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lavoro di Sean Edwards (Cardiff,
1980; vive ad Abergavenny) si concentra sul concetto di traccia e si pone come
una serie di attività e procedimenti di carattere essenzialmente decostruttivo.
L’artista
dispone all’interno della galleria una serie di oggetti che subiscono così un procedimento
di decontestualizzazione in grado di provocare una perdita del loro senso e
significato originario. Tali oggetti divengono, per utilizzare una terminologia
cara alle avanguardie storiche, delle macchine celibi, strumenti impiegati per compiere indagini legate
alla sfera della significazione.
Ed
ecco che troviamo tredici sacchetti a strisce bianche e rosse distesi sul
pavimento della galleria; una scatola in legno con impilati dei vassoi colorati
di plastica, di quelli usati nei mercati per porvi la frutta; due tasselli di
legno che sembrano far parte di un campionario di tipologie di legname; un
quadro che simula la parete, con all’interno una fotografia sfocata di piccole
dimensioni avente per soggetto dei trofei; una striscia di legno tripartita
secondo tre colori – grigio, marrone e bianco – che nella parte iniziale
aderisce al muro per poi uscirne con una traiettoria curva.
L’attenzione
dell’artista si focalizza sul momento in cui permane una sorta di assenza
d’identità, non tanto sull’assunzione di un possibile nuovo significato.
Inoltre, questa situazione di collasso identitario investe anche la relazione
tra immagini e cose, come nel caso del quadro-parete con la fotografia al
centro.
L’oggetto
da un lato presenta delle potenzialità di significato, dall’altra le ha perdute
e permane in esso la traccia di tale perdita; gli oggetti precipitano in una
dimensione sospesa tra assenza della significazione e potenzialità di una sua
possibile acquisizione. L’idea è quella di una sperimentazione sull’oggetto che
perde parte della sua identità; la volontà è enfatizzare lo scarto tra la sua
fruizione e il carattere identitario che dev’essere ridefinito.
L’allestimento
e la disposizione degli oggetti sono stati eseguiti con cura al fine di
rispettare le specifiche possibilità offerte dalla disposizione degli spazi
della galleria. Nonostante questa attenzione, non possiamo non avanzare
perplessità sul tipo di operazione messa in atto da Edwards.
Le
indagini compiute dall’artista gallese non si possono definire inedite: quello
dei procedimenti di straniamento come fonte d’indagine sui rapporti tra un
oggetto e il suo significato inteso nel senso del suo utilizzo e della sua
fruizione è un territorio che è già stato esplorato a più riprese nel secolo scorso.
E le investigazioni di Edwards non riescono ad aggiungere qualcosa di
particolarmente significativo, benché si scomodi Jacques Derrida.
Lo
Start milanese dell’autunno 2010
matteo meneghini
mostra
visitata il 17 settembre 2010
dal
16 settembre all’undici novembre 2010
Sean
Edwards – Myself Alone Again
Galleria Enrico Fornello 2
Via Massimiano, 25 (zona
Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore
14-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 023012012; info@enricofornello.it; www.enricofornello.it
[exibart]
Francamente non capisco queste mostre. C’è un’ostinazione masochista nel perpetuare codici e convenzioni che sono fuori da questo tempo. L’arte contemporanea sta perdendo l’appuntamento con la contemporaneità. Come si può parlare di tracce? Tutto può diventare una traccia. Come si può giocare ancora ,nel 2010, sulla decontestualizzazione e sul giochino del readymade/assemblaggio con iniezioni citazioniste? Su questi interventi minimali ed anemici? E poi. Questi artisti stranieri, possibilmente anglosassoni o nati in periferie del mondo. Sembra che il nome debba già essere garanzia, quando sono tutti uguali e propongono contenuti al limite dell’imbarazzo. Questa è l’ennesima presa in giro.
La vera novità, la vera trasgressione sarebbe recuperare una certa autenticità. Enrico Fornello avrebbe tutte le risorse per fare una lavoro di qualità, ma perchè ci si perde in questo modo? Si potrebbe fare meglio, ma ci vuole coraggio e capacità di giustificare le proprie scelte. Coraggio, se no tanto vale aprire rivendite di modernariato, come rileva acutamente Emilio Mazzoli.
“..non possiamo non avanzare perplessità sul tipo di operazione messa in atto da Edwards”: non soltanto si può, ma si deve farlo, quando se ne sente la necessità, altrimenti non è critica, ma soltanto un copia e incolla dai comunicati stampa di gallerie e musei, col risultato di servire una minestrina allungata e scipita.
che enrico fornello abbia le risorse per fare una lavoro di qualità mi sembra davvero azzardato. non ha mai fatto una mostra di sua iniziativa nè un progetto che avesse senso.
mostra super modaiola ma ormai in via di cancellazione..almeno si spera.
Sia da Fornello che a due passi da lui (da De March) c’era un nulla oramai veramente scaduto. Sapranno sicuramente apprezzarlo quest’anno ad Artissima.
Un allestimento pietoso di cose e idee superate. Se questa è la nuova arte, allora non ha più nulla da dire.
Ma cosa vuoi destrutturare e decontestualizzare. Ma, vi rendete conto che sono cose superate da più di un secolo.
Ma soprattutto: che due c o g l i o n i una mostra così. Inutile.
Una mostra vecchia di dieci anni, simile a molte altre. Noia totale…
E poi Sacco si lamenta dei tagli alla cultura..o meglio all’arte contemporanea..io penso ci sia quantomeno da riflettere. Nè padiglione Italia di Beatrice ma neanche questo…
Il RE è nudo… ma anche la Regina, il duca, il conte, il marchese, il barone, …. fino al cane pulcioso dell’ultimo stalliere…
tutti NUDIIIIIIIIIIIII
FIGO però…tutto questo nudismo… peccato sia inverno, peccato che Fornello sia pure un po’ simpatico…
questo mostre sono: noiose, inutili, ripetitive e, oltre tutto, letali per le gallerie povere…
alimentano il cretinismo dei free press e dei parolieri de Il Nulla… Op.Cit.
così se ne va la media fascia di gallerie milanesi… perse nelle nebbie delle Rimembranze.
Io farei una personale al Madre, magari con qualche milioni di euro… ahahhaahah