagini o sentiamo dei suoni, noi pensiamo. Siamo HOMO SAPIENS solo perché abbiamo misteriosamente acquisito l’uso del linguaggio.”
Sono parole illuminanti nella loro didattica semplicità, parole che esplicitano almeno due delle ragioni che hanno spinto Giuseppe Panza ad acquistare, nel corso degli anni Settanta, un nucleo d’eccellenza di opere d’arte concettuale. La prima ragione è che queste opere hanno a suo dire tutto a che vedere con la quotidianità, intervengono cioè nel cuore della questione esistenziale, mostrano i molti volti possibili dell’interrogazione massima, quella che riguarda la ragione stessa del nostro vivere. La seconda motivazione appartiene alla sua idea dell’arte. Proprio grazie a questa parte della sua Collezione si scopre, infatti, che la sua ricerca non è solo rivolta alla Bellezza (intesa come valore etico ed estetico insieme), come si potrebbe per certi aspetti dedurre dalle scelte fatte nella sua estrema stagione collezionistica, pervase dalla ricerca dell’assoluto nella luce e nel colore, quanto piuttosto ambisce a un’idea di Ambiguità, intesa non come valore negativo, ma come pluralità: molteplici sono le strade che portano alla rivelazione della Verità. L’arte per Giuseppe Panza è tutto questo: un percorso mai finito d’iniziazione alla vita e dunque anche alla morte.
Mi sono interrogata spesso in questi anni, sul perché Giuseppe Panza avesse molta ritrosia a presentare in Italia, nonostante le mie sollecitazioni, una selezione di opere della sua ricchissima Raccolta d’arte concettuale. Era per me difficile dare una risposta. La ragione, mi spiegava Giuseppe Panza, stava tutta nel linguaggio così radicale di questa sperimentazione e dunque, a suo dire, nella difficoltà per il grande pubblico di capire.
Oggi credo che questa mostra, da lui completamente progettata nel 2008 proprio per le sale del Mart e commentata con preziose riflessioni personali, che accompagnano ogni singola opera, sia un regalo meraviglioso per tutti gli intellettuali e gli storici dell’arte che vogliono saperne di più, ma anche un omaggio a tutti gli uomini di buona volontà: che possano trarre dalla semplicità di parole, frasi, segni e colori, gli strumenti più consoni alla loro stessa interpretazione della vita. Che l’arte aiuti a conoscere.
24
settembre 2010
Conceptual Art. The Panza Collection
Dal 24 settembre 2010 al 27 febbraio 2011
arte contemporanea
Location
MART – Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Rovereto, Corso Angelo Bettini, 43, (Trento)
Biglietti
intero: euro 10
ridotto: euro 7
gratuito fino a 18 anni e sopra i 65
scolaresche: euro 1 per studente
biglietto famiglia (valido per tutti i componenti di un nucleo famigliare): euro 20
gratuito per gli Amici del Museo
Orario di apertura
da martedì a domenica 10-18 venerdì 10-21
Chiuso il lunedì
Dal 18 dicembre 2010 al 27 marzo aperto anche il lunedì’
Vernissage
24 Settembre 2010, ore 18
Editore
SILVANA EDITORIALE
Autore
Curatore