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Amman Olcese Mako’
Ventuno artisti, tramite le loro opere, reinterpretano e raccontano i cotonifici pordenonesi.
Comunicato stampa
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I cotonifici di Borgomeduna, Torre e la filanda di Cordenons sono stati per quasi un secolo il fulcro dello sviluppo economico e industriale della città. 12.000 sono gli operai che hanno lavorato in questi luoghi e che qui hanno conquistato per la prima volta i diritti sociali e politici.
Esplorando oggi questi edifici industriali dismessi è inevitabile pensare al loro passato vivo e frenetico e alle numerose vite transitate tra quelle mura. Ciò che emerge chiaramente da ogni crepa e da ogni rovina è la forza e le suggestioni che un luogo del genere può offrire.
I cotonifici come creature viventi che non si rassegnano ad essere considerati solo esempi di archeologia industriale e resistono silenziosi, nonostante i crolli.
Sfidano il tempo che tutto cancella ospitando di anno in anno la vegetazione che rigogliosa cresce al loro interno, scandendo un nuovo tempo che non è più quello dei turni di fabbrica ma un tempo naturale, quello delle stagioni.
E’ una cospirazione testarda delle cose, come quella di cui parla McEwan in “Bambini nel tempo” quando Stephen, il protagonista, descrive lo schieramento di oggetti domestici che lo obbligano ogni giorno a fare i conti con il disordine e l’abbandono in cui li ha lasciati.
E’ quello che fanno anche i cotonifici: ci obbligano, con la loro imponenza, a guardarli, ci insinuano il dubbio che molte altre storie si siano generate dopo la loro chiusura, che molto altro ci sia da scoprire tra i residui industriali.
Lasciare nuove tracce lungo il filo della memoria, donare di nuovo significato questi luoghi è quello che hanno fatto gli artisti che espongono in questa mostra.
L’eterogeneità dei lavori testimonia l’unicità dei percorsi e degli sguardi: qualcuno ha preferito un approccio documentaristico che mettesse in evidenza gli spazi e i vuoti, qualcun altro è intervenuto su questi vuoti e li ha riempiti creando nuove suggestioni. L’occhio indiscreto caduto su questi spazi, deformati e condotti alle più inaspettate conseguenze fino alla sacrale meta finale dell’approdo ad oggetto d’arte, vuole ricordarci il potere vivificante della nostra sensibilità e la capacità di noi tutti di intervenire a testimonianza del nostro passato, unico terreno fertile per essere in prima persona il cambiamento che vogliamo vedere nel nostro domani.
Esplorando oggi questi edifici industriali dismessi è inevitabile pensare al loro passato vivo e frenetico e alle numerose vite transitate tra quelle mura. Ciò che emerge chiaramente da ogni crepa e da ogni rovina è la forza e le suggestioni che un luogo del genere può offrire.
I cotonifici come creature viventi che non si rassegnano ad essere considerati solo esempi di archeologia industriale e resistono silenziosi, nonostante i crolli.
Sfidano il tempo che tutto cancella ospitando di anno in anno la vegetazione che rigogliosa cresce al loro interno, scandendo un nuovo tempo che non è più quello dei turni di fabbrica ma un tempo naturale, quello delle stagioni.
E’ una cospirazione testarda delle cose, come quella di cui parla McEwan in “Bambini nel tempo” quando Stephen, il protagonista, descrive lo schieramento di oggetti domestici che lo obbligano ogni giorno a fare i conti con il disordine e l’abbandono in cui li ha lasciati.
E’ quello che fanno anche i cotonifici: ci obbligano, con la loro imponenza, a guardarli, ci insinuano il dubbio che molte altre storie si siano generate dopo la loro chiusura, che molto altro ci sia da scoprire tra i residui industriali.
Lasciare nuove tracce lungo il filo della memoria, donare di nuovo significato questi luoghi è quello che hanno fatto gli artisti che espongono in questa mostra.
L’eterogeneità dei lavori testimonia l’unicità dei percorsi e degli sguardi: qualcuno ha preferito un approccio documentaristico che mettesse in evidenza gli spazi e i vuoti, qualcun altro è intervenuto su questi vuoti e li ha riempiti creando nuove suggestioni. L’occhio indiscreto caduto su questi spazi, deformati e condotti alle più inaspettate conseguenze fino alla sacrale meta finale dell’approdo ad oggetto d’arte, vuole ricordarci il potere vivificante della nostra sensibilità e la capacità di noi tutti di intervenire a testimonianza del nostro passato, unico terreno fertile per essere in prima persona il cambiamento che vogliamo vedere nel nostro domani.
10
settembre 2010
Amman Olcese Mako’
Dal 10 al 26 settembre 2010
fotografia
Location
GALLERIA VASTAGAMMA
Pordenone, Vicolo Del Molino, 10, (Pordenone)
Pordenone, Vicolo Del Molino, 10, (Pordenone)
Orario di apertura
da mercoledì a domenica 17-20
Vernissage
10 Settembre 2010, ore 19