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Fermarsi. Per lentamente creare e contemplare
All’artista è imposta la lentezza, la riflessione, l’attesa, la gestazione meditata, consapevole, centellinata. La creazione pretende il tempo, lo dilata, lo sbeffeggia.
Comunicato stampa
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CATTOLICA - Galleria Santa Croce.
Slow Art -
FERMARSI. Per Lentamente creare e contemplare.
Il nostro cuore batte centottantamila volte in 24 ore, pompa 8.600 litri di sangue. I nostri polmoni respirano in un giorno 120 mila litri di aria. I nostri ritmi sono già celeri per necessità fisiologica. E poi spostarsi da un luogo all’altro, lavorare, rispondere al telefono, consultare l’agenda, andare alla conferenza senza perdere l’aperitivo, prepararsi, controllare le mail. Affrettarsi, affannarsi, concretizzare. Velocità e quantità sono i dogmi della nostra società: non si produce più per il fabbisogno ma per il surplus. Agire con lentezza, vivere il momento in tutta la sua pienezza, apprezzandone il più intimo significato, diventa un lusso a cui sembra dovuto rinunciare. Ma chi non ha il tempo dalla sua parte ha semplicemente dimenticato o trascurato di definire le mete, i concreti obiettivi. La velocità impedisce di essere se stessi e, a volte, è necessario fermarsi e concentrarsi. Non fare che una cosa alla volta. Accarezzare la bellezza del silenzio. Godersi la lentezza. Ascoltare il profumo dei colori. Torpore, calma, placidità: sensazioni svalutate, bistrattate, condannate che trovano una rivalsa e nuova vita nell’arte. All’artista è imposta la lentezza, la riflessione, l’attesa, la gestazione meditata, consapevole, centellinata. La creazione pretende il tempo, lo dilata, lo sbeffeggia. Il colore viene steso sulla tela e poi riposa, si asciuga. Cambia nell’attesa. Porta esiti imprevisti, scandaglia la mente, la fantasia, il disegno. E poi viene steso una seconda volta ed ecco una nuova opera d’arte che sorprende, stordisce. Come le opere di Alberto Storari che dipinge su tessuti broccati figure che si stagliano nel nulla i cui contorni sono quasi impercettibili ma vivi, ponderosi. Con la grafite Federico Guerri incide segni, uno dopo l’altro, con fermezza e lentezza a formare figure di manifestazione prevista e insieme sempre misteriosa. I paesaggi metafisici di Andrea Mariconti hanno il dono di rendere il grigio calamitante, anche lo sguardo più svagato si fa attento ed è costretto a fermarsi davanti a un’abnegazione del colore che distrae. “Le cose possono verosimilmente apparire ferme, congelate – come ad esempio accade nell’inorganico. Una lentezza che si rattrappisce nell’apparente immobilità del vivente; come quando osserviamo le pietre o ipotetici menhir”: questa la riflessione di Antonio Marchetti che paralizza, blocca i suoi soggetti sulla tela come fossero cimeli preistorici da preservare. I ritratti di Domenico Grenci assomigliano a delle xilografie giapponesi, evanescenti, misteriose e affascinanti. I volti sono rappresentati come ombre, con macchie di colore a rendere gli sguardi così intensi da rendere inevitabile l’indugiare sulla tela. Una lentezza quasi forzata dunque, un’apatia da assecondare e non condannare, una paralisi volontaria davanti all’opera d’arte che restituisce al tempo la sua essenza. Essenza palpitante anche nella lentezza dell’attesa della creazione. L’impronta femminile alla collettiva porta i segni (davvero di muliebre virtù) di una lunga gestazione, di una lenta nascita. Lucia Baldini attende che le foto degli antenati si imprimano, lasciando il loro negativo, su foglie di callia che, col loro rigoglio, restituiscono vita a ciò che è morto. E sfonda la spazialità con notturni spaesanti che conducono all’oblio di ogni dimensione temporale. Per Monica Pratelli l’esorcismo del tempo passa attraverso l’arte più antica, quella del filare. Ricucire punto dopo punto frammenti di sé. Fermarli col filo e con la mente in quel kairos, direbbero i Greci, che è stato e non ha più ragion d’essere ma che porta i segni della nostra anima. Un’esposizione corale che riflette il tema della paralisi artistica, non certo nell’accezione di Joyce di inettitudine, di stagnazione, ma di riflessione, di necessità di lentezza nell’atto creativo. Un humus artistico che spazia tra diversi linguaggi visivi, che si nutre dell’eterogeneità per regalare allo spettatore il lusso più importante: la lentezza.
Slow Art -
FERMARSI. Per Lentamente creare e contemplare.
Il nostro cuore batte centottantamila volte in 24 ore, pompa 8.600 litri di sangue. I nostri polmoni respirano in un giorno 120 mila litri di aria. I nostri ritmi sono già celeri per necessità fisiologica. E poi spostarsi da un luogo all’altro, lavorare, rispondere al telefono, consultare l’agenda, andare alla conferenza senza perdere l’aperitivo, prepararsi, controllare le mail. Affrettarsi, affannarsi, concretizzare. Velocità e quantità sono i dogmi della nostra società: non si produce più per il fabbisogno ma per il surplus. Agire con lentezza, vivere il momento in tutta la sua pienezza, apprezzandone il più intimo significato, diventa un lusso a cui sembra dovuto rinunciare. Ma chi non ha il tempo dalla sua parte ha semplicemente dimenticato o trascurato di definire le mete, i concreti obiettivi. La velocità impedisce di essere se stessi e, a volte, è necessario fermarsi e concentrarsi. Non fare che una cosa alla volta. Accarezzare la bellezza del silenzio. Godersi la lentezza. Ascoltare il profumo dei colori. Torpore, calma, placidità: sensazioni svalutate, bistrattate, condannate che trovano una rivalsa e nuova vita nell’arte. All’artista è imposta la lentezza, la riflessione, l’attesa, la gestazione meditata, consapevole, centellinata. La creazione pretende il tempo, lo dilata, lo sbeffeggia. Il colore viene steso sulla tela e poi riposa, si asciuga. Cambia nell’attesa. Porta esiti imprevisti, scandaglia la mente, la fantasia, il disegno. E poi viene steso una seconda volta ed ecco una nuova opera d’arte che sorprende, stordisce. Come le opere di Alberto Storari che dipinge su tessuti broccati figure che si stagliano nel nulla i cui contorni sono quasi impercettibili ma vivi, ponderosi. Con la grafite Federico Guerri incide segni, uno dopo l’altro, con fermezza e lentezza a formare figure di manifestazione prevista e insieme sempre misteriosa. I paesaggi metafisici di Andrea Mariconti hanno il dono di rendere il grigio calamitante, anche lo sguardo più svagato si fa attento ed è costretto a fermarsi davanti a un’abnegazione del colore che distrae. “Le cose possono verosimilmente apparire ferme, congelate – come ad esempio accade nell’inorganico. Una lentezza che si rattrappisce nell’apparente immobilità del vivente; come quando osserviamo le pietre o ipotetici menhir”: questa la riflessione di Antonio Marchetti che paralizza, blocca i suoi soggetti sulla tela come fossero cimeli preistorici da preservare. I ritratti di Domenico Grenci assomigliano a delle xilografie giapponesi, evanescenti, misteriose e affascinanti. I volti sono rappresentati come ombre, con macchie di colore a rendere gli sguardi così intensi da rendere inevitabile l’indugiare sulla tela. Una lentezza quasi forzata dunque, un’apatia da assecondare e non condannare, una paralisi volontaria davanti all’opera d’arte che restituisce al tempo la sua essenza. Essenza palpitante anche nella lentezza dell’attesa della creazione. L’impronta femminile alla collettiva porta i segni (davvero di muliebre virtù) di una lunga gestazione, di una lenta nascita. Lucia Baldini attende che le foto degli antenati si imprimano, lasciando il loro negativo, su foglie di callia che, col loro rigoglio, restituiscono vita a ciò che è morto. E sfonda la spazialità con notturni spaesanti che conducono all’oblio di ogni dimensione temporale. Per Monica Pratelli l’esorcismo del tempo passa attraverso l’arte più antica, quella del filare. Ricucire punto dopo punto frammenti di sé. Fermarli col filo e con la mente in quel kairos, direbbero i Greci, che è stato e non ha più ragion d’essere ma che porta i segni della nostra anima. Un’esposizione corale che riflette il tema della paralisi artistica, non certo nell’accezione di Joyce di inettitudine, di stagnazione, ma di riflessione, di necessità di lentezza nell’atto creativo. Un humus artistico che spazia tra diversi linguaggi visivi, che si nutre dell’eterogeneità per regalare allo spettatore il lusso più importante: la lentezza.
09
settembre 2010
Fermarsi. Per lentamente creare e contemplare
Dal 09 al 26 settembre 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA COMUNALE SANTA CROCE
Cattolica, Viale Giovanni Pascoli, 21, (Rimini)
Cattolica, Viale Giovanni Pascoli, 21, (Rimini)
Orario di apertura
da venerdì a domenica, dalle ore 17 alle 20
Vernissage
9 Settembre 2010, ore 19,30
Sito web
www.percorsiestravaganti.it
Autore
Curatore